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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN LUCA EVANGELISTA A VIA PRENESTINA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 4 novembre 1979  

 

Sorelle e Fratelli carissimi!

“Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Rm 1,7).

1. Con queste parole di San Paolo ai Romani desidero oggi porgere il mio saluto cordiale a tutti i componenti della parrocchia di San Luca, ancora giovane, è vero – è stata infatti costituita giuridicamente nel 1956 – ma già così piena di dinamismo e di vitalità. In questi giorni, esattamente dal 13 al 28 ottobre, il Vescovo Ausiliare del Settore, Monsignor Giulio Salimei, ha compiuto la visita pastorale. Ho preso visione, con intima soddisfazione e legittima gioia, della relazione da lui elaborata e altresì di quella preparata dal parroco, Monsignor Alessandro Agostini, insieme con i sacerdoti, che con lui collaborano per il vostro bene. Con questa mia visita intendo concludere e, in certo qual modo, dare il mio “sigillo” a quella del Vescovo Ausiliare.

Un saluto anzitutto al Cardinale Vicario e a Monsignor Salimei, al parroco e al gruppo dei sacerdoti che donano le loro migliori energie fisiche e spirituali per questa comminuta parrocchiale la quale presenta vari e complessi problemi, non ultimo quello della sua numerosa popolazione: circa trentamila abitanti, con ottomila famiglie.

Un saluto ai sacerdoti delle parrocchie vicine, ai Religiosi e alle Religiose, che vivono ed operano nell’ambito della parrocchia: desidero ricordare, in questo momento l’Ufficio provinciale dei Piccoli Fratelli di Padre Charles de Foucauld; le Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù che generosamente si dedicano alla cura della parrocchia; il numeroso gruppo delle Sorelle della Misericordia di Verona, impegnate nelle loro varie attività educative, catechetiche e caritative. Questa presenza è per me espressione della comunità, che è così cara e preziosa nella vita della Chiesa, così utile nell’esistenza e nel servizio sacerdotale. Un saluto cordiale rivolgo ai membri dei numerosi gruppi giovanili – ben diciassette! – che, in vari modi e con molteplici iniziative, intendono approfondire insieme le esigenze della fede cristiana; un saluto affettuoso e rispettoso ai padri e alle madri di famiglia, che, pur in mezzo a tante difficoltà, vogliono vivere in pienezza il mistero cristiano del loro matrimonio, e si impegnano, con ogni sforzo, ad educare cristianamente i loro figli. Un saluto commosso ai nostri fratelli ammalati, che portano il segno della sofferenza di Cristo e della Chiesa; ai poveri, che hanno bisogno del nostro gesto concreto di solidarietà e di amore. Un saluto paterno ai bambini, la nostra autentica gioia e la nostra serena speranza per un domani migliore.

Ma un saluto particolare desidero rivolgere oggi ai catechisti della parrocchia, che sono ben 160! Devo dire a voi, giovani, suore, genitori, dedicati a quest’opera tanto meritoria, il plauso mio e di tutta la Chiesa per l’impegno generoso che manifestate nell’aiutare i ragazzi nel loro itinerario di fede. Ripeto a voi le parole, che ho rivolto ai catechisti di tutto il mondo nella mia recente Esortazione Apostolica Catechesi Tradendae: “Io intendo ringraziare, a nome di tutta la Chiesa, voi catechisti parrocchiali... che dappertutto nel mondo vi siete dedicati all’educazione religiosa di numerose generazioni. La vostra attività, spesso umile e nascosta, ma compiuta con zelo ardente e generoso, è una forma eminente di apostolato laicale (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 66).

Ecco, sono di fronte a una comunità, la quale si è preparata a questo incontro col Papa con esemplare serietà, la cui espressione più tangibile è stata la veglia notturna di preghiera. È questa una comunità, la quale vuole vivere intensamente e partecipare agli altri la propria fede cristiana in una articolata unione fraterna: la sorgente di questa unione, comunione e cooperazione è l’amore che è stato innestato nei nostri cuori da Cristo stesso, nostro Signore e Maestro, come è messo in risalto, in modo particolare, dall’odierna Liturgia della Parola.

2. Cristo dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui...” (Gv 14,23). Nel centro stesso dell’insegnamento di Cristo si trova il grande comandamento dell’amore. Questo comandamento è stato iscritto già nella tradizione dell’Antico Testamento, come lo testimonia la prima lettura d’oggi, desunta dal libro del Deuteronomio.

Quando il Signore Gesù risponde alla domanda di uno degli scribi, risale a questa stesura della Legge divina, rivelata nell’Antica alleanza: “Qual è il primo di tutti i comandamenti!”. “Il primo è... amerai... il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. “E il secondo è questo. Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Non c’è altro comandamento più importante di questi” (Mc 12,29-31).

