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LETTERA ENCICLICA
AD PETRI CATHEDRAM

DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PP. XXIII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE SONO IN PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
SULLA CONOSCENZA DELLA VERITÀ,
RESTAURAZIONE DELL'UNITA E DELLA PACE
NELLA CARITÀ (
1)

 

Sin da quando siamo stati elevati non per Nostro merito alla cattedra di san Pietro, sempre Ci torna di ammaestramento e di conforto il ricordo del cordoglio generale che si è manifestato nel mondo, in occasione della scomparsa del Nostro immediato predecessore. Altrettanto Ci accade, se ripensiamo allo spettacolo che Ci si è offerto dopo la Nostra ascesa al supremo pontificato, quando, con l’animo pieno di fiduciosa attesa, le moltitudini si sono rivolte verso la Nostra persona, non distolte da altri avvenimenti, né dalle loro gravi difficoltà e angustie. La chiesa cattolica non muore: è il vessillo innalzato sulle nazioni (cf. Is 11,12). Essa è sorgente di viva luce e di soave amore per tutti i popoli.

A ciò si aggiungono altri motivi di consolazione. Intendiamo riferirci sia ai vasti consensi con cui è stato accolto l’annuncio del concilio ecumenico, del sinodo diocesano di Roma, dell’aggiornamento del Codice di diritto canonico e della prossima promulgazione del Codice per la chiesa di rito orientale; sia ancora alla speranza ovunque diffusa che questi avvenimenti possano felicemente condurre a una maggiore e più profonda conoscenza della verità, a un salutare incremento del costume cristiano e alla restaurazione dell’unità, della concordia, della pace.

Questi tre beni - la verità, l’unità e la pace - da conseguire e promuovere secondo lo spirito della carità cristiana, formeranno l’argomento di questa Nostra prima enciclica, sembrandoCi che, nel momento presente, questo sia particolarmente richiesto dal Nostro apostolico mandato. Lo Spirito Santo assista dall’alto Noi mentre scriviamo e voi quando leggerete. Docili agli impulsi della divina grazia, possano tutti conseguire il fine desiderato, nonostante i pregiudizi e le non poche difficoltà e ostacoli che vi si oppongono.

I

Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero. Di qui errori d’ogni genere, che penetrano negli animi e si infiltrano nelle strutture sociali, tutto sconvolgendo con grave rovina dei singoli e dell’umana convivenza. Eppure Dio ci ha dato una ragione capace di conoscere le verità naturali. Seguendo la ragione seguiamo Dio stesso, che ne è l’autore e insieme legislatore e guida della nostra vita; se invece o per insipienza o per infingardaggine o, peggio, per cattivo animo, deviamo dal retto uso della ragione, con ciò stesso ci allontaniamo dal sommo bene e dalla legge morale. Possiamo, certamente, attingere con la ragione le verità naturali, come si è detto; questa conoscenza però - soprattutto per quanto concerne la religione e la morale - non tutti possono facilmente conseguirla, e se la conseguono, ciò spesso avviene non senza mescolanza di errori. Le verità poi che trascendono la capacità naturale della ragione non possiamo in alcun modo raggiungerle senza l’aiuto di una luce soprannaturale. Per questo il Verbo di Dio, che «abita una luce inaccessibile» (1 Tm 6,16), per amore e compassione del genere umano, «si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv 1,14), per illuminare «ogni uomo che viene al mondo» (Gv 1,9) e condurre tutti non solo alla pienezza della verità, ma ancora alla virtù e all’eterna beatitudine. Tutti perciò sono tenuti ad abbracciare la dottrina dell’evangelo. Se la si rigetta, vengono messi in pericolo i fondamenti stessi della verità, dell’onestà e della civiltà.

Come è evidente, si tratta di una questione gravissima, inseparabilmente connessa con la nostra eterna salvezza. Coloro i quali, come dice l’apostolo delle genti, «stanno sempre a imparare senza mai giungere alla conoscenza della verità» (2 Tm 3,7), e negano all’umana ragione la possibilità di arrivare a qualsivoglia verità certa e sicura e ripudiano anche le verità da Dio rivelate, necessarie per l’eterna salvezza: questi infelici sono ben lontani dall’insegnamento di Gesù Cristo e dal pensiero dello stesso apostolo delle genti, il quale esorta ad «arrivare tutti insieme all’unità della fede e alla piena conoscenza del Figlio di Dio... Allora non saremo più fanciulli sbalzati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, tra i raggiri degli uomini e la loro scaltrezza a inoculare l’errore. Ma, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo. È in virtù sua che il corpo tutto intero, grazie ai vari legami che gli danno coesione e unità, cresce mediante l’attività propria di ciascuno dei suoi organi e si costruisce nella carità» (Ef 4,13-16).

Coloro poi che, con ardire temerario, impugnano di proposito la verità conosciuta, e parlando, scrivendo, operando, usano le armi della menzogna per attirarsi il favore del popolo semplice e per plasmare a loro modo l’animo dei giovani, ignaro e molle come cera, quale abuso non commettono, quale opera riprovevole non compiono essi mai!

Non possiamo qui fare a meno di esortare a presentare la verità con diligenza, cautela e prudenza, tutti quelli specialmente che attraverso libri, riviste e giornali, di cui oggi c’è tanta abbondanza, esercitano così grande influsso sull’animo dei lettori, dei giovani soprattutto, e sulla formazione delle loro opinioni e dei loro costumi. Essi hanno il dovere gravissimo non già di propagare la menzogna, l’errore, l’oscenità, non ciò che è di incentivo ai vizi, bensì soltanto il vero, e tutto quello che è di sprone al bene e alla virtù.

Con grande tristezza vediamo verificarsi anche oggi quello che già deplorava il Nostro predecessore di f.m. Leone XIII, «serpeggiare, cioè, audacemente la menzogna... in grossi volumi e piccoli libri, nelle pagine svolazzanti dei giornali e con la pubblicità teatrale»; (2) e vediamo altresì con grande tristezza «libri e giornali che si stampano per irridere la virtù e coonestare il vizio». (3)

Oggi poi c’è da aggiungere a tutto questo, come voi ben sapete, venerabili fratelli e diletti figli, la radio, il cinema e la televisione, i cui spettacoli possono essere seguiti fra le pareti stesse domestiche. Da tali mezzi può bensì derivare un invito e un incitamento al bene e all’onestà e anche alla pratica cristiana delle virtù. Purtroppo, invece, e specialmente in mezzo ai giovani, essi servono non di rado di incentivo al malcostume, alla corruzione, all’inganno dell’errore e ad una vita viziosa. Per neutralizzare quindi, con ogni cura e diligenza, il cattivo influsso di questi mezzi pericolosi che si va sempre più diffondendo, bisogna fare ricorso alle armi della verità e dell’onestà. Alla stampa cattiva e menzognera bisogna contrapporre quella buona e verace. Alle trasmissioni della radio e agli spettacoli cinematografici e televisivi, fatti strumento di errori e di corruzione, bisogna contrapporne altri a difesa della verità e del buon costume. In tal modo queste recenti invenzioni, che purtroppo tanto possono come allettamento al male, potranno diventare per l’uomo strumenti di bene e insieme mezzo di onesto svago, e verrà il rimedio dalla stessa fonte donde spesso promana il veleno.

Non mancano poi quelli che, pur non impugnando di proposito la verità, si mostrano tuttavia a suo riguardo oltremodo incuranti e indifferenti, come se Dio non ci avesse dato la ragione per cercarla e raggiungerla. Tale riprovevole modo di agire conduce, quasi per un processo spontaneo, a questa assurda affermazione che tutte le religioni si equivalgono, senza alcuna differenza tra il vero e il falso. «Questo principio - per usare le parole del medesimo Nostro predecessore - porta necessariamente alla rovina di tutte le religioni, specialmente di quella cattolica, la quale, essendo la sola vera fra tutte, non può senza somma offesa venire messa sullo stesso piano delle altre». (4) Il negare qualsiasi differenza tra cose tanto contraddittorie, può condurre poi a questa rovinosa conclusione, che non si ammette più alcuna religione né in teoria né in pratica. Come potrebbe Dio, che è verità per essenza, approvare o tollerare la trascuratezza, la negligenza, l’insipienza di coloro che, allorquando si tratta di questioni da cui dipende l’eterna salute di tutti, non ne tengono conto alcuno, né si curano affatto di cercare e trovare le verità necessarie e di tributare a lui stesso il culto dovuto?

