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RITO PAPALE AL COLLEGIO DI SAN PIETRO APOSTOLO

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità della Pentecoste
Domenica, 21 maggio 1972

 

Fratelli tutti!

Ascoltiamo. Ascoltiamo dapprima, come un concento di campane diversamente lontane, gli echi delle memorie, che qua, per celebrare la festa di Pentecoste, ci hanno convocati. Prima, la più remota e la più grave è la memoria della istituzione della sacra Congregazione «de Propaganda Fide», oggi nominata anche «per l’evangelizzazione dei Popoli»; istituzione, preceduta da analoghe iniziative, ma voluta da Papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), con atto definitivo nell’Epifania dell’anno 1622, trecento e cinquanta anni fa, pietra miliare nella storia della Chiesa incamminata ormai decisamente e prevalentemente sulla via maestra della sua missione nel mondo e nel tempo: portare il Vangelo di Cristo a tutti gli uomini della Terra.

Poi, con voce squillante e gentile, ecco la memoria della fondazione dell’Opera della Propagazione della Fede, promossa da Paolina-Maria Jaricot, nel 1822, cento e cinquanta anni or sono, memorabile avvenimento per essere scaturito dal cuore d’una giovane donna e per dare evidenza ed efficienza al principio che tutto il Popolo di Dio deve assumere in proprio la causa delle Missioni. Più vicino a noi, il cinquantesimo anniversario dell’ordinamento delle Pontificie Opere Missionarie, stabilito dal Papa Pio XI, ci porta a celebrare un atto memorabile di questo nostro grande e venerato Predecessore, e a riconoscere quanto saggia, quanto provvida sia stata questa sua legge, se ad essa dobbiamo l’incremento fiorente e il funzionamento organico di queste istituzioni missionarie, per cui oggi più che mai la Chiesa cattolica riesce a diffondere l’idea e l’entusiasmo per la causa dell’evangelizzazione universale, a procurarle i mezzi economici indispensabili, a curarne l’equa e scrupolosa distribuzione: l’esperienza cinquantenaria di questi organismi ne collauda le strutture e lo spirito, e ne promette ancora più ampi sviluppi.

E finalmente eccoci intenti ad ascoltare dentro di noi il festoso annuncio che di sé ci dà questo Collegio di S. Pietro Apostolo: da venticinque anni esiste questa casa, accanto al grande Collegio teologico Urbano de Propaganda Fide e poco lontano dal suo più giovane ramo filosofico; ma destinato questo al Clero oriundo dei vari Paesi di missione. Il profilo del compianto Cardinale Celso Costantini, che lo sognò, lo pensò e con tanti benemeriti collaboratori e benefattori lo volle, ci appare davanti, e quasi a lui d’intorno, assistito dai benemeriti Religiosi Verbiti, la ormai larga corona degli Ecclesiastici Ex-Alunni ed Alunni Sacerdoti, che qui, perfezionando a livello universitario la loro formazione spirituale e culturale, hanno offerto ed offrono alle Chiese missionarie con la loro vita un incomparabile servizio di pensiero e di azione.

Venticinque anni: Papa Pio XII fondò e benedisse; noi, umili suoi successori siamo lieti di confermargli con la nostra nuova presenza la nostra affezione e la nostra benedizione.

E questa benedizione si fa più ampia e commossa, perché insieme agli Ospiti di questo Collegio vediamo il Cardinale Agnelo Rossi, Prefetto della S. Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, i suoi degni Collaboratori, e tanti membri della Curia Romana e della nostra Diocesi di Roma; e per di più, con immensa nostra compiacenza, vediamo i rappresentanti di tutto il mondo missionario romano, di meritevolissime Famiglie Religiose, maschili e femminili, che alle Missioni cattoliche dànno un inestimabile contributo.

Siate tutti salutati, e ringraziati, e benedetti per l’opera vostra, e, in questa ora di festa pentecostale, per la vostra presenza e per la vostra partecipazione a questo rito celebrativo. Celebrativo non solo delle memorie testé rievocate, che ci risuonano nella mente e nel cuore, ma dell’attualità del mistero altresì: qui ora è Pentecoste.

