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DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
AI PADRI DELLA CONGREGAZIONE GENERALE
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Sala Clementina
Giovedì, 21 febbraio 2008

 

Cari Padri della Congregazione Generale
della Compagnia di Gesù,

sono lieto di accogliervi quest’oggi mentre i vostri impegnativi lavori stanno entrando nelle fasi conclusive. Ringrazio il nuovo Preposito Generale, Padre Adolfo Nicolas, per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti e del vostro impegno per rispondere alle attese che la Chiesa ripone in voi. Ve ne ho parlato nel messaggio indirizzato al Rev. Padre Kolvenbach e – per suo tramite – a tutta la vostra Congregazione all’inizio dei vostri lavori. Ringrazio ancora una volta il Padre Peter-Hans Kolvenbach per il prezioso servizio di governo da lui reso al vostro Ordine per quasi un quarto di secolo. Saluto anche i membri del nuovo Consiglio Generale e gli Assistenti che aiuteranno il Preposito nel suo delicatissimo compito di guida religiosa e apostolica di tutta la vostra Compagnia.

La vostra Congregazione si svolge in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali, di conflitti di ogni genere; ma anche di comunicazioni più intense fra i popoli, di nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, di profonde aspirazioni alla pace. Sono situazioni che interpellano fino in fondo la Chiesa cattolica e la sua capacità di annunciare ai nostri contemporanei la Parola di speranza e di salvezza. Mi auguro perciò vivamente che tutta la Compagnia di Gesù, grazie ai risultati della vostra Congregazione, possa vivere con rinnovato slancio e fervore la missione per cui lo Spirito l’ha suscitata nella Chiesa e da oltre quattro secoli e mezzo l’ha conservata con straordinaria fecondità di frutti apostolici. Voglio oggi incoraggiare voi e i vostri confratelli a continuare sulla strada di questa missione, in piena fedeltà al vostro carisma originario, nel contesto ecclesiale e sociale che caratterizza questo inizio di millennio. Come più volte vi hanno detto i miei Predecessori, la Chiesa ha bisogno di voi, conta su di voi, e continua a rivolgersi a voi con fiducia, in particolare per raggiungere quei luoghi fisici e spirituali dove altri non arrivano o hanno difficoltà ad arrivare. Sono rimaste scolpite nel vostro cuore le parole di Paolo VI: “Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti” (3 dicembre 1974, alla 32a Congregazione Generale).

Come dice la Formula del vostro Istituto, la Compagnia di Gesù è istituita anzitutto “per la difesa e la propagazione della fede”. In un tempo in cui si aprivano nuovi orizzonti geografici, i primi compagni di Ignazio si erano messi a disposizione del Papa proprio perché “li impiegasse là dove egli giudicava essere di maggior gloria di Dio e utilità delle anime” (Autobiografia, n. 85). Così essi furono inviati ad annunciare il Signore a popoli e culture che non lo conoscevano ancora. Lo fecero con un coraggio e uno zelo che rimangono di esempio e di ispirazione fino ai nostri giorni: il nome di San Francesco Saverio è il più famoso di tutti, ma quanti altri se ne potrebbero fare! Oggi i nuovi popoli che non conoscono il Signore, o che lo conoscono male, così da non saperlo riconoscere come il Salvatore, sono lontani non tanto dal punto di vista geografico quanto da quello culturale. Non sono i mari o le grandi distanze gli ostacoli che sfidano gli annunciatori del Vangelo, quanto le frontiere che, a seguito di una errata o superficiale visione di Dio e dell’uomo, vengono a frapporsi fra la fede e il sapere umano, la fede e la scienza moderna, la fede e l’impegno per la giustizia.

