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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
ALLE ORGANIZZAZIONI DEL TURISMO IN ITALIA*

Domenica, 30 marzo 1952

 

Siate i benvenuti, diletti figli : il vostro omaggio, i vostri doni, la vostra presenza soprattutto, Ci sono sommamente graditi. Nel corso degli anni passati, e particolarmente durante l'Anno Santo, le innumerevoli schiere di credenti, succedutesi intorno a Noi, Ci hanno fatto toccare con mano la verità del detto : « Tutte le strade conducono a Roma ». I pellegrinaggi non hanno cessato di portare in questa Città eterna i fedeli di tutte le Nazioni e di tutte le condizioni di vita; i Congressi hanno qui adunato i rappresentanti delle scienze, delle arti, delle lettere, di tutte le forme di attività sociale, economica, industriale, politica; i rivolgimenti del mondo hanno fatto convergere verso il centro e verso la dimora del Padre comune i torrenti di esiliati, di profughi, di erranti.

Certo, l'andamento e il modo e la organizzazione dei viaggi erano ben dissimili. Tuttavia era sempre la pratica effettiva del turismo, lieta o dolorosa, comoda o disagiata, nella diversità dei caratteri, degli scopi, delle disposizioni religiose. Dall'inizio del nostro secolo, i mezzi di locomozione nell'ordine materiale, l'evoluzione del mondo nell'ordine culturale, hanno ravvicinato e quasi abolito le distanze, e accresciuto i contatti fra gli elementi più eterogenei. Nonostante il moltiforme sviluppo dei viaggi e degl'incontri, voi avete creduto che vi fosse ancora posto per il turismo stesso, e a questo titolo, indipendentemente dalle condizioni e dai fini particolari, voi vi siete uniti e vi siete qui adunati.

Mentre spesso la nozione del turismo si riduce a quella di un viaggio per diporto, voi avete voluto intenderlo in una maniera ben più larga. E in questo senso più ampio Noi Ci proponiamo di dirvi qui alcune parole, perché in esso si possono meglio apprezzare il valore e gli effetti del turismo; valore, del resto, molto differente, secondo il fine cui si mira, secondo il modo in cui si attua. Il motivo di mettersi in cammino è talvolta l'ordine di Dio, espressamente significato e liberamente accettato; è talvolta la disposizione misteriosa della Provvidenza, accolta di gran cuore o per necessità; è l'impulso personale e spontaneo, ovvero l'obbedienza a una ispirazione interiore più o meno imperiosa. Sarebbe interessante di seguirne la storia dal più lontano passato fino all'immediato presente.

Di questi peripli il disegno, sia divino, sia umano, è anche così diverso! Le grandi migrazioni hanno popolato il mondo; le dispersioni e gli esodi, in terra di esilio o in terra di asilo, hanno avvicinato e fuso gli elementi della società umana.

Tra i divoratori dello spazio gli uni, missionari o esploratori, erano mossi da un irresistibile spirito di conquista: conquista delle anime, per renderle eredi del regno di Dio; conquista delle nazioni, per estendere questo regno fino alle estremità della terra. È necessario di ricordare i viaggi eroici di S. Paolo e di S. Francesco Saverio? quelli di Colombo, di Vasco da Gama, di Champlain, bramosi di portare ai popoli, non ancora illuminati dalla luce del Vangelo, i benefici della civiltà cristiana? Altri, avidi di scoperte per il progresso della scienza o per il ben é della umanità, vanno a investigare le ghiacciate regioni polari (si pensi al grande esploratore e scienziato della nostra età, Fridtjof Nansen), a sfidare le cime inviolate dei monti altissimi, a penetrare i misteri delle foreste vergini, a rompere il silenzio dei deserti. E chi non conosce le peregrinazioni del Petrarca, il quale, « nullo quidem negotio, sed visendi tantum studio et iuvenili quodam ardore », si aggira per la Francia, per la Germania, sulle rive del Reno, sale sul monte Ventoso (Famil. I, 4; IV, 1), ma pur sempre col cuore volto verso l'Italia, a cui dal Monginevra invia quel tenero e commosso saluto: « Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve, ... » (Epist. metr. III, 24).

Sentimenti di fede e di pietà hanno condotto fin dai primi tempi della Chiesa e continuano a condurre i penitenti, i contemplativi, i semplici fedeli verso la terra consacrata dalla vita e dalla passione di Cristo, verso la Roma eterna, centro della cattolicità, verso le tombe degli Apostoli, dei martiri e dei santi, verso i luoghi favoriti dalla visita e dalla predilezione di Gesù e della sua santissima Madre.

Ma potremmo Noi omettere di rivolgere uno sguardo di particolare affetto al « turismo » forzato di coloro che, fuggiti od espulsi dalle loro terre, con un pietoso eufemismo sono chiamati « displaced persons », persone spostate? Come sono lontane dal viaggiare e soggiornare per diporto! E tuttavia debbono venire anch'esse in considerazione, se si vuole avere del turismo il concetto vero, largo e pieno, a cui abbiamo accennato.

