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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
Martedì, 1° novembre 1983

 

“Rallegriamoci tutti nel Signore in questa solennità di tutti i Santi”.

1. Fratelli e sorelle carissimi! Convenuti all’interno di questo sacro recinto per pregare presso le tombe dei nostri amati congiunti, potrebbe a noi sembrare quasi fuori tempo e fuori luogo un tale invito a rallegrarci nel Signore. Oggi, infatti, nella vigilia della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, parrebbe più appropriato aprire l’anima a pensieri austeri e, quindi, anche a sentimenti e ricordi mesti e dolenti.

Eppure, questo è l’invito della Liturgia della Chiesa, e io non esito a ripeterlo ora dinanzi a voi, non senza avvertire che la spirituale letizia, proprio perché incentrata nel Signore, può ben comporsi con quel senso di tristezza che nasce dalla meditazione intorno alla brevità e relatività della vita su questa terra, e anzi di questo naturale e insopprimibile moto dell’umana psicologia essa può divenire come il punto d’arrivo per un arcano processo di sublimazione. Chi crede e spera in Dio - voglio dire - sa trasformare le stesse sofferenze in ragioni di gioia, e sa come e perché nel suo intimo possa svolgersi una tale trasformazione. Proprio adesso ci è stato proposto il Vangelo delle Beatitudini, e Gesù stesso ha preannunciato questo cambiamento, proclamando solennemente: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5, 5)!

2. Il Vangelo delle Beatitudini è stato il codice, al quale si sono ispirati i santi nella loro vita, pur nell’estrema varietà delle circostanze. Ad esso si sono ispirati tutti e ciascuno di “quella moltitudine immensa . . . di ogni nazione, razza, popolo e lingua”, di cui ci ha parlato la prima Lettura (Ap 7, 9). Tutti e ciascuno - uomini e donne, giovani e vecchi, sacerdoti o laici, religiosi e religiose claustrali o viventi nel mondo - hanno preso sul serio le programmatiche enunciazioni di Cristo Signore e, sforzandosi di tradurle nella pratica quotidiana, hanno meritato di ottenere la salvezza e di entrare nel Regno del Padre. Ecco perché leggiamo che “tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello . . . E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello»” (Ap 7, 9-10).

Anche se mi manca il tempo per esaminare ad una ad una le Beatitudini della povertà evangelica, della sofferenza cristianamente accettata, dell’impegno in favore della giustizia e della pace, della purezza di cuore, ecc. (cf. Mt 5, 1-12), non posso non rilevare come per i santi sia stato essenziale, ai fini della loro salvezza eterna, il rapporto di adesione che con esse hanno non solo instaurato a livello concettuale, ma altresì vissuto a livello esistenziale. Fedeli a questi alti insegnamenti di Cristo, i santi hanno così potuto seguirlo come l’Agnello che, dopo essersi immolato al Calvario, è ora assiso nella gloria presso il trono di Dio.

3. Chi sono i santi? Ancora una volta ci risponde il testo sacro odierno: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

Queste parole non solo ci confermano la realtà di quel passaggio dal dolore alla gioia, del quale ho parlato all’inizio, ma assumono un significato del tutto particolare nel contesto dell’Anno Santo della Redenzione, che si sta celebrando in tutta quanta la Chiesa. Quest’Anno Santo vuol dire, essenzialmente, attingere ai tesori inesauribili del mistero della Redenzione. E che cos’è quel “lavare le vesti e renderle candide col sangue dell’Agnello” se non attingere a questi stessi tesori? Non è forse vero - come canta l’Inno pasquale - che “l’Agnello ha redento il suo gregge”? Ecco allora che i santi, oltre che essere per noi modelli delle virtù evangeliche, quali sono proposte nelle singole Beatitudini, sono persone che più pienamente hanno attinto alle “risorse” della Redenzione di Cristo e, partecipi del “candore” dell’Agnello, ci precedono nella celebrazione della liturgia celeste, che si svolge “davanti al trono e davanti all’Agnello”.

