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DISCORSO DI PAOLO VI
AL COMITATO INTERNAZIONALE
PER I CONGRESSI EUCARISTICI

Mercoledì, 1° marzo 1972

 

Ci fa tanto piacere oggi dare il benvenuto a cotesto vostro gruppo, distinti membri del Comitato Internazionale per i Congressi Eucaristici. Salutiamo tutti voi, responsabili, a diverso livello, del Comitato stesso; salutiamo in modo particolare Monsignor Giacomo Knox, Arcivescovo di Melbourne e Vice Presidente, e lo ringraziamo per l’esemplare senso di responsabilità con cui ha voluto venire, da così lontano, a questa Udienza, sottolineando l’importanza dell’evento di cui essa è solenne preludio. Voi state infatti preparando il Congresso Eucaristico Internazionale di quella città; e, a distanza di poco meno di un anno, avete desiderato di incontrarvi con noi. Ma se grande è stato questo vostro desiderio, più grande, non esitiamo a dirlo, è stato il nostro, e grandissimo, ora, il nostro compiacimento.

Voi ci offrite l’opportunità di rivolgerci a tutta la Chiesa perché si prepari, come si conviene, a quella importante manifestazione di pietà eucaristica; voi ci date la possibilità di far giungere in merito il nostro fervido appello all’intera comunità ecclesiale. E, in realtà, il prossimo Congresso eucaristico internazionale è un fatto che tutti ci interessa, tutti ci coinvolge, quanti, a qualsiasi titolo, facciamo parte del Popolo di Dio, del gregge di Cristo. Tutti dobbiamo disporre i nostri cuori, tutti dobbiamo sentirci impegnati: individui, Chiese locali, Chiesa universale; e il più largamente possibile. È una grazia che il Signore offre a quanti, amandolo e seguendolo, si fregiano del nome di cristiani. Sarà un’occasione di ripensamento dogmatico e teologico, e perciò di rinnovamento spirituale e religioso, incentrato nel mistero dell’Eucaristia; sarà un richiamo al dovere della carità, come bene ricorda il motto del Congresso: «Amatevi l’un l’altro, come io ho amato voi» (Io. 13, 34): infatti nell’Eucaristia si trova la fonte, il principio e il «vincolo della carità» (Cfr. S. Aug. In Io. Ev., Tractatus XXVI, c. 13; PL 35, 1613), e questa giunge fino alle applicazioni pratiche nel campo della convivenza umana e sociale; sarà un invito all’unità e per l’unità, di cui l’Eucaristia è il segno umile e potente.

In questo momento della storia, in cui quanto è più forte l’anelito alla unità nell’umana famiglia, tanto più gravi e reali sono le minacce e gli attentati che vi si muovono, è necessario riaffermare solennemente questo valore dell’Eucaristia, come «segno di unità» (S. AUG. loc. cit.), come mezzo di coesione, come «simbolo di concordia» (Conc. Trid. Sess. 13, cap. 8). E noi, per quell’ineffabile e arcano mandato che, in Pietro, ci è stato conferito da Cristo, di confermare i fratelli nella fede (Cfr. Luc. 22, 32), desideriamo rivolgere a tutta la Chiesa, e con essa a tutti gli uomini di buona volontà, l’invito a guardare con particolare attesa e con intensa speranza al grande avvenimento, destinato a porre in evidenza questo aspetto così importante del mistero eucaristico. Il nostro Predecessore Pio XII di v. m. ha mirabilmente definito il Sacramento dell’Eucaristia come «vivida e stupenda immagine dell’unità della Chiesa» (Mystici Corporis; AAS 35, 1943, p. 233). L’Eucaristia costituisce la Chiesa, è stato ripetuto con amorosa insistenza dalla odierna teologia, e a questo concetto ritornano con predilezione gli studi recenti e contemporanei, le meditazioni dei sacerdoti, delle anime consacrate, dei fedeli, aperti oggi più che mai alle istanze comunitarie della propria fede. Ma il concetto è antico quanto la Chiesa. La partecipazione al Sacrificio di Nostro Signore realizza effettivamente la comunità con Cristo Gesù e tra i fedeli. La Rivelazione ce lo sottolinea con grande vigore: «Dal momento che vi è un solo pane, noi, che siamo molti, formiamo un solo corpo, poiché noi tutti siamo partecipi di quest’unico pane» (1 Cor. 10, 17); negli Atti degli Apostoli (Act. 2, 42 ss.), è messa sotto i nostri occhi, diremmo plasticamente, questa unità, questa «comunanza» di vita e di beni, che nella giovane comunità cristiana era effetto dell’assidua partecipazione alla «frazione del pane».

