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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
A
MONSIGNOR GIUSEPPE AMARI,
VESCOVO DI VERONA

 

Al Venerabile Fratello Giuseppe Amari, Vescovo di Verona.

La diocesi di Verona celebra oggi in forma solenne il millesimo anniversario della consacrazione episcopale, avvenuta in codesta città, di sant’Adalberto, Vescovo di Praga, unitamente alla festività del patrono san Zeno.

Questo avvenimento desta nel mio animo una profonda gioia spirituale. Si tratta di una ricorrenza estremamente significativa per mettere in luce il legame tra le Nazioni dell’Occidente e dell’Oriente europeo nella fede cristiana, base di un’unica cultura e civiltà.

Sant’Adalberto, infatti, è di origine slava: il suo nome di Battesimo era “Vojtech”, che significa “consolazione dell’esercito”, e sotto questo nome è soprattutto conosciuto presso gli Slavi. La sua prima formazione dipese dalla spiritualità cirillo-metodiana, irradiata nella Boemia dalla confinante Grande Moravia. Successivamente a tale spiritualità si congiunse, nella sua persona, quella occidentale, rappresentata al suo tempo dal movimento cluniacense, facente capo a san Benedetto.

Si tratta, come ebbi a dire in altra occasione, in certo senso di “due forme di cultura diverse, ma allo stesso tempo profondamente complementari”: la cultura benedettina, “più logica e razionale”; quella dei due santi fratelli greci, “più mistica e intuitiva” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad eos qui colloquio de communibus radicibus christianis Nationum Europearum interfuere coram admissos, 2, 6 novembre 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV/2 [1981] 568). Entrambe hanno concorso e tuttora devono concorrere, in forza di tale loro mutua complementarità, al mantenimento e al rafforzamento dell’unità spirituale e culturale dell’Europa.

Già nell’omelia che pronunciai a Gniezno, il 3 giugno 1979, non potei non attestare pubblicamente la riconoscenza che tutti i Popoli slavi, e la mia patria in particolare, debbono al santo Vescovo e Martire boemo. Infatti, proprio a Gniezno ricevettero una prima accoglienza le sue reliquie, dopo che furono recuperate con gesto generoso da parte del re. Se inoltre consideriamo che alla Sede metropolitana di Gniezno, eretta, si può dire, sulle sue reliquie, apparteneva anche la diocesi di Cracovia, si comprenderà meglio il senso delle mie parole, quando, nella medesima omelia, aggiunsi: “Questo Papa porta in se stesso l’eredità di Adalberto”. Si tratta dunque di un Santo molto caro e noto al Centro-Europa, e la cui celebrazione solenne, oggi a Verona, città di tradizionali rapporti intereuropei, potrà indubbiamente servire a ritrovare le antiche comuni sorgenti, affinché “la consapevolezza di questa comune ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del Continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni Nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l’umanità e al futuro dell’uomo su tutta la terra” (Giovanni Paolo II, Egregiae virtutis).

L’esempio di sant’Adalberto si presenta quindi oggi più che mai valido in un’Europa che, pur conservando il tesoro inestimabile della Verità cristiana, vede tuttavia risorgere nel proprio seno, in varie forme, i fermenti di dissoluzione propri di quel pensiero pagano che era stato superato dalla novità del Vangelo, grazie all’opera generosa e - diciamo pure - eroica dei primi missionari, tra i quali appunto il Santo patrono di Praga.

Oggi, sul loro esempio, occorre riproporre il medesimo messaggio, in forme certo adatte agli uomini del nostro tempo; e mostrare come il Cristianesimo non è un’esperienza storica superata da nuove forme di redenzione umana, ma è, resta e sarà sempre la “novità” per eccellenza, al di là di tutti i ritrovati che l’uomo, con le sue sole forze, saprà escogitare nel corso della storia.

Se cediamo alla tentazione di lasciare il Cristianesimo per le “ideologie” di questo mondo, pensando di trovarle più “avanzate” o più efficaci, in realtà non andiamo avanti, ma torniamo indietro. Questo dovrebbe insegnarci la recente storia europea, nella quale si può constatare che l’acconsentire a quella tentazione non è stato senza rapporto con le catastrofi nelle quali essa è precipitata, sperimentando forme di barbarie sconosciute agli stessi antichi pagani.

L’esempio di sant’Adalberto e degli altri grandi fondatori dell’Europa cristiana ci incoraggia a cercare e a trovare “una piattaforma d’incontro tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione dell’esistenza” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad eos qui colloquio de communibus radicibus christianis Nationum Europearum interfuere coram admissos, 3, 6 novembre 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV/2 [1981] 569-560).

Sant’Adalberto è il modello dell’intellettuale divenuto Vescovo, evangelizzatore e riformatore, e che, in una totale donazione della propria vita, giunge al martirio per la causa di Cristo. Egli fu pieno di misericordia verso tutti, ma anche pronto a difendere con forza la dignità e i diritti di ogni uomo contro le oppressioni e le vessazioni dei potenti. Egli ci è di esempio anche nel modo di impegnarci per la vera riconciliazione tra gli uomini e i cristiani.

Da dove egli traeva questa grandiosa luce e forza spirituale? Da due sorgenti che non sapeva disgiungere; una profonda sete di studio, di contemplazione e di vita austera da una parte; e, dall’altra, un’assoluta fedeltà alla Chiesa e al Sommo Pontefice. Gli spostamenti stessi che egli compì nella sua vita testimoniano sensibilmente di questo duplice movimento del suo spirito tra il momento dell’azione missionaria e quello della quiete contemplativa accanto al Vicario di Cristo, a Roma, dove visse alcuni anni in un monastero sull’Aventino. Egli stesso, ritornato in Boemia, fondò, presso Praga, il monastero di Brevnov (992-993), che dette un forte impulso all’irradiazione del Cristianesimo anche verso l’Est.

Possano le generazioni odierne raccogliere l’insegnamento del grande patrono di Praga, come di tutti i Santi che si sono mossi nello stesso spirito, a cominciare da Benedetto, Cirillo e Metodio, per trovare in essi i criteri e i maestri di una nuova speranza e di un nuovo avvenire per l’Europa cristiana e, attraverso di essa, per il mondo intero, per attuare un vero e pieno rispetto della dignità dell’uomo fatto ad immagine di Dio.

Con questi sentimenti e auspici, caro fratello, sono presente in spirito, con fervida partecipazione, alle solenni celebrazioni, ed invio a lei, al suoi collaboratori e a tutti i diletti figli della diocesi veronese la benedizione apostolica.

Dal Palazzo Apostolico, 2 aprile dell’anno 1983, quinto di Pontificato. 

GIOVANNI PAOLO PP. II

 

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