Qui ora, pare a noi, si rinnova, in qualche modo almeno, l’avvenimento meraviglioso. La meditazione ce lo dice. Che cosa è la Pentecoste nel disegno divino-umano della salvezza? È la discesa dello Spirito Santo sopra la prima comunità dei discepoli rimasti fedeli al Signore Gesù dopo il dramma tragico della sua morte e trionfante dopo la sua misteriosa risurrezione, in attesa orante nel Cenacolo con Maria, la madre di Gesù. Non ci soffermiamo ora a descriverla. Ricordiamo soltanto ch’è Dio-Amore, il Quale invade di nuova coscienza, di irrefrenabile energia, di vivacissimo gaudio ciascuna persona e tutto il gruppo dei centoventi raccolti nel Cenacolo. È la Chiesa che nasce nel vento e nel fuoco. È l’animazione divina del corpo mistico di Cristo, secondo la promessa da Lui fatta a loro perenne consolazione. Stupenda verità, stupenda realtà: l’uomo reso tempio dello Spirito Santo! Ma sale dal fondo del cuore la domanda aggressiva: questo fatto avvenne allora, e, come ogni fatto della storia umana, subito si consumò e si spense? No, il fuoco della Pentecoste non si è più spento nella Chiesa viva di Cristo, anche se non più si manifestò con l’impeto folgorante di quel primo istante, ed anche se in certi momenti di crisi ed in certe situazioni di prova rimase velato dalla cenere umana, non si è spento; arde ancora; e ad ogni atto sacramentale, ad ogni umile preghiera, lo «Spirito buono» è presente, è operante.

Ora, Fratelli, non sarà cos? pure di noi in quest’ora privilegiata?

Qual è il significato di quest’ora per noi se non quello di una straordinaria «epiclesi», cioè d’una straordinaria chiamata dello Spirito Santo sopra di noi e sopra quanto ci circonda? Se le nostre labbra sono forse tarde all’invocazione, non parla, non prega per noi questo luogo benedetto, tanto vicino alla tomba dell’Apostolo Pietro? non parla, non prega per noi questa casa, che vuol essere un cenacolo di discepoli fedelissimi e di missionari esemplari del nome cristiano? E la nostra liturgia, per il solo fatto che proprio nel nome di Gesù tutti qui ci trova congregati, non ha di per sé la virtù di rendere presente fra noi Lui stesso, Gesù, Colui che non lascia orfani i suoi e che promette di ottenere e di mandare loro lo Spirito Paraclito? (Cfr. Io. 14-18, 16, 26; 16, 7)

Dunque: la Pentecoste è qui. Dunque ancora: la Pentecoste è permanente? è attuale? Sì, è permanente, è attuale. Questo noi vorremmo che voi aveste sempre a ricordare, per ogni evenienza della vostra vita, per ogni strana, o avversa condizione in cui voi vi doveste trovare: lo Spirito Santo non abbandona la Chiesa, non abbandona i suoi. Anche nel confronto, talora sconcertante che le vicende della vita presente, o le obiezioni della cultura o le opposizioni del mondo, o il dilagare del male possono presentare alla nostra anima, alla nostra fede, tutti dobbiamo ricordare che non siamo soli; lo Spirito Paraclito, che vuol dire Difensore e Consolatore, è vicino, è vegliante, è dentro di noi.

