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SANTA MESSA NELLA CHIESA ROMANA DI NOSTRA SIGNORA DI GUADALUPE

OMELIA DI PAOLO VI

I Domenica di Passione, 4 aprile 1965

    

Ora lo spirito e il cuore di tutti sono chiamati a meditare alquanto, e in raccoglimento, il brano del santo Vangelo testé letto.

È una pagina grave e triste. Narra, infatti, lo scontro fra Gesù e il popolo ebraico. Quel popolo, predestinato a ricevere il Messia, che Lo aspettava da migliaia di anni ed era completamente assorto in questa speranza e in questa certezza, al momento giusto, quando, cioè, il Cristo viene, parla e si manifesta, non solo non lo riconosce, ma lo combatte, lo calunnia ed ingiuria; e, infine, lo ucciderà.

Con la presente Domenica noi entriamo nel periodo liturgico della Passione, che ci prepara ai santi Misteri Pasquali: siamo invitati dalla Chiesa a meditare sulle sofferenze, fino alla morte, di Gesù e quindi sulla sua resurrezione. Quando, il prossimo Venerdì Santo, rivedremo Gesù, il Figlio di Dio vivo, - il nostro Redentore, l’Amico degli uomini; il più amabile, il più santo - crocifisso, noi ci chiederemo il motivo di tale patibolo e di così atroci tormenti.

Perché Gesù è stato confitto in croce? Che aveva egli fatto di male? Ora il Vangelo, proprio per le labbra di Gesù, ripete, la medesima domanda: «Quis ex vobis arguet me de peccato?»: che cosa mi potete addebitare o rinfacciare; che cosa ho io mai fatto per vedervi tutti ostili? È perché non ascoltate la parola di verità.

La Chiesa desidera che i fedeli considerino questi inizi della Passione del Signore: vuole che ne conoscano le cause, le radici, l’origine psicologica, all’interno delle anime. Di là incomincia l’avversione a Cristo e il moto che arriva sino a crocifiggere il Signore. Questo ripensamento è salutare, perché ci predispone a meglio comprendere il dramma del Calvario.

E così, oggi, noi che cosa diremo? Osserveremo che questo fatto, all’apparenza assurdo ed impensabile, di Gesù, Figlio di Dio, venuto al mondo e non riconosciuto né accettato, bensì avversato ed ucciso, si ripete, si prolunga: è una realtà storica con un seguito: arriva sino a noi.

Dobbiamo chiederci perché il Signore trovi, pure oggi, tanti nemici. Che cosa ha Egli fatto di male all’umanità, se tanta parte gli si volge contro, sino al punto che taluni ritengono di fare bene scagliandosi avverso al Cristianesimo, che ha profuso tesori di giustizia, pace, liberazione, santità: doni mirabili che Gesù ha portato con Sé

Perché il Vangelo, dopo venti secoli dacché è predicato, non suscita l’amicizia del mondo, l’accoglienza facile, spontanea e gioiosa? La trova, sì, in non poche anime, in voi certamente; ma quel fatto merita d’essere da noi esaminato e ben conosciuto. È il dramma dell’innocenza calunniata ed uccisa; è l’urto fra il bene ed il male. Gesù ha voluto oggi confermare in Se stesso la parola, con cui lo aveva definito il Precursore Giovanni: è l’Agnello di Dio, cioè la Vittima, che prende sopra di Sé i peccati del mondo. E ancora noi ci chiediamo perché.

Tra le molte scuse, ne indicheremo una sola: la udiamo dalle labbra di Gesù nelle ore dell’agonia sulla croce. È il momento in cui la bontà di Cristo si effonde in una maniera sublime, si da raggiungere vette impensabili. Che cosa Egli dice dalla croce? Condanna forse quelli che lo hanno inchiodato sul patibolo? Ne desidera la rovina? Gesù parla col Padre celeste, e così prega: Signore, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno!

Non sanno . . . La stessa cosa si ripete. Noi scorgeremo nel dramma del cristianesimo, nello stesso dramma di Cristo che trova inimicizie, opposizioni ed ostilità nel mondo, un fenomeno di ignoranza, cioè di non conoscenza. Non sanno quello che fanno coloro che non vogliono accogliere Cristo o si ribellano a Lui.

