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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANT’AGOSTINO AL CAMPO MARZIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 16 febbraio 1986

 

1. “Il Signore ci fece uscire dall’Egitto” (Dt 26, 8).

Entriamo nei grandi temi biblici della Quaresima. Il primo di essi è la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, come abbiamo ascoltato dalla liturgia della Parola. Questo tema è al centro della Pasqua dell’antica alleanza. In pari tempo esso ci conduce in un certo senso nel cuore stesso del mistero pasquale della nuova alleanza.

Con l’espressione “Arameo errante”, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, l’autore sacro intende riferirsi alla storia di Israele. Il termine errante richiama l’idea di chi è in cerca di una strada che conduca a un sicuro approdo, a una terra dove non si senta più straniero e pellegrino, ma viva in pienezza la sospirata libertà. Dio esaudisce tale aspirazione: riscatta il popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto, lo guida nella Terra promessa, lo introduce nell’alleanza e ne fa il suo popolo.

Nello smarrimento, a causa delle numerose trasgressioni dell’alleanza, Dio promette al popolo eletto una nuova alleanza, che sarà sancita col sangue del proprio figlio Gesù sulla croce. La Chiesa, espressione della nuova alleanza, rappresenta la continuità d’Israele, che errava in cerca della salvezza. Essa è il nuovo Israele che presuppone e supera l’antico, in quanto ha la forza necessaria per vivere in corrispondenza alle esigenze dell’alleanza divina, non mediante l’obbedienza alla legge antica che dava la conoscenza, ma non la salvezza di Dio, bensì mediante la fede in Cristo Salvatore, nostra Pasqua, perché ci libera dalla schiavitù del peccato e ci introduce alla gioia della familiarità col Padre.

2. Il Salmo responsoriale è come un’eco clamorosa dell’esperienza descritta nella prima lettura dall’Esodo. Esso risuona nella liturgia pasquale quasi tutti i giorni. È il canto di un affidamento assoluto a Dio, che libera e dà sicurezza a colui che si mette sotto la sua protezione: “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo / e dimori all’ombra dell’Onnipotente, / di’ al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza / mio Dio, in cui confido»” (Sal 91 [90], 1-2).

In cammino verso Dio, ogni credente, come l’Arameo errante, è un pellegrino che avanza tra rischi e pericoli (“camminerai su aspidi e vipere”, v. 11) (Sal 11), ma il Signore lo libera da essi e lo conduce verso la salvezza, verso l’intimità con lui, meta di ogni pellegrino quaggiù sulla terra.

3. Il Vangelo (Lc 4, 1-13) dimostra chiaramente che la Chiesa, insieme con Gesù di Nazaret, inizia la via messianica: la via che conduce alla liberazione messianica della nuova alleanza. È la liberazione dal male radicale: dalla morte e dal peccato, attuata nel mistero pasquale. La via a tale liberazione inizia con la triplice vittoria sul tentatore. La tentazione conduce al peccato. Vincere la tentazione vuol dire vincere il peccato, per così dire, “alla radice”. Gesù vince il tentatore proprio così. E lo insegna a tutti noi.

Sì, alla radice! E la radice alla quale bisogna mettere la scure è il proprio io: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso” (Lc 9, 23). Finché non si mette la scure al proprio egoismo, sempre rinascente, non si può avanzare nel cammino segreto della nuova alleanza, le cui esigenze sono state così drammaticamente disegnate nelle tentazioni di Gesù nel deserto, dove egli ha respinto le seduzioni delle affermazioni egoistiche umane per aderire pienamente al piano divino. Rinunciando alle ambizioni del proprio io, egli è in grado di uniformarsi alla “Parola” (sta scritto!), quale espressione della volontà del Padre. In virtù di questa “Parola” Gesù ha superato le tentazioni dell’autonomia da Dio: “non di solo pane vivrà l’uomo”; del miracolismo: (Lc 4, 4) “Se sei figlio di Dio buttati giù” (Lc 4, 9) e dell’idolatria del potere: “Ti darò tutta questa potenza” (Lc 4, 6). Superando queste tre tentazioni, in cui era caduto nel deserto il popolo d’Israele, Gesù ci ha dato un esempio di come dobbiamo comportarci davanti alle seduzioni del mondo.

Il tempo di Quaresima è tempo quanto mai utile per l’ascolto della Parola e soprattutto per la realizzazione delle sue esigenze per trasformare il nostro vecchio “io” in una nuova creatura che vive in conformità non alla propria volontà, ma a quella divina, per impiantare realmente dentro di sé il regno di Dio. Solo così si potrà vincere, sull’esempio di Gesù, la sempre risorgente tentazione in un cristianesimo facile e accomodante.

4. Il testo della seconda lettura ci dice che la causa della nostra salvezza è l’evento pasquale realizzatosi in Cristo (Rm 10, 8-9), e ci invita a non ripetere il peccato commesso dagli Israeliti nel rifiutare Gesù, ma a sperare nella giustizia che proviene da lui.

Israele guardava verso la notte dell’Esodo e con questo ricordo si stimolava all’affidamento a Dio che salva. La Chiesa insieme con l’Apostolo guarda verso la notte pasquale e vi trova stimolo alla fede salvifica, la cui sorgente è il mistero pasquale di Cristo: “se confesserai . . . che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9).