E una nuova domanda urge allora sul nostro animo dinanzi a questa rivelazione che fa di noi dei posseduti dallo Spirito di Cristo; una domanda, che si fa impellente e gioiosa, sicura com’è di già della sua clamorosa e vittoriosa risposta; ed è questa: l’economia della grazia, quale noi ora abbiamo appena adombrata ma già abbastanza per scorgere in essa la maggior fortuna che possa all’uomo capitare, è riservata a pochi, ad alcuni eletti e privilegiati, ovvero è a tutti accessibile? è ristretta a qualche individuo fortunato, ovvero è concessa a tutti quanti la sanno desiderare e accettare? è destinata ad una casta distinta, ovvero è aperta a tutto un popolo? ad un popolo solo, ovvero a tutti i popoli, a tutta l’umanità? Oh! la risposta, quale nuova rivelazione ci annuncia: «Io effonderò - dice il messaggio di Pentecoste - il mio Spirito sopra ogni vivente» (Act. 2, 17). Il messaggio è universale! Esso non ha confini geografici, storici, etnici, o sociali.

La nostra mentalità umana, naturalmente egoista e formata al senso del limite che fa preziose le cose rare, sarebbe indotta a circoscrivere il regno della grazia nel cerchio del privilegio. Invece la realtà storica e religiosa, inaugurata a Pentecoste, è diversa, è aperta, è universale. Un famoso miracolo subito lo manifesta. Il messaggio di Pentecoste ha in sé il carisma della comprensibilità universale; è la vocazione unica per tutti i Popoli più diversi; è il primo dialogo con l’intera comunità. Fu il primo stupore del cristianesimo irradiante nelle nazioni tra loro divise da quello stesso mezzo, il linguaggio, che dovrebbe servire ad unirle.

Ascoltate ancora questo brano del racconto di quella prima pagina di storia della Chiesa: «Tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare in varie lingue, secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi . . . . e la moltitudine, che s’era riunita, rimase confusa perché ciascuno udiva parlare (gli invasi dallo Spirito Santo) nel proprio linguaggio» (Act. 2). Questo è il miracolo delle lingue: ciascuno conserva la propria, ma tutti convergono, nell’espressione e nella comprensione, alla medesima verità. È la diversità dei Popoli, che per virtù del Vangelo, si compagina in armoniosa e fraterna unità: «dovete rispettarvi a vicenda con amore, scriverà San Paolo, sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace: un solo corpo e un solo Spirito, come in una sola speranza siete stati chiamati: uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo; uno Iddio e padre di tutti» (Eph. 4, 2-6). Uno e tutti; sono i due cardini di questa nuova concezione spirituale, sociale, mondiale dell’umanità polarizzata in Cristo.

E non è questo stesso quadro, che qui ci raccoglie per celebrare il perenne mistero della Pentecoste, che ce lo presenta, quasi in tipico simbolo, e in certa dimensione nella realtà della nostra esperienza e della nostra storia, realizzato? Uno e tutti. Uno il corpo mistico di Cristo, che nello Spirito suo noi siamo, la Chiesa, e tutti quanti siamo impegnati ad annunciare il Vangelo, a celebrare la gloria di Dio. Laudate Dominum omnes Gentes! Noi vediamo in voi, Fratelli e Figli carissimi, candidati al ministero missionario, rappresentato il coro dei Popoli, in realtà ed in promessa, che all’unisono e ciascuno con la propria voce, annuncia la salvezza in Cristo Signore. Ecco che risuona qui, sulle nostre labbra, il vaticinio di Gioele profeta, fatto proprio nel mattino di Pentecoste, dall’apostolo Pietro: «Così avverrà, dice il Signore, ch’io negli estremi giorni diffonderò il mio Spirito su ogni vivente; e i vostri figli e le vostre figlie profeteranno; e i vostri giovani avranno visioni e i vostri vecchi vedranno nei sogni. Sì, in quei giorni, su i miei servi e sulle mie serve, spanderò dello Spirito mio, e profeteranno» (Act. 2, 17-18).

Uno di quei giorni escatologici, inaugurati nella prima Pentecoste cristiana, è questo nostro, Fratelli e Figli, in questa casa piena di carità e di verità, costruita appunto per l’annuncio della nostra Fede al mondo intero; quella Fede, che in questa festività ci appare, come non mai, attuale e viva, unica ed universale, dinamica ed apostolica.

Benediciamo il Signore!

                                



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