L’assidersi ad una stessa mensa per nutrirsi dell’unico Corpo di Cristo produce nei cristiani l’unità più intima e indivisibile, sorgente di dedizione a Dio nel culto, e ai fratelli nella carità; la liturgia, col sobrio vigore delle sue parole e con l’eloquente allusività dei suoi gesti, ha reso a tutti comprensibile questa verità, ed è stata il potente veicolo perché fosse messa in pratica. Non è necessario ricordare qui la solenne, mistica e suggestiva preghiera eucaristica della Didachè (9,4), a tutti nota; né è necessario citare il rito del fermentum, del frammento di Pane consacrato inviato dal Papa, e dai vescovi nelle loro diocesi, ai loro sacerdoti per la celebrazione della Messa, come «simbolo dell’unità della Chiesa locale e in particolare della sua stretta unione nella celebrazione del mistero eucaristico» (L. DUCHESNE, Le Liber Pontificalis I, Paris 1955, n. 3, p. 169); è un rito antichissimo, di cui dà già testimonianza Sant’Ireneo (Cfr. EUSEBII Hist. eccl. V, 24; e cfr. MANSI, II, 566), stabilito come norma canonica dai Papi Milziade e Siricio, e in uso a Roma, fino all’VIII secolo, il giovedì santo (DE ROSSI, Inscript. christ., II, p. 33). Lex orandi, lex credendi: e nella vita della Chiesa primitiva queste forme di culto attestavano singolarmente la fede della comunità cristiana nell’Eucaristia come Sacramento di unità, centro di fusione, istanza di carità, nella mutua comunione, anche visibilmente significata, tra la Gerarchia, il clero e i fedeli, tutti strettamente congiunti, vicini o lontani, nella partecipazione all’unico Sacrificio e all’unico Corpo di Cristo. Riassumendo questo patrimonio secolare della rivelazione e del culto cristiano, il Concilio Vaticano II ha così sintetizzato per il nostro tempo questo profondo significato del mistero eucaristico: «In ogni comunità che partecipi all’Altare, sotto la sacra presidenza del Vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e unità del Corpo Mistico, senza la quale non può esserci salvezza» (S. TH. Summa Theol., III, 73, 3). In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere, o disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» (Lumen Gentium, 26).

Il Congresso Eucaristico, richiamando davanti al Santissimo Sacramento le folle adoranti, è anch’esso un simbolo, e quanto efficace, di questa unità ecclesiale interiore ed esteriore: sì, Cristo presente sotto le Specie eucaristiche, chiama a sé tutta la Chiesa, e la fa riflettere sulla sua vocazione all’unità e alla carità; Cristo solennemente e pubblicamente adorato riporta oggi la comunità cristiana alle fonti primigenie della sua vita, della sua stessa ragion d’essere.

