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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 29 aprile 1970

 

Le preghiere e le virtù degli umili conforto nelle sofferenze della Chiesa

Ancora ascoltiamo una fra le domande, che vengono più spesso a Noi, come un sospiro, alle volte come un gemito: che cosa fa la Chiesa? la Chiesa fa molte cose; è in un periodo d’intensa attività. Il Concilio ha risvegliato in lei la coscienza della sua vocazione e quindi quella di nuovi doveri, di nuove riforme, di nuove attività; e il Concilio, noi confidiamo, le ha infuso nuova energia, nuovo impulso dello Spirito Santo. Bisogna dar lode a Dio e riconoscere che la Chiesa si trova oggi in un momento d’intensa vitalità. Senza alcun trionfalismo, la Chiesa studia e ripensa se stessa, la Chiesa insegna e rinnova la sua catechesi e la sua teologia, la Chiesa prega e riforma la sua Liturgia, la Chiesa perfeziona e sviluppa le sue strutture, stringe le sue file, accresce la circolazione interna della sua attività, rivede la sua legge canonica, allarga la sua area missionaria, apre il colloquio con i Fratelli separati, determina e vivifica la sua posizione nel mondo, oggi tanto più bisognoso di lei, quanto più secolarizzato e progredito. Ma vi è un aspetto oggi nella Chiesa ch’è pure più evidente e più sensibile: la Chiesa soffre; la Chiesa resiste, la Chiesa sopporta. Per questo la domanda, dall’accento trepidante, è giustificata: la Chiesa oggi che cosa fa? E nella ansiosa domanda è già espressa la risposta: soffre. Soffre; come del resto dappertutto è in sofferenza la convivenza civile: così progredita com’è, la società civile non è soddisfatta, non è felice; il progresso ha così aumentato i suoi desideri, così rivelato le sue deficienze, così moltiplicato le sue polemiche, così sfrenato i suoi estremismi, così rammollito i suoi costumi, che raramente essa è contenta di sé, raramente fiduciosa nei principii che la governano e nei fini che persegue; è intossicata di angoscia, di retorica, di false speranze, di esasperati radicalismi. Questo disagio collettivo, ch’è forse una febbre di crescenza, si ripercuote anche sulla Chiesa: esso le infonde l’ansia del trasformismo e del conformismo, le diminuisce la fiducia in se stessa, le toglie il gusto della sua interiore unità, la invaghisce di particolarismi contestatori, la illude di novità avulse dalla radice della tradizione, eccetera.

CAUSE ESTERNE ED INTERNE DI VASTO DISAGIO

Ciò che rende caratteristico questo disagio è il fatto che esso, sebbene mimetizzato su quello della società esteriore, trova spesso all’interno della Chiesa le sue cause e i suoi fautori. Sono tesori della Chiesa sovente minacciati o dissipati; sono alcuni suoi figli e maestri e ministri, che spesso la contestano; alcuni abbandonano il posto da loro scelto e a loro assegnato; fenomeni isolati, per fortuna, ma sostenuti dalla pubblicità e qualificati talora come gesti di rinnovamento postconciliare, di liberazione: la tradizione ecclesiale sembra non avere per alcuni più né peso, né senso; l’indispensabile ordinamento canonico, che è l’involucro protettivo dei misteri della rivelazione, della comunità, dei carismi dello Spirito, è qualificato come giuridismo arbitrario, compressivo e repressivo; l’autorità è facilmente avversata e disciolta talora in un eccessivo pluralismo, dove non più la carità unitiva, ma certo istintivo egoismo particolare sembra debba prevalere.
Non diciamo di più. Le cause interne della sofferenza della Chiesa, queste ed altre, sono un po’ a tutti note, oramai. Dovremmo accennare anche alle cause esterne, che in alcune regioni sono tuttora molteplici e gravi; in certi Paesi gravissime; tendono a soffocarla, a sopprimerla. Si sa.

Ciò che ora vogliamo considerare è la sofferenza della Chiesa, da ciò risultante, come una sorte, che, sotto certi aspetti, potremmo dire normale, quasi connaturata alla sua esistenza. Così è. Noi spesso siamo così persuasi che la vita cristiana, promossa dalla Chiesa, è la formula vera, la formula buona, la formula felice sia per i singoli fedeli, sia per la comunità bene compaginata che la fa propria, sia anche per la società temporale che ne risente i benefici che vi può trovare, a livello di libertà e di moralità, una sua fortunata integrazione, che facilmente ci lusinghiamo della possibilità di godere d’una sua acquisita e stabile tranquillità. Noi ci ricordiamo abbastanza che la professione cristiana porta in sé, di natura sua (perché diversa dal mondo e avversa alle sue corruttrici seduzioni, alle sue «pompe», diceva fino a ieri il rituale del battesimo), un dramma, una posizione sfavorevole, un rischio, uno sforzo, un «martirio» (cioè una testimonianza difficile), un sacrificio. Dice il Signore ai suoi seguaci: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi . . .» (Io. 15, 20); «il mondo godrà, voi invece vi rattristerete e piangerete . . .» (Io. 16, 20). Non sono venuto a portare l’ignavia pacifica, ma la spada del coraggio morale, Egli c’insegna (Cfr. Matth. 10, 34). Egli è «bersaglio di contraddizione» (Luc. 2, 34). Chi vuol seguirlo deve portare con Lui la sua croce (Matth. 10, 38). E le croci, che sono inflitte alla Chiesa, dal di dentro della sua comunione e che offendono e straziano questa comunione, non sono meno crude ed esiziali di quelle inferte dal di fuori. Il dolore più acerbo per il cuore d’una madre è quello che le è causato da un figlio.
E sarebbe questa, circa le sofferenze della Chiesa, di ieri e di oggi, una meditazione senza fine. Una sua pagina, bella e consolante, oggi ci basti, anzi ci consoli e ci edifichi; ed è quella scritta in silenziosa pazienza da tante anime umili, coraggiose e fedeli, che accettano e condividono le pene della Chiesa. Non vi è conforto più dolce per il cuore d’una madre che quello forte e delicato offertole dai suoi figli sinceri.

COMUNIONE NELLE AVVERSITÀ

E quanti, quanti figli sinceri confortano la santa Chiesa soffrendo con lei e per lei. Noi lo sappiamo. Noi li conosciamo. Noi li ringraziamo. Noi li incoraggiamo. Grande cosa è nella economia cristiana la comunione nelle avversità.
Vi sono tanti buoni cristiani che provano pena per le difficoltà legalizzate di cui soffrono in certe regioni popolazioni tuttora fedeli alla Chiesa cattolica, e non meno sono rattristate dalle ‘inquiete, interne tribolazioni che ne feriscono il cuore e talora l’onore e la pace. Sono, in genere, Sacerdoti e Laici cattolici provati da lungo e fedele servizio; ovvero giovani che vorrebbero subito raggiungere risultati positivi e tangibili; spiriti semplici e tuttora fermamente aderenti alla norma della fede e della legge ecclesiastica; sono gli umili, sono i poveri di spirito, sono gli eredi di quella tradizione, che ha portato per secoli, fino a noi l’annuncio e l’iniziazione del «regno dei cieli»; sono i custodi di quel «sensus Ecclesiae», di quell’intuitiva sapienza cattolica, che germina la santità, forse ignota alla pubblicità, ma non certo ignorata dall’occhio di Dio. Hic est patientia et fides sanctorum; qui è la perseveranza e la fede dei santi (Apoc. 1 3 , 10). È la Chiesa esistente, resistente, paziente: sustinens, la Chiesa che sopporta.

E a questa Chiesa sono sempre iscritti i cristiani che pregano. La preghiera è l’anima della resistenza ai mali della Chiesa: esteriori ed interiori. Vorremmo ripetere a tutti coloro che avvertono le difficoltà presenti della Chiesa le parole gravi e corroboranti del Signore: «Vigilate e pregate per non entrare in tentazione» (Matth. 26, 41). E a questa Chiesa paziente sono iscritti i suoi figli obbedienti. La tendenza di alcuni figli della Chiesa ad affrancarsi dalla sua autorità è spesso suggerita da un istintivo desiderio di sottrarsi alla solidarietà della sua patita fermezza. Questi obbedienti invece entrano nello stato di tensione sperimentata dalla Chiesa paziente, e ne sperimentano essi stessi l’insito carisma di fedeltà e di fortezza; ne condividono il merito.
Insomma i forti, i fedeli, i testimoni e spesso gli eroi, sono i figli della Chiesa sustinens pellegrina e piangente: euntes ibant et flebant (Ps. 125, 6). Dobbiamo sottrarci, o dobbiamo rassegnarci a questa sorte, propria della Chiesa e quindi propria di chi le appartiene e di chi la vive? o dobbiamo accettarla virilmente e lietamente, pensando che questa è la sorte di Cristo nella passione per essere, in parte fin d’ora, nella esultanza?
Certamente così: venientes autem uenient mm exsultatione (Ibid.): il traguardo del penoso cammino della Chiesa paziente sarà la vittoria e la gioia. E questo voto, paradigma della nostra vita cristiana e cattolica, sia avvalorato per voi dalla Nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini di Telese

Salutiamo ora il Parroco e i fedeli di San Lorenzo Maggiore, in diocesi di Telese o Cerreto Sannita, venuti in numero di ben duecento con l’antica e venerata immagine della «Madonna della Strada», affinché fosse da Noi benedetta. Ben volentieri corrispondiamo al vostro desiderio, che dimostra la vostra filiale devozione verso la Beata Vergine, la cui effigie ha consolato e accompagnato da circa un millennio gli abitanti delle vostre ridenti contrade, allo sbocco della valle beneventana in quella telesina, e quanti passarono per quell’importante crocevia, a Lei confidando le loro speranze e le loro pene. Nel compiacerci con voi, per la pietà mariana che custodite gelosamente, ripetiamo a voi, e a tutti i presenti, quanto abbiamo voluto sottolineare giorni fa, nel tempio gremito della Madonna di Bonaria, in Sardegna: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale, che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce». Essa vi guidi col suo cuore materno a seguire Cristo, ad amare Cristo, a imitare Cristo, ottenendovi grazia e letizia grande, in questa vita e nell’altra. Confermi questi voti la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a tutti voi, ai vostri cari lontani, alla vostra Parrocchia, alla vostra Diocesi.

Pellegrini di Tortona

Porgiamo volentieri il Nostro saluto anche ai giovani dell’Istituto Diocesano «Santachiara» di Tortona, convenuti a Roma per un corso di studio sulla famiglia.
Vi accogliamo molto volentieri, figli carissimi, e vi ringraziamo di cuore per questa vostra testimonianza di affetto e di devozione. Siamo rimasti assai edificati nell’apprendere la molteplice e fiorente attività della vostra associazione. V’è qualche cosa di nobile e di generoso nel vostro modo di dirvi cattolici, e nello spirito che vi guida. Avete compreso che il cristianesimo dev’essere attivo, militante, missionario, e la carità del bene lo deve dimostrare. Vorremmo che tanti giovani, come voi, comprendessero la bellezza e il valore di una concezione così virile della propria professione religiosa e cristiana: è così che si realizza l’ideale del laico che il Concilio Ecumenico ha tracciato nei suoi documenti (Cfr. Lumen gentium, 9-10-14); è di questi figli che la Chiesa, e la società stessa, oggi ha urgente bisogno.
Formuliamo pertanto i migliori auguri per voi e per il vostro sodalizio, e mentre vi incoraggiamo a proseguire con la stessa fede e con lo stesso amore alla Chiesa e alle anime, impartiamo a tutti l’Apostolica Benedizione.

To you our dear sons and daughters of the Ruthenian Ecclesiastital Province of the United States, accompanied by your beloved and esteemed bishops, goes our special greeting: «Grate to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ» (Eph. 1: 2).
Me know why you have come and it is a joy to have you with us. Our thought goes out to your families, and through you, we extend our best wishes to our beloved Ruthenians everywhere.
With Our special Apostolic Blessing.

Ein besonderes Wort der Begrüssung richten Wir noch an die Pilgergruppe aus Riol an der Mosel. Sie begehen in diesem Jahr das neunzehnhundertjährige Jubiläum Ihres Heimatortes. Aus den geschichtlichen Quellen geht hervor, dass Riol bis in das Imperium Romanum zurückreicht.
Bedeutungsvoll ist dabei die Tatsache, das ihre Heimatdiözese Trier. zu der Riol gehört, in die erste Zeit des Christentums zurückgeht. Darum entbieten Wir Ihnen, liebe Söhne und Töchter, zu Ihrer Jubiläumsfahrt zu den Gräbern der Apostelfürsten Unseren herzlichen Willkommensgruss, verbunden mit dem Wunsche, dass Sie dem Glauben Ihrer Väter stets treu bleiben, eingedenk der Worte altdeutscher und altchristlicher Lebensweisheit: «An Gottes Segen ist alles gelegen!».
Von Herzen erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden Unseren besonderen Apostolischen Segen.

Saudamos agora, os diletos filhos de lingua portuguesa: em particular, o grupo de católicos japoneses, vindos do Brasil.
Com alegria vos vemos, porque sois uma imagem e um simbolo: primeiro, do Brasil atual, a integrar, ecumenicamente, homens e valores, de todas as latitudes, no seu processo de eclodir e afirmarse, como nação jovem, exuberante de vitalidade e tradicionalmente cristã;
depois, do vosso querido povo japonês, com suas qualidades e sua história milenar, que sabe assimilar as outras culturas e inserirse nelas.
Que Deus vos assista sempre e às vossas pátrias, a de origem e a adotiva! Com tais votos, vos abençoamos e aos vossos entes queridos.

                            



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