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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Martedì, 2 giugno 1970

 

La pedagogia nuova del senso comunitario

Uno dei caratteri salienti della formazione spirituale del cristiano risultante dal Concilio è certamente il senso comunitario.
Colui che intende accogliere lo spirito e la norma del rinnovamento conciliare si accorge d’essere modellato da una pedagogia nuova, che lo obbliga a concepire e ad esprimere la vita religiosa, la vita morale, la vita sociale in funzione della comunità ecclesiale alla quale appartiene. Tutto nel Concilio parla della Chiesa; ora la Chiesa è Popolo di Dio, è Corpo mistico di Cristo, è comunione. Non è più possibile dimenticare questa realtà esistenziale, se si vuole essere cristiani, essere cattolici, essere «fedeli». La vita religiosa non si può praticare come espressione individualista del rapporto fra l’uomo e Dio, fra il cristiano e Cristo, fra il cattolico e la Chiesa; e neppure si può concepirla come espressione particolarista, come quella che in un gruppo autonomo, avulso dalla grande comunione ecclesiale, trova la propria soddisfazione ed evita interferenze estranee, sia di superiori, che di colleghi o di seguaci, estranei ad un’esclusiva mentalità di iniziati, propria del gruppo chiuso e pago di se stesso. Lo spirito comunitario è l’atmosfera necessaria del credente. Il Concilio ha richiamato alla coscienza e alla pratica della vita religiosa e cristiana il respiro di questa atmosfera.

Facciamo subito due riserve; o meglio, due ovvie osservazioni. Il fatto religioso, nella sua essenza, nella esigenza profonda e irrinunciabile, rimane un fatto personale. Perciò libero e proprio di colui che lo pone. Il rapporto fra l’uomo e Dio si celebra nella coscienza individuale, e proprio nel momento in cui l’uomo si sente persona, pienamente responsabile e tendenzialmente rivolto a decidere del proprio destino (Cfr. Summ. Theol., II-II, 81). Anzi l’adesione alla vita comunitaria della Chiesa, lungi dal prescindere dall’apporto personale del fedele, sia nell’esercizio della preghiera, - la preghiera liturgica -, sia in quello dei rapporti sociali, cioè quelli della giustizia e della carità, lo provoca e lo esige. La fede non ci è data mediante la Chiesa? La grazia non ha i suoi canali attraverso il ministero di lei? Che cosa conosceremmo noi di Cristo, se ella non ci fosse maestra? (Cfr. J. A. MOEHLER, Die Einheit in der Kirche, 1, 1, 7; L’unité dans l’Eglise, p. 21) «La liturgia stessa richiede che l’anima tenda alla contemplazione; e la partecipazione alla vita liturgica . . . e una preparazione eminente all’unione con Dio mediante contemplazione di amore» (MARITAIN, Liturgie et contemplation, p. 14). Potremmo approfondire il tema osservando come lo spirito comunitario, al quale ora ci educa la Chiesa, non è una novità, ma piuttosto un ritorno alle origini della spiritualità del cristianesimo; e come esso, lungi dal soffocare la effusione personale del fedele, la ravviva nel ricordo e nell’atteggiamento pratico di quel «sacerdozio regale», proprio del battezzato, di cui oggi tanto si parla, dopo che il Concilio ce ne ha richiamato l’esistenza, la dignità e l’esercizio (Lumen gentium, 10-11; etc.).

LE CHIESE LOCALI

Analoghe osservazioni si possono fare circa la legittima e provvidenziale esistenza di gruppo, che si costituiscono in «religioni» particolari, che si prefiggono l’imitazione di Cristo e la pratica dei consigli evangelici, secondo propri criteri, riconosciuti dall’autorità della Chiesa per il conseguimento della perfezione cristiana (ibid., 43). Ma anche questi, con stile proprio, vivono nella Chiesa, della Chiesa, per la Chiesa; e non sono affatto distolti dall’interna ed esterna comunione con lei; anch’essi hanno, e spesso più di altri, il senso, il gusto, lo zelo dello spirito comunitario.
Così possiamo dire dell’esistenza più che riconosciuta, onorata delle Chiese particolari, con proprie tradizioni, riti e norme canoniche; ma anche per esse la «comunione» è il requisito indispensabile dell’appartenenza all’unica vera Chiesa di Cristo: su questo nome benedetto della «comunione» fa perno tutta la questione dell’ecumenismo, al quale parimente il Concilio ci ha richiamati e ci vuole educati.

Aggiungiamo anche la menzione delle Chiese locali, che non sono frazioni staccate e autonome nell’unità della Chiesa universale, ma sono porzioni aderenti, sono membra vive, sono rami fiorenti di lei, dotate di propria vitalità emanante da un unico principio di fede e di grazia; ma sono espressioni anche esse, nello studio stesso di dare pienezza alla loro interiore ed originale comunione, della totale comunione ecclesiale, testimonianza della geniale e originale armonia della varietà nell’unità (Cfr. Lumen gentium, 23, 26, etc.).
Ma detto questo resta che la Chiesa, rianimata e illustrata dal Concilio, si presenta, oggi più che nel passato, comunitaria. Anzi più si dilata nel mondo, e più si definisce per intrinseca e costituzionale necessità una «comunione» (Cfr. HAMER, L’Eglise est une communion, 1962; e art. su L’Osservatore Romano del 22 maggio 1970). Si noti il vertice sociale di questa definizione: l’umanità può essere considerata come una massa, una quantità numerica, o una semplice categoria di esseri umani, folla amorfa e priva di profondi e voluti vincoli interiori; ovvero una società pluralista ed anonima; ovvero una comunità associata da particolari fini o interessi; un Popolo, una Nazione, una Società di Nazioni . . . Ed infine una «comunione»: questa è l’umanità voluta da Cristo.

LA CHIESA, CORPO ORGANICO

Voi conoscete quali siano i requisiti, anzi i fattori di questa superlativa espressione dell’umanità: la fede, lo Spirito, la gerarchia. È la Chiesa. La nostra Chiesa.
La quale, si è comunione, che cosa comporta? Cioè, qual è la dinamica d’una tale definizione? Se la Chiesa è comunione, ella comporta una base di eguaglianza, la dignità personale, la fratellanza comune; comporta una progressiva solidarietà (Gal. 6, 2); comporta una obbedienza disciplinata e una collaborazione leale; comporta una relativa corresponsabilità nella promozione del bene comune. Ma essa non comporta una eguaglianza di funzioni; che anzi queste sono bene distinte nella comunione ecclesiale che è organica, è gerarchica, è corpo dalle diverse e ben qualificate responsabilità; eccetera.
La conclusione è questa; dobbiamo aumentare in noi il senso comunitario e l’esercizio delle virtù corrispondenti; cioè dobbiamo crescere nella carità: questo termine deve acquistare senso, valore, pratica; questo è lo spirito comunitario, al quale il Concilio ci vuole formati e fedeli. Come, fin dal principio della Chiesa, ci ha insegnato San Paolo: «Seguendo la verità nella carità progrediamo in tutto verso lui che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo . . . nella misura di ciascuna delle sue parti compie il suo sviluppo, per la sua edificazione nell’amore» (Eph. 4 , 15-16).
Spirito comunitario autentico ! Con la Nostra Benedizione Apostolica.

L’assistenza spirituale alle Religiose

Fra i gruppi di questa Udienza ci piace rivolgere la Nostra particolare attenzione e il nostro saluto ai Sacerdoti incaricati dell’assistenza alle Religiose d’Italia, riuniti a Roma per il loro secondo Convegno Nazionale.
Siamo lieti, Figli carissimi, di incontrarci ancora una volta con voi per riaffermare l’importanza che noi attribuiamo alla vostra delicata missione. Le Religiose sono parte viva della comunità diocesana e sono impegnate, secondo la propria vocazione, a lavorare con dedizione per l’edificazione e l’incremento del Corpo Mistico e per il bene delle Chiese particolari (Cfr. Christus Dominus, 31). Offrire loro, pertanto, un’assistenza adeguata sia culturale che spirituale, è certamente dovere dei rispettivi Istituti; ma anche l’autorità ecclesiastica diocesana ha l’obbligo di fornire loro i necessari sussidi perché possano vivere più pienamente la loro consacrazione a Dio e assolvere i loro compiti apostolici conforme alla propria vocazione e alle necessità dei tempi.
Ci rallegriamo perciò vivamente con voi, che avete così bene compreso questo dovere e per conseguenza volentieri incoraggiamo il vostro lavoro, lo benediciamo, invocando su chi lo svolge con tanta generosità e così alta coscienza delle necessità della Chiesa, la continua assistenza del Signore.

Gruppo di «non vedenti» di Brescia

Ci rivolgiamo ora, con cuore commosso, al piccolo gruppo di «non vedenti», Nostri concittadini bresciani, venuti dalla nostra diocesi di origine per porgerci i loro affettuosi auguri nel 50° anniversario della nostra prima Messa.
Carissimi Figli, voi avete un particolare titolo, che fra tutti vi rende i più meritevoli del Nostro amore, del Nostro rispetto e della Nostra attenzione: non solo perché ci ricordate, con la vostra presenza, le circostanze e i luoghi delle nostre primizie sacerdotali, ma perché, con la vostra condizione, voi date un magnifico esempio, che vogliamo additare all’ammirazione di tutti: noi ben conosciamo quali sentimenti vi distinguono, con quale dignità sapete portare la vostra pena segreta, quale fedeltà cristiana vi ispira e brilla nelle vostre anime, infondendovi una pace e una serenità, che si irradiano a illuminare e a confortare anche chi ha occhi per vedere, e talora, purtroppo, non vede. Voi avete questa luce spirituale, intensa, ricca, imperturbata, provata nel crogiolo della sofferenza, e perciò durevole e meritoria: la festa della luce, che celebrate ogni anno, lo dice apertamente. Continuate a diffondere questa luce, con la vostra bontà, col vostro fervore, con la vostra dedizione: la Chiesa ha anche bisogno di voi, e voi l’aiutate nell’offrire silenziosamente la vostra infermità. Ve ne ringraziamo di cuore: e mentre vi rinnoviamo il nostro compiacimento per il pensiero avuto per noi, lo ricambiamo con la Nostra particolare Benedizione Apostolica, che vi conforti e accompagni sempre, attirando su di voi, sui vostri accompagnatori e su quanti si dedicano alla vostra assistenza spirituale le continue grazie del Signore.

«Amici di Don Orione»

Un paterno saluto rivolgiamo ora ai partecipanti al Congresso Internazionale degli «Amici di Don Orione», venuti a porgerci l’omaggio della loro devozione.
Vi accogliamo molto volentieri, figli carissimi, e vi ringraziamo di questa testimonianza di affetto. Siamo rimasti assai edificati nell’apprendere il tema del vostro Convegno: «A servizio dei poveri, tesoro della Chiesa»; tema che riassume molto bene lo spirito che anima tutta l’opera del Servo di Dio Don Orione. Prendere coscienza dell’urgenza di questo dovere significa scoprire uno dei tratti più autentici del messaggio di Cristo, nato povero per noi, affinché noi fossimo arricchiti della sua indigenza (Cfr. 2 Cor. 8, 9); significa altresì risvegliare una delle più ricche sorgenti di energie spirituali della Chiesa, oggi più che mai obbligata ad effondere i suoi carismi e a prestare i suoi servizi al mondo moderno.
Formuliamo pertanto i migliori voti per voi e per il vostro Congresso, e mentre vi esortiamo a proseguire coraggiosamente in questo impegno, di cuore vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.

Il collegio di Tradate

Una parola di saluto vogliamo anche rivolgere agli ex aluuni del Collegio di Tradate, i quali, accompagnati dal loro antico Rettore, Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, sono qui venuti per esprimere a Noi, in occasione del Nostro giubileo sacerdotale, i loro sentimenti di filiale devozione.
Noi sappiamo, figli carissimi, che, ogni primo giovedì, voi vi riunite nel Duomo di Milano, allo Scurolo di San Carlo, per ricevere da Gesù Eucaristia forza e conforto per una testimonianza cristiana nella vostra vita familiare e professionale.
Desideriamo esprimervi il nostro vivo compiacimento per tale iniziativa, sulla quale invochiamo copiosi favori celesti, mentre auspichiamo che possiate essere sempre ed ovunque coerenti ai preziosi insegnamenti che vi sono stati inculcati nell’adolescenza.
A voi, a Mons. Perini, a tutti gli ex alunni di Tradate, alle vostre famiglie ed alle persone care impartiamo di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Parrocchiani di Acilia

Abbiamo qui un gruppo a Noi carissimo, la cui presenza solleva nel nostro cuore il ricordo di un incontro di intensa commozione, con essi vissuto nel giorno di Pasqua di quest’anno: sono i cinquecento rappresentanti della parrocchia di San Giorgio Martire, ad Acilia, venuti col loro zelante Parroco, Padre Anselmo Zancanella, a offrirci un ricco tesoro di preghiere e di opere buone.
Vi accogliamo con tutto il cuore: questa occasione ci fa rivivere con intatto sentimento di consolazione paterna le emozioni di quel mattino di Pasqua, irradiato della certezza e della gioia della Risurrezione, quando, in mezzo a voi, abbiamo celebrato il Sacrificio eucaristico, segno e rinnovazione del Mistero pasquale; quando ci siamo incontrati con le vostre famiglie, con la vostra gioventù, con i vostri ammalati; quando abbiamo scambiato con voi, a nome e per autorità di Cristo Signore, parole di fede e di incoraggiamento, di luce e di speranza. Come quel ricordo rimane indelebilmente impresso in noi - siatene certi! - così vogliamo sperare che sia sempre custodito nella vostra parrocchia: ce ne dà la prova più bella questa offerta spirituale, che avete voluto presentarci per mezzo dei giovani, speranza del domani, letizia e forza della Chiesa. Sappiate mantenere fede agli impegni del vostro Battesimo, fate sempre onore al nome cristiano, portate nel mondo della professione e del lavoro la testimonianza del Vangelo: e soprattutto rendete ognor più la vostra Parrocchia, come ha detto il Concilio raccogliendo una parola di San Cipriano, «una fraternità che ha una sola anima» (Lumen gentium, 28). A ciò vi conforta la Nostra Apostolica Benedizione, che estendiamo a tutti i carissimi abitanti di Acilia.

                             



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