Perciò la Chiesa ha urgente bisogno di persone di fede solida e profonda, di cultura seria e di genuina sensibilità umana e sociale, di religiosi e sacerdoti che dedichino la loro vita a stare proprio su queste frontiere per testimoniare e aiutare a comprendere che vi è invece un’armonia profonda fra fede e ragione, fra spirito evangelico, sete di giustizia e operosità per la pace. Solo così diventerà possibile far conoscere il vero volto del Signore a tanti a cui oggi rimane nascosto o irriconoscibile. A questo pertanto deve dedicarsi preferenzialmente la Compagnia di Gesù. Fedele alla sua migliore tradizione, essa deve continuare a formare con grande cura i suoi membri nella scienza e nella virtù, senza accontentarsi della mediocrità, perché il compito del confronto e del dialogo con i contesti sociali e culturali molto diversi e le mentalità differenti del mondo di oggi è fra i più difficili e faticosi. E questa ricerca della qualità e della solidità umana, spirituale e culturale, deve caratterizzare anche tutta la molteplice attività formativa ed educativa dei Gesuiti, nei confronti dei più diversi generi di persone ovunque essi si trovino.

Nella sua storia la Compagnia di Gesù ha vissuto esperienze straordinarie di annuncio e di incontro fra il Vangelo e le culture del mondo – basti pensare a Matteo Ricci in Cina, a Roberto De Nobili in India, o alle “Riduzioni” dell’America latina -. Ne siete giustamente fieri. Sento oggi il dovere di esortarvi a mettervi nuovamente sulle tracce dei vostri predecessori con altrettanto coraggio e intelligenza, ma anche con altrettanta profonda motivazione di fede e passione di servire il Signore e la sua Chiesa. Tuttavia, mentre cercate di riconoscere i segni della presenza e dell’opera di Dio in ogni luogo del mondo, anche oltre i confini della Chiesa visibile, mentre vi sforzate di costruire ponti di comprensione e di dialogo con chi non appartiene alla Chiesa o ha difficoltà ad accettarne le posizioni e i messaggi, dovete allo stesso tempo farvi lealmente carico del dovere fondamentale della Chiesa di mantenersi fedele al suo mandato di aderire totalmente alla Parola di Dio, e del compito del Magistero di conservare la verità e l’unità della dottrina cattolica nella sua completezza. Ciò vale non solo per l’impegno personale dei singoli Gesuiti: poiché lavorate come membra di un corpo apostolico, dovete anche essere attenti affinché le vostre opere ed istituzioni conservino sempre una chiara ed esplicita identità, perchè il fine della vostra attività apostolica non rimanga ambiguo od oscuro, e perché tante altre persone possano condividere i vostri ideali e unirsi a voi efficacemente e con entusiasmo, collaborando al vostro impegno di servizio di Dio e dell’uomo.

Come voi ben sapete per aver compiuto molte volte sotto la guida di Sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali la meditazione “delle due bandiere”, il nostro mondo è teatro di una battaglia fra il bene e il male, e vi sono all’opera potenti forze negative, che causano quelle drammatiche situazioni di asservimento spirituale e materiale dei nostri contemporanei contro cui avete più volte dichiarato di voler combattere, impegnandovi per il servizio della fede e la promozione della giustizia. Tali forze si manifestano oggi in molti modi, ma con particolare evidenza attraverso tendenze culturali che spesso diventano dominanti, come il soggettivismo, il relativismo, l’edonismo, il materialismo pratico. Per questo ho chiesto il vostro rinnovato impegno a promuovere e difendere la dottrina cattolica “in particolare sui punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare”, alcuni dei quali ho esemplificato nella mia Lettera. I temi, oggi continuamente discussi e messi in questione, della salvezza di tutti gli uomini in Cristo, della morale sessuale, del matrimonio e della famiglia, vanno approfonditi e illuminati nel contesto della realtà contemporanea, ma conservando quella sintonia con il Magistero che evita di provocare confusione e sconcerto nel Popolo di Dio.

