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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
IN PREPARAZIONE
ALLA VI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. La celebrazione della prossima Giornata Mondiale del Malato, l'11 febbraio 1998, si terrà presso il Santuario di Loreto. Il luogo prescelto, ricordando il momento in cui il Verbo si è fatto carne nel grembo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, invita a fissare lo sguardo sul mistero dell'Incarnazione.

Nei miei ripetuti pellegrinaggi a questo "primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e, per diversi secoli, vero cuore mariano della cristianità" (Giovanni Paolo II, Lettera a Mons. Pasquale Macchi, Delegato Pontificio per il Santuario di Loreto, 15 agosto 1993: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 2 (1993) 526), ho sempre sentito la particolare vicinanza dei malati, che qui accorrono numerosi e fidenti. "Dove potrebbero essi, del resto, essere accolti meglio, se non nella casa di Colei che proprio le «litanie lauretane» ci fanno invocare come «salute degli infermi», e «consolatrice degli afflitti»?" (Ibid.).

La scelta di Loreto, pertanto, ben s'armonizza con la lunga tradizione di attenzione amorosa della Chiesa verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito. Essa non mancherà di ravvivare la preghiera che i fedeli, fidando nell'intercessione di Maria, innalzano al Signore per gli ammalati. L'importante appuntamento offre, inoltre, alla Comunità ecclesiale l'opportunità di sostare in devoto raccoglimento davanti alla Santa Casa, icona di un evento e di un mistero fondamentale come l'Incarnazione del Verbo, per accogliere la luce e la forza dello Spirito che trasforma il cuore dell'uomo in una dimora di speranza.

2. "E il Verbo si è fatto carne" (Gv 1, 14). Nel Santuario di Loreto, più che altrove, è possibile avvertire il senso profondo di queste parole dell'evangelista Giovanni. Tra le mura della Santa Casa con forza particolare Gesù Cristo, "il Dio con noi", ci parla dell'amore del Padre (cfr Gv 3, 16), che nell'Incarnazione redentiva ha trovato la sua più alta manifestazione. Dio alla ricerca dell'uomo è diventato uomo Egli stesso, gettando un ponte tra la trascendenza divina e la condizione umana. "Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso... facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2, 6-8). Cristo non è venuto per togliere le nostre pene, ma per condividerle e, assumendole, conferire ad esse valore salvifico: divenendo partecipe della condizione umana, con i suoi limiti e i suoi dolori, Egli l'ha redenta. La salvezza da lui compiuta, già prefigurata nelle guarigioni dei malati, apre orizzonti di speranza a quanti si trovano nella difficile stagione della sofferenza.

3. "Per opera dello Spirito Santo". Il mistero dell'Incarnazione è opera dello Spirito, che nella Trinità è "la Persona-amore, il dono increato . . . fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia" (Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 50). A Lui è dedicato il 1998, secondo anno di preparazione immediata al Giubileo del Duemila.

Effuso nei nostri cuori, lo Spirito Santo ci fa avvertire in maniera ineffabile il "Dio vicino", rivelatoci da Cristo: "E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre" (Gal 4, 6). Egli è il vero custode della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che "possiedono le primizie dello Spirito" ed "aspettano la redenzione del loro corpo" (cfr Rm 8, 23). Nel cuore dell'uomo lo Spirito Santo diventa - come proclama la Sequenza liturgica della Solennità di Pentecoste - vero "padre dei poveri, datore dei doni, luce dei cuori"; diventa "dolce ospite dell'anima" che porta "riposo" nella fatica, "riparo" nella "calura" del giorno, "conforto" in mezzo alle inquietudini, alle lotte e ai pericoli di ogni epoca. E' lo Spirito che dà al cuore umano la forza di affrontare le situazioni difficili e di superarle.

4. "Nel grembo di Maria Vergine". Contemplando le mura della Santa Casa, pare di sentir risuonare ancora le parole con le quali la Madre del Signore ha dato il suo assenso e la sua cooperazione al progetto salvifico di Dio: ecce, l'abbandono generoso; fiat, la sottomissione confidente. Divenuta pura capacità di Dio, Maria ha fatto della propria vita una costante cooperazione all'opera salvifica compiuta dal suo Figlio Gesù.

In questo secondo anno di preparazione al Giubileo, Maria deve essere contemplata e imitata "soprattutto come la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell'ascolto, donna di speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio «sperando contro ogni speranza» (Rm 4, 18)" (Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 48). Dichiarandosi serva del Signore, Maria sa di mettersi anche al servizio del suo amore verso gli uomini. Col suo esempio Ella aiuta a comprendere che l'accettazione incondizionata della sovranità di Dio pone l'uomo in atteggiamento di completa disponibilità. In tal modo, la Vergine diventa l'icona dell'attenzione vigile e della compassione verso chi soffre. Significativamente, dopo aver accolto con generosità il messaggio dell'Angelo, Ella si reca in fretta a servire Elisabetta. Più tardi coglierà nella situazione imbarazzante degli sposi a Cana di Galilea l'appello ad intervenire in loro aiuto, divenendo così riflesso eloquente dell'amore provvido di Dio. Il servizio della Vergine troverà la manifestazione massima nella partecipazione alla sofferenza e alla morte del Figlio quando, ai piedi della croce, accoglierà la missione di Madre della Chiesa.