Oggi tanto ci si affatica e tanta diligenza si pone nello studio e nel progresso dell’umano sapere, e la nostra epoca può ben gloriarsi delle mirabili conquiste raggiunte nella ricerca scientifica. Perché dunque non dovrebbe usarsi uguale impegno, anzi maggiore, per il sicuro acquisto di quel sapere che riguarda non già questa vita terrena e caduca, ma la celeste che mai verrà meno? Allora soltanto, quando avremo raggiunto la verità che scaturisce dall’evangelo e che deve tradursi nella pratica della vita, allora soltanto il nostro animo potrà godere il tranquillo possesso della pace e della gioia; gioia immensamente al di sopra di quella che può provenire dalle scoperte della scienza e da quelle meravigliose odierne invenzioni che giustamente vengono ogni giorno esaltate e portate, per così dire, alle stelle.

II

Dal conseguimento della verità, piena, integra, sincera, deve necessariamente scaturire l’unione delle menti, degli animi e delle azioni. Infatti ogni contrasto e disaccordo trova la sua prima causa nel fatto che la verità o non è conosciuta o, peggio ancora, quantunque conosciuta, viene impugnata per i vantaggi che spesso si spera di ricavare da false opinioni, ovvero per quella biasimevole cecità che spinge gli uomini a giustificare i loro vizi e le cattive azioni.

È dunque necessario che tutti, sia i privati cittadini, sia coloro che hanno in mano le sorti dei popoli, amino sinceramente la verità se vogliono godere quella concordia e quella pace, dalle quali soltanto può derivare la vera prosperità pubblica e privata.

In modo particolare esortiamo a siffatta concordia e pace i supremi reggitori delle nazioni. Posti al di sopra delle contese fra gli stati, Noi che abbracciamo tutti i popoli con pari carità e non siamo mossi da nessun intento di dominazione politica e da nessun desiderio di beni terrestri, nel parlare di un argomento così estremamente importante, crediamo di poter essere serenamente giudicati e ascoltati dagli uomini di ogni nazione.

Dio ha creato gli uomini non nemici, ma fratelli. Ha dato loro la terra da coltivare con il lavoro e la fatica, perché tutti ne godano i frutti e ne traggano il necessario per il sostentamento e i bisogni della vita. Le diverse nazioni altro non sono che comunità di uomini, cioè di fratelli, che devono tendere in unione fraterna, non solo al fine proprio di ciascuna, ma altresì al bene comune dell’intero consorzio umano.

Del resto il corso di questa vita mortale non deve essere considerato soltanto in se stesso o come avente finalità puramente edonistiche. Esso, se conduce al dissolvimento del corpo dell’uomo, prepara e avvia altresì alla vita immortale, alla patria dove vivremo in eterno.

Tolta dall’animo dell’uomo questa dottrina, questa consolante speranza, crollano tutte le ragioni della vita. Insorgono negli animi, fatalmente, le passioni, le lotte e le discordie, che nessun freno potrà efficacemente contenere. Non splende più l’olivo della pace, ma divampa la fiamma della discordia. La sorte dell’uomo diviene quasi simile a quella degli esseri privi di intelletto; anzi - e ciò è ancora peggio - abusando della ragione egli può precipitare negli abissi del male, cosa che purtroppo spesso avviene, e giungere, come già Caino, a macchiare la terra di sangue fraterno e di delitti.

Se si vuole quindi - e chi non dovrebbe volerlo? - ricondurre le umane azioni nel sentiero della giustizia è necessario anzitutto richiamare la ragione e l’animo a questi retti principi.

Se ci diciamo e siamo fratelli, se siamo chiamati ad una medesima sorte nella vita presente e nella futura, come è mai possibile che alcuno tratti gli altri da avversari e da nemici? Perché invidiare gli altri, suscitare odio e rivolgere armi micidiali contro i fratelli? Abbastanza si è combattuto fra gli uomini. Troppi giovani nel fiore dell’età hanno versato il loro sangue. Già troppi cimiteri di caduti in guerra esistono, e ci ammoniscono, con voce severa, a raggiungere una buona volta la concordia, l’unità, una giusta pace.

Pensi quindi ognuno, non a ciò che divide gli animi, ma a ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima.

Soltanto se si cerca veramente la pace e non la guerra, come è doveroso, se si tende con comune e sincero sforzo alla fraterna concordia tra i popoli, soltanto allora, diciamo, sarà possibile armonizzare gli interessi e comporre felicemente tutte le divergenze. E si potrà così addivenire di comune intesa e con mezzi opportuni a quella sospirata e concorde unione per cui i diritti di ogni singolo stato alla libertà, lungi dal venire conculcati da altri, sono invece del tutto posti al sicuro. Coloro infatti che opprimono gli altri e li spogliano della loro libertà, non possono certamente apportare il loro contributo a questa unità. E qui si presenta quanto mai opportuna l’affermazione del Nostro predecessore di f.m. Leone XIII: «Per frenare l’ambizione, la cupidigia dei beni altrui, la rivalità, che sono i più validi incentivi alla guerra, nulla val meglio delle virtù cristiane, della giustizia in primo luogo». (5)

Del resto, se le nazioni non arriveranno a questa unione fraterna, fondata necessariamente sulla giustizia e alimentata dalla carità, la situazione mondiale rimarrà assai grave. Gli uomini sensati deplorano perciò giustamente una situazione così incerta, che lascia in dubbio se ci si avvii verso una pace solida e vera, oppure si corra con estrema cecità verso una nuova spaventosa guerra. Con estrema cecità, abbiamo detto; se infatti - Dio non voglia! - dovesse scoppiare una nuova guerra, tale è la potenza delle armi mostruose dei nostri giorni che non rimarrebbe altro per tutti i popoli - vincitori e vinti - fuorché immensa strage e universale rovina.

Perciò supplichiamo tutti, ma specialmente i reggitori degli stati, di meditare su ciò attentamente davanti a Dio giudice, e di adoperare coraggiosamente ogni mezzo che possa condurre alla necessaria unione. Questa unità di intenti che, come abbiamo detto, conferirà senza dubbio ad accrescere anche la prosperità di tutti i popoli, potrà essere restaurata allora soltanto quando, pacificati gli animi e salvaguardati i diritti di ognuno, risplenderà dovunque la libertà dovuta ai cittadini, alle nazioni, agli stati, alla chiesa.

È inoltre assolutamente necessario restaurare anche fra le varie classi sociali la stessa concordia che si desidera fra i popoli e le nazioni. Se ciò non avverrà, si avranno, come già si vedono, vicendevoli odi e discordie, donde potranno nascere tumulti, dannosi rivolgimenti e talvolta anche eccidi, cui si aggiungerebbe il progressivo estenuarsi della ricchezza e la crisi della pubblica e privata economia. Già il Nostro predecessore sopra menzionato giustamente osservava: «Dio volle che nella comunità dell’umano consorzio vi fosse disparità di classi, ma insieme amichevoli rapporti di equità tra le medesime». (6) Infatti «come nel corpo le varie membra si accordano insieme e formano quell’armonico temperamento che si chiama simmetria, allo stesso modo la natura esige che nella civile convivenza... le classi si integrino vicendevolmente e portino, collaborando fra di loro, a un giusto equilibrio. Ognuna ha bisogno dell’altra: non può stare il capitale senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia produce la bellezza e l’ordine delle cose». (7) Chi osa quindi negare la disparità delle classi sociali, contraddice all’ordine stesso di natura. Chi poi avversa questa amichevole e inderogabile cooperazione tra le classi stesse, tende senza dubbio a sconvolgere e a dividere l’umana società, con grave turbamento e danno del bene pubblico e privato. Del resto, osservava sapientemente il Nostro predecessore Pio XII di f.m.: «In un popolo degno di questo nome tutte le disuguaglianze che non derivano dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, disuguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale, senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e carità reciproche, non sono affatto un ostacolo all’esistenza e al predominio di un autentico spirito di comunità e di fraternità». (8) Possono bensì le singole classi e le varie categorie di cittadini tutelare i propri diritti, purché ciò si faccia legittimamente e non con la violenza, senza invadere gli altrui diritti, anch’essi inderogabili. Tutti sono fratelli; pertanto tutte le questioni devono comporsi amichevolmente con mutua fraterna carità.

