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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
NEL V CENTENARIO DELL'OSPEDALE MAGGIORE DI MILANO*

Sala del Concistoro - Martedì, 26 giugno 1956

 

Vi diamo il Nostro affettuoso benvenuto, diletti figli, convenuti a Roma per il 5° centenario della « Magna Domus hspitalis mediolanensis », detta pure « lo Spedal grande de la Nunciata » o più semplicemente « la Ca' Granda ». Abbiamo voluto scorrere — per quanto Ci è stato possibile — le numerose ed interessanti pagine, che narrano le vicende della vostra gloriosa Istituzione, incessantemente incoraggiata e favorita dalla Chiesa e dai Romani Pontefici, e siamo rimasti lietamente sorpresi non solo per l'ardimento dei fondatori ecclesiastici e laici, ma anche per la tenacia dei continuatori dell'Opera e per l'intuito geniale di tutti coloro che, già a quei tempi, seppero prevedere talune esigenze e provvedere ad esse con criteri che ancor oggi, dopo tanto progresso e tanti sviluppi, presentano un manifesto carattere di sana modernità. Si aggiunga che, come abbiamo appreso dalle pubblicazioni inviateCi, per merito dei deputati al governo dell'Ospedale, questo divenne ben presto il centro, intorno al quale vivevano ed operavano altri complessi destinati a malattie speciali; fu attuato così fin dal '400 quel sistema « planetario » o « stellare », da molti oggi considerato come il più confacente a una retta e completa attività degli Istituti ospedalieri moderni. Ma quel che Ci ha soprattutto colpiti è stato il vedere come per l'interesse continuo e per le affettuose premure del popolo milanese la benefica Istituzione ha potuto conservarsi, crescere e moltiplicarsi. In pochi luoghi forse, come a Milano, l'apporto della beneficenza privata fu tanto risolutivo per la costruzione e lo sviluppo delle « domus hospitales ».

Per quel che avete fatto, Ci felicitiamo di cuore con voi; per quel che dovete e vorrete ancora fare, accettate il Nostro augurio paterno e gradite una Nostra semplice parola di esortazione.

1 - Chi conosce le vicissitudini della « Magna Domus hospitalis mediolanensis », e ha riflettuto sopra l'intrecciarsi di ostacoli e di favori, di protezioni e di assalti; soprattutto chi consideri i colpi mortali delle incursioni aeree che distrussero padiglioni e reparti, rendendo inabitabili molte sale e inservibili  le attrezzature, potrà facilmente immaginare quale tenace volontà e quale sforzo concorde abbia richiesto la presente condizione della « Ca' Granda » coi due vasti complessi ospedalieri. Ci siamo fermati a considerare i molti elementi d'informazione che avete voluto favorirCi, ed ora abbiamo sotto occhi alcuni di quelli, che riguardano l'Ospedale Maggiore nuovo erede e continuatore dell'Ospedale sforzesco. Esso dispone oggi di 2247 letti nei vari reparti: da quello di medicina interna a quello di chirurgia e di tubercolosi polmonare; con varie divisioni: dalla pediatrica alla chirurgica di urgenza e alla oculistica. Nello stesso ospedale opera una emoteca e sono attivi gli Istituti di radiologia, di fisioterapia e di anatomia patologica: i laboratori di fisiopatologia del circolo e del respiro, di biochimica e di microbiologia. Vi hanno sede la Scuola professionale per le infermiere, il Convitto delle diplomate; si svolgono Corsi di insegnamento per la specializzazione e per l'istruzione tecnica delle inservienti. Nel 1955 sono stati esaminati 51.327 pazienti; assistiti 43.223 infermi, mentre gli interventi operatori hanno superato il numero di 16.000 e le prestazioni ambulatorie quello di 118.000.