Guardando a Lei, Salute degli infermi, molti cristiani nel corso dei secoli hanno imparato a rivestire di tenerezza materna la loro assistenza ai malati.

5. La contemplazione del mistero dell'Incarnazione, evocato con tanta immediatezza dalla Casa di Loreto, ravviva la fede nell'opera salvifica di Dio, che in Cristo ha liberato l'uomo dal peccato e dalla morte e ne ha aperto il cuore alla speranza dei cieli nuovi e della terra nuova (cfr 2 Pt 3, 13). In un mondo lacerato da sofferenze, contraddizioni, egoismi e violenze, il credente vive nella consapevolezza che "tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm 8, 22) e s'assume l'impegno di essere, con la parola e con la vita, un testimone del Cristo risuscitato.

Per tale motivo, nell'Esortazione Apostolica Tertio millennio adveniente ho invitato i credenti a valorizzare "i segni di speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi", e a riservare particolare attenzione ai "progressi realizzati dalla scienza, dalla tecnica e soprattutto dalla medicina a servizio della vita umana" (n. 46). Tuttavia, i successi ottenuti nel debellare le malattie ed alleviare le sofferenze non possono far dimenticare le tante situazioni in cui sono misconosciute e calpestate la centralità e la dignità della persona umana, come accade quando la Sanità è considerata in termini di lucro e non di servizio solidale, quando la famiglia è lasciata sola davanti ai problemi della salute o quando le fasce più deboli della società sono costrette a sopportare le conseguenze di ingiuste disattenzioni e discriminazioni.

In occasione di questa Giornata Mondiale del Malato desidero esortare la Comunità ecclesiale a rinnovare l'impegno volto a trasformare l'umana società in una "casa di speranza", in collaborazione con tutti i credenti e gli uomini di buona volontà.

6. Tale impegno richiede che la Comunità ecclesiale viva la comunione: soltanto dove uomini e donne, attraverso l'ascolto della Parola, la preghiera e la celebrazione dei sacramenti, diventano "un cuor solo e un'anima sola", si sviluppano la solidarietà fraterna e la condivisione dei beni e si realizza quanto ricorda san Paolo ai cristiani di Corinto: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor 12, 26).

Mentre si prepara al Grande Giubileo del 2000, la Chiesa è chiamata ad intensificare gli sforzi per tradurre in progetti concreti la comunione suggerita dalle parole dell'Apostolo. Le diocesi, le parrocchie e tutte le Comunità ecclesiali si impegnino a presentare i temi della salute e della malattia alla luce del Vangelo; incoraggino la promozione e la difesa della vita e della dignità della persona umana, dal concepimento fino al suo termine naturale; rendano concreta e visibile l'opzione preferenziale per i poveri e gli emarginati; tra questi, circondino di amorevole attenzione le vittime delle nuove malattie sociali, i disabili, i malati cronici, i morenti e quanti dai disordini politici e sociali sono costretti a lasciare la loro terra e a vivere in condizioni precarie o addirittura disumane.

Comunità che sanno vivere l'autentica diaconia evangelica, vedendo nel povero e nel malato "il loro Signore e Padrone", costituiscono un annuncio coraggioso della risurrezione e contribuiscono a rinnovare efficacemente la speranza "nell'avvento definitivo del Regno di Dio".

7. Cari ammalati, nella Comunità ecclesiale è riservato a voi un posto speciale. La condizione di sofferenza in cui vivete e il desiderio di ricuperare la salute vi rendono particolarmente sensibili al valore della speranza. Affido all'intercessione di Maria la vostra aspirazione al benessere del corpo e dello spirito e vi esorto ad illuminarla ed elevarla con la virtù teologale della speranza, dono di Cristo.

Essa vi aiuterà a dare un significato nuovo al soffrire, trasformandolo in via di salvezza, in occasione di evangelizzazione e di redenzione. Infatti, "il soffrire può avere anche un significato positivo per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa" (Christifideles Laici, 54; cfr Salvifici doloris, 23). Modellata su quella di Cristo e abitata dallo Spirito Santo, la vostra esperienza del dolore proclamerà la forza vittoriosa della Risurrezione.

8. La contemplazione della Santa Casa ci porta naturalmente a soffermarci sulla Famiglia di Nazareth, dove non sono mancate le prove: in un inno liturgico essa viene detta "esperta del soffrire" (Breviario Romano, Ufficio delle Letture nella solennità della Sacra Famiglia). Tuttavia, quella "santa e dolce dimora" (Ibid.) era anche allietata dalla più limpida gioia.

