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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE

 

Ai Membri della Pontificia Accademia delle Scienze
riuniti in Assemblea Plenaria

È con grande piacere che rivolgo un cordiale saluto a lei, Signor Presidente, e a voi tutti che costituite la Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Formulo in particolare i miei voti ai nuovi Accademici, venuti a prendere parte ai vostri lavori per la prima volta. Desidero anche ricordare gli Accademici defunti durante l’anno trascorso, che affido al Maestro della vita. 1. Nel celebrare il sessantesimo anniversario della rifondazione dell’Accademia, sono lieto di ricordare le intenzioni del mio predecessore Pio XI, che volle circondarsi di un gruppo scelto di studiosi affinché informassero la Santa Sede in tutta libertà degli sviluppi della ricerca scientifica e l’aiutassero anche nelle sue riflessioni.

A quanti egli amava chiamare il Senatus scientificus della Chiesa domandò di servire la verità. È lo stesso invito che io vi rinnovo oggi, con la certezza che noi tutti potremo trarre profitto dalla “fecondità di un dialogo fiducioso fra la Chiesa e la scienza” (Giovanni Paolo II, Discorso all’Accademia delle Scienze, 28 ottobre 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 2 (1986) 1274 ss.).

2. Sono lieto del primo tema che avete scelto, quello dell’origine della vita e dell’evoluzione, un tema fondamentale che interessa vivamente la Chiesa, in quanto la Rivelazione contiene, da parte sua, insegnamenti concernenti la natura e le origini dell’uomo. In che modo s’incontrano le conclusioni alle quali sono giunte le diverse discipline scientifiche e quelle contenute nel messaggio della Rivelazione? Se, a prima vista, può sembrare che vi siano opposizioni, in quale direzione bisogna muoversi per risolverle? Noi sappiamo in effetti che la verità non può contraddire la verità (cf. Leone XIII, Providentissimus Deus). Inoltre, per chiarire meglio la verità storica, le vostre ricerche sui rapporti della Chiesa con la scienza fra il XVI e il XVIII secolo rivestono grande importanza.

Nel corso di questa sessione plenaria, voi conducete una “riflessione sulla scienza agli albori del terzo millennio” e iniziate individuando i principali problemi generati dalle scienze, che hanno un’incidenza sul futuro dell’umanità. Attraverso il vostro cammino, voi costellate le vie di soluzioni che saranno benefiche per tutta la comunità umana. Nell’ambito della natura inanimata e animata, l’evoluzione della scienza e delle sue applicazioni fa sorgere interrogativi nuovi. La Chiesa potrà comprenderne ancora meglio l’importanza se ne conoscerà gli aspetti essenziali. In tal modo, conformemente alla sua missione specifica, essa potrà offrire criteri per discernere i comportamenti morali ai quali l’uomo è chiamato in vista della sua salvezza integrale.

3. Prima di proporvi qualche riflessione più specifica sul tema dell’origine della vita e dell’evoluzione, desidero ricordare che il Magistero della Chiesa si è già pronunciato su questi temi, nell’ambito della propria competenza. Citerò qui due interventi.

Nella sua Enciclica Humani Generis il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cf. (Pio XII, Humani Generis,1950: AAS 42 [1950] 575-576)

Da parte mia, nel ricevere il 31 ottobre 1992 i partecipanti all’Assemblea plenaria della vostra Accademia, ho avuto l’occasione, a proposito di Galileo, di richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’interpretazione corretta della parola ispirata, di una ermeneutica rigorosa. Occorre definire bene il senso proprio della Scrittura, scartando le interpretazioni indotte che le fanno dire ciò che non è nelle sue intenzioni dire. Per delimitare bene il campo del loro oggetto di studio, l’esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura (cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Accademia delle Scienze, 31 ott. 1992: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 2 (1992) 456 ss.; Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, 23 aprile 1993: l.c. XVI, 1 (1993) 964 ss.; che annunciava il documento su l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa).

4. Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate. Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò.

Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.

Qual è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia. Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata.

Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura.

A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia.

5. Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 28-29).La Costituzione conciliare Gaudium et spes ha magnificamente esposto questa dottrina, che è uno degli assi del pensiero cristiano. Essa ha ricordato che l’uomo è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso” (Gaudium et Spes, n. 24). In altri termini, l’individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società; egli ha valore per se stesso. È una persona. Grazie alla sua intelligenza e alla sua volontà, è capace di entrare in rapporto di comunione, di solidarietà e di dono di sé con i suoi simili. San Tommaso osserva che la somiglianza dell’uomo con Dio risiede soprattutto nella sua intelligenza speculativa, in quanto il suo rapporto con l’oggetto della sua conoscenza è simile al rapporto che Dio intrattiene con la sua opera (Sant'Agostino, Summa theologiae, I-II, q. 3, a. 5, ad 1). L’uomo è inoltre chiamato a entrare in un rapporto di conoscenza e di amore con Dio stesso, rapporto che avrà il suo pieno sviluppo al di là del tempo, nell’eternità. Nel mistero di Cristo risorto ci vengono rivelate tutta la profondità e tutta la grandezza di questa vocazione (cf. Gaudium et spes, 22). È in virtù della sua anima spirituale che la persona possiede, anche nel corpo, una tale dignità. Pio XII aveva sottolineato questo punto essenziale: se il corpo umano ha la sua origine nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio “animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet” (Pio XII, Humani Generis, AAS 42 [1950] 575).

Di conseguenza, le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona.

6. Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale, una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore.

7. Nel concludere, desidero ricordare una verità evangelica che potrebbe illuminare con una luce superiore l’orizzonte delle vostre ricerche sulle origini e sullo sviluppo della materia vivente. La Bibbia, in effetti, contiene uno straordinario messaggio di vita. Caratterizzando le forme più alte dell’esistenza, essa ci offre infatti una visione di saggezza sulla vita. Questa visione mi ha guidato nell’Enciclica che ho dedicato al rispetto della vita umana e che ho intitolato precisamente Evangelium vitae.

È significativo il fatto che, nel Vangelo di san Giovanni, la vita designi la luce divina che Cristo ci trasmette. Noi siamo chiamati ad entrare nella vita eterna, ossia nell’eternità della beatitudine divina.

Per metterci in guardia contro le grandi tentazioni che ci assediano, nostro Signore cita le parole del Deuteronomio: “l’uomo non vive soltanto di pane, ma . . . vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8, 3; Mt 4, 4).

La vita è uno dei più bei titoli che la Bibbia ha riconosciuto a Dio. Egli è il Dio vivente.

Di tutto cuore invoco su voi tutti e su quanti vi sono vicini l’abbondanza delle Benedizioni divine.

Dal Vaticano, 22 ottobre 1996.

GIOVANNI PAOLO PP. II



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