Un'altra pagina di storia forse meno visibile, ma altrettanto, anzi anche più gloriosa, è stata scritta dai sanitari che nella « Magna Domus » hanno prestato la loro opera nel corso dei secoli. Si tratta, spesso, di precursori, di uomini che pazientemente e intelligentemente hanno studiato, sperimentato, contribuendo al progresso della scienza e dell'arte medica in tutti i campi e nulla trascurando di ciò che poteva essere tentato e fatto per rendere più efficiente l'attrezzatura tecnica e più efficaci gli interventi della medicina e della chirurgia. Per gli sforzi fatti e per i risultati ottenuti Noi vi esprimiamo, diletti Figli, le Nostre paterne felicitazioni, mentre facciamo fervidi voti per gli altri miglioramenti e perfezionamenti che urgono, non meno che per la sollecita riparazione dei danni rimasti. A Milano, che — come si afferma — ebbe nel decimoquinto secolo il primo grande ospedale del mondo, appositamente ideato con moderna concezione, per essere adibito a luogo di cura, Noi auguriamo di appartenere sempre degnamente all'avanguardia del progresso ospedaliero in Italia e nel mondo.

2 - Alle doverose congratulazioni e all'augurio paterno desideriamo di aggiungere un'altra parola, diletti figli, che voi, non ne dubitiamo, vorrete ascoltare e mettere in pratica con filiale premura.

Allorchè andavamo preparandoCi a questo incontro e Ci soffermavamo con lieta meraviglia sugli sviluppi del complesso patrimonio mobiliare ed immobiliare degli Istituti ospedalieri milanesi, tornava alla Nostra memoria una preghiera che abbiamo spesso sul Nostro labbro e nel Nostro cuore di Pastore universale del gregge di Cristo. I sacerdoti e i fedeli la recitano quando celebrano o assistono alla S. Messa che la liturgia propone nella Dedicazione di un nuovo tempio. Essa non nasconde, in tal d occasione, la sua composta letizia per il sacro edificio costruito, affinchè Dio possa avere una nuova dimora degna in qualche modo della Sua infinita maestà. Ma tale letizia è accompagnata da una certa ansia e trepidazione: donde la preghiera che chiede al Signore di aiutare il popolo supplice, affinchè a ogni aumento di spazi materiali corrisponda nella Chiesa un accrescimento del patrimonio spirituale: « ut, quod Ecclesiae tuae corporalibus proficit spatiis, spiritualibus amplificetur augmentis » (Postcom. in Comm. Dedic. Eccl.). Se ciò non dovesse accadere, se nei templi moltiplicati o ingranditi rimanessero deserte le immense navate o fossero occupate da gente distratta, invece che da una moltitudine di anime oranti; se, peggio ancora, mancasse — che Dio non voglia! — lo spirito sacerdotale nei ministri del culto; a che servirebbero gli aumenti dello spazio materiale, e non si dovrebbe, allora, ripensare con nostalgia alle antiche catacombe, fredde, umide, buie, e pur cosi splendenti per la luce della fede e calde per il fuoco della carità?

Qualche cosa di simile Ci sembra che potrebbe accadere in quei simbolici templi, quali possono essere considerati gli ospedali, se si invocasse soltanto l'aumento del loro numero e della loro ampiezza, se si perfezionassero le attrezzature tecniche e si elevasse anche più la capacità scientifica dei sanitari, ma senza occuparsi di conservare ed accrescere al tempo stesso calore umano nelle relazioni tra malati e addetti alla loro cura. Tra voi non è così, diletti figli. Perchè?

Quando, ai tempi di cui abbiamo testè parlato, si pensò alla costruzione degli ospedali, prevalse il criterio che li voleva, quanto possibile, oltremodo decorosi all'interno e all'esterno; giunse anche a preferire forme fastose, non tanto per l'inclinazione dell'epoca verso la magnificenza delle opere, quanto per l'idea cristiana, vera alimentatrice del movimento ospedaliero che vedeva e vede tuttora nell'infermo e nel povero il divin: Redentore. Vorremmo, diletti figli, che questa mistica, ma vera presenza di Lui nei vostri malati diventasse la forza motrice per tutti voi, che operate nell'Amministrazione, nella Direzione, nelle camere, nelle corsie, nelle divisioni, nei reparti, in tutti ì servizi. Avremmo, così, l'ospedale moderno cristiano: dove corpo — e cioè le strutture murarie, gl'impianti tecnici, le attrezzature scientifiche, e la stessa competenza professionale di tuoi gli addetti — verrebbe animato dall'abito e dagli atti della virtù che riassume tutta la legge cristiana: l'amore.