Con queste parole san Paolo ci esorta a prendere sempre maggiore coscienza che abbiamo bisogno di essere salvati e di invocare insistentemente questa liberazione, che passa attraverso il mistero della morte e risurrezione di Cristo: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Rm 10, 13).

5. Ecco le linee principali dell’argomento quaresimale, che appaiono già nella liturgia di questa prima domenica. Una speciale spiegazione e “attualizzazione” meritano le parole: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Queste parole si sintonizzano con la domanda: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Sono le parole chiave per quanto riguarda il programma ascetico della Quaresima. Contemporaneamente sono parole di grande risonanza e di grande portata nel campo della giustizia sociale e anche nell’ambito della civiltà e della cultura: esse infatti indicano una giusta gerarchia dei valori. Infatti se è vero che l’uomo non vive di solo pane, è pure vero che egli vive anche di pane.

Qui si apre il discorso sulle necessità materiali e sulle esigenze sociali che travagliano l’uomo di oggi e sulla difesa dei giusti diritti dei deboli, dei poveri, degli handicappati e di quanti vivono ai margini della società. Ma il discorso si allarga e si estende pure alle questioni che toccano la promozione umana, culturale e spirituale di ogni uomo e di ogni donna, avendo i diritti dello spirito il primato nella gerarchia dei valori.

6. Alla luce di questi pensieri, che ci vengono suggeriti dalla liturgia di questa prima domenica di Quaresima, desidero salutare, insieme al cardinale vicario Ugo Poletti e al vescovo ausiliare, monsignor Filippo Giannini, tutti voi, cardinali, arcivescovi, vescovi, autorità civili e voi carissimi fedeli della parrocchia di Sant’Agostino in Campo Marzio.

Questa mia visita pastorale avviene in occasione delle celebrazioni del XVI centenario della conversione di sant’Agostino e del suo battesimo (386 e 387), come pure della morte della sua pia madre, santa Monica, le cui spoglie mortali sono venerate in questa Chiesa. Saluto in questo particolare clima spirituale i padri Agostiniani, a cui è affidata la cura pastorale di questo centro storico di Roma che esige tanta dedizione, esprimendo loro l’augurio che le celebrazioni del fondatore del loro Ordine religioso e patrono della parrocchia servano a rafforzare in tutti i componenti della comunità quello struggente desiderio di una insaziabile conoscenza di Cristo e quell’amore per la sua Chiesa che contrassegnò tutta la vita di quel grande uomo, teologo e pastore, dottore della Chiesa, che ha lasciato un’orma indelebile nella storia del cristianesimo.

Saluto anche i membri delle varie Congregazioni religiose maschili e femminili, che hanno sede nell’ambito della parrocchia, come pure gli appartenenti alle Associazioni, ai Movimenti e ai Gruppi che si adoperano per animare cristianamente l’ambiente dei giovani e degli adulti, provvedendo alla loro sempre più profonda e matura formazione cristiana interiore. Tra questi ricordo, in particolare, il Consiglio pastorale, le Dame di san Vincenzo, che svolgono un’assidua opera benefica mediante le visite a domicilio agli infermi, agli anziani e alle persone afflitte dalla solitudine; ricordo pure il Gruppo madri e spose cristiane, il Gruppo giovanile del “dopo-Cresima” e il Gruppo sportivo di calcio. Ringrazio tutti questi per la testimonianza cristiana che, sotto la guida del parroco e dei suoi confratelli, sanno dare a favore dell’edificazione di una comunità sempre più fervorosa ed esemplare.

Una parola di saluto vorrei far giungere anche a tutti coloro i quali si sentissero lontani o estranei alla vita della parrocchia per indifferenza o per un certo individualismo. Sappiano essi che non sono lontani o estranei al cuore della Chiesa, che li ama ugualmente e che desidera aprire anche con loro un dialogo fraterno che valga a migliorare la conoscenza reciproca e ad iniziare una riflessione su Gesù e sul suo Vangelo.

7. Da Mercoledì delle ceneri risuonano nei nostri cuori queste parole concise della liturgia: “Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai”. Sono le parole del Libro della Genesi (cf. Gen 3, 19). Così come le altre del Vangelo di san Marco (Mc 1, 15): “Convertitevi, e credete al Vangelo”.

Che queste parole ci accompagnino in tutti i giorni della Quaresima. Accompagnino il nostro modo di pensare. Formino il nostro comportamento. Favoriscano l’aspirazione ad una preghiera abbondante e all’intimità con Cristo nella “piccola stanza” interiore della nostra coscienza. Ci facciano comprendere anche il bisogno della mortificazione e del digiuno. Che queste parole “del giorno delle Ceneri” siano per noi esigenti, ma anche ricche di aiuto. Dirigano la nostra attenzione verso i bisogni degli altri. Vicini e lontani. Obblighino tutti noi alle opere della carità e della misericordia.

Ancora una Quaresima. Ancora un “periodo favorevole”. Ancora un “tempo della salvezza”. Molto dipende da come lo utilizzeremo. Ciascuno e tutti.

 

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