È doveroso riconoscere, e ciò è di buon auspicio, che, da qualche tempo, si assiste in molte parti ad una situazione meno tesa fra le varie categorie sociali, come già osservava il Nostro immediato predecessore parlando ai cattolici di Germania: «La tremenda catastrofe che si è abbattuta su di voi, ha arrecato il beneficio che in cospicui ceti, fattisi liberi da pregiudizi e dall’egoismo dei gruppi, i contrasti delle classi sono in gran parte appianati, e gli uomini si sono maggiormente avvicinati gli uni agli altri. La miseria comune fu ed è un’amara, ma salutare, maestra di disciplina». (9)

In realtà oggi sono alquanto attenuate le distanze fra le classi, le quali non possono più ridursi a un dualismo di blocchi contrapposti fondato esclusivamente sul rapporto capitale e lavoro. Si delinea invece una sempre maggiore molteplicità di gruppi e, in seno ai gruppi stessi, una crescente apertura, per cui i più preparati e i più idonei hanno la possibilità di accedere anche alle posizioni più elevate. Per quanto poi riguarda più direttamente il mondo del lavoro, è consolante pensare a quei movimenti sorti recentemente, che intendono ricomporre le relazioni umane nell’ambito dell’impresa su un piano più elevato di quello economico.

Molto cammino però resta da percorrere. Giacché esistono ancora troppe sperequazioni, troppi motivi di attrito tra settore e settore, a causa talora anche di una concezione imperfetta o non giusta del diritto di proprietà, dovuta alle tenaci resistenze dell’egoismo e dell’individualismo. A ciò si aggiunge il doloroso fenomeno della disoccupazione, per cui molti sono oppressi da gravi angustie, fenomeno che, almeno momentaneamente, i rapidi progressi della tecnica moderna nel campo della produzione, potrebbero ancor più aggravare. Argomento questo, che faceva dire con rammarico al Nostro predecessore Pio XI di f.m.: «Vediamo forzati all’inerzia e poi ridotti all’indigenza anche estrema con le loro famiglie tanti e tanti onesti e volonterosi lavoratori, di null’altro più desiderosi che di guadagnarsi onestamente, con il sudore della fronte, secondo il mandato divino, il pane quotidiano che invocano ogni giorno dal Padre celeste. I loro gemiti commuovono il Nostro cuore paterno e Ci fanno ripetere, con la medesima tenerezza di commiserazione, la parola uscita già dal cuore amorevolissimo del divino Maestro sopra la folla languente di fame: "Ho compassione di questo popolo" (Mc 8,2)». (10)

Se dunque si vuole e si cerca - e tutti debbono volerla e cercarla - la desiderata armonia tra le classi, unendo insieme gli sforzi pubblici e privati e aiutando le coraggiose iniziative, bisogna adoperarsi nel miglior modo possibile affinché tutti, anche quelli della più umile condizione, possano con il lavoro e il sudore della loro fronte procurarsi il necessario per vivere e provvedere sicuramente e onestamente all’avvenire per sé e per i propri cari. Tanto più che ai giorni nostri si vanno ormai diffondendo parecchie confortevoli condizioni di vita, dalle quali non è lecito escludere le categorie meno abbienti.

Vivamente esortiamo poi tutti coloro sui quali gravano le maggiori responsabilità in seno all’impresa, e da cui qualche volta dipende anche la vita degli operai, a non valutare il lavoratore soltanto dal punto di vista economico, a non limitarsi al riconoscimento dei suoi diritti, in ordine alla giusta mercede, ma a rispettare altresì la dignità della sua persona e a considerarlo anzi come fratello. Si adoperino inoltre affinché gli operai, partecipando sempre più in congrua misura ai frutti dell’impresa, si sentano non estranei ad essa, ma cointeressati alla sua vita e ai suoi sviluppi. Questo diciamo, spinti dal desiderio che si attui una sempre maggiore armonia fra i vicendevoli diritti e doveri delle categorie che compongono il mondo del lavoro, e affinché le relative organizzazioni professionali «non siano intese come un’arma esclusivamente rivolta ad una guerra difensiva e offensiva, che provoca reazioni e rappresaglie, non come una fiumana che dilaga e divide, ma come un ponte che unisce». (11)

Soprattutto però si deve provvedere perché ai felici sviluppi raggiunti sul piano economico corrisponda un non minore progresso nel campo dei valori spirituali, come è richiesto dalla dignità stessa dei cristiani, anzi dalla stessa dignità di uomini. Che gioverebbe infatti al lavoratore conseguire miglioramenti economici in misura sempre più larga e raggiungere un tenore di vita più elevato, se malauguratamente avesse a perdere o a trascurare i superiori beni dello spirito? Le prospettive a cui si mira potranno realizzarsi soltanto con la piena attuazione della dottrina sociale della chiesa, e se tutti «procureranno di alimentare in sé e accendere negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. Poiché la desiderata salvezza deve essere principalmente frutto di una grande effusione di carità; quella carità cristiana che compendia in sé tutto l’evangelo, e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo, e di cui san Paolo tratteggiò i divini lineamenti con quelle parole: "La carità è longanime, è benigna, non ricerca il proprio tornaconto, tutto soffre, tutto sopporta"» (1 Cor 13,4-7). (12)

Infine alla stessa concordia alla quale abbiamo invitato i popoli, i loro capi, le classi sociali, invitiamo pure, con animo paterno, tutte le famiglie, perché la cerchino e la consolidino. Se infatti non c’è pace, unità e concordia nelle famiglie, come potrà aversi nella società civile? Questa ordinata e armonica unione che deve sempre regnare tra le pareti domestiche nasce dal vincolo indissolubile e dalla santità propria del matrimonio cristiano, e coopera per tanta parte all’ordine, al progresso e al benessere dell’intera società civile. Il padre, capo della famiglia, abbia tra i suoi quasi la rappresentanza di Dio e preceda gli altri non solo con l’autorità, ma anche con l’esempio di una vita integra. La madre, con la gentilezza dell’animo e con le virtù domestiche, sia buona e affettuosa con il marito, e insieme con lui guidi con fortezza e soavità i figli, preziosissimo dono di Dio, e li educhi a una vita onesta e religiosa. I figli siano sempre obbedienti, come è doveroso, ai genitori, li amino, siano loro non solo di conforto ma, se necessario, anche di aiuto. Spiri tra le pareti domestiche quella carità di cui ardeva la sacra famiglia di Nazaret. Vi fioriscano tutte le virtù cristiane, domini l’unione dei cuori, e rifulga l’esempio di una vita onesta. Non sia mai - ne preghiamo ardentemente Dio - che venga turbata una così bella, soave e necessaria concordia; quando l’istituto cristiano della famiglia vacilla, quando vengono respinti o negletti i comandi del divino Redentore su questo punto, allora possono crollare i fondamenti stessi della civile convivenza, che vien posta in serio pericolo, con danni incalcolabili per tutti i cittadini.

III

E ora veniamo a trattare di quell’unità che Ci sta a cuore in modo particolarissimo, e che ha intima relazione con l’ufficio pastorale a Noi affidato da Dio, cioè dell’unità della chiesa.

Tutti sanno che il divino Redentore ha fondato una società che dovrà conservare la sua unità fino alla fine dei secoli: «Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli» (Mt 28,20). Per questo egli ha rivolto al Padre celeste una fervida preghiera, che, senza dubbio, è stata accettata ed esaudita per la sua deferenza alla volontà del Padre (cf. Eb 5,7) e che è questa: «Che tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me e io in te, così essi siano una sola cosa in noi» (Gv 17,21). Questa preghiera infonde in Noi e conferma la dolce speranza che finalmente tutte quelle pecorelle che non sono di questo ovile sentano il desiderio di farvi ritorno; di modo che, secondo la parola del divin Redentore, «si farà un solo ovile e un solo pastore» (Gv 10,16).

Vivamente animati da questa soave fiducia, abbiamo annunziato pubblicamente il proposito di convocare un concilio ecumenico, al quale parteciperanno sacri pastori da tutto l’orbe cattolico, per trattare gravi problemi riguardanti la religione. Scopo principale del concilio stesso sarà di promuovere l’incremento della fede cattolica, e un salutare rinnovamento dei costumi del popolo cristiano e di aggiornare la disciplina ecclesiastica secondo le necessità dei nostri tempi. Ciò senza dubbio costituirà un meraviglioso spettacolo di verità, di unità e di carità che, visto anche da coloro i quali sono separati da questa sede apostolica, sarà per essi un soave invito - lo speriamo - a cercare e a raggiungere quell’unità per la quale Gesù Cristo rivolse al Padre celeste così ardente preghiera.

Sappiamo bene che in questi ultimi tempi si è delineato presso non poche comunità, divise dalla sede apostolica, un qualche movimento di simpatia verso la fede e gli ordinamenti della chiesa cattolica e una crescente stima verso questa apostolica sede. L’amore della verità va finalmente dissipando talune opinioni e diffidenze. Sappiamo altresì che quasi tutti coloro, i quali, pur da Noi e tra di essi separati, si chiamano cristiani, hanno tenuto più volte congressi allo scopo di stringere relazioni tra loro, e a tal fine hanno anche creato appositi organismi. Ciò mostra che essi pure sono mossi dal desiderio di giungere a qualche forma di unione.

È fuori dubbio che il divin Redentore ha costituito la sua chiesa dotandola e corroborandola di solidissima unità; che se, per assurdo, non l’avesse fatto, avrebbe istituito qualcosa di caduco e mutevole nel tempo, a quella guisa che i vari sistemi filosofici abbandonati all’arbitrio delle varie opinioni degli uomini, con l’andar del tempo uno dopo l’altro sorgono, si trasformano e scompaiono. Non vi può quindi essere alcuno che non veda come tutto questo sia contrario al divino insegnamento di Gesù Cristo, che è «via, verità e vita» (Gv 14,6).

Siffatta unità, venerabili fratelli e diletti figli, che, come abbiamo detto, non deve essere qualcosa di evanescente, incerto e labile, ma di solido, stabile e sicuro, (13) se manca alle altre comunità di cristiani, non manca certo alla chiesa cattolica, come può facilmente vedere chi attentamente la osservi. Infatti questa unità si fregia di tre note distintive: l’unità di dottrina, di regime e di culto. Essa è tale da risultare visibile a tutti, sicché tutti la possono riconoscere e seguire. È tale inoltre che, secondo la volontà stessa del suo divin Fondatore, tutte le pecorelle ivi realmente possono riunirsi in un solo ovile sotto la guida di un solo pastore. E così all’unica casa paterna, stabilita sul fondamento di Pietro, sono chiamati tutti i figli, e in essa bisogna cercare di radunare fraternamente tutti i popoli come nell’unico regno di Dio, i cui cittadini, congiunti tra loro in terra nella concordia di mente e di animo, abbiano un giorno a godere l’eterna beatitudine in cielo.

La chiesa cattolica comanda di credere fedelmente e fermamente tutto ciò che è stato rivelato da Dio; quanto cioè si contiene nella sacra Scrittura e nella tradizione orale e scritta, e, nel decorso dei secoli, a cominciare dall’età apostolica, è stato sancito e definito dai sommi pontefici e dai legittimi concili ecumenici. Ogni volta che qualcuno si è allontanato da questo sentiero, la chiesa con la sua materna autorità non ha mai cessato di richiamarlo sulla retta via. Sa bene, infatti, e sostiene che vi è una sola verità e che non possono ammettersi «verità» in contrasto tra di loro. Fa sua quindi l’affermazione dell’apostolo delle genti: «Non abbiamo alcun potere contro la verità, ma solo a favore di essa» (2 Cor 13,8).

Vi sono tuttavia non pochi punti sui quali la chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto certe e in quanto anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry Newman, tali dispute non rompono l’unità della chiesa. Esse servono anzi a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi, poiché preparano e rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto delle varie sentenze scaturisce sempre nuova luce. (14) Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: nelle cose necessarie ci vuole l’unità, in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità.

Che ci sia poi nella chiesa cattolica l’unità di regime, ognuno lo vede. Come infatti i fedeli sono soggetti ai sacerdoti, e i sacerdoti ai vescovi «posti dallo Spirito Santo a reggere la chiesa di Dio» (At 20,28); così tutti e singoli i sacri pastori sono sottomessi al romano pontefice. Questi, infatti, deve essere ritenuto legittimo successore di quel Pietro, che Cristo Signore ha posto come pietra e fondamento della sua chiesa (cf. Mt 16,18) e al quale singolarmente diede la potestà di sciogliere e di legare in terra (cf. Mt 16,19), di confermare i suoi fratelli (cf. Lc 22,32) e di pascere l’intero gregge (cf. Gv 21,15-17).

Nessuno ignora poi che la chiesa cattolica, fin dal tempo degli apostoli, ha anche conservato una mirabile unità di culto, amministrando in tutto l’orbe cattolico, a nutrimento della vita spirituale dei fedeli, i sette sacramenti ricevuti in sacra eredità da Gesù Cristo. E neppure ignora che in essa si celebra un solo sacrificio, quello eucaristico, in cui Cristo stesso, nostro salvatore e redentore, in modo incruento ma reale, si immola ogni giorno per noi tutti ed effonde misericordiosamente su di noi gli infiniti tesori della sua grazia. Perciò ben a ragione san Cipriano affermava: «Non è lecito stabilire un altro altare e un nuovo sacerdozio all’infuori dell’unico altare e dell’unico sacerdozio». (15) Ciò non toglie, come ognuno sa, che nella chiesa cattolica esistano e siano approvati diversi riti, per i quali essa splende più bella, a guisa di figlia del sommo Re nella varietà dei suoi ornamenti (cf. Sal 44,15).

Ed è proprio durante la celebrazione del sacrificio eucaristico che il sacerdote cattolico prega fervidamente perché tutti arrivino a questa unità vera e concorde e offre l’ostia immacolata a Dio clementissimo supplicando anzitutto per la santa chiesa cattolica, e chiedendogli di «pacificarla, custodirla, adunarla e reggerla su tutta la terra: insieme con il nostro papa tuo servo e tutti coloro che, fedeli alla vera dottrina, sono i custodi della purezza della fede cattolica e apostolica». (16)

Questo meraviglioso spettacolo di unità che contraddistingue la chiesa cattolica e che è di esempio luminoso per tutti, le sue suppliche e preghiere onde ottenere da Dio per tutti la medesima unità, possano commuovere e scuotere salutarmente anche l’animo vostro, di voi, diciamo, che siete separati da questa sede apostolica.

Permettete che con ardente desiderio vi chiamiamo fratelli e figli. Lasciateci nutrire la speranza del vostro ritorno che coltiviamo con paterno affetto. A voi Ci rivolgiamo con la stessa sollecitudine pastorale e con le stesse parole con cui il vescovo di Alessandria Teofilo, mentre un doloroso scisma lacerava la veste inconsutile della chiesa, si rivolgeva ai suoi fratelli e figli: «Imitiamo, carissimi, partecipi tutti di una medesima vocazione celeste, ognuno secondo le proprie possibilità, imitiamo Gesù, guida e autore della nostra salvezza! Abbracciamo quell’unità che eleva l’animo e quella carità che ci congiunge a Dio, e crediamo fermamente nei divini misteri! Fuggite ogni divisione, evitate la discordia... sostenetevi con vicendevole carità... ascoltate la parola di Cristo: da ciò conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete l’un l’altro». (17)

Considerate che il Nostro amoroso invito all’unità della chiesa non vi chiama in casa forestiera, ma nella propria e comune casa paterna. Permetteteci perciò questa esortazione, fatta a voi tutti «con la tenerezza di Gesù Cristo» (Fil 1,8). Ricordatevi dei vostri padri, «che vi hanno detta la parola di Dio; e considerando quale fu il termine della loro vita, imitatene la fede» (Eb 13,7). La gloriosa schiera dei santi che ognuna delle vostre genti ha inviato al cielo, quelli specialmente che con i loro scritti hanno luminosamente trasmessa e spiegata la dottrina di Gesù Cristo, sembrano anch’essi invitarvi, con l’esempio della loro vita, all’unione con questa sede apostolica, con la quale la vostra comunità cristiana è stata per tanti secoli salutarmente congiunta.

Ci rivolgiamo quindi a tutti coloro che sono da Noi separati, come a fratelli, usando le parole di sant’Agostino che dice: «Volere o no, sono nostri fratelli. Allora soltanto non saranno più nostri fratelli, quando avranno smesso di dire: "Padre nostro"». (18) «Amiamo il Signore Dio nostro, amiamo la sua chiesa; l’uno come padre, l’altra come madre; l’uno come signore, l’altra come sua ancella; poiché siamo figli della sua ancella. Questo matrimonio però trova la sua coesione in una grande carità; nessuno può offendere uno e acquistare la benevolenza dell’altro... Che ti giova che non venga offeso il padre, se questi vendica le offese fatte alla madre?... Perciò, carissimi, teniamoci stretti unanimemente a Dio padre e alla madre chiesa». (19)

Noi perciò a tutela dell’unità della chiesa e ad incremento dell’ovile di Cristo e del suo regno, eleviamo supplici preghiere a Dio benigno, largitore dei celesti lumi e di ogni bene, ed esortiamo a pregare con perseveranza anche tutti i Nostri fratelli e figli in Cristo. Il buon esito del futuro concilio ecumenico, infatti, più che dall’umana attività e diligenza, dipende dalle ardenti preghiere innalzate a gara da tutti. Ad elevare queste suppliche a Dio, Noi invitiamo con affetto anche coloro che, pur non essendo di questo ovile, rendono a Dio il dovuto onore e sinceramente cercano di obbedire ai suoi precetti.

Accresca e coroni questa speranza, questi Nostri voti, la preghiera sacerdotale di Cristo: «Padre santo, custodisci nel nome tuo coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa sola, come noi... Santificali nella verità: la tua parola è verità... Non prego per essi soltanto, ma anche per coloro che per la loro parola crederanno in me... affinché siano perfetti nell’unità...» (Gv 17,11.17.20.21.23).

Questa preghiera la rinnoviamo insieme con il mondo cattolico a Noi congiunto; e lo facciamo non solo animati da viva fiamma di amore verso tutti i popoli, ma ancora con spirito di sincera umiltà evangelica. Conosciamo infatti la pochezza della Nostra persona, che Dio, non per i Nostri meriti ma nell’arcano suo consiglio, si è degnato elevare alla dignità di sommo pontefice. Perciò a tutti i Nostri fratelli e figli separati da questa cattedra di Pietro, ripetiamo le parole: «Io sono Giuseppe, vostro fratello» (Gn 45,4). Venite; «comprendeteci» (2 Cor 7,2); nient’altro vogliamo, nient’altro desideriamo, nient’altro domandiamo a Dio se non la vostra salute, la vostra eterna felicità. Venite; da questa sospirata unità e concordia, che deve essere alimentata dalla carità fraterna, sgorgherà una grande pace: quella pace «che sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7), poiché scende dal cielo; quella pace che Cristo, per mezzo del concerto angelico al di sopra della sua culla, ha annunziato agli uomini di buona volontà (cf. Lc 2,14), e che, dopo l’istituzione dell’eucaristia come sacramento e come sacrificio ha donato con queste parole: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo» (Gv 14,27). Pace e gioia; sì, anche la gioia, perché coloro che appartengono realmente ed efficacemente al corpo mistico di Cristo, che è la chiesa cattolica, sono fatti partecipi di quella vita che dal capo divino si trasfonde nelle singole membra. E perciò coloro che osservano fedelmente i precetti e i mandati del nostro Redentore, anche in questa vita terrena possono godere di quella gioia che è auspicio e preannunzio dell’eterna felicità.

Ma questa pace, questa felicità, mentre compiamo il faticoso cammino in questa terra di esilio, è ancora imperfetta. Non è pace del tutto tranquilla, del tutto serena. È pace operosa, non oziosa, non inerte. Soprattutto è pace militante contro ogni errore, benché simulato sotto falsa apparenza di vero, contro gli allettamenti del vizio, contro ogni sorta di nemici dell’anima, che cercano di affievolire, macchiare, rovinare l’innocenza e la fede cattolica. È pace militante contro gli odi, le contese, le divisioni che possono infrangere o lacerare la fede stessa. Perciò il divin Redentore ci ha dato e raccomandato la sua pace.

La pace dunque, che dobbiamo cercare e sforzarci di raggiungere, è tale pace che non cede all’errore, che non scende a compromessi in nessun modo coi fautori dell’errore stesso, che non si abbandona ai vizi e che evita ogni discordia. È tale pace da esigere, da parte di coloro che vogliono esserne seguaci, la pronta rinunzia al proprio utile e al proprio vantaggio per la causa della verità e della giustizia, secondo il detto evangelico: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia...» (Mt 6,33).

La beata vergine Maria, regina della pace, al cui cuore immacolato il Nostro predecessore Pio XII di f.m. ha consacrato il genere umano, ci impetri da Dio - La preghiamo caldamente - unità concorde, pace vera, operosa e militante. Questa concordia e questa pace arridano sia ai Nostri figli in Cristo, sia a tutti quelli che pur da Noi separati, sentono il bisogno di amare la verità e l’unione fraterna!

IV

Vogliamo ora rivolgerCi con animo paterno singolarmente ai vari ceti della chiesa cattolica. In primo luogo «la Nostra parola è rivolta a voi» (2 Cor 6,11), venerabili fratelli nell’episcopato, patriarchi, arcivescovi e vescovi, sia dell’oriente sia dell’occidente; a voi che siete guida del popolo cristiano e che portate insieme con Noi il peso e la fatica della giornata (cf. Mt 20,12). Conosciamo la diligenza e lo zelo apostolico, con cui vi adoperate ciascuno nel vostro particolare campo di apostolato per incrementare il regno di Dio, consolidarlo ed estenderlo a tutti. Conosciamo altresì le vostre angustie, le vostre pene per tanti figli che si allontanano ingannati dalle false parvenze degli errori, per le strettezze che impediscono talvolta un maggiore sviluppo degli interessi cattolici, e soprattutto per lo scarso numero dei sacerdoti, in molti luoghi inadeguato ai crescenti bisogni. Riponendo però la vostra fiducia in Colui, da cui proviene «ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto» (Gc 1,17) , rivolgendovi al Signore Gesù, con preghiera insistente, perché senza lui «non potete far nulla» (Gv 15,5), sicuri invece che con la sua grazia ognuno di voi può ripetere con l’apostolo delle genti: «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13) . «Dio esaudisca ogni vostro desiderio, secondo la sua ricchezza, con la gloria in Cristo Gesù» (Fil 4,19), sicché possiate dal campo coltivato con fatica e sudore mietere abbondantemente e raccogliere i frutti desiderati.

Un altro paterno appello rivolgiamo ai sacerdoti del clero secolare e regolare: a quelli che vi coadiuvano da vicino, venerabili fratelli, nel lavoro della curia; a coloro che hanno l’importante missione di istruire e di educare nei seminari scelti giovani chiamati a servizio del Signore; a quelli infine che nelle città, nei minori centri o nei remoti villaggi esercitano il ministero parrocchiale, oggi così difficile e tanto importante. Vogliano essi - Ci permettiamo di rammentarlo pur confidando che non sia necessario - dimostrarsi sempre rispettosi e obbedienti verso il loro vescovo, secondo il monito di sant’Ignazio di Antiochia: «Siate sottomessi al vescovo come a Gesù Cristo... Bisogna che, come già praticate, non facciate nulla senza il vescovo». (20) «Coloro che sono di Dio e di Gesù Cristo sono con il loro vescovo». (21) E si ricordino di essere non pubblici impiegati, ma soprattutto ministri delle cose sacre. Perciò non credano mai di aver dato abbastanza, anche quando dovranno affrontare fatiche, spendere tempo e sostenere disagi per illuminare le menti con la divina verità, e piegare, mercé l’aiuto divino e con fraterna carità, le volontà ostinate, procurando così il trionfo del regno pacifico di Gesù Cristo. Più che sulla propria opera, confidino però nella potenza della grazia, che imploreranno ogni giorno con costante preghiera.

Anche ai religiosi, che avendo abbracciato uno dei vari stati di perfezione cristiana sono perciò tenuti a vivere secondo le norme della loro regola sotto l’obbedienza ai superiori, giunga il Nostro paterno saluto e il Nostro incitamento. Vogliano essi generosamente dedicarsi al pieno conseguimento dei nobili scopi dei loro istituti, fra cui principalmente l’intensa vita di preghiera e di penitenza, l’attività educatrice, l’assistenza alla gioventù, le sollecitudini verso particolari categorie di bisognosi, e quanto altro è stato prescritto dai loro venerati fondatori.

Sappiamo bene che molti di questi Nostri diletti figli si trovano spesso, per le presenti circostanze, chiamati anche alla cura pastorale dei fedeli con tanto vantaggio della religione e della vita cristiana. Li esortiamo pertanto con tutta l’anima pur fiduciosi che non avranno bisogno del Nostro stimolo - a voler aggiungere alle benemerenze passate dei loro ordini e istituti anche questa, di prestarsi volentieri per andare incontro agli impellenti bisogni dei fedeli, in fraterna collaborazione con gli altri sacerdoti, secondo le proprie possibilità.

Il Nostro animo vola ora a coloro che, abbandonata la casa paterna e la patria, sopportando gravi fatiche e difficoltà, sono partiti per le missioni estere, ove spargono i loro sudori, per istruire e formare gli infedeli nella verità evangelica, affinché dovunque «la parola di Dio si diffonda e sia tenuta in onore» (2 Ts 3,1). Grande è invero il compito loro affidato; ma perché possa più facilmente essere realizzato, tutti i veri cristiani devono, secondo le loro possibilità, contribuirvi con le preghiere, con le offerte e con ogni altra sorta di aiuti. Forse nessun’altra opera è grata a Dio più di questa, che è strettamente congiunta col comune dovere di propagare il regno di Dio. Questi araldi dell’evangelo, infatti, consacrano tutta la loro vita a far sì che la luce di Gesù Cristo illumini ogni uomo che viene al mondo (cf. Gv 1,9), affinché la sua divina grazia conquisti e riscaldi tutti gli animi, e tutti siano incoraggiati a un vita virtuosa e cristiana. Essi non cercano i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2,21). Corrispondendo con animo generoso alla voce del divin Redentore, possono applicare a se stessi il detto dell’apostolo delle genti: «Siamo ambasciatori di Cristo» (2 Cor 5,20) e pur «camminando in questa carne mortale... non viviamo secondo la carne» (2 Cor 10,3). Considerano come loro seconda patria i paesi a cui sono giunti per portarvi la luce dell’evangelo, e li amano con amore operoso. E pur conservando vivissimo affetto alla loro dolce terra natìa, alla propria diocesi, al proprio istituto religioso, sono tuttavia ben convinti che si deve porre al di sopra di tutto il bene universale della chiesa e che bisogna mettersi senza riserva al suo servizio.

Sappiano questi diletti figli - e quanti li coadiuvano generosamente con la loro preziosa attività in qualità di ausiliari e di catechisti - di esser presenti in special modo al Nostro animo, specialmente nella preghiera che ogni giorno eleviamo al Signore per loro e per le loro opere. Intendiamo poi confermare con l’autorità Nostra e con pari carità tutto ciò che in materia missionaria hanno stabilito, con apposite encicliche, i Nostri predecessori, in special modo Pio XI (22) e Pio XII (23).

Non vogliamo inoltre passar sotto silenzio quelle anime privilegiate che, consacrate a Dio con i santi voti, servono a lui solo e si congiungono intimamente, con mistiche nozze, allo Sposo divino. Esse in tal modo - sia che la loro vita dedita alla preghiera e alla penitenza trascorra nel silenzio della clausura, sia che venga impiegata nelle opere dell’apostolato esteriore non solo provvedono meglio e più facilmente alla propria salvezza, ma sono altresì di grande aiuto per la chiesa, tanto nei paesi cristiani, quanto nelle terre dove ancora non brilla la luce dell’evangelo. Quale opera di bene non compiono queste sacre vergini! Bene che nessun altro potrebbe adempiere con tanta disinteressata dedizione, non in uno solo, ma in molti campi di lavoro; e specialmente nella cristiana educazione e istruzione della gioventù; negli ospedali, dove, avendo cura amorevole degli infermi, li sollevano anche al pensiero delle cose celesti; negli ospizi dei vecchi, che assistono con caritatevole pazienza, serenità e misericordia, volgendoli soavemente ai desideri della vita eterna; nei brefotrofi, dove circondano di affetto e materna delicatezza bambini che, orfani o abbandonati dai genitori, non sentirebbero altrimenti l’afflato di una vera tenerezza. Esse senza dubbio sono altamente benemerite non soltanto della chiesa cattolica, dell’educazione cristiana e delle opere cosiddette di misericordia, ma anche della società civile, e si preparano inoltre una corona incorruttibile in cielo.

Oggi tuttavia, come ben sapete, venerabili fratelli,e diletti figli, nel campo cattolico i bisogni sono tanto grandi e molteplici, che il clero, i religiosi, le suore sembrano ìmpari ormai a soddisfarli in pieno. Si aggiunga inoltre che i sacerdoti e i religiosi non possono aver adito ad ogni categoria di persone; non tutte le vie sono loro aperte; molti non se ne curano o li fuggono, e purtroppo non mancano di quelli che li guardano di malanimo e li disprezzano.

Anche per questo grave e doloroso motivo già i Nostri predecessori hanno chiamato i laici nel pacifico esercito dell’Azione cattolica, con l’intento di averli collaboratori nell’apostolato della gerarchia ecclesiastica. Così tante attività, che questa difficilmente potrebbe esercitare nelle presenti circostanze, possono essere invece generosamente compiute da uomini e donne cattolici, sempre coordinatamente all’opera dei sacri pastori e sempre nella dovuta obbedienza ad essi. Ci è di gran conforto il considerare quanto si è fatto nel passato, anche in terre di missione, da questi preziosi collaboratori dei vescovi e dei sacerdoti. Appartenenti ad ogni età e ad ogni condizione sociale, essi si sono adoperati con zelo e buona volontà, perché tutti conoscessero la verità e sentissero l’invito e l’incitamento all’esercizio delle cristiane virtù.

Vasti campi di attività si aprono tuttora dinanzi ad essi, poiché troppi sono ancora quelli che hanno bisogno del loro luminoso esempio, del loro lavoro apostolico. Avremo tempo e modo di ritornare con maggior ampiezza sopra questo argomento dell’Azione cattolica. Intanto Ci auguriamo che tutti coloro che militano tra le sue file o nelle molteplici e fiorenti pie associazioni proseguano con ogni diligenza in un’opera così necessaria; quanto più grandi sono i bisogni dei nostri tempi, tanto maggiori siano i loro sforzi, la loro sollecitudine, la loro operosità. Siano tutti concordi, perché, ben lo sanno, l’unione fa la forza. Rinuncino a far valere le opinioni personali quando si tratta della causa della chiesa cattolica, che va posta al di sopra di ogni altra cosa; e ciò non solo per quanto si riferisce alla dottrina ma anche alle norme disciplinari emanate dalla chiesa, alle quali tutti debbono sempre uniformarsi. In compatta schiera e sempre uniti e obbedienti alla gerarchia procedano verso sempre nuove conquiste. Non risparmino alcuna fatica, non ricusino alcun disagio, purché la causa della chiesa trionfi.

Ma perché ciò avvenga come si conviene, curino anzitutto - e di ciò sono certamente ben persuasi - di attendere alla loro formazione cristiana, intellettuale e morale. In questo modo soltanto potranno trasfondere negli altri ciò che essi già, con l’aiuto della divina grazia, posseggono. Rivolgiamo in primo luogo questa raccomandazione ai giovani, la cui generosità facilmente si infiamma per ogni nobile ideale, ma ai quali in modo speciale necessitano la prudenza, la moderazione e l’obbedienza ai superiori. A questi giovani tanto a Noi cari, che formano la speranza della chiesa e nei quali Noi riponiamo tanta fiducia, giunga l’espressione più viva della Nostra gratitudine e del Nostro affetto paterno.

E ora Ci par come di sentire elevarsi verso di Noi i gemiti di coloro che soffrono nel corpo e nell’anima, o che si trovano in tali strettezze economiche da non avere né una casa degna di uomini, né il lavoro per procacciarsi i mezzi di sostentamento per sé e per i propri figli. Questi lamenti toccano vivamente e commuovono il Nostro animo. Ai malati, agli inabili, ai vecchi desideriamo comunicare quel conforto che viene dall’alto. Si ricordino che non abbiamo qui dimora definitiva, ma siamo in cerca di quella futura (cf. Eb 13,14); si ricordino che i dolori di questa vita mortale, validi già come espiazione, elevano e nobilitano l’animo e facilitano l’acquisto dell’eterna gloria. Non dimentichino poi che lo stesso divin Redentore, per lavare le macchie dei nostri peccati e purificarci, si è sottoposto al patibolo della croce, soffrendo volontariamente contumelie, dolori e angosce crudeli. Come lui, anche noi siamo chiamati dalla croce alla luce, secondo la sua parola: «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (Lc 9,23); e avrà un tesoro indefettibile in cielo (cf. Lc 12,33).

Ci auguriamo che questa Nostra esortazione sia volentieri accolta e che i sacrifici spirituali e corporali siano non solo quasi altrettanti gradini per salire in cielo, ma contribuiscano anche all’espiazione dei peccati altrui, al ritorno in seno alla chiesa degli infelici erranti e al trionfo della fede cristiana.

Coloro poi che appartengono alle categorie dei meno abbienti, e si lamentano per le condizioni troppo misere in cui vivono, sappiano anzitutto che Noi proviamo viva sofferenza per la loro sorte. E ciò non solo perché desideriamo con animo paterno che anche nella questione sociale la giustizia, che è virtù cristiana, governi, regga e moderi le relazioni tra le varie categorie sociali, ma anche perché Ci rincresce moltissimo che i nemici della chiesa approfittino delle non giuste condizioni degli indigenti per trarli dalla loro parte con ingannevoli promesse e false asserzioni.

Tengano presente questi cari figli Nostri, che la chiesa ben lungi dal disconoscere i loro diritti, anzi come madre amorosa li protegge, e proclama e inculca nel campo sociale dottrine e norme tali, che se fossero integralmente messe in pratica, eliminerebbero qualsiasi ingiustizia in modo da addivenire ad una più equa distribuzione dei beni. (24) Si fomenterebbe parimenti un’amichevole collaborazione tra le diverse categorie sociali e ognuno si potrebbe considerare ed essere realmente concittadino di una medesima comunità e fratello di una medesima famiglia. Del resto, se si considerano con equanimità i miglioramenti che hanno ottenuto in questi ultimi tempi coloro che vivono del quotidiano lavoro, bisogna riconoscere che ciò deriva specialmente dall’efficace azione che i cristiani hanno saputo svolgere nel campo sociale, seguendo i sapienti insegnamenti e obbedendo alle incessanti esortazioni dei Nostri predecessori. Coloro, dunque, che si assumono il compito di difendere i diritti dei meno abbienti, possiedono già nella dottrina sociale della chiesa norme sicure e ben definite, che, se verranno messe in pratica in maniera debita e legittima, offriranno il mezzo per raggiungere una giusta soluzione di tutti i problemi. Perciò essi non debbono mai rivolgersi ai fautori di dottrine condannate dalla chiesa. È ben vero che costoro li attirano con false promesse. In realtà però dovunque hanno in mano il potere tentano con ogni mezzo di distruggere nell’animo dei cittadini il bene supremo delle coscienze - cioè la fede e la speranza cristiane e gli insegnamenti dell’evangelo - e inoltre cercano di affievolire e anche annullare ciò che gli uomini moderni esaltano come una grande conquista, vale a dire la giusta libertà e la vera dignità della persona umana, e sovvertono così i fondamenti e le basi della civiltà cristiana. Coloro dunque che intendono restare fedeli a Cristo hanno l’obbligo di coscienza di tenersi totalmente lontani da questi errori, già condannati dai Nostri predecessori, in particolare da Pio XI e da Pio XII di f.m., e che Noi egualmente condanniamo.

Non pochi Nostri figli, trovandosi in più o meno gravi ristrettezze economiche, si lamentano spesso che i principi della dottrina sociale cristiana non sono stati ancora messi in pratica. Si ponga quindi ogni cura e ogni sforzo - non solo da parte dei privati cittadini, ma soprattutto dei governanti - affinché la dottrina sociale cristiana, che è stata ripetutamente, chiaramente e ampiamente esposta dagli stessi romani pontefici e che Noi pure confermiamo, sia messa in pratica quanto prima. E anche se tale attuazione si verificherà in maniera graduale, dovrà nondimeno risultare reale e completa. (25)

Non minore è la Nostra sollecitudine per tutti coloro che, spinti dalla mancanza di mezzi di sostentamento o dalle avverse condizioni politiche o religiose dei loro paesi, hanno dovuto abbandonare la patria. Quanti disagi, quanti sacrifici devono essi sostenere, tolti dal suolo natìo e dalla casa paterna e costretti molte volte a vivere nel frastuono delle grandi città o dei grandi centri industriali, con un tenore di vita diverso e non di rado corruttore! Questa dura condizione di cose diviene purtroppo per molti occasione di crisi pericolose e di progressivo smarrimento delle sane tradizioni religiose e morali della loro patria. A ciò si aggiunge la separazione forzata dei membri della famiglia, che può portare a un affievolimento dei sentimenti e dei rapporti familiari, riuscendo così pregiudizievole per l’unità stessa del focolare domestico.

Noi perciò di tutto cuore incoraggiamo l’opera benemerita di quei sacerdoti i quali, mettendo in atto a prezzo di grandi sacrifici le provvide direttive di questa sede apostolica, fattisi essi stessi emigrati per Cristo, si dedicano all’assistenza spirituale e sociale di questi Nostri figli, e fanno dovunque loro sentire il materno palpito della chiesa, tanto più vicina a loro, quanto più essi hanno bisogno del suo sostegno e delle sue premure.

E salutiamo ancora con vivo compiacimento gli sforzi generosi compiuti a questo scopo da varie nazioni, come pure le iniziative prese anche recentemente in campo internazionale, per avviare verso una più rapida soluzione questo gravissimo problema. Ciò dovrebbe condurre non solo ad aprire nuove possibilità per l’emigrazione, ma a facilitare altresì in ogni maniera la ricostruzione dei nuclei familiari, che sola potrà efficacemente tutelare il bene religioso, morale ed economico degli emigrati medesimi, non senza beneficio degli stessi paesi che li accolgono.

E ora, mentre riteniamo doveroso esortare tutti i Nostri figli in Cristo a evitare con ogni cura i funesti errori che possono sovvertire non solo la religione, ma anche l’ordine sociale, si affaccia alla Nostra mente l’immagine di tanti venerabili fratelli nell’episcopato e di tanti cari sacerdoti e fedeli che si trovano in esilio, in campi di concentramento o in prigione per non aver voluto tradire il proprio ministero e apostatare dalla fede.

Non vogliamo offendere nessuno, ché, anzi, desideriamo concedere a tutti il Nostro perdono implorando quello di Dio. Ma la coscienza del Nostro sacro dovere esige che noi tuteliamo, per quel che possiamo, i diritti di questi fratelli e di questi figli, chiedendo insistentemente che sia concessa loro e alla chiesa di Dio la dovuta libertà. Coloro che seguono realmente i principi della verità e della giustizia e che hanno a cuore gli interessi dei singoli e delle nazioni non negano la libertà, non la soffocano, non la opprimono: non hanno alcun bisogno di ricorrere a questi mezzi. D’altra parte è pur vero che non si potrà mai raggiungere un giusto benessere dei cittadini con la violenza e con l’oppressione delle coscienze.

Deve aversi anzi per certo, che allorquando vengono negletti o conculcati i sacrosanti diritti di Dio e della religione, presto o tardi vacillano e crollano i fondamenti stessi dell’umana convivenza. Lo notava già saggiamente il Nostro predecessore di f.m. Leone XIII: «Vien di conseguenza... che si estenua il vigore della legge e si indebolisce ogni autorità, se si ripudia quella eterna e sovrana ragione che è l’autorità di Dio che comanda il bene e vieta il male». (26) Vi si accorda la sentenza di Cicerone: «Voi, o pontefici... con la religione cingete di difese la città più efficacemente che non con le mura». (27)

Queste considerazioni Ci fanno riandare con grande tristezza a tutti e singoli coloro che sono vessati e impediti nell’esercizio della religione, che spesso «patiscono anche persecuzioni per la giustizia» (Mt 5,10) e per il regno di Dio. Noi prendiamo parte ai loro dolori, alle loro angosce, alla loro afflizione e supplichiamo Dio perché spunti finalmente l’aurora di tempi migliori. Si uniscano a Noi in questa preghiera tutti i Nostri fratelli e figli; e salga a Dio misericordioso, da ogni angolo della terra, un coro immenso di suppliche, che faccia scendere abbondante pioggia di grazia su queste membra doloranti del corpo mistico di Cristo!

Ma non solo preghiere chiediamo ai nostri figli, bensì anche quel rinnovamento della vita cristiana, che può, più delle stesse preci, rendere Dio propizio a Noi e ai Nostri fratelli. Ci piace ripetervi le belle e nobili parole di san Paolo: «Tutto ciò che è vero, onesto, giusto, puro, amabile, tutto ciò che dà buona fama, tutto ciò che è virtuoso e degno di lode, sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo» (Rm 13,14). Ossia: «Rivestitevi dunque, come si conviene a eletti di Dio santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza, di pazienza... Ma soprattutto rivestitevi della carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori; poiché ad essa siete stati chiamati, in un solo corpo» (Col 3,12-15).

Oh! ve ne supplichiamo: se qualcuno si è infelicemente allontanato dal divino Redentore con il peccato, ritorni a lui, che è «via e verità e vita» (Gv 14,6). Se qualcuno è tiepido, languido, trascurato nell’adempimento dei doveri religiosi, ecciti la sua fede e con l’aiuto della grazia divina alimenti e consolidi la sua virtù. Se qualcuno infine «è giusto, diventi ancor più giusto; se è santo, diventi ancor più santo» (Ap 22,11).

E poiché oggi ci sono tanti che hanno bisogno di consigli, di esempi, e anche di aiuto per le misere condizioni in cui si trovano, esercitatevi tutti, ciascuno secondo le proprie forze e i propri mezzi, in quelle che si chiamano opere di misericordia, così gradite a Dio.

Se ognuno cercherà di mettere in pratica tutto questo, risplenderà di nuova luce nella chiesa ciò che è scritto magnificamente dei cristiani nella lettera a Diogneto: «Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma hanno la loro patria nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro genere di vita trascendono le leggi stesse... Sono ignorati, e vengono condannati; messi a morte, sono vivificati. Sono poveri, e arricchiscono molti; mancano di tutto, e tutto hanno in abbondanza. Sono disonorati, e nel disonore ricevono gloria; viene compromessa la loro buona fama e si dà testimonianza della loro giustizia. Sono biasimati, e benedicono; sono maltrattati e tributano onore. Pur operando il bene, sono puniti come malvagi; puniti, ne godono e si sentono vivificati. In una parola, ciò che è nel corpo l’anima, sono i cristiani nel mondo». (28) Molto di ciò che qui si dice si può ripetere per i cristiani della chiesa detta «del silenzio», per i quali dobbiamo tutti in modo specialissimo pregare Dio, come abbiamo, anche di recente, raccomandato con forza a tutti i fedeli, nell’allocuzione tenuta nella Basilica di san Pietro il giorno di pentecoste e nella solenne adorazione della festa del ss. Cuore di Gesù. (29)

Questo rinnovamento della vita cristiana, questa vita virtuosa e santa invochiamo per voi tutti e imploriamo da Dio con continua preghiera: non solo per quelli che fermamente perseverano nell’unità della chiesa, ma anche per quelli che a essa si sforzano di giungere con l’amore della verità e volontà sincera.

Sia conciliatrice e auspice delle celesti grazie l’apostolica benedizione, che a tutti e a ciascuno di voi, venerabili fratelli e diletti figli, impartiamo con paterno vivo affetto.

Roma, presso San Pietro, 29 giugno 1959, festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, nell’anno I del Nostro pontificato.

 

GIOVANNI PP. XXIII


(1) IOANNES PP. XXIII, Litt. enc. Ad Petri cathedram de veritate, unitate et pace caritatis afflatu provehendis, [Ad venerabiles fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes, itemque ad universum Clerum et christifideles catholici orbis], 29 iunii 1959: AAS 51(1959), pp. 497-531. - Versione italiana: L’Osservatore Romano, 3 luglio 1959; La Civiltà cattolica, 110(1959), III, pp. 113-139.
Prologo: Perenne giovinezza della chiesa e motivi di consolazione e di speranza. - I. La verità, con particolare riferimento a quella rivelata; I doveri della stampa (e della radio, del cinema, della televisione) in ordine alla verità; L’indifferentismo religioso. – II. Vantaggi recati dalla verità alla causa della pace; La concordia fra le classi sociali; Riflessioni circa importanti problemi nel campo del lavoro; La concordia e l’unione in seno alle famiglie. – III. L’unità della chiesa, nell’unità della fede, di regime, di culto; Invito all’unione rivolto ai fratelli separati; Esortazione alla preghiera in unione di spirito. – IV. Paterne esortazioni ai vescovi, al clero, ai fedeli, ai sofferenti, ai poveri, agli emigrati e alla chiesa perseguitata.

(2) Epist. Saepenumero considerantes: Acta Leonis XIII 3(1883), p. 262.

(3) Epist. Exeunte iam anno: Acta Leonis XIII 8(1888), p. 396.

(4) Litt. enc. Humanum genus: Acta Leonis XIII 4(1884), p. 53; EE 3.

(5) Epist. Praeclara gratulationis: Acta Leonis XIII 14(1894), p. 210.

(6) Epist. Permoti Nos: Acta Leonis XIII 15 (1895), p. 259.

(7) Litt. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII 11(1891), p. 109; EE 3.

(8) Radiomessaggio Natalizio 1944: Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. VI, p. 239; AAS 37(1945), p. 14.

(9) Radiomessaggio al 73° Congresso dei cattolici tedeschi: Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. XI, p. 189; AAS 41(1949), p. 460.

(10) AAS 23(1931), pp. 393-394; EE 5/810.

(11) «per un solido ordine sociale»: Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. VII, p. 350.

(12) Epist. Inter graves: Acta Leonis XIII 11(1891), pp. 143-144.

(13) Cf. Pius XI, Litt. enc. Mortalium animos de vera religionis unitate fovenda: AAS 20(1928), p. Ss; EE 5/226ss.

(14) Cf. J.H. Newman, Difficulties of Anglicans, vol. I, lect. X, p. 261s.

(15) Epist. 43, 5: Corp. Vind. III, 2, 594; cf. Epist. 40: PL 4, 345.

(16) Canon Missae.

(17) Cf. Hom. in mysticam coenam: PG 77, 1027.

(18) S. Augustinus, In Ps. 32, Enarr. 11, 29: PL 36, 299.

(19) S. Augustinus, In Ps. 82, Enarr. 11, 14: PL 37, 1140.

(20) Funk, Patres Apostolici, I, 243-245; cf. PG 5, 675.

(21) Funk, Patres Apostolici, I, 267; cf. PG 5, 699.

(22) Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 65s; EE 5/164ss.

(23) Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 497ss; EE 6/752ss; et Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 225ss; EE 6/1307.

(24) Litt. enc. Quadragesimo anno: AAS 23(1931), pp. 196-198; EE 5/637644.

(25) Cf. Pius XII, Allocutio ad adscriptos societatibus christianis operariorum Italicorum, 11 mart. 1945: AAS 37(1945), pp. 71-72.

(26) Epist. Exeunte iam anno: Acta Leonis XIII 8(1888), p. 398.

(27) De Natura Deorum, III, 40.

(28) Funk, Patres Apostolici, I, 399-401; cf. PG 2, 1174-1175.

(29) Cf. AAS 51(1959), p. 420; L’Osservatore romano, 18-19 maggio 1959 e 7 giugno 1959.

 

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