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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AI MINISTRI GENERALI DELLE FAMIGLIE FRANCESCANE
NEL IV CENTENARIO DELLA PROCLAMAZIONE
DI SAN BONAVENTURA A DOTTORE DELLA CHIESA

 

Ai diletti figli
John Vaughn,
Lanfranco Serrini,
Flavio Roberto Carraro,
José Angulo Quilis,
Ministri generali delle Famiglie francescane.

1. È per me motivo di vivo compiacimento la vostra iniziativa di celebrare uno speciale simposio sull’“Itinerarium mentis in Deum” di san Bonaventura nella ricorrenza del IV° centenario della sua proclamazione a dottore della Chiesa universale (cf. Xysti V Bulla “Triumphantis Hierusalem”, in “Bullarium Rm.”, 1588).

Molto opportunamente avete così inteso richiamare l’attenzione intorno ad un’opera tanto piccola di mole, quanto densa di spirituale contenuto, invitando al tempo stesso gli uomini di oggi e, segnatamente, tutti i confratelli francescani a riprenderla in mano per ascoltare ancora l’alto insegnamento del dottore serafico. È, infatti, salutare mettersi alla sua scuola e rivivere la sua esperienza, percorrendo la strada che, sull’esempio di san Francesco, egli stesso percorse quando gli fu concesso di ritirarsi nella tranquilla solitudine della Verna, alla ricerca della “pace dello spirito” (S. Bonaventurae “Itinerarium mentis in Deum”, prol., 2).

L’approfondita riflessione su ciò che san Bonaventura scrisse nel luogo stesso dove lo aveva meditato, contribuirà a far meglio discernere, alla luce della fede, quali siano anche nell’epoca nostra i veri segni della presenza di Dio e delle sue intenzioni sulla vocazione integrale dell’uomo.

2. Una delle idee feconde dell’“Itinerarium” è la riflessione sul mistero dell’uomo, considerato nella luce del mistero del Verbo incarnato. A tale visione sono da ricondurre l’origine dell’uomo, la sua vita e la sua morte. Il pellegrinaggio sulla terra è per l’uomo un viaggio di ritorno, poiché la sua destinazione ultima è anche il suo primo inizio: “Da Cristo veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti” (Lumen Gentium, 3).

Il progresso dell’itinerario verso Dio è, pertanto, collegato alla ferma persuasione che il punto d’arrivo è già in qualche modo presente lungo il cammino che ad esso conduce. Tutto il mondo è pieno di luci divine, che promanano dall’atto creatore del Padre, secondo l’esemplarità del Verbo eterno, il quale era dal principio presso Dio ed era Dio, e venne in questo mondo per illuminare ogni uomo e tutto l’uomo (cf. Gv 1, 1. 9). Questi perciò - osserva il santo - sarebbe veramente cieco e sordo e muto, se non fosse illuminato dai tanti splendori delle cose create, se non sapesse ascoltare il concerto di tante voci e se davanti a tante meraviglie non lodasse il Signore (cf. S. Bonaventurae “Itinerarium mentis in Deum”, cap. I, 15).

3. In ordine a questa impostazione dell’opera è significativa una riflessione del Papa Paolo VI, che mi piace qui riproporre: “Itinerario: pare a noi di scoprire in questo stesso titolo un movimento dello spirito ricercatore, conforme al gusto inquieto e progrediente della cultura contemporanea, la quale, sì, si propone la ricerca, ma spesso lungo i sentieri del sapere speculativo della filosofia e della teologia, facilmente si stanca e si arresta a determinate stazioni, quasi fossero ultime o supreme, mentre l’itinerario, rivolto alla mèta che solo può compensare la fatica dell’aspro e lungo cammino, prosegue verso il termine sommo della divina verità la quale coincide con la divina realtà” (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 873). La verità e la realtà divina, oltre che essere il termine dell’itinerario dell’uomo, ne è anche la preparazione e la causa. L’accesso definitivo ad essa dopo la morte deve essere preceduto da un suo graduale compimento durante la vita. Il santo scrive che sulla Verna san Francesco, all’apparizione del serafico crocifisso, fece Pasqua con Cristo: compì, cioè, il suo passaggio in Dio, ed è questo un invito rivolto a tutti gli uomini spirituali perché facciano un tale passaggio (cf. S. Bonaventurae “Itinerarium mentis in Deum”, cap. VII, 2-3).

