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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AI CARDINALI RIUNITI IN CONCISTORO SEGRETO,
SULLE SORTI DEL CATTOLICESIMO IN PALESTINA

Palazzo Vaticano
Lunedì, 13 giugno 1921

 

Venerabili Fratelli.

Per la seconda volta nel corso di quest’anno vi abbiamo oggi riuniti intorno a Noi per due motivi: per completare il vostro illustrissmo Collegio e per provvedere in forma solenne ad assegnare nuovi Pastori alle Chiese che ne sono state private. Ma prima di procedere a quanto programmato, desideriamo, secondo l’antica consuetudine, intrattenervi su alcuni importanti affari che riguardano il governo della Chiesa Cattolica.

Ricorderete certamente che in questa stessa sede il 10 marzo 1919 Noi Ci mostrammo assai preoccupati della piega che prendevano gli avvenimenti, dopo la guerra, in Palestina; in una terra tanto cara a Noi e ad ogni cuore cristiano, perché consacrata dallo stesso Redentore Divino nella sua vita mortale. Se non che, lungi dal diminuire, quella Nostra apprensione si va purtroppo ogni giorno aggravando.

Infatti, se Noi allora lamentavamo l’opera nefasta svolta colà dalle sette acattoliche che pur sogliono gloriarsi del nome di cristiane, anche adesso dobbiamo alzare lo stesso lamento nel vedere che esse, provviste, come sono, abbondantemente di mezzi, proseguono la loro opera sempre più attiva, profittando abilmente della immensa miseria in cui quegli abitanti piombarono in seguito alla immane guerra. Da parte Nostra, quantunque non abbiamo tralasciato di soccorrere le stremate popolazioni Palestinesi, dando nuovo impulso o vita a varie istituzioni di beneficenza (il che continueremo a fare finché Ci basteranno le forze), tuttavia non possiamo recare un soccorso adeguato ai bisogni, specialmente per il motivo che con i mezzi messi a Nostra disposizione dalla Divina Provvidenza dobbiamo anche rispondere alle grida di dolore che da ogni parte si levano per chiedere aiuto alla Sede Apostolica. Conseguentemente siamo costretti ad assistere con grande pena alla progressiva rovina spirituale di anime a Noi così care e per la cui salvezza lavorarono tanti uomini di zelo apostolico, primi fra tutti i figli del serafico Patriarca d’Assisi.

Inoltre, quando i cristiani, per mezzo delle truppe alleate ritornarono in possesso dei Luoghi Santi, Noi ben di cuore Ci unimmo alla generale esultanza dei buoni; ma quella Nostra letizia non era disgiunta dal timore, espresso nella citata Allocuzione concistoriale, che cioè, in seguito a così magnifico e lieto avvenimento, gli israeliti venissero a trovarsi in Palestina in una posizione di preponderanza e di privilegio. L’odierna realtà documenta che quel timore era giustificato. Infatti, nella Terra Santa la condizione dei cristiani non solo non è migliorata, ma anzi è peggiorata a seguito delle nuove leggi e degli ordinamenti colà stabiliti, i quali mirano — non diciamo per volontà dei legislatori, ma certamente nei fatti — a scacciare la cristianità dalle posizioni che ha finora occupate, per sostituirvi gli ebrei. Né possiamo inoltre non deplorare il lavoro intenso che molti fanno per togliere il carattere sacro ai Luoghi Santi, trasformandoli in ritrovi di piacere con tutte le attrattive della mondanità: il che, se è dappertutto riprovevole, molto più lo è dove s’incontrano ad ogni passo le più auguste memorie della Religione.

Ma poiché la condizione della Palestina non è stata ancora definitivamente regolata, Noi fin d’ora leviamo la Nostra voce affinché, quando sarà giunto il tempo di darle un assetto stabile, siano assicurati alla Chiesa Cattolica e a tutti i cristiani i loro diritti inalienabili. Noi non vogliamo certamente che siano menomati i diritti del mondo ebraico; intendiamo però che essi non si debbano in alcun modo sovrapporre ai sacrosanti diritti dei cristiani. E a questo scopo esortiamo caldamente tutti i Governi delle Nazioni cristiane, anche non cattoliche, a vigilare e ad insistere presso la Società delle Nazioni, che, come si dice, dovrà prendere in esame il regolamento del mandato Inglese in Palestina.

Che, se dalla Terra Santa volgiamo lo sguardo all’Europa, anche qui si presenta ai Nostri occhi un’immane quantità di dispiaceri. Gli ultimi avvenimenti, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, hanno purtroppo dimostrato che i dissensi e le competizioni tra i popoli non sono ancora cessati, e che, se è quasi estinto l’incendio della guerra, tuttavia perdura ancora lo spirito bellicoso. Pertanto, rinnovando ancora una volta il Nostro vivissimo appello a tutti i Capi di governo di buona volontà, chiediamo che, per loro consiglio e impulso, i popoli depongano a vicenda, per il bene comune, le reciproche avversioni e risolvano, discutendo con spirito di giustizia e di carità, le controversie che sono ancora pendenti fra loro. E in tal modo venga finalmente assicurata alla travagliata Europa la pace da tanto tempo sospirata.

Tuttavia, pur in mezzo a tante preoccupazioni, il Signore Gesù ha voluto benevolmente riservare alla sua Sposa, la Chiesa, e al suo Vicario in terra qualche motivo di consolazione e di conforto. Voi lo avete veduto: appena finito l’immane conflitto, quasi tutte le Nazioni civili che non mantenevano rapporti diplomatici con Noi si affrettarono, di loro spontanea volontà, a esporCi il desiderio di averne, ben persuase che ne avrebbero ricavato molteplici vantaggi. Noi pertanto, fedeli alle tradizioni di questa Sede Apostolica e conformandoCi alla dottrina cattolica che propugna l’armonia dei due poteri per il bene comune dello Stato e della Chiesa, accogliemmo ben volentieri tali desideri, senza però compromettere alcuno di quei princìpi che sono per Noi inviolabili. La stessa Francia, che da ben sedici anni si era ufficialmente staccata dall’amplesso della Madre, ha voluto riprendere presso il Vicario di Gesù Cristo quel posto che già occupava da secoli; e il suo ritorno ha recato a Noi e a tutti i buoni tanta soddisfazione, quanta amarezza aveva procurato il suo allontanamento. Così quello che, data la perversità dei tempi, pareva poc’anzi difficilissimo ad avverarsi, ora, grazie alla Divina Provvidenza, è un fatto compiuto; cioè — qualora una triste condizione di cose non ostacoli la necessaria libertà e indipendenza del Romano Pontefice — quasi tutti gli Stati civili del mondo potranno avere rapporti diplomatici con questa Sede Apostolica; e Noi innalziamo a Dio fervidi voti affinché questa mutua cooperazione sia di fatto, come dovrebbe essere di diritto, sorgente di ogni salutare prosperità per la Chiesa e per i singoli Stati.

 

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