Vorrei, figliuoli miei, lasciarvi, come ricordo di questo incontro, di questa mia visita alla vostra parrocchia, una raccomandazione: cercate di conoscere meglio il Signore; cercate di avere in voi un’ informazione onesta e precisa sul Messaggio di Cristo; su questa nostra Religione, nei confronti della quale si incontrano sovente atteggiamenti tanto contrari, addirittura spaventosi.

Per quale ragione? Perché, sotto sotto, alligna un peccato di ignoranza, c’è incoscienza, dimenticanza, superficialità, accecamento nelle anime. Guardiamoci da questi mali. Io vorrei che tutti voi, tutti noi, fossimo solleciti di conoscere meglio il Signore e che la parola del Vangelo or ora letta - nella quale si afferma che i buoni ascoltano la parola di Dio - fosse il ricordo di questo mio incontro. Voglia, cioè, ciascuno di voi, rendersi conto del grande impegno di ascoltare la parola del Signore. È il dovere più ovvio e primordiale, come se si dicesse; aprite gli occhi e guardate la luce del sole. Ciò è indispensabile per la nostra vita temporale e fisica: se uno resta cieco, quali giornate può avere?

Ebbene, anche nella vita dello spirito, in quella concernente i nostri destini presenti e futuri, noi abbiamo bisogno di aprire gli occhi; o meglio, di ascoltare, di ascoltare sempre la voce del Signore.

Essa risuona in tante maniere. O nel segreto delle coscienze, o per bocca di chi la espone quando predica il Vangelo, ovvero nei libri che la riportano e che la offrono alla nostra meditazione. Ma procurino tutti - se vogliono essere cristiani e, direi di più, se intendono rimanere nella nostra civiltà maturata dal cristianesimo, se vogliono essere coerenti con la nostra tradizione, se tengono ad essere uomini intelligenti - di conoscere Cristo. E conoscendo Cristo, figliuoli, si potrà magari provare come un tumulto di pensieri e forse di problemi nella coscienza; ci si potrà sentire forse come da Lui stesso rimproverati, e avvertire una specie di insofferenza verso Chi viene ad accusarci e a toglierci la nostra miserabile pace umana; ma poi succederà, luminoso, un grande conforto: e potremo esclamare: o Signore, Tu solo hai parole di vita eterna! Tu sei il nostro Salvatore! Tu la luce del mondo!

Mi pare che venendo io fra voi si ripeta, a venti secoli di distanza, quanto operò il primo Apostolo, di cui sono umilissimo ed ultimo Successore: San Pietro. Egli esortava, appunto, nella sua prima Lettera: Affrettatevi a conoscere il Signore; guardate che il Signore può essere come una pietra, la quale per alcuni è d’inciampo, di scandalo, e conseguente rovina; per altri, invece, è la pietra angolare, su cui erigono l’edificio della loro esistenza.

Questo stesso messaggio riporto a voi. Esso è sempre vivo, attuale, autentico, come allora; e decide dei destini delle nostre singole persone e dell’intera collettività sociale. O accettiamo Cristo, e saremo salvi; o non lo riconosciamo, e allora dove andrà, quale sarà la sorte della nostra vita?

Bisogna accettare Cristo e costituirlo quale fondamento, base, principio della nostra esistenza. Gesù entra misteriosamente, ma trionfalmente nelle nostre anime, nelle nostre vite. Entrerà dolce e buono, amico e maestro; noi certo sentiremo ch’Egli diventa il padrone del nostro essere; ma Egli viene per salvarci e consolarci, per dirci le parole che rischiarano i misteri di questo nostro oscuro e doloroso pellegrinaggio terreno.

Figliuoli miei, non disprezzate questa umile voce che vi parla e accettatela davvero come l’eco non del mio pensiero e della mia anima, bensì come la voce medesima di Cristo, perché sono suo Vicario, perché sono mandato da Lui, perché sono messaggero del suo verbo e della sua parola. È necessario credere in Cristo, avere la fede in Cristo. Dobbiamo accettare un Signore e Maestro così amabile e adorabile; introdurlo nel giro dei nostri pensieri e dei nostri affari, dei nostri avvenimenti. Occorre farne il centro delle nostre sollecitudini, preoccupazioni, speranze.

Non temete, non temete Cristo; non abbiate paura di Lui; non siate restii a conoscerlo. Sentite, al contrario, il grande, dolce dovere di studiarlo e accoglierne i precetti. Sarete, dapprima, abbagliati dalla sua luce; e poi resi felici, infinitamente, dalla sua bontà e dalla sua salvezza.

              



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