Quante volte, cari fratelli e sorelle, abbiamo sentito parlare della “comunione dei santi”? Comunione significa unione intima, che è molto più di un semplice contatto e comunicazione: nel campo soprannaturale, essa esprime l’unione intima che sussiste con coloro che, per il possesso della grazia santificante, sono membra vive della Chiesa e a titolo del tutto speciale, con coloro che, per il possesso della gloria, sono già “beati” nella Chiesa cosiddetta trionfante. A questa realtà della “comunione dei santi” il carattere della Solennità odierna e la circostanza dell’Anno Giubilare devono simultaneamente aprirci. Noi dobbiamo, pertanto, ringraziare i santi, e non già come individui degni, sì, di ammirazione, ma per noi troppo lontani e quasi irraggiungibili nella loro altezza, ma come fratelli che ci sono vicini e vogliono aiutarci nel nostro pellegrinaggio terreno. Come essi, vivendo presso il trono di Dio, accanto all’Agnello redentore, ora partecipano in pienezza ai frutti della Redenzione, così sono in grado di aprirci in modo singolare l’accesso a tali soprannaturali “risorse”. Quella “comunione” esistente tra tutti coloro che appartengono a Cristo, diventa nel caso dei santi un vincolo ancora più stretto e per noi, pellegrini quaggiù, particolarmente fecondo: diventa intercessione, ossia aiuto nelle necessità, difesa dai pericoli, sostegno nell’operare il bene. Accompagnati e come scortati da questa moltitudine immensa di fratelli maggiori, noi dobbiamo accostarci con rinnovata fiducia al trono dov’è l’Agnello immacolato, per far nostri e - direi quasi - “personalizzare” i frutti della Redenzione, che egli ha compiuto con la sua morte e risurrezione.

4. Oggi i santi, domani i morti. Con sapiente intuito pedagogico la Chiesa tiene e mantiene cronologicamente unite queste due ricorrenze, perché, pur preoccupata della sorte degli uomini su questa terra, essa non può assolutamente disattendere o trascurare la loro dimensione ultraterrena. Per questo, come ci ha fatto meditare intorno ai santi, ora ci invita anche a ricordare con devoto pensiero i nostri fratelli defunti. Dirò di più: quella serie di concetti, che ho fin qui sviluppato nel quadro della “comunione dei santi”, può e deve essere riferita - come conviene - ai defunti, poiché anche tra noi e loro vige quel vincolo di unione. E se, seguendo l’esempio dei santi, ho voluto ribadire il nostro comune dovere di attingere alle inesauribili “risorse” della Redenzione di Cristo, desideriamo altresì, oggi e domani specialmente, che ogni frutto di questa nostra partecipazione serva alle anime dei fedeli defunti.

Sapete bene come durante quest’Anno viene elargita una speciale Indulgenza giubilare che - al pari delle altre Indulgenze - può sempre essere applicata ai defunti a modo di suffragio. Questo ho voluto esplicitamente riaffermare nella Bolla di indizione dell’Anno Santo (cf. Giovanni Paolo II, Aperite portas Redemptori, 11), e questo desidero ora raccomandarvi caldamente, additandovi un concreto e prezioso atto di carità verso i defunti, che è ad un tempo esercizio e riprova della “comunione dei santi”.

Che sarebbe, in effetti, il giorno dei morti, se mancasse - tra i vari omaggi umanamente pur tanto apprezzabili e commoventi - questo profumato fiore spirituale che è la preghiera di suffragio? Accanto agli atti tradizionali di devozione per loro io vi indico, in particolare, il dono dell’Indulgenza.

Ecco, mentre si approssima il Vespro in questa giornata solenne, la visione dei santi e dei beati del cielo e con essa l’invito liturgico “a rallegrarci nel Signore” si combinano col ricordo puntuale e dolente dei nostri cari defunti. Ancora una volta noi tutti siamo interiormente sollecitati ad operare una sintesi tra pensieri e sentimenti diversi: le gioie e i dolori possono e debbono armonizzarsi nella superiore, rassicurante serenità della speranza cristiana. E sappiamo che questa è speranza che non confonde (cf. Rm 5, 5).

 

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