Il mio augurio è che da quel focolare giunga ad ogni famiglia umana, ferita dalla sofferenza, il dono della serenità e della fiducia. Mentre invito la Comunità ecclesiale e civile a farsi carico delle difficili situazioni in cui si trovano molte famiglie sotto il peso imposto dalla malattia di un congiunto, ricordo che il comando del Signore di visitare gli infermi è rivolto innanzitutto ai familiari dell'ammalato. Compiuta in spirito di amorosa donazione di sé e sostenuta dalla fede, dalla preghiera e dai sacramenti, l'assistenza dei congiunti ammalati può trasformarsi in uno strumento terapeutico insostituibile per l'ammalato e divenire per tutti occasione della scoperta di preziosi valori umani e spirituali.

9. Rivolgo, in questo contesto, un particolare pensiero agli operatori sanitari e pastorali, professionisti e volontari, che vivono continuamente accanto alle necessità degli ammalati. Desidero esortarli ad avere sempre un alto concetto del compito loro affidato, senza lasciarsi mai sopraffare da difficoltà ed incomprensioni. Impegnarsi nel mondo sanitario non vuol dire soltanto combattere il male, ma soprattutto promuovere la qualità della vita umana. Il cristiano, poi, consapevole che "la gloria di Dio è l'uomo vivente", onora Dio nel corpo umano sia negli aspetti esaltanti della forza, della vitalità e della bellezza che in quelli della fragilità e del disfacimento. Sempre egli proclama il trascendente valore della persona umana, la cui dignità rimane intatta pur nell'esperienza del dolore, della malattia e dell'invecchiamento. Grazie alla fede nella vittoria di Cristo sulla morte, egli attende con fiducia il momento in cui il Signore "trasfigurerà il nostro corpo mortale per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose" (Fil 3, 21).

A differenza di quanti "non hanno speranza" (cfr 1 Ts 4, 13), il credente sa che la stagione del soffrire rappresenta un'occasione di vita nuova, di grazia e di risurrezione. Egli esprime questa certezza attraverso l'impegno terapeutico, la capacità di accoglienza e di accompagnamento, la partecipazione alla vita di Cristo comunicata nella preghiera e nei sacramenti. Prendersi cura del malato e del morente, aiutare l'uomo esteriore che si va disfacendo, perché l'uomo interiore si rinnovi di giorno in giorno (cfr 2 Cor 4, 16), non è forse cooperare a quel processo di risurrezione che il Signore ha immesso nella storia degli uomini con il mistero pasquale e che troverà pieno compimento alla fine dei tempi? Non è rendere ragione della speranza (cfr 1 Pt 3, 15) che ci è stata donata? In ogni lacrima asciugata vi è già un annunzio dei tempi ultimi, un anticipo della pienezza finale (cfr Ap 21, 4 e Is 25,  8).

Consapevole di ciò, la Comunità cristiana si adopera per l'assistenza ai malati e la promozione della qualità della vita, collaborando con tutti gli uomini di buona volontà. Essa realizza questa sua delicata missione al servizio dell'uomo sia nel confronto rispettoso e fermo con le forze che esprimono visioni morali differenti, sia con l'apporto fattivo alla legislazione sull'ambiente, il sostegno ad un'equa distribuzione delle risorse sanitarie, la promozione di una maggiore solidarietà tra popoli ricchi e poveri (cfr Tertio millennio adveniente, 46).

10. A Maria, Consolatrice degli afflitti, affido coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, insieme con gli operatori sanitari e quanti si dedicano generosamente all'assistenza degli infermi.

A Te, Vergine lauretana, fiduciosi volgiamo il nostro sguardo.

A Te, "vita, dolcezza, speranza nostra", chiediamo la grazia di saper attendere l'alba del terzo millennio con gli stessi sentimenti che vibravano nel tuo cuore, mentre attendevi la nascita del tuo Figlio Gesù.

La tua protezione ci liberi dal pessimismo, facendoci intravedere in mezzo alle ombre del nostro tempo le tracce luminose della presenza del Signore.

Alla tua tenerezza di madre affidiamo le lacrime, i sospiri e le speranze dei malati. Sulle loro ferite scenda benefico il balsamo della consolazione e della speranza. Unito a quello di Gesù, il loro dolore si trasformi in strumento di redenzione.

Il tuo esempio ci guidi a fare della nostra esistenza una continua lode all'amore di Dio. Rendici attenti ai bisogni degli altri, solleciti nel portare aiuto a chi soffre, capaci di accompagnare chi è solo, costruttori di speranza dove si consumano i drammi dell'uomo.

In ogni tappa gioiosa o triste del nostro cammino con affetto di madre mostraci il "tuo Figlio Gesù, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria".

Amen.

Dal Vaticano, 29 giugno 1997, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.



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