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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 25 agosto 1965

 

Una sosta con Pietro sulla mistica nave

Diletti Figli e Figlie!

Siete venuti a trovarci! Noi pensiamo che voi non possiate sfuggire all’impressione d’essere saliti sopra un osservatorio, da cui si può meglio contemplare il panorama del mondo, dall’alto. Sì, da questa posizione, in cui il Signore ha collocato il suo umile Vicario terreno, la visione del mondo diventa subito molto larga. Un’istituzione storica, come la Chiesa; universale come la Chiesa; investita d’una missione indispensabile di salvezza, come la Chiesa, non può non avere un quadro immenso davanti a sé. Libera da interessi temporali, che la tengano vincolata a forme storiche particolari; lanciata nel tempo e nella società, come fermento concreto di vita - di dottrina, di costume, di sensibilità, di scienza dei valori umani -, e nel tempo stesso cosciente di possedere un carisma d’immortalità e una missione trascendente il livello dell’ordine naturale, la Chiesa naviga su l’oceano della umanità. Naviga: cioè sperimenta simultaneamente il duplice fenomeno del fluttuare e del galleggiare; cioè partecipa a tutte le vicende del mondo in cui si trova, ne gode i vantaggi, ne subisce gli squilibri e gli urti; ma insieme ella rimane al di sopra delle onde delle umane vicende, in un certo superiore distacco, che corrisponde ad una finalità sua propria, sempre rivolta com’è ad un porto, ad un «regno, che non è di questo mondo» (Io. 18, 36).

Si direbbe allora che voi siete venuti sulla nave di Pietro, siete saliti sul ponte di comando, e vi guardate intorno timidamente, curiosamente; per godere un istante di questa affascinante visione, che davvero meriterebbe una contemplazione attenta e prolungata: si potrebbero capire molte cose, sia della Chiesa, sia del mondo, sia delle anime, mettendosi al posto di osservazione proprio del Papa. Ma adesso il tempo è breve. E poiché siete venuti così filialmente a trovarci, sulla Nostra nave, vi faremo vedere una cosa sola, per ora: la Nostra specola; cioè il periscopio, per così dire, che guida il Nostro sguardo, che è poi quello stesso della Chiesa, nell’osservazione del panorama circostante.

State attenti: Il Nostro sguardo possiede una triplice direzione. Non nello spazio, ma nel tempo. Una direzione è rivolta al passato; la Chiesa guarda indietro, con l’occhio fisso al suo punto di partenza, che è Gesù Cristo. Qui la visione è nitida, anche se intrecciata con la storia dei due Testamenti, e se piena di punti luminosi tuttora misteriosi. Questa visione non è mai dimenticata: è essa che guida la rotta della Nostra mistica nave, ed è essa che fa sospettare ad alcuni che la Chiesa viva soltanto del passato e nel passato, guardando unicamente indietro. Ma non è così. Perché la Nostra specola ha un altro occhio, anche questo sempre vigilante, ma mobile questo e adattabile alle più differenti prospettive; è l’occhio sulla scena presente, sulla realtà storica presente, sulla vicenda attuale in cui Chiesa e mondo s’incontrano e si scontrano. Oggi quest’occhio è più che mai aperto su «i segni dei tempi»; e nell’intensità del suo sguardo oggi v’è tanto ottimismo, tanta simpatia, tanto amoroso interesse! Lo dirà lo Schema XIII del Concilio ecumenico, alla prossima sessione. Ma la nostra navigazione spirituale non può limitarsi a questa visione, come ora non pochi fanno. Perché v’è un altro sguardo, che parte da questa specola; ed è l’occhio che si protende avanti sul futuro: questo occhio guarda lontano; e il suo orizzonte è avvolto da una nebbia luminosa, che non lo lascia vedere nei suoi particolari, ma lo fa intravedere in immagini, in segni, in presagi, che bastano a confermare la direzione del cammino intrapreso e ad imprimere al movimento avanzante della Chiesa una singolare energia, una sicura accelerazione; è la speranza finale: è la certezza del futuro incontro col Cristo glorioso.

Carissimi Figli! Vorremmo che il vostro occhio posasse un istante su questa terza prospettiva della Nostra specola, affinché abbiate a sentire in voi una meraviglia nuova, una gioia più intensa, quella di sapervi portati verso un regno magnifico, verso un porto splendido; cioè verso una pienezza di vita e di felicità, che ci fa comprendere quale sia la nostra fortuna d’essere figli della santa Chiesa. «Spes autem non confundit», la speranza invero non fallisce (Rom. 5, 5). E se la speranza è la molla dell’attività, del lavoro, dell’abnegazione, del progresso la Chiesa ha per quanti a lei si affidano la molla più forte.

Qui può sorgere una questione molto complessa e, sotto certi aspetti, pericolosa, quella del conflitto o dell’accordo delle due speranze; la speranza temporale, oggi tanto cresciuta e affascinante, e la speranza cristiana, oggi spesso discussa e dimenticata. Bisognerà fare attenzione. Bisognerà fare attenzione. Scrive uno studioso contemporaneo: «Ora, in questo mondo, la Chiesa si trova di fronte ad una nuova, potente e seducente corrente storica, che ad essa oppone una specie di escatologia rivale. È una forma di naturalismo, che presume di condurre l’umanità ad un fine immanente alla vita terrestre, mediante le proprie forze dell’uomo, ampliate dalle possibilità della scienza . . . Il naturalismo non è solo diffuso in un mondo esteriore alla Chiesa, ma preme sulla coscienza e l’agire degli stessi fedeli, causando una alterazione del contenuto della speranza cristiana. Questa alterazione si manifesta nella preoccupazione dominante dei beni terrestri e nell’esaltazione dei valori della vita umana».

Bisognerà fare attenzione, sì, per non perdere la speranza cristiana, quella vera, quella escatologica, quella che deve orientare la vita della Chiesa e di ogni fedele cristiano, verso il regno di Dio. Dapprima e soprattutto il regno di Dio! Ma noi sappiamo che le due speranze, quella temporale, e quella cristiana e religiosa, possono anche non opporsi, ma sommarsi nell’attesa e nella ricerca di alcuni fini superiori, per sé terreni, ma coordinati dalla carità al fine supremo della vita cristiana, come sono, ad esempio, quelli di dare un senso vero alla esistenza dell’uomo, di vincere la fame nel mondo, di instaurare la giustizia, la fratellanza, la pace fra gli uomini, di promuovere l’unificazione ordinata e pacifica dell’umanità e così via; e ciò deve accrescere la fiducia nei cuori di tutti, dei giovani specialmente, che hanno tanto bisogno di speranza, e degli uomini pensosi delle sorti del nostro tempo; e deve meritare alla Chiesa di Dio nuova stima e nuovo amore; sì, perché ella, la Chiesa di Dio, è sorgente di vera speranza. Anche le buone e alte speranze umane possono essere sorrette dalla speranza cristiana.

È ciò che auguriamo per voi, carissimi Figli, come frutto di. questa udienza; mentre di cuore tutti vi benediciamo.

                                       



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