Poichè infine dal contrasto fra i motivi determinanti, i fini perseguiti, i modi di viaggiare, le condizioni di soggiorno, le disposizioni di spirito, bisogna cogliere qualche nota comune, che qualifichi propriamente il turismo e che giustifichi il vostro pensiero di rappresentare qui, qualunque ne sia la forma, il turismo cristiano.

Ecco dunque i tratti comuni : lasciare per un tempo, lungo o breve, la propria dimora, le occupazioni quotidiane, le proprie relazioni, per andarsene, se non alla ventura, almeno attraverso una quantità di eventi imprevisti; sottomettersi, lietamente o dolorosamente, ai grandi o piccoli disagi, che difficilmente possono mancare, anche nel turismo meglio ordinato; prendere contatto con usanze, tradizioni, convinzioni o pregiudizi completamente estranei, od anche opposti alla mentalità ordinaria. Chi non vede, pur in proporzioni ben disuguali, la parte di vantaggi e la parte d'incomodi, che porta con sè il turismo?

Tutti questi disagi sono infatti altrettante occasioni di apprendere e di esercitare quel che è stato chiamato « l'ascetismo del turismo ». Essi hanno invero la proprietà di suscitare una certa reazione, lontana tanto da una rassegnazione triste e passiva, quanto dalla impaziente ribellione dei sensi e dello spirito. Essa procura all'organismo, al temperamento, al carattere, una sana resistenza, fisica e morale, che, mettendo in grado di affrontare serenamente le molestie e le lievi sofferenze del turismo, prepara a sopportare con fortezza e coraggio le future e inevitabili prove della vita.

Il turista si assuefà ai rigori o alle variazioni della temperatura, alle disavventure di un campo di fortuna, alla eccessiva frugalità, ai bizzarri capricci della cucina. La sua indole si perfeziona e si addolcisce nell'incontro con altri caratteri non sempre gradevoli.

Un altro vantaggio più rilevante, che il turismo procura, è l'affinamento dei sensi, l'ampliamento dello spirito, l'arricchimento delle esperienze. Si vede, si sente, si osserva. Molte cose, che, nella natura, nell'arte, negli usi regionali o nelle tradizioni locali, potevano sul principio sembrare strane, per non dire irritanti o ridicole, non appaiono più che differenti, spesso anzi ben comprensibili, e talora assai sagge. Se ne apprezza il valore e l'interesse, e si arriva così a giudicare le persone sempre con maggiore giustizia e, in generale, con maggior indulgenza e bontà, frutti di una migliore comprensione reciproca. Ne risulta anche in pratica un felice aggiustamento, non solo fra individui, ma altresì fra nazioni, fra classi, fra partiti. Non già che si ceda nei principi: il bene è sempre il bene, il male è sempre il male, la verità conserva sempre i suoi diritti di fronte all'errore; ma si acquista l'abitudine di discernere la parte di bene e di vero negli altri, i germi di errore in sè stessi.

Viaggiando, osservando, il turista apprende a meglio conoscere coloro che, da lontano, ignorava o disconosceva, e, al suo ritorno, ne diffonde intorno a sè una più giusta stima e un più favorevole apprezzamento. In compenso, egli ha fatto, dal canto suo, forse inconsapevolmente, giudicare e apprezzare — voglia Dio sempre in buona parte! — il suo Paese, la sua civiltà, la vera religione. Egli è, come è stato detto giustamente, un ambasciatore morale. Grande e bella missione; ma anche quale grave responsabilità!

Il turismo, ordinariamente, eleva anche più in alto chi sa rettamente praticarlo. Nella natura, nell'arte, nei costumi, in tutti i climi, egli si abitua a vedere, come per trasparenza, — dietro le cose, gli uomini, le istituzioni, — Dio, il loro Creatore, il loro Padre, il loro Sovrano legislatore. Egli vede come il mondo si agita e come Dio lo conduce. Chi non ha presente alla memoria il « Voyage du Centurion », per il quale il grande scrittore Psichari, nipote del troppo celebre apostata, giunse alla luce, alla fede, a una nobile vita coronata da una santa morte? E come oggi si fa sentire sempre più l'effetto delle grandi ed epiche esplorazioni di un Charles de Foucauld! Senza dubbio, furono questi « turisti » eccezionali, che brillano come stelle nel firmamento per guidare sulla terra i passi dei più modesti viaggiatori.

Senza pretendere di gareggiare con essi, fate tesoro del loro esempio e della loro esperienza; avanzate incessantemente nella via che conduce a una maggiore giustizia, a una più viva luce e a un più intenso amore, e che sia vostra stella Colei, da cui voi implorate con la sacra liturgia: « Ut, videntes lesum, semper collaetemur». Si degni questa dolce Madre celeste di far discendere su di voi le più abbondanti grazie del suo Figlio divino, in pegno delle quali impartiamo con effusione di cuore a voi, a tutti i turisti cristiani, pellegrini della eternità, a tutti coloro che vi sono cari, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIV,
 Quattordicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1952 - 1° marzo 1953, pp. 41 - 45
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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