Per i discepoli del Signore ciò avviene principalmente ad opera degli elementi del pane e del vino, che nella santissima Eucaristia diventano il corpo e il sangue di Cristo per produrre in loro lo stesso passaggio. Il Concilio Vaticano II ci ripete in proposito le certezze di sempre della Chiesa: “Un viatico per il cammino il Signore ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede, nel quale gli elementi della natura coltivati dall’uomo vengono trasformati nel suo corpo e nel suo sangue glorioso”, la cui partecipazione “altro non opera se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo” (Gaudium et Spes, 38; Lumen Gentium, 26).

La nostra ascesa a Dio comporta questo decisivo recupero di interiorità, al vertice della compenetrazione del mistero dell’uomo col mistero di Cristo, che ci farà “abbandonare tutte le operazioni dell’intelletto e riversare in Dio la pienezza dell’amore” (S. Bonaventurae “Itinerarium mentis in Deum”, cap. VII, 4), per vivere ben radicati e fondati in Cristo e fortemente corroborati nella fede (cf. Col 2, 6 s)

4. A questo livello di alta spiritualità si è posto san Bonaventura, anche nello studio e nell’insegnamento della fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Ricordo al riguardo un notissimo testo che ricorre nel prologo dell’“Itinerarium” ed a cui fecero riferimento Paolo VI ed il Concilio Vaticano II, per indicare una norma da tener sempre presente, affinché non avvenga che la dottrina sacra “illumini la mente, ma non accenda la carità”: la dottrina cattolica della rivelazione dovrà diventare “alimento della vita spirituale” (cf. Insegnamenti di Paolo VI, II [1964] 172; Optatam Totius, 16).

Anch’io, all’inizio del mio ministero di successore di Pietro rivolgendomi al Consiglio internazionale per la catechesi, volli richiamare quelle stesse espressioni, sempre valide, con le quali il dottore serafico ammoniva gli insegnanti del suo tempo: “Nessuno pensi che possa bastargli la lettura senza la pietà, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, l’attenzione senza la gioia, l’attività senza la pietà, la scienza senza l’amore, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, l’indagine senza la sapienza ispirata da Dio” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 976). Ritengo che ciò possa costituire anche per i partecipanti a codesto Simposio un motivo ispiratore per una rinnovata e corroborante meditazione.

In questa vigilia del terzo millennio cristiano si leva da molte coscienze l’invocazione a Cristo, come a colui che solo ha parole di vita eterna (cf. Gv 6, 68), perché si riducano nel mondo i deserti della speranza, si riaccenda la certezza che soltanto la verità che viene da Dio può assicurare tutte le libertà degne dell’uomo.

A tal fine si richiede che l’annuncio del Vangelo sia insieme testimonianza vissuta e che colui che lo annuncia “sia interiormente infiammato dagli ardori dello Spirito Santo, inviato da Cristo sulla terra” (S. Bonaventurae “Itinerarium mentis in Deum”, cap. VII, 4).

Auspicando che lo Spirito Santo illumini con la sua luce beatificante la celebrazione di codesta riunione di studio, sono sicuro che ne scaturiranno preziose indicazioni e fervidi propositi non solo per le Famiglie francescane, che in san Bonaventura vedono il più insigne teologo dell’amore serafico e la guida sicura nella ricerca di Dio, ma anche per tutta la Chiesa, impegnata oggi più che mai nel ritrovare per l’uomo moderno le vie di un rinnovato e sicuro itinerario verso Dio.

Fratelli e figli carissimi, nella luce dell’anno mariano testé concluso, vi esorto a guardare anche alla Vergine Maria, madre di Dio e madre nostra, la quale in questo stesso itinerario resta un esempio impareggiabile da imitare, avendo fatto di tutta la sua vita una ininterrotta peregrinazione nella fede e nella contemplazione (cf. Redemptoris Mater, 13 ss).

Con questi sentimenti e pensieri vi imparto una speciale benedizione apostolica, estensibile a tutti i figli di san Francesco.

Dal Vaticano, l’8 settembre dell’anno 1988, decimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

 

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