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VISITA ALLA PARROCCHIA DELLA RESURREZIONE
DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO A TORRE NOVA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 28 febbraio 1988

 

1. “Questo è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!” (Mc 9, 7).

La teofania sul monte della Trasfigurazione. Le parole che giungono agli orecchi degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni abbagliati dalla visione, sono le parole del Padre. In esse egli rivela se stesso e il Figlio suo. Così è stato in occasione del battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Adesso la situazione è diversa e diverso è il momento.

Allora Giovanni Battista aveva indicato “l’agnello di Dio . . . che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). Ora le vie di Gesù si sono avvicinate al momento in cui i peccati del mondo devono essere effettivamente tolti da lui. Questo sarà il momento dello spogliamento, il momento dell’innalzamento sul monte Golgota, il momento che, dal punto di vista umano costituisce l’umiliazione più profonda: la “kenosi” della croce.

Quando la Trasfigurazione ebbe termine, Gesù ordinò agli apostoli di non farne parola con nessuno, “se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9, 9). Essi tuttavia si domandarono “che cosa volesse dire risuscitare dai morti” (Mc 9, 10). Nemmeno loro sapevano né presentivano che questo si doveva realizzare a prezzo della croce e della morte.

2. La liturgia della seconda domenica di Quaresima ci prepara al mistero della croce di Cristo sul Golgota, agli avvenimenti pasquali e, prima, ci conduce sul monte della Trasfigurazione. Nello stesso modo, col quale Cristo ha preparato i suoi apostoli.

E non soltanto Cristo, ma anche il Padre celeste. La liturgia dell’odierna domenica ci si delinea nel suo insieme come incentrata sul mistero del Padre.

È lo stesso Padre che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

Nel sacrificio di Abramo descritto nel libro della Genesi, si trova la figura che preannunzia questo mistero del Padre e del Figlio. Anche in quel fatto vi è un’altura situata nel territorio di Moria, sul quale Abramo sale con il figlio Isacco: l’unico figlio della promessa.

Dio chiese il sacrificio di questo figlio, così a lungo atteso prima, e quindi tanto amato: di questo figlio al quale erano unite tutte le speranze di Abramo. Tuttavia, quando Dio chiese un tale sacrificio Abramo non esitò a farlo. Era disposto a sacrificare il suo unico figlio.

Nel momento in cui Abramo alzò il coltello per compiere il gesto di “immolare suo figlio” (Gen 22, 10) - Dio per il tramite dell’angelo - trattenne la sua mano. Accettò il sacrificio del cuore e non permise l’immolazione del figlio. “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio” (Gen 22, 12). Potremmo aggiungere: “Tu ami Dio più di tuo figlio”.

3. Quanto vicino siamo, in questo punto, al mistero del Padre celeste, di questo Padre, “che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi”, come scrive l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani (Rm 8, 32).

E aggiunge “come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8, 32). Il sacrificio della croce è il sacrificio della soddisfazione e dell’espiazione. In esso sono racchiuse la redenzione e la remissione dei peccati.

L’Apostolo penetra da molti punti di vista nel significato e nei frutti di questo sacrificio quando insiste nel domandare: “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?” (Rm 8, 33-34).

4. Si può dire che queste domande - tanto caratteristiche per Paolo - ci introducono in tutta la prospettiva del mistero pasquale.

Il Padre celeste non ha risparmiato il proprio Figlio unigenito, non l’ha salvato dalla morte di croce, nella quale consisteva il sacrificio. Ma proprio come sacrificio, che il Figlio subì volontariamente, esso divenne fonte della nostra giustificazione. Siamo stati comprati a caro prezzo (cf. 1 Cor 7, 23).

Avendo parte alla redenzione mediante la croce di Cristo, siamo stati chiamati a partecipare anche alla vita nuova rivelatasi per mezzo della risurrezione.

Si può dire che qui si aprono dinanzi al nostro spirito umano vere profondità, “profondità insondabili”. La Quaresima è il tempo del coraggio spirituale, per entrare in queste profondità dalle quali emerge la verità definitiva su Dio e sull’uomo. La verità che veramente ci fa liberi.

A questo è chiamato nell’attuale periodo ogni cristiano e ogni comunità cristiana. In modo particolare è chiamata la vostra parrocchia in occasione dell’odierna visita del Vescovo di Roma.