So e capisco bene che questo è un punto particolarmente sensibile e impegnativo per voi e per diversi dei vostri confratelli, soprattutto quelli impegnati nella ricerca teologica, nel dialogo interreligioso e nel dialogo con le culture contemporanee. Proprio per questo vi ho invitato e vi invito anche oggi a riflettere per ritrovare il senso più pieno di quel vostro caratteristico “quarto voto” di obbedienza al Successore di Pietro, che non comporta solo la prontezza ad essere inviati in missione in terre lontane, ma anche – nel più genuino spirito ignaziano del “sentire con la Chiesa e nella Chiesa” – ad “amare e servire” il Vicario di Cristo in terra con quella devozione “effettiva ed affettiva” che deve fare di voi dei suoi preziosi e insostituibili collaboratori nel suo servizio per la Chiesa universale.

Allo stesso tempo vi incoraggio a continuare e a rinnovare la vostra missione fra i poveri e con i poveri. Non mancano purtroppo nuove cause di povertà e di emarginazione in un mondo segnato da gravi squilibri economici e ambientali, da processi di globalizzazione guidati dall’egoismo più che dalla solidarietà, da conflitti armati devastanti ed assurdi. Come ho avuto modo di ribadire ai Vescovi latinoamericani riuniti al Santuario di Aparecida, “la opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che per noi si è fatto povero, per arricchirci con la sua povertà (2 Cor 8,9)”. E’ quindi naturale che chi vuol essere veramente compagno di Gesù, ne condivida realmente l’amore per i poveri. Per noi la scelta dei poveri non è ideologica, ma nasce dal Vangelo. Innumerevoli e drammatiche sono le situazioni di ingiustizia e di povertà nel mondo di oggi, e se bisogna impegnarsi a comprenderne e a combatterne la cause strutturali, occorre anche saper scendere a combattere fin nel cuore stesso dell’uomo le radici profonde del male, il peccato che lo separa da Dio, senza dimenticare di venire incontro ai bisogni più urgenti nello spirito della carità di Cristo. Raccogliendo e sviluppando una delle ultime lungimiranti intuizioni del Padre Arrupe, la vostra Compagnia continua a impegnarsi in modo meritorio nel servizio per i rifugiati, che spesso sono i più poveri fra i poveri e che hanno bisogno non solo del soccorso materiale, ma anche di quella più profonda vicinanza spirituale, umana e psicologica che è più propria del vostro servizio.

Un’attenzione specifica vi invito infine a riservare a quel ministero degli Esercizi Spirituali che fin dalle origini è stato caratteristico della vostra Compagnia. Gli Esercizi sono la fonte della vostra spiritualità e la matrice delle vostre Costituzioni, ma sono anche un dono che lo Spirito del Signore ha fatto alla Chiesa intera: sta a voi continuare a farne uno strumento prezioso ed efficace per la crescita spirituale delle anime, per la loro iniziazione alla preghiera, alla meditazione, in questo mondo secolarizzato in cui Dio sembra essere assente. Proprio nella settimana scorsa ho profittato anch’io degli Esercizi Spirituali, insieme con i miei più stretti collaboratori della Curia Romana, sotto la guida di un vostro esimio confratello, il Card. Albert Vanhoye. In un tempo come quello odierno, in cui la confusione e la molteplicità dei messaggi, la rapidità dei cambiamenti e delle situazioni, rende particolarmente difficile ai nostri contemporanei mettere ordine nella propria vita e rispondere con decisione e con gioia alla chiamata che il Signore rivolge a ognuno di noi, gli Esercizi Spirituali rappresentano una via e un metodo particolarmente prezioso per cercare e trovare Dio, in noi, attorno a noi e in ogni cosa, per conoscere la sua volontà e metterla in pratica.

In questo spirito di obbedienza alla volontà di Dio, a Gesù Cristo, che diviene anche umile obbedienza alla Chiesa, vi invito a continuare e a portare a compimento i lavori della vostra Congregazione, e mi unisco a voi nella preghiera insegnataci da Sant’Ignazio al termine degli Esercizi – preghiera che sempre mi appare troppo grande, al punto che quasi non oso dirla e che, tuttavia, dovremmo sempre di nuovo riproporci: “Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me l’hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo ogni tua volontà; dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia; questo mi basta” (ES 234).

 



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