Index   Back Top Print

[ IT ]

BEATIFICAZIONE DI NICEFORO E 25 COMPAGNI MARTIRI, DI LORENZO SALVI,
DI GELTRUDE COMENSOLI E DI FRANCISCA-ANA CARBONELL

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 1° ottobre 1989

 

Prima dell’inizio della solenne concelebrazione di beatificazione odierna, il Santo Padre saluta Sua Grazia il Dottor Runcie, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, con queste parole.  

Today, at this Mass of Beatification, I wish to extend a fraternal welcome to the Most Reverend Robert Runcie, Archbishop of Canterbury and Primate of the Anglican Communion, on the occasion of his official visit to the Holy See. Yesterday evening we prayed together in the Church from which Pope Saint Gregory the Great sent Saint Augustine to England to preach the Gospel of Christ. As we venerate other men and women who, like Saints Gregory and Augustine, bore courageous witness to Christ, we pray that all Christians will come to ever greater unity in their witness to our one Lord and Saviour.

1. “Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8, 9).

Nella liturgia della domenica odierna questa frase, presa dalla lettera di san Paolo ai Corinzi, costituisce come una introduzione al Vangelo ed alla parabola del ricco epulone e di Lazzaro. In pari tempo la Chiesa, riunita presso la confessione di san Pietro, pronuncia questa frase guardando a tutti i servi di Dio che oggi vengono proclamati beati.

A ciascuno di loro Gesù ha indicato la strada verso la santità, diventando povero per primo e facendosi modello di tutti, egli che era il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre. Contemporaneamente a ciascuno dei nuovi beati egli ha rivelato il mistero di questa povertà, che fa diventare ricchi. In questo modo a ciascuno di loro ha indicato la via alla santità.

La Chiesa oggi gioisce per questi suoi figli e figlie, che hanno percorso la via indicata dal divino Maestro.

2. Ella se alegra por los mártires de la Comunidad de los Pasionistas de Daimiel, en España. Era una comunidad dedicada exclusivamente a la formación de los jóvenes que allí al amparo del Cristo de la Luz, se preparaban para ser sacerdotes y anunciar un día el Evangelio en tierras americanas, preferentemente en México, Cuba y Venezuela. La comunidad se componía casi en su totalidad de jóvenes de 18 a 21 anos, asistidos por un selecto claustro de profesores y hermanos que cuidaban de su formación. Era un ambiente de gran entusiasmo misionero en un clima de retiro, estudio y oración. Hombres de Dios, que siguiendo el consejo de San Pablo amaban “la justicia, la piedad, la fe, la caridad, la paciencia, la mansedumbre”. 

Ninguno de los religiosos de la comunidad de Daimiel se había mezclado en cuestiones políticas. No obstante, en el clima del momento histórico que les había tocado vivir, también ellos se vieron arrastrados por la tempestad de persecución religiosa, dando generosamente su sangre, fieles a su condición de religiosos, y émulos, en pleno siglo veinte, del heroísmo de los primeros mártires de la Iglesia.

Cuando la noche del 21 de julio de 1936 se presentaron en el convento los milicianos armados, el Superior Provincial, P. Niceforo, los reunió a todos en la iglesia, donde se confesaron y recibieron la santa comunión como Viático. Allí el P. Niceforo les exhortó vivamente: “Hermanos e hijos muy amados: Este es nuestro Getsemanì. La naturaleza, en su parte débil, desfallece y se acobarda. Pero Jesucristo está con nosotros. Os voy a dar al que es la fortaleza de los débiles. A Jesús le confortó un ángel. A nosotros es el mismo Jesucristo quien nos conforta y sostiene. Dentro de pocos momentos estaremos con Cristo.

¡Moradores del Calvario, ànimo y a morir per Cristo! A mi me toca animaros, pero yo mismo me estimulo con vuestro ejemplo!”.

La mayoría, jóvenes de 18 a 21 anos, vivía soñando en el sacerdocio, pero el Señor había dispuesto que su primera misa fuera la de su propio holocausto. Ahora nosotros les exaltamos y damos gloria a Cristo, que los ha asociado a su cruz: “El Señor ama a los honrados . . . él sustenta al huérfano y a la viuda, y trastorna el camino de los malvados. El Senor reina eternamente”.   