5. Senza esitazione alcuna rispondete, cari fratelli e sorelle, a questa chiamata, compiendo senza esitazione - secondo lo spirito della Quaresima - quell’esodo spirituale dal peccato e dall’egoismo, per progredire nella fede, che è ascolto ed obbedienza, libero assenso e confidente abbandono.

Quando il cristiano si pone alla sequela della verità, raggiunge la sapienza del cuore e, umile e pentito, si apre al Redentore, ricevendone insieme al perdono la sua consolante benedizione.

Nella gioia di questo tempo Quaresimale, saluto assieme al Cardinale Vicario, monsignor Giuseppe Mani, Vescovo Ausiliare del Settore, tutti i sacerdoti, voi che offrite le vostre energie per adempiere il mandato di comunicare i santi misteri, di istruire nella dottrina, di educare alla carità.

In particolare, rivolgo la mia parola piena di affetto e di riconoscenza al parroco, don Franco Mortigliengo e ai confratelli, che con spirito di abnegazione hanno accettato di lasciare la loro diocesi di Novara, per servire questa porzione della Chiesa romana, che oggi celebra solennemente il venticinquesimo anniversario di attività pastorale. Per questo motivo saluto anche cordialmente il Vescovo Ausiliare di Novara presente tra noi.

Desidero salutare anche le Suore Missionarie dell’Immacolata “Regina Pacis”. Carissime, sono a conoscenza dell’utile servizio che prestate a questa comunità, unendo alla collaborazione nelle molteplici iniziative parrocchiali la testimonianza di uno stato di vita, nel quale seguite Gesù obbediente, povero e casto.

6. Il mio saluto giunga pure a voi, che componete il Consiglio pastorale, ed a voi, che aderite ai vari gruppi o associazioni. Mentre prego perché la luce del Cristo trasfigurato rischiari le vostre menti ed i vostri cuori per condurvi così a vivere con lui il mistero pasquale della sua morte e risurrezione, vi esorto ad essere sempre autentici testimoni del Vangelo, pienezza della legge e compimento delle Profezie.

Rivolgo, infine, il mio cordiale saluto a tutti i fratelli e sorelle della parrocchia della Risurrezione, ed a ciascuno di voi, miei cari, desidero ricordare il dovere di impegnarvi apostolicamente affinché, dopo aver accolto la parola che è Spirito e vita, realizziate nei luoghi dove il Signore vi ha posto il disegno di salvezza. E ciò accadrà, se prenderete dal confessionale lo scioglimento delle colpe e dall’altare il pane eucaristico, per essere sempre più efficacemente pietre vive di quell’edificio spirituale, che è casa del Padre e dimora per ogni uomo. Saluto tutti i presenti, tutta la comunità parrocchiale, nel giorno di questa celebrazione del 25° anniversario della parrocchia del Signore Risorto. Mi congratulo per questo periodo già terminato, per questo lavoro già compiuto e vi auguro anche un futuro veramente cristiano dentro questa comunità e attraverso il suo ministero.

7. Infine, ritorniamo a meditare ancora sulle parole del salmista, ascoltate nell’odierna liturgia: “Ho creduto anche quando dicevo: «Sono troppo infelice»” (Sal 116 (115), 10).

Il salmista non parla qui anche della fede di Abramo, che “ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rm 4, 18) e così divenne padre di tutti i credenti (cf. Rm 4, 11.16)?

Abramo dice: “Adempirò i miei voti al Signore” (Sal 116 (115), 14). Adempirò . . . “Io sono il tuo servo” (Sal 116 (115), 16). Abramo, il servo di Dio dell’alleanza. Abramo, l’amico di Dio. Abramo, l’immagine del Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

Non già soltanto Isacco, ma Cristo. “Se Dio è così fortemente, così fortemente con noi, chi sarà contro di noi”? (cf. Rm 8, 31).

Abramo, figura del Padre. Di questo Padre, che sul monte della Trasfigurazione si rivela nella voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!” (Mc 9, 7).

Con queste parole egli prepara gli Apostoli al mistero che sarà racchiuso negli avvenimenti della Pasqua di Gerusalemme.

“Ascoltatelo!”.

Ecco l’obbedienza della fede di tutti i discepoli - i quali, mediante tale virtù, sono insieme la discendenza di Abramo - si basa di generazione in generazione sull’eloquenza della croce e della risurrezione, nelle quali il Figlio ha rivelato fino in fondo l’amore del Padre.  

 

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