3. Quell’interlocutore, che è stato rievocato da San Marco, ha accettato con riflessione la risposta di Cristo. L’ha accettata con profonda approvazione. Occorre che anche noi, oggi, riflettiamo brevemente su questo “più grande comandamento”, per poterlo accettare di nuovo con piena approvazione e con profonda convinzione. Prima di tutto, Cristo diffonde il primato dell’amore nella vita e nella vocazione dell’uomo. La più grande vocazione dell’uomo è la chiamata all’amore. L’amore dà pure il significato definitivo alla vita umana. Esso è la condizione essenziale della dignità dell’uomo, la prova della nobiltà della sua anima. San Paolo dirà che esso è “il vincolo della perfezione” (Col 3,14). È la cosa più grande nella vita dell’uomo, perché il vero amore porta in sé la dimensione dell’eternità. È immortale: “la carità non avrà mai fine” leggiamo nella prima lettera ai Corinzi (1Cor 13,8). L’uomo muore per quanto riguarda il corpo, perché tale è il destino di ognuno sulla terra, però questa morte non danneggia l’amore, che è maturato nella sua vita. Certo, esso rimane soprattutto per rendere testimonianza dell’uomo dinanzi a Dio, che è l’amore. Esso designa il posto dell’uomo nel Regno di Dio; nell’ordine della Comunione dei Santi. Il Signore Gesù al suo interlocutore nel Vangelo odierno – vedendo che egli comprende il primato dell’amore tra i comandamenti – dice: “Non sei lontano dal regno di Dio) (Mc 12,34).

4. Sono due i comandamenti dell’amore – come afferma espressamente il Maestro nella sua risposta – ma l’amore è uno solo. Uno e identico abbraccia Dio e il prossimo. Dio: sopra ogni cosa, perché egli è sopra di tutto. Il prossimo: con la misura dell’uomo, e quindi “come se stesso”.

Questi “due amori” sono così strettamente collegati tra di loro, che l’uno non può esistere senza l’altro. Lo dice in altro luogo San Giovanni: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Non si può quindi separare un amore dall’altro. Il vero amore dell’uomo, del prossimo, perciò stesso che è vero amore, è, nello stesso tempo, amore verso Dio. Questo può stupire qualcuno. Stupisce certamente. Quando il Signore Gesù presenta ai suoi ascoltatori la visione dell’ultimo giudizio, riferita nel Vangelo di San Matteo, dice: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,35-36).

Allora coloro che ascoltano queste parole si meravigliano, poiché sentiamo che domandano: “Signore, quando mai ti abbiamo fatto tutto ciò?”. E la risposta: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli – cioè al vostro prossimo: a uno degli uomini – l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,37.40).

5. Questa verità è molto importante per tutta la nostra vita e per il nostro comportamento. È particolarmente importante per coloro che cercano di amare gli uomini, ma “non sanno se amano Dio” o addirittura dichiarano di non “saper” amarlo.

Tale difficoltà è facile da spiegare quando si prende in considerazione tutta la natura dell’uomo, tutta la sua psicologia. All’uomo è, in certo qual modo, più facile amare quello che vede che quello che non vede (cf. 1Gv 4,20).

6. Eppure l’uomo è chiamato ed è chiamato con grande fermezza, lo testimoniano le parole del Signore Gesù, all’amore verso Dio, all’amore che è sopra ogni cosa. Se facciamo una riflessione su questo comandamento, sul significato delle parole scritte già nell’Antico Testamento e ripetute con tanta determinazione da Cristo, dobbiamo riconoscere che esse ci dicono molto dell’uomo stesso. Svelano la più profonda e, insieme, definitiva prospettiva del suo essere, della sua umanità. Se Cristo assegna all’uomo come un compito tale amore, cioè l’amore di Dio che egli, uomo, non vede, questo vuol dire che il cuore umano nasconde in sé la capacità di quest’amore, che il cuore umano è creato “su misura di tale amore”. Non è forse questa la prima verità sull’uomo, cioè che egli è l’immagine e la somiglianza di Dio stesso? Sant’Agostino non parla del cuore umano che rimane inquieto fino a che non riposi in Dio? Così dunque il comandamento dell’amore di Dio sopra ogni cosa svela una scala delle possibilità interiori dell’uomo. Questa non è una scala astratta. È stata riconfermata e costantemente trova una conferma da parte di tutti gli uomini che prendono sul serio la loro fede, il fatto di essere cristiani. Eppure non mancano gli uomini che hanno confermato eroicamente questa scala delle possibilità interiori dell’uomo.

7. Nella nostra epoca ci incontriamo con una critica spesso radicale della religione, con una critica della cristianità. E allora anche questo “più grande comandamento” diventa vittima dell’analisi distruttiva. Se si risparmia e, perfino, generalmente si approva l’amore verso l’uomo, l’amore verso Dio viene, invece, per vari motivi, rifiutato. Il più spesso, lo si fa semplicemente come espressione atea della visione del mondo.

Nel contatto con questa critica, che si presenta in varie forme, sia in forma sistematica, sia in quella circolante, bisogna ponderare almeno le sue conseguenze nell’uomo stesso. Se infatti Cristo, mediante il suo più grande comandamento, ha svelato la piena scala delle possibilità interiori dell’uomo, allora dobbiamo rispondere in noi stessi alla domanda: rifiutando questo comandamento, non diminuiamo forse l’uomo? È sufficiente che io mi limiti, in questo momento, a fare soltanto questa domanda.

8. Ciò che voglio augurare, in occasione dell’incontro di oggi con la vostra parrocchia, si esprime soprattutto nel fervido desiderio che il grande comandamento del Vangelo sia il principio della vita di ciascuno di voi e di tutta la vostra comunità. Eppure proprio questo comandamento conferisce il vero senso alla nostra vita. Vale la pena di vivere e di faticare quotidianamente nel suo nome. Nella sua luce anche la sorte più pesante, la sofferenza, la storpiatura (handicap), la morte stessa acquistano un valore. Come in modo splendido, ci parlano di ciò, nella liturgia d’oggi, le parole del salmo: “Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, / mio liberatore: / mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo...” (Sal 18,1-3).

Auguro quindi che su ciascuno di voi e su di tutti si compiano le parole di Cristo: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Amen.



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