Il Congresso è perciò un atto di fede nella sovranità di amore di Cristo, che si irradia dalla presenza eucaristica (Cfr. PII XI Litt. Encycl. Quas primas; AAS 17, 1925, p. 606); è un riconfermare il culto eucaristico in tutta la sua pienezza e complementarietà. Sappiamo bene che il Sacrificio della Messa ha il primo posto nella liturgia: tutti i documenti del Magistero sono là ad affermarlo, fino ai più recenti. Ma vogliamo ricordare altresì a tutti i nostri fratelli e figli che, di fronte a certe recenti improvvide impostazioni teoriche o pratiche, tutte le forme del culto eucaristico mantengono inalterata la loro validità, la loro insostituibile funzione, il loro valore pedagogico e formativo di scuola di fede, di preghiera e di santità. La Chiesa, fin dalle origini, ha sempre circondato del più grande rispetto le Specie eucaristiche, le caelestia membra, come le chiama l’iscrizione damasiana apposta al sepolcro di San Tarcisio, che ricorda il martire giovinetto della fede eucaristica, pronto a dare la vita piuttosto che lasciare in balìa di avversari scatenati le membra del Signore (A. FERRUA, Epigrammata Damasiana, Città del Vaticano 1942, pp. 117-119); fin a secondo secolo, l’Eucaristia era portata a coloro che non avessero potuto assistere alla celebrazione liturgica, o che fossero in pericolo di vita, ed a questo scopo veniva conservata; e chiaramente lo confermano testimonianze posteriori, come quella del I Concilio di Lione (A. 1245; cfr. DENZ.-SCH. 834), di Papa Gregorio XI (A. 1370; cfr. ib. 1101-1103), fino alle solenni dichiarazioni del Concilio Tridentino «de cultu et veneratione huic SS. Sacramento exhibenda» (A. 1551; cfr. ib. 1643 s.; 1656). Non vogliamo ricordare oltre cose note, tanto più che nell’Enciclica Mediator Dei, Pio XII, dopo aver riassunto queste testimonianze dell’antichità cristiana, le definizioni dei Concili, le affermazioni dei Padri («Nessuno mangia quella carne, senza averla prima adorata»: S. AUG. Enarr. in Ps. 98, 9; PL 37, 1264), ha ribadito che il «culto di adorazione ha un valido e solido motivo. L’Eucaristia difatti, . . . differisce dagli altri Sacramenti in quanto non solo produce la grazia, ma contiene in modo permanente l’autore stesso della grazia. Quando perciò la Chiesa ci comanda di adorare Cristo nascosto sotto i veli eucaristici, e di chiedere a Lui doni soprannaturali e terreni, di cui abbiamo sempre bisogno, manifesta la fede viva, con la quale crede presente sotto quei veli il suo Sposo Divino, gli manifesta la sua riconoscenza e gode della sua intima familiarità» (AAS 39, 1947, p. 569).

La preparazione del prossimo Congresso Eucaristico deve dunque mettere in luce questa realtà: che «Cristo è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20); presente nei piccoli e nei poveri, presente nella Parola rivelata, presente nella celebrazione eucaristica, ma soprattutto presente, sempre e ovunque, e in modo tutto particolare, nel Santissimo Sacramento, perché, come abbiamo voluto sottolineare nella nostra Enciclica Mysterium Fidei, questa presenza «si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale; in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente» (AAS 57, 1965, p. 764).

La presenza reale di Cristo è il prolungamento della liturgia sacrificale, rende presente la liturgia eterna del Cielo (Cfr. Hebr. 7, 25) nell’attesa dell’incontro escatologico con Cristo, e applica nel modo più esteso i frutti della Santa Comunione; ma, oltre a questi fondamenti dogmatici, essa, e perciò il culto eucaristico fuori della Messa, ha una ineguagliabile importanza: sia dal punto di vista culturale, come forma di adorazione, di ringraziamento, di propiziazione e di implorazione, che comprende cioè gli stessi fini del Sacrificio; sia dal punto di vista ascetico e mistico, perché senza una genuina pietà eucaristica, non si dà vero alimento all’apostolato, né si assicura la fedeltà delle vocazioni ecclesiastiche e del ministero sacerdotale (Cfr. Presbyterorum Ordinis, 4-5); sia dal punto di vista ecclesiale-comunitario, perché «l’Eucaristia è conservata nei templi e negli oratori come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di tutta l’umanità» (Mysterium Fidei; AAS 57, 1965, p. 772); sia dal punto di vista sociale e orzano, come ispiratrice di carità e di socialità; sia infine anche da quello ecumenico, come fonte e alimento di unità, secondo i principi che abbiamo esposti nella nostra menzionata Enciclica.

Venerabili fratelli e figli carissimi.

Ecco quanto abbiamo voluto affidarvi - e, per voi, a tutta la Chiesa - in occasione di questo primo incontro di preparazione al Congresso Eucaristico Internazionale di Melbourne; è nostro vivo desiderio che quelle solenni assise, che si celebreranno nella lontana Australia da noi visitata e a noi tanto cara, siano come il cuore di un nuovo slancio di pietà, di un nuovo amore; ravvivando il culto alla presenza reale di Cristo, possano ravvivare la generosità, lo sforzo, l’eroismo di scoprire il Cristo nel volto e nelle sofferenze dei poveri, dei bisognosi, degli immigrati, degli infermi, dei moribondi, e di servirlo d’un Cuor solo in essi, sostenuti dalla forza che solo dà la consuetudine prolungata di familiarità e di preghiera con Lui.

Risponda il Signore ai nostri voti, con l’effusione segreta e possente della sua grazia, che invochiamo su di voi, e su quanti si adopereranno per la riuscita del Congresso. Con la nostra particolarissima Benedizione Apostolica.

                                        



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