Ecco le parole del Santo Padre in una nostra tradizione in italiano:

2. Essa si rallegra per i martiri della comunità dei passionisti di Daimiel, in Spagna. Era una comunità dedicata esclusivamente alla formazione dei giovani di quei luoghi che, sotto la protezione del Cristo della luce, si preparavano a essere sacerdoti e annunciare un giorno il Vangelo nelle terre americane, soprattutto in Messico, Cuba e Venezuela. La comunità era composta quasi totalmente da giovani dai diciotto ai ventun anni, assistiti da una selezionata cerchia di professori e fratelli che curavano la loro formazione. Era un ambiente di grande entusiasmo missionario in un clima di ritiro, studio e preghiera. Uomini di Dio, che seguendo il consiglio di san Paolo amavano “la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza” (1 Tm 6, 11).

Nessuno dei religiosi della comunità di Daimiel si era intromesso in questioni politiche. Ciò nonostante nel clima del momento storico che toccava loro vivere, anche costoro si videro colpiti dall’imperversare della persecuzione religiosa, dando generosamente il loro sangue, fedeli alla loro condizione di religiosi ed emuli, nel pieno secolo XX, dell’eroismo dei primi martiri della Chiesa.

Quando, la notte del 21 luglio del 1936, si presentarono al convento le milizie armate, il superiore provinciale, padre Niceforo, riunì tutti nella chiesa, dove si confessarono e ricevettero la santa Comunione come viatico. Lì il padre Niceforo li esortò vivamente: “Amatissimi fratelli e figli: Questo è il nostro Getsemani. La natura nella sua parte debole ha paura ed è codarda. Ma Gesù Cristo è con noi. Vi darò ciò che costituisce la forza dei deboli. Gesù fu confortato da un angelo. Noi siamo confortati e sostenuti dallo stesso Gesù Cristo. Fra pochi istanti saremo con Cristo. Gente del Calvario, coraggio e andiamo a morire per Cristo! Tocca a me farvi coraggio, ma io stesso prendo forza dal vostro esempio!”.

La maggior parte, giovani dai diciotto ai ventun anni, aveva vissuto sognando il sacerdozio, ma il Signore aveva disposto che la loro prima Messa fosse quella del loro olocausto. Ora noi li onoriamo e rendiamo gloria a Cristo, che li ha uniti a sé nella Croce. “Il Signore ama i giusti . . . / Egli sostiene l’orfano e la vedova, / ma sconvolge le vie degli empi. / Il Signore regna sempre (Sal 145, 9-10).  

3. “Tu, uomo di Dio . . . tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede (1 Tm 6, 11-12).

In questo programma, dettato dall’apostolo Paolo al discepolo Timoteo, possiamo veder delineato l’itinerario spirituale del beato Lorenzo Salvi, uomo di Dio, non solo nella intensa preghiera, ma anche nella instancabile dedizione al ministero sacerdotale. Egli fu pienamente consapevole della missione affidata da Cristo ad ogni apostolo e si sforzò durante tutta la vita di seguire gli esempi del Figlio di Dio, che volle salvare il mondo mediante l’umiliazione della Croce.

Lorenzo combatté la “buona battaglia della fede”, secondo lo spirito della sua congregazione religiosa, lavorando intensamente nella predicazione delle missioni al popolo, nei corsi di esercizi spirituali, nel mistero delle confessioni. In quanti avvicinava egli cercava di instillare l’amore del Cristo povero ed umile, mediante la devozione all’infanzia di Gesù e alla sua Passione, momenti nei quali massimamente si rivelano l’umiltà e la dolcezza del salvatore. Convinto dell’infinita misericordia del Cuore di Cristo, egli non si stancava di esortare le anime alla fiducia, sull’esempio del bambino che in tutto s’affida alle braccia amorevoli e forti del padre.

Lorenzo conobbe il beato Domenico Barberi ed il suo progetto per il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella anglicana: avrebbe voluto seguire in Inghilterra l’amico, ma l’obbedienza lo trattenne in patria. Anche in questo caso, come in tanti altri, egli seppe trovare in Cristo crocifisso, ideale della sua famiglia religiosa, la forza per rinunciare al proprio disegno apostolico e farsi guidare soltanto dalla preoccupazione di “conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento” (1 Tm 6, 14), cioè l’impegno dell’adesione senza riserve al volere di Dio.

Con questi solidi fondamenti il beato Salvi riuscì ad essere maestro di vita spirituale di molte anime, che lo ascoltarono nella predicazione, nel confessionale, nella direzione di coscienza. Ad esse egli annunciò con fervore mai smorzato il mistero di Cristo. “il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno tra gli uomini ha mai visto, né può vedere” (1 Tm 6, 15-16).

4. È ancora l’esempio del Cristo povero ed umile, contemplato soprattutto nel mistero eucaristico, a guidare l’impegno di Geltrude Comensoli nel faticoso itinerario spirituale e nelle travagliate vicende della fondazione delle suore sacramentine di Bergamo. È proprio l’umiltà del Pane eucaristico, sacramento della presenza reale di Cristo, che sostiene Geltrude e le consente di stare di fronte alla mensa dei potenti con l’intrepida costanza di Lazzaro, nella volontaria scelta dell’evangelico “ultimo posto”.

Geltrude sentì tale impegno di rinnegamento come una vocazione forte ed esigente: “Non alzerò mai la voce - scrive nei suoi propositi - non mi giustificherò mai, né a ragione né a torto. Soffrirò tutto in silenzio, qualsiasi cosa mi venisse fatta” (Gli scritti, p. 26). A tale spirito di umiltà ella volle educare le consorelle, chiedendo per esse l’interiore povertà dello spirito: “Diffidenza di sé, umiltà grande, generosità nel patire, e grande carità di comportamento” (Gli scritti, pp. 792-793).

Come il povero indicato dalla parabola, Geltrude soffrì la privazione di tutto, quando un dissesto finanziario determinò l’espropriazione dei beni materiali dell’istituto appena fondato e già fiorente. “Mio Gesù - scriveva in una sua memoria - di qui a qualche minuto . . . vengono a mettere tutto sotto sigillo . . . Gli uomini vogliono le nostre cose. Voi sigillate il mio cuore . . . tenetemi sempre con voi, mio diletto Gesù” (Gli scritti, pp. 56 s.).

Geltrude volle così in qualche modo, mettere tutta la sua ricchezza “nel seno di Abramo” (Lc 16, 22), cioè nel cuore di Cristo, presente nella Eucaristia: “Terrò il mio cuore sempre rivolto all’altare dove dimora l’amato Gesù. Stanca ed oppressa, afflitta, desolata, là sarà il mio luogo di riposo, veduta solo dal mio Gesù . . . La mia vita deve essere sepolta in Dio nel Divino suo Costato” (Gli scritti, p. 60; pp. 56 s.).

È l’Eucaristia che conduce al Regno: presso la mensa del Pane di vita, pegno della gloria futura, si alimenta quel fuoco della carità soprannaturale, in cui è dato all’anima di pregustare fin d’ora un’anticipazione della gioia riservata ai santi nel cielo.

5. También en la vida de la Beata Francisca-Ana de los Dolores de María vemos reflejadas las enseñanzas que hoy nos acaba de dar Jesús en su Evangelio. Ante el binomio riqueza-pobreza, Francisca-Ana escogiò la pobreza y excluyó del proyecto de su vida cristiana y consagrada la riqueza porque sabìa que podía apartarla de Dios. Dedicó lo poco que producían sus tierras al servicio de la parroquia y de los más necesitados: “El Señor da Pan a los hambrientos . . . el Señor sustenta al huérfano y a la viuda” .

Francisca-Ana a lo largo de su vida obedeció la voluntad de Dios. Una voluntad divina que a veces resulta difícil de discernir: de joven quiere ser monja y su padre se lo impide. Francisca-Ana ve en esta negativa paterna la voluntad de Dios: no puede ser monja en un convento, lo será en su propia casa por medio de una vida dedicada a la oración, a la mortificación y al apostolado.

Cuando a los cuarenta años queda sola en el mundo después de la muerte de sus padres y hermanos, ya sea por obediencia a su Director espiritual, ya sea porque las circunstancias socio-políticas de su nación no se lo aconsejan, difiere la realización de su ideal de consagrarse a Dios por medio de los votos religiosos hasta casi el final de su vida, cuando cuenta setenta anos de edad y funda en su propia casa el convento de la caridad.

Una vida llena de incertidumbres, pero una vida en la que no hubo ningún obstáculo para servir en todo a Dios, porque Francisca-Ana había dado todo lo que tenía, es más, se había dado ella misma consagrándose a Dios en la virginidad.

Así libre de todo lo que la pudiera atar a este mundo, combatió el combate de la Fe  emprendiendo decididamente el camino de la perfección cristiana. En la Beata Francisca-Ana de los Dolores de María el Señor nos da un magnífico ejemplo de saber anteponer el servicio de Dios al servicio de las riquezas y del mundo, de saber tener el corazón libre para consagrarlo y dedicarlo solamente a El.

Ecco le parole del Santo Padre in una nostra tradizione in italiano:

5. Anche nella vita della beata Francisca-Ana dei dolori di Maria vediamo riflessi gli insegnamenti che ci ha appena dato Gesù nel suo Vangelo. Di fronte al binomio ricchezza-povertà, Francisca-Ana scelse la povertà ed escluse dal progetto della sua vita cristiana e consacrata la ricchezza perché sapeva che poteva allontanarla da Dio. Dedicò quel poco che le sue terre producevano al servizio della parrocchia e dei più bisognosi: “Il Signore dà il pane agli affamati . . . / Il Signore sostiene l’orfano e la vedova” (Sal 145, 7. 9).

Francisca-Ana durante la sua vita obbedì alla volontà di Dio. Una volontà divina che a volte risulta difficile discernere: da giovane sceglie di essere suora e suo padre glielo impedisce. Francisca-Ana vede in questa negazione paterna la volontà di Dio: non può essere suora in un convento, lo sarà in casa sua grazie ad una vita dedicata alla preghiera, alla mortificazione e all’apostolato.

Quando a quarant’anni resta sola al mondo dopo la morte dei genitori e dei fratelli, sia per obbedienza al suo direttore spirituale, sia perché le circostanze socio-politiche della sua Nazione non glielo consentono, proroga la realizzazione del suo sogno di consacrarsi a Dio per mezzo dei voti religiosi fino quasi al termine della sua vita, quando ha già settant’anni e fonda in casa sua il convento della carità.

Una vita piena di incertezze, ma anche una vita in cui non ebbe nessun ostacolo per poter servire Dio, perché Francisca-Ana aveva dato tutto ciò che aveva, e non solo, si era lei stessa consacrata a Dio nella verginità.

Così, libera da tutto ciò che la potesse legare a questo mondo, combatte la battaglia della fede (1 Tm 6, 12) intraprendendo decisamente il cammino della perfezione cristiana. Con la beata Francisca-Ana dei dolori di Maria, il Signore ci offre un magnifico esempio del saper anteporre il servizio di Dio al servizio delle ricchezze e del mondo, del saper tenere il cuore libero per poterlo consacrare e dedicare solamente a lui.

6. Levando i nostri occhi verso questi nuovi beati, possiamo ben dire che essi hanno conservato “senza macchia ed irreprensibile il comandamento” (1Tm 6,14). Hanno confidato nel Cristo, nella sua Parola, ed hanno atteso la sua manifestazione ultima nella gloria della sua suprema ed unica regalità. Hanno perciò accolto il suo messaggio, seguendolo quaggiù povero ed umile, quali servi totalmente dediti ai fratelli. Con tale spirito essi hanno amato la Chiesa, hanno testimoniato per essa, l’hanno servita durante tutta la loro vita generosa, combattendo “la buona battaglia della fede” (1 Tm 6, 12), come uomini e donne di Dio, come apostoli del Vangelo.

La loro è stata veramente una “bella professione di fede davanti a molti testimoni” (1 Tm 6, 12). Molti furono, in effetti, i testimoni che ammirarono i loro esempi, che udirono la predicazione, che accolsero il messaggio della consacrazione a Cristo nella preghiera e nelle opere di carità. Molti sono, ancor oggi, e proprio in questa solenne circostanza, coloro che, considerando la vicenda dei nuovi beati, possono proclamare nella fede che Cristo è l’“unico sovrano, . . . il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (1 Tm 6, 15-16).

Gesù Cristo, che si è fatto povero perché diventasse ricco ogni uomo che ha seguito la sua chiamata - ciascuno di coloro che da oggi la Chiesa chiamerà beati -, è in pari tempo il re dei re e il Signore dei governanti, l’unico che conosce l’immortalità, che abita una luce irraggiungibile per l’uomo.

O Cristo Gesù!
Ti rendiamo grazie perché tu introduci l’uomo nella santità, che è la vita di Dio stesso.
Ti rendiamo grazie per: Niceforo ed i suoi compagni martiri,
per Lorenzo, Geltrude, Francesca-Anna.
Ti rendiamo grazie, o Cristo.
A Te la gloria e la potenza eterna. Amen.

 

© Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana