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SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Mercoledì, 29 giugno 1983

 

“Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16).  

1. Cari fratelli e sorelle! Questa aperta confessione di fede, pronunciata dall’apostolo Simon Pietro a nome dei dodici, conferisce la sua impronta specifica alla festività odierna, in cui celebriamo la beata memoria dei santi Pietro e Paolo. Sì, anche Paolo di Tarso è accomunato al pescatore di Betsaida nella medesima fede cristologica; infatti egli scrive: “Colui che . . . mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” (Gal 1, 15-16).

Ebbene, anche noi, oggi, vogliamo fare nostra e ripetere la medesima confessione, che a partire da quel lontano giorno nei dintorni di Cesarea di Filippo risuona ormai da due millenni: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Lo diciamo a quel Gesù di Nazaret, Verbo Incarnato del Padre, che visse e morì per amore dell’uomo, in totale obbedienza a Dio. Lo diciamo a lui con tutto il cuore, poiché egli, nostro Redentore, è l’unico degno di una tale proclamazione: egli è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E lo diciamo tutti insieme noi qui presenti, fratelli nell’Episcopato, fedeli di Roma e di varie parti del mondo convenuti nella Città eterna per l’Anno Santo. E così facendo, siamo uniti alla fede delle venerande Chiese Orientali, il cui Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è qui rappresentato dal Metropolita di Calcedonia e decano del Santo Sinodo, Melitone, che saluto con fraterno affetto. Tutti coloro che sono cristiani si riconoscono in queste parole di Simon Pietro, che qualificano ed esaltano il loro comune Signore. Sicché Gesù Cristo sta al di sopra di tutti noi, e in qualche modo tutti noi, al di là delle incresciose divisioni storiche, ritroviamo solo in lui la nostra superiore e più profonda unità.

2. Confessare Gesù come “Cristo” significa riconoscere e accettare la sua funzione di Messia. Questo è un titolo che lo colloca in un particolare rapporto con la storia, sia di Israele che dell’umanità intera, in quanto egli ne compie le attese, ne libera le tensioni, in una parola ne costituisce il traguardo. Egli è colui che doveva venire (cf. Mt 11, 3); in quanto tale, egli “tornerà” (At 1, 11). Infatti, secondo il Veggente dell’Apocalisse, egli è “il Primo e l’Ultimo e il Vivente” (Ap 1, 17-18). Perciò, quando diciamo: “Tu sei il Cristo”, non solo poniamo Gesù al di sopra dell’umana vicenda, ma soprattutto proclamiamo la sua incomparabile relazione col divenire quotidiano e insieme secolare della stessa vicenda umana su questa terra; di essa egli, oltre che farsi partecipe, costituisce il dinamismo segreto, è la soluzione delle sue molteplici inquietudini, l’approdo sicuro di ogni suo incerto errare. A ciascun uomo, perciò, come già avvenne per il vecchio Simeone che aspettava il conforto d’Israele, noi auguriamo nella preghiera di non vedere la morte “senza prima aver veduto il Messia del Signore” (Lc 2, 26), e che ognuno possa dire con interiore esultanza, come Andrea: “Abbiamo trovato il Messia” (Gv 1, 41).

Nello stesso tempo, insieme a Pietro, noi lo confessiamo “Figlio del Dio vivente”. E questo titolo lo pone in un rapporto specialissimo con Dio stesso, che egli più e più volte chiamò “Padre”, anzi “Padre mio” (cf., Ex. gr, Mt 11, 25-27). Dio infatti lo ha mandato come segno del suo amore per il mondo (cf. Gv 3, 16); ed egli non ebbe altro cibo che fare la sua volontà (cf. Gv 4, 31), proclamandosi “una cosa sola” con lui (cf. Gv 10, 30). Davvero, in Gesù, “Dio è con noi” (Mt 1, 23), essendo Dio egli stesso. Perciò, quando diciamo: “Tu sei il Figlio del Dio vivente”, riconosciamo in Gesù non solo colui che dà un senso alla storia, ma anche colui che essenzialmente la supera, perché il suo essere più profondo è irriducibile ad essa. Egli infatti partecipa della divinità, e proprio per questo ci apre uno spiraglio sull’inesauribile mistero di comunione, che caratterizza la vita divina e che, da parte nostra, può soltanto essere oggetto di contemplazione e di adorazione.

3. Tutte queste cose, Pietro confessò a Cesarea di Filippo, quando Gesù chiese ai dodici: “Voi chi dite che io sia?”. E, ottenuta la risposta, Gesù lo chiamò “beato” a motivo dell’origine non umana della sua dichiarazione. In particolare, Matteo riporta alcune solenni parole di investitura, con cui il Signore, attribuendo a Simone il singolare epiteto di “pietra-roccia”, ne legò inscindibilmente la funzione e il destino alla configurazione della Chiesa e alla sua soprannaturale e insieme storica vicenda. Per la sua confessione di fede, Simone diventò la roccia di fondamento su cui Cristo perennemente edifica la sua Chiesa, divenendo così punto di sostegno e di unità di tutte le linee di forza che innervano la comunità cristiana; insieme, ricevette la responsabilità di “legare e sciogliere”, cioè di precisare con matura decisione ciò che attiene o no all’identità propria della Chiesa, che pur resta sempre “di Cristo” (Rm 16, 16; cf. Gal 1, 22; Ef 1, 22-23; 5, 25). Si tratta di un servizio dato dal Signore, come si esprime l’apostolo Paolo, “per edificare e non per distruggere” (2 Cor 13, 10; cf. 10, 8), conformemente alle altre parole pronunciate dal Signore al momento dell’Ultima Cena: “Simone, Simone . . . io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu . . . conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31-32).

Questo ministero petrino continua oggi in particolare connessione con la Sede episcopale di Roma, dove Pietro rese la sua suprema testimonianza (cf. Clemente Romano, Epist. I ad Corinthios, 5,4). E il connubio di fede e sofferenza gli è tipico. Già a Gerusalemme, secondo quanto abbiamo ascoltato dalla prima lettura biblica, Pietro ebbe a soffrire il duro carcere, mentre la Chiesa pregava incessantemente per lui (cf. At 12, 5). E, al termine della vita, nonostante i suoi antichi e già purificati rinnegamenti, avrebbe potuto dire insieme a Paolo, come ci attesta la seconda lettura odierna: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4, 7). Così, i due gloriosi Apostoli sono uniti nella medesima, chiara e forte confessione di fede, e anche nel destino di un’incrollabile testimonianza fino al martirio, affrontato con assoluta disponibilità per colui, nel quale soltanto è dato agli uomini sotto il cielo di essere salvati (cf. At 4, 12).

4. Durante questa celebrazione, quest’anno avviene la benedizione e l’imposizione dei pallii ad alcuni Arcivescovi, recentemente nominati. La collazione del pallio, presso la tomba di Pietro e per mano del suo successore, è sempre stata vista nella storia di questo atto liturgico come una partecipazione del “pasce oves meas”, detto da Gesù a Pietro (cf. Duchesne, Origines du culte chrétien, p. 386). Il fatto che al Vescovo di Roma, da tempi secolari, sia dato di compiere tale gesto e che oggi lo compia nel contesto di una solenne celebrazione liturgica, sta a significare che il pallio a voi imposto, diletti fratelli nell’Episcopato, è simbolo di comunione privilegiata col successore di Pietro, principio e fondamento visibile di unità nel campo della dottrina, della disciplina, della pastorale. Il pallio significa un maggiore impegno d’amore per Cristo e per le anime. Tale amore per il gregge di Cristo, pastore e guardiano delle nostre anime (cf. 1 Pt 2, 25), vi aiuti a svolgere il vostro ministero di servizio. La dottrina che proporrete sarà feconda, se nutrita di amore. E questo è anche il mio voto, per voi, cari confratelli, secondo l’augurio espresso da antiche formule: “Sit vobis honor pallii ornamentum animae, et unde advenit fastigium visibile, inde florescat amor invisibilis” (Pontificale Romanum-Germanicum, saeculi X).

E vi sostenga l’intercessione dei Santi Pietro e Paolo, di cui celebriamo il ricordo con particolare solennità, in quest’Anno Giubilare della Redenzione, in cui i pellegrini che vengono a Roma per l’acquisto del Giubileo amano recarsi a pregare in special modo presso le tombe dei due massimi Apostoli. Sono gli Apostoli che noi, come i primi pellegrini, chiamiamo Beati: per la loro diretta chiamata da parte del Signore Gesù; per la loro vita di generoso e fecondo ministero apostolico; per la loro illuminata predicazione, che ancora e sempre ci nutre; per il loro ultimo sacrificio, che sigillò meravigliosamente un’esistenza tutta consacrata al Signore, al Vangelo e alle comunità cristiane da essi suscitate.

E noi, “edificati sopra il fondamento degli Apostoli” (Ef 2, 20), anzi di tali Apostoli, ringraziamo il Signore perché si manifesta grande nei suoi santi, e accogliamo con gioia e umiltà l’invito dell’Agiografo: Quorum intuentes exitum conversationis imitamini fidem (Eb 13, 7). Così sia!


Saluto ai fedeli presenti  

Prima di impartire la benedizione, desidero rivolgere il mio saluto a tutti i presenti, provenienti da varie Nazioni:  

En adressant un salut cordial aux pèlerins de langue française, je leur souhaite de puiser dans l’émouvante célébration de ce jour, comme dans leur démarche jubilaire de l’Année Sainte, le courage et la joie de vivre et de rayonner les exigences de l’Evangile du Christ, là où se déploie leur vie quotidienne. Que les saints Apôtres Pierre et Paul leur soient en aide!

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To all the English speaking pilgrims who have gathered here at the tomb of the Apostle Peter I offer my greetings of grace and peace. I welcome in particular the members of the Catholic Physicians Guilds, led by Archbishop Elko, who are on their way to Lourdes. Greetings also to the pilgrim groups from Nigeria, Indonesia and Uganda. I pray that all of you will be strengthened in your faith in Jesus Christ the Son of the living God.

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Sehr herzlich grüße ich auch die deutschsprachigen Pilger am heutigen Fest der hl. Apostel Petrus und Paulus. ”Du bist Christus, der Sohn des lebendigen Gottes“. Durch dieses Christusbekenntnis ist Petrus zum Fels der Kirche und auch unseres Glaubens geworden. Bekennen auch wir Christus mit dem Mut des Völkerapostels Paulus vor den Menschen unserer Zeit!

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Al saludaros cordialmente, peregrinos de lengua española que habéis asistido a esta ceremonia religiosa en la festividad de los Apóstoles Pedro y Pablo, os invito a tratar de reflejar fielmente en vuestra vida diaria la fe cristiana que ellos nos transmitieron como legado permanente. Así os sentiréis de veras miembros de la Iglesia Una, Santa, Católica y Apostólica.

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Un saludo particular al grupo procedente de Chile, que acompaña al nuevo Arzobispo de Concepción venido a Roma para la recepción del palio.

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Indirizzando un cordiale saluto ai pellegrini di lingua francese, auguro loro di trarre dalla commovente celebrazione di oggi, così come dal cammino giubilare dell’Anno Santo, il coraggio e la gioia di vivere e di diffondere le esigenze del Vangelo di Cristo, là dove si svolge la loro vita quotidiana. I Santi Pietro e Paolo siano loro d’aiuto!

A tutti i pellegrini di lingua inglese che si sono radunati qui presso la tomba dell’apostolo Pietro, indirizzo i miei saluti di grazia e di pace. Do il benvenuto in modo particolare ai membri dell’associazione “Catholic Physicians Guilds”, guidati dall’Arcivescovo Elko, che sono diretti a Lourdes. Saluto anche i gruppi di pellegrini della Nigeria, dell’Indonesia, dell’Uganda. Prego affinché tutti voi siate rafforzati nella vostra fede in Gesù Cristo il Figlio del Dio vivente.

Di tutto cuore saluto anche i pellegrini di lingua tedesca nell’odierna festività dei santi apostoli Pietro e Paolo. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Con questa confessione resa a Cristo Pietro è divenuto roccia della Chiesa e anche della nostra fede. Testimoniamo anche noi Cristo col coraggio dell’apostolo delle genti Paolo presso gli uomini del nostro tempo!

Salutando cordialmente voi, pellegrini di lingua spagnola, che avete assistito a questa cerimonia religiosa nella festività degli Apostoli Pietro e Paolo, vi invito a riflettere fedelmente nella vostra vita quotidiana la fede cristiana che essi ci hanno trasmesso come dono permanente. Così vi sentirete veri membri della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Un saluto particolare al gruppo proveniente dal Cile, che accompagna il nuovo Arcivescovo di Conception giunto a Roma per ricevere il Pallio”.

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Tra i numerosi gruppi italiani presenti a questa celebrazione, desidero rivolgere un saluto speciale a quanti sono qui convenuti da Bologna, Firenze e Modena, per accompagnare i loro nuovi Arcivescovi, ai quali ho imposto il pallio. Carissimi, vi esorto a corrispondere, con una vita cristiana sempre più generosa, alle ansie pastorali dei vostri Presuli, e mentre vi assicuro del mio affetto, benedico di cuore voi e le comunità diocesane che rappresentate.

 

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