Allora i malati, entrando nell'ospedale, troverebbero ariose corsie, letti riposanti, ma anche tutta un'aura di serenità e di pace; si incontrerebbero con medici di chiara fama, col, infermieri diplomati, ma senza alcun pericolo di esser trattati come « cose », o tutt'al più come « casi », sia pure interessanti. Allora, diletti figli, il numero dei malati, la vastità delle sale e la molteplicità dei servizi non vi indurrebbero ad occuparvi dell'ospedale nel suo complesso, più che del singolo infermo: dell'infermo, diciamo, che è dinanzi a voi col suo male, col sue intimo dramma, con le sue speranze, talvolta con la sua disperazione. Allora la spiegabile incontentabilità e la naturale impazienza dei malati, lo stesso ritmo di lavoro spesso irregolare e talvolta addirittura assillante, non vi faranno dimenticare che nessuna stanchezza, nessuna incomprensione può offuscare in voi la coscienza che siete al servizio di Dio incarnato, presente in ognuno di coloro che si sono messi nelle vostre mani e affidati alle vostre premure.

3 - Quando il Filarete progettò la « Magna Domus hospitalis mediolanensis », volle che al centro del massiccio complesso fosse la Chiesa, quasi a significare la preminente importanza di tutto ciò che serve all'accostamento e alla cura spirituale degli infermi ricoverati. Guardando la veduta aerea del nuovo Ospedale Maggiore di Niguarda, Ci siamo accorti che identico criterio guidò coloro che nel 1932 lo idearono: al centro, infatti, tutto il vasto complesso edilizio sta una bella chiesa e nella chiesa un tabernacolo, dimora di Gesù presente e nascosto sotto le apparenze del pane.

Ciò significa che gli infermi, curati in nome di Cristo, debbono guardare a Lui come a Redentore delle anime, consolatore dei cuori, medico divino dei corpi.

Significa che nell'ospedale nulla deve esser pensato, detto o fatto che sia contrario alla presenza di Cristo: sacramentale nell'Ostia consacrata, mistica nella persona dell'infermo.

Significa che profanerebbe cosa particolarmente sacra chi osasse profittare della malattia fisica per danneggiare le anime dei malati. Anzi queste devono essere premurosamente custodite all'occorrenza, risanate, perché non avvenga che alcuno lasci terra e vada ad incontrare Cristo senza la prescritta veste nuziale, senza la grazia santificante.

Significa, infine, che tutti — ognuno secondo le sue possibilità e competenze — hanno da collaborare, affinchè la cura spirituale degli infermi venga convenientemente promossa e sostenuta. I Sacerdoti e le Suore debbono poter continuare ad essere — come sempre — gli angeli consolatori dei malati. Nessuno, più di loro, può ispirare ai sofferenti serenità e pace; quella serenità e quella pace che sempre più si rivelano preziosiossime ausiliatrici negli ansiosi sforzi per ridonare alla sanità e al vigore le membra doloranti di tanti infelici.

Con tali sentimenti, impartiamo di gran cuore a voi tutti, all'illustre Presidente, agli Amministratori, alle direzioni amministrative e tecniche, al Sovrintendente Sanitario anche per il corpo dei Sanitari impegnati nelle urgenti esigenze dei due Ospedali, ai Presidenti della Commissione dei Visitatori e delle Visitatrici, agl'impiegati e ai salariati, ai rappresentanti degli infermieri e degli ausiliari, e particolarmente ai Sacerdoti e alle Suore, in auspicio delle più abbondanti grazie divine, la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII,
 Diciottesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1956 - 1° marzo 1957, pp. 307 - 311
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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