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A CONCLUSIONE DELL'OTTAVARIO DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Paolo fuori le Mura - Venerdì, 25 gennaio 1991

 

Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti” (At 22, 8).

1. Carissimi fratelli e sorelle, siamo raccolti stasera in questa Basilica per celebrare la Conversione di San Paolo. Quando la grazia di Cristo lo toccò sulla via di Damasco, egli era impegnato in una missione punitiva nei confronti dei cristiani residenti in quella città, giacché, com’egli stesso confessa, “perseguitava a morte la nuova dottrina” (cf. At 22, 4), da essi professata. Eppure proprio verso di lui si volge l’attenzione di Cristo, proprio lui Gesù chiama ad essere suo testimone davanti al mondo.

La festa della Conversione di San Paolo ci ricorda che Dio può trasformare in santi anche i più grandi peccatori. Coloro che non lo conoscono o che lo hanno abbandonato possono diventare, o ritornare ad essere, suoi testimoni anche fino all’effusione del sangue.

È questo un messaggio di speranza, diretto in primo luogo a chi si crede rigettato da Dio a causa della gravità dei suoi peccati o della prolungata lontananza da Lui. La vicenda di Paolo ci fa comprendere che Cristo non rifiuta nessuno, che Egli può far brillare la sua luce anche nelle tenebre più fitte.

2. “Un certo Anania . . . mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere”” (At 22, 12-13).

È Paolo che ricorda, a distanza di anni, gli inizi della sua conversione. Tra le immagini più vive, che gli restano di quell’esperienza, emerge nella sua memoria la mite figura di “un devoto osservante della legge” (At 22, 12), Anania appunto, che lo aveva accolto allora affabilmente, rivolgendogli il dolce appellativo di “fratello”. Con bontà lo avevano, poi, accolto anche gli Apostoli, che gli avevano accordato la loro fiducia (At 9, 27-28).

Oggi come ieri, carissimi fedeli che mi ascoltate, l’accoglienza fraterna è dovere importante nella vita della comunità cristiana. Coloro che scoprono Cristo e vogliono seguirlo, coloro che accolgono il suo perdono, debbono in genere affrontare difficoltà non piccole per abbandonare la condizione precedente e perseverare nelle decisioni prese. Hanno perciò bisogno di incontrare dei fratelli e delle sorelle che sappiano accoglierli, fidandosi di loro, qualunque sia il loro passato, e sostenerli nel cammino.

3. Se questo invito all’accoglienza fraterna vale per ogni credente di buona volontà, esso si fa anche più urgente per i figli della Chiesa. In essa ogni parrocchia, ogni comunità religiosa o laica, ogni gruppo o movimento, deve saper creare al proprio interno un clima di famiglia, che consenta ai singoli di lasciarsi alle spalle le proprie vicende negative e di sentirsi, alla pari di ogni altro, accolto nell’amore.

La Chiesa è fatta anche di chi si è da poco ravveduto dalla sua ignoranza, di chi ha solo recentemente abbandonato il peccato, di chi ha spesso bisogno del perdono divino, perché gli accade di essere infedele al Signore. In questa Chiesa, povera e contrassegnata dalla debolezza dei suoi membri, si manifesta pienamente la potenza di Cristo (cf. 2 Cor 12, 9).

Per grazia e per vocazione, la Chiesa è luce dei popoli, segno di unità tra le nazioni, guida di tutta l’umanità verso la comunione con Dio, per sempre (cf. Lumen Gentium, 1). Solo allora si realizzerà definitivamente la salvezza profetizzata da Isaia, come ci ha ricordato la prima lettura di questa nostra celebrazione: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre . . .” (Is 25, 7-8).

Per poter svolgere più efficacemente il compito di luce delle nazioni e di segno della comunione eterna con Dio, la Chiesa ha bisogno di poter contare sulla concordia fraterna dei credenti in Cristo. Non a caso, infatti, il Salvatore divino, alla vigilia della sua passione, pregò ardentemente il Padre perché i suoi discepoli fossero una cosa sola, così che il mondo fosse aiutato a credere in lui (cf. Gv 17, 21).

Nel giorno che conclude la “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani” dobbiamo purtroppo costatare che, malgrado i notevoli progressi registrati nel dialogo teologico e nella collaborazione fraterna, il traguardo dell’unità piena e visibile è ancora lontano. Dobbiamo, dunque, continuare ad implorare dal Signore la grazia di perseverare negli sforzi, affinché ogni Chiesa e Comunità ecclesiale non si ripieghi su se stessa, ma insista nella ricerca dei mezzi atti ad affrettare il raggiungimento di quella fondamentale meta.

4. Risuonano ai nostri orecchi e riecheggiano nei nostri cuori le parole di Gesù ai discepoli: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). Noi sappiamo che l’incisività della predicazione evangelica dipende in non piccola parte dalla concorde armonia di accenti con cui essa è proposta al mondo. Esiste un legame intrinseco tra ecumenismo e missione.

In questo appello all’unità dei cristiani per un’efficace azione missionaria il mio pensiero si volge in particolar modo ai popoli del continente europeo. L’Europa, per il suo passato e il suo presente, è chiamata a sentire “sempre maggiormente l’esigenza dell’unità religioso-cristiana e della fraterna comunione di tutti i suoi popoli” (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 30). Durante la mia visita pastorale in Cecoslovacchia, il 22 aprile scorso, dal santuario di Velehrad, consacrato alla Vergine Maria e ai santi co-patroni d’Europa, Cirillo e Metodio, ho annunciato la convocazione di un’assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa. Come ho poi spiegato, “essa avrà come compito -scrutando i “segni del tempo” che sono veramente eloquenti -di definire le vie sulle quali la Chiesa del nostro continente deve camminare in vista degli adempimenti collegati con l’ormai vicino terzo millennio della nascita di Cristo” (Eiusdem, Allocutio in Audientia generali, 5, die 25 apr. 1990: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII/1 [1990] 1018).

La preparazione di tale assemblea speciale è a buon punto. Sono lieto di annunciare oggi che si stanno prendendo i contatti necessari affinché le altre Chiese e Comunità ecclesiali d’Europa siano invitate ad associarsi a questo importante evento, per il tramite di “delegati fraterni”. Ho anche il fermo proposito di tenere un “Atto di preghiera” per l’Europa insieme con tutti i membri dell’Assemblea sinodale e con i delegati fraterni delle altre Chiese: ciò comporterà anche una partecipazione più estesa, ancora da precisare.

5. Vi invito fin d’ora a pregare per l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. I cristiani d’Europa hanno una pesante responsabilità. Il loro slancio missionario li ha sospinti ben oltre i confini della loro terra per proclamare il messaggio della Salvezza. Dal continente europeo hanno però preso vita anche tante divisioni tra i discepoli di Cristo ed esse si sono propagate agli altri continenti!

I cristiani, volgendo il loro sguardo alla realtà presente, riscontrano che la cultura europea è permeata di valori evangelici ed è, al tempo stesso, sorda al Vangelo. A quest’Europa che si trasforma e si rinnova, noi vogliamo riproporre il messaggio sempre nuovo del Vangelo. Non si tratta in alcun modo di tornare indietro, o di far rivivere un tipo di relazioni tra la Chiesa e gli Stati, che ha un passato di luce e di ombre. Noi crediamo che il cristianesimo tocchi l’aspirazione profonda dell’uomo e crediamo che in Cristo, e soltanto in Lui, si trova la vera e piena libertà. Forti di questa certezza, non pochi cristiani appartenenti a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali dell’Europa hanno versato nell’annuncio del Vangelo il loro sangue. La loro testimonianza ci incita, ci incoraggia, ci sfida a ritrovare la completa unità tra tutti i battezzati, affinché l’Europa continui a vivere della sua eredità cristiana. Le differenti culture delle nazioni europee sono alimentate dalla linfa che proviene dalla medesima radice: il Vangelo di Cristo, “nostra pace” (cf. Ef 2, 14).

6. “Lodate, nazioni tutte, il Signore”: il salmo responsoriale, che oggi abbiamo cantato insieme, è stato il tema meditato durante la “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani” che si conclude oggi. Sono parole che esprimono un invito gioioso, pieno di speranza e che animano tutta l’attività missionaria dell’apostolo Paolo. Esse sono pronunciate oggi da coloro che in Europa e nel mondo hanno dedicato e dedicano la loro vita affinché la ricerca dell’unità dei cristiani diventi sempre più attiva e intraprendente.

Ad essi, come a tutti coloro che sono presenti qui oggi, esprimo la mia gratitudine sincera, e il mio incoraggiamento a perseverare con coerenza, pazienza e costanza, nella certezza di compiere la volontà del Signore. Chiedo a Lui di benedire le loro iniziative, siano esse prese a livello di ciascuna Chiesa locale, o suscitate negli Ordini religiosi, nei Monasteri, nelle Comunità di vita attiva o contemplativa.

Possano la preghiera e la testimonianza dei cristiani far presto sorgere il giorno in cui, in Europa e in ogni parte del mondo, tutti i popoli con una sola voce lodino il Signore nella ricca varietà delle nazioni e delle culture.

7. “Lodate, nazioni tutte, il Signore”.

Questo invito ai popoli e alle nazioni perché diano lode a Dio, mi porta, in questo momento difficile per la pace nel mondo, a rivolgere il mio accorato pensiero ai milioni di credenti nel Dio Unico -cristiani, ebrei e musulmani -, che vivono ore drammatiche di sofferenza e di angoscia sotto l’azione distruttiva di micidiali strumenti di guerra.

La fede nell’unico Dio che li accomuna e rende fratelli, in quanto tutti figli del medesimo Creatore, li invita dal profondo del loro animo a pregare, affinché, al più presto, la pace e la giustizia trionfino nella regione del Golfo e in tutto il Medio Oriente. Questa medesima fratellanza risuoni per tutti come una chiamata ad allontanare la tentazione della sfiducia e della rivalità, per diventare collaboratori leali e sinceri nella costruzione di un mondo che, credendo nella pace, sia degno dell’Amore, con il quale Dio ha creato l’umanità.

Amen!

 

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