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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 30 luglio 1969

 

I moventi e le speranze dello storico Pellegrinaggio

Diletti Figli e Figlie!

Domani, a Dio piacendo, come voi sapete, partiremo per l’Africa. Andiamo a Kampala, nell’Uganda, per la conclusione del «simposio» dei Vescovi Africani, colà convenuti, per la consacrazione di dodici nuovi Vescovi indigeni, per onorare i Martiri dell’Uganda, che Noi abbiamo avuto la fortuna di canonizzare, nel 1964, e che sono ora onorati dall’erezione d’un santuario alla loro memoria e al loro culto (è questo il motivo occasionale del Nostro viaggio), e poi per conferire i sacramenti del Battesimo e della Cresima a ventidue nuovi Cristiani Africani (ventidue in ricordo dei ventidue Martiri); avremo l’onore di incontrarCi con parecchi Capi di Stati Africani e con altri, Personaggi rappresentativi, sia dell’Uganda, sia di altri Paesi di quel continente; visiteremo abitazioni, scuole, ospedali, e altre istituzioni della Città, avremo anche un incontro ecumenico con Rappresentanti e comunità di cristiani, non ancora in comunione con la Chiesa cattolica, ma degni d’una Nostra particolare considerazione, per essere essi pure decorati del sangue di loro vittime per il nome di Cristo e a noi Fratelli a causa del comune battesimo. Vedremo anche altri autorevoli esponenti di religioni non .cristiane; vedremo soprattutto grandi folle di Popolo di quella terra, altrettanto radicata nelle più genuine tradizioni africane, quanto aperta ai rapporti e alle conquiste del progresso moderno. Un vero contatto con l’Africa; il primo, che un Papa ha personalmente con quell’immenso continente, pieno di sue proprie e tanto umane tradizioni e di nuove seducenti promesse, affrancato, si può dire, dal colonialismo, che tuttavia lo ha risvegliato alla civiltà moderna, ma che non è più tollerabile alla coscienza di quei Popoli nuovi, senza che essi siano sufficientemente liberati dai moltissimi e gravissimi bisogni, che caratterizzano il così detto «terzo mondo». Andiamo in Africa anche per mostrare l’interesse speciale, disinteressato e amoroso, che la Chiesa nutre per tali gravi, urgenti, umani bisogni dell’Africa nuova. Noi poi non abbiamo scritto senza assumerne le conseguenze da Noi comportabili, l’Enciclica Populorum progressio; e intendiamo con questo viaggio onorare la Nostra firma, posta a quel documento esortatore all’aiuto vario, copioso e positivo, del quale il «terzo mondo» ha ora necessità, e al quale un nuovo, nascente dovere astringe i Popoli e gli Enti dotati di discreta, o di copiosa autosufficienza.

ANZITUTTO LA PACE NELL’INTERO CONTINENTE

A Noi è stata posta una domanda, che arriva come un dardo nel Nostro spirito: perché il Papa non va anche, e in primo luogo, nelle regioni dell’Africa dove sono maggiori sofferenze, e specialmente in quelle dove da anni è accesa una lotta tremenda che il mondo intero segue con tanta trepidazione e dove intere popolazioni sono minacciate dalla distruzione delle armi, e specialmente dall’agonia della fame? Veda il Papa con i suoi occhi come generazioni intere di fanciulli, di bambini, di donne sono ridotte a condizioni d’inconcepibili stenti per orribile carestia di viveri, e di elementare assistenza sanitaria, e il Papa invochi a gran voce pietà, soccorso, pace! Un Vescovo, fra tanti altri informatori, a questo Ci esortava.

Figli carissimi! quanto è doloroso per Noi cotesto suggerimento!

Credete voi che Noi siamo insensibili davanti a tanta calamità, e che preferiamo andare dove la situazione appare tranquilla e ordinata, e dove la festa e la letizia della gente Ci accoglieranno? Quante volte abbiamo ricordato a Noi stessi i due viandanti sui sentieri scoscesi da Gerusalemme a Gerico, un sacerdote prima e poi un levita, i quali, nella parabola evangelica del Samaritano, passano accanto all’uomo spogliato e ferito dagli assassini, giacente semivivo ai margini della strada; passano, guardano e proseguono il loro cammino, senza curarsi di quel disgraziato, che trova poi soccorso nel forestiero e pietoso Samaritano. Non vorremmo fare Noi pure la triste figura di quei due ministri del Tempio! Bensì vorremmo imitare, in qualche modo, Cristo sensibile e provvido nella figura del buon Samaritano!

Ebbene, vi diremo che quando decidemmo d’intraprendere questo insolito viaggio l’intenzione, anzi il desiderio e la speranza di giovare in qualche misura alla pacificazione di quel conflitto furono nel Nostro cuore, e ancora lo sono. Nella sofferta e meditata vigilia di questo Nostro viaggio si sono tuttavia moltiplicati i Nostri sforzi, e i contatti e i tentativi anche sul piano pratico per tentare di aprire una via ad un onorevole negoziato.

LA DIFFICILE OPERA DI SOCCORSO

Aggiungeremo che nessuna parzialità politica è nel Nostro animo a questo riguardo. E nell’opera di soccorso, iniziata nel Natale del 1967, alle vittime civili del conflitto e alle popolazioni che ne sono sconvolte, subito anche da Noi promossa, e compiuta con mirabile intraprendenza e magnifico . coraggio dalla Nostra «Caritas internationalis», coadiuvata da varie organizzazioni caritative cattoliche di diversi Paesi, è stato Nostro proposito di offrire i Nostri aiuti tanto all’una che all’altra parte contendente, senza discriminazione alcuna, con la sola preferenza per i luoghi dove più grave, più esteso e più urgente era il bisogno. Quest’attività, che sa veramente di dramma e di eroismo, Ci ha forse procurato qualche impopolarità nella Nigeria stessa, a Noi carissima; e forse ha generato il sospetto che i voli degli aerei della «Caritas» portassero anche armi e notizie: ciò non è vero. Pane, medicine, vestiario e conforto, si; ma non altro; e per nessun’altra causa, che quella di salvare vite umane della popolazione civile, quelle deboli e innocenti dei bambini in modo speciale, e di predisporre, se possibile, gli animi a soluzioni per via di trattative, non per via di spargimento di sangue fraterno e di sofferenze per fame.

Nella regione teatro del conflitto, rimasta isolata per terra e per mare, l’invio di soccorsi divenne sempre più necessario e sempre più difficile e dispendioso. Si dovette ricorrere ai trasporti aerei per evitare che centinaia di migliaia di persone morissero d’inedia. Allora la «Caritas Internationalis» ed altre provvide istituzioni cattoliche si associarono ad altri organismi assistenziali e confessionali per costituire un vero ponte aereo, assai rischioso e costoso (sono stati compiuti circa tremila voli), riuscendo a salvare una grande quantità di povera gente destinata a morire di fame. Nonostante questo, i soccorsi sono assai inferiori alle necessità, non tanto per mancanza di generi, provenienti anche dalla generosità americana, quanto per impossibilità tecniche di trasporto. Si spera sempre che siano finalmente raggiunti accordi effettivi e relativi al trasporto per via fluviale, e mediante voli diurni, con i controlli del caso e con garanzia d’incolumità. Noi stessi Ci siamo interessati per agevolare alla Croce Rossa questo servizio.

Ma la situazione rimane tragica.

Una Nostra visita in quella tormentata regione si prospetta impossibile, per difficoltà logistiche, e per le interpretazioni politiche ch’essa susciterebbe, e che renderebbero ancora più grave la situazione, togliendo anche quel tanto di speranza che il Nostro imparziale interessamento può forse ancora consentire.

Abbiamo tentato altre vie, quelle dell’avvicinamento delle parti in conflitto, non senza speranza di qualche favorevole risultato, e senza intralciare l’eventuale azione mediatrice, anzi invocandola, di altri, ben più di Noi in grado d’esercitare un influsso pacificatore. Ma le tesi opposte sulle quali si fonda il conflitto sembrano ancora troppo lontane. Noi continueremo a fare di tutto per convincere i contendenti che occorre venire ad una tregua, garantita, se occorre, da qualche Potenza africana neutrale; e che un «compromesso», onorevole per entrambe le parti, non offende il loro prestigio, non lede i loro interessi, e può accordarsi con le loro legittime pretese rispettive essenziali. Abbiamo fatto ripetuti passi in questo senso, e in molti sensi; e continueremo a farli, dovessero rimanere vani nei risultati, ma validi a dimostrare la Nostra buona volontà, e a richiamare soprattutto gli animi degli Africani e l’opinione pubblica mondiale all’unica idea degna d’essere da tutti professata, quella della pace, nella giustizia e nella fratellanza.

Ci è giunta ora notizia circa il voto d’una tregua d’armi durante il Nostro viaggio in Africa. Dio voglia ch’essa sia vera ed efficace, e che preluda a trattative per l’auspicata soluzione, reclamata per le esigenze superiori della pace civile e cristiana, e per l’esempio che il mondo attende dalla giovane Africa libera, indipendente e concorde.

Questo vi dice, Figli carissimi, come il Nostro viaggio in Africa, ben lungi dal dimenticare la piaga, che la fa sanguinare, riempie anche il Nostro cuore di acuto e paterno dolore, temperato da sempre lusinghiere speranze, e sorretto dalle comuni preghiere dei buoni. Dalle vostre! Con la Nostra Benedizione Apostolica.


«MINISTRI DELLA SAPIENZA CRISTIANA»

Siamo lieti di porgere il Nostro particolare saluto al gruppo dei trentacinque laici, che si stanno preparando a raggiungere l’America Latina dopo aver partecipato al Corso di Orientamento, promosso dal Movimento Laici del Comitato Episcopale Italiano per quel Continente. A voi il Nostro plauso vivo, la Nostra gratitudine commossa, il Nostro incoraggiamento beneaugurante; vi indichiamo all’ammirazione di questa affollata Udienza, che, ne siamo certi, augura con Noi un felicissimo esito al vostro apostolato.

Voi siete la testimonianza certa, che lo Spirito Divino lavora nelle anime, irresistibilmente, in questo periodo Post-conciliare; voi siete la speranza di una messe rigogliosa, che altri forse raccoglieranno domani, ma il cui merito rimarrà sempre vostro davanti a Dio; voi siete la vivente risposta, che il laicato più maturo e sensibile sta dando ai ripetuti appelli Nostri e dei Nostri Predecessori in favore del promettente campo, che si apre all’attività laicale in quel vastissimo Continente; voi siete i realizzatori, con quanti vi hanno preceduto o vi seguiranno, delle consegne che il Concilio ha dato ai laici nell’azione internazionale, chiamandoli per questo «ministri della sapienza cristiana». Bella, grande definizione! Perché ministri della sapienza? vi verrà di chiedervi. Ma perché voi avete capito, come ancora sottolinea il Concilio nello stesso Decreto sull’apostolato dei laici, che «tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli, che è compito dell’apostolato dei laici promuovere con sollecitudine, e trasformare in sincero e autentico affetto fraterno» (Apostolicam actuositatem, 14). Questa solidarietà vi spinge a condividere la sorte di fratelli lontani, ma già a voi cari nel nome di Cristo, per aiutarli a risolvere i loro problemi, a raggiungere la loro piena dimensione umana, a farsi a loro volta promotori di bontà, di giustizia, di fratellanza, di generosità, di pace.

Nelle ore del vostro più intenso lavora apostolico, sappiate che il Papa è con voi, vi segue con l’affetto paterno, vi è vicino con la preghiera invocandovi la grazia di essere sempre fedeli a questa vocazione di «ministri della sapienza cristiana». L’Apostolica Benedizione conferma questi Nostri voti, mentre la estendiamo ai vostri cari, e a quanti beneficeranno del vostro generoso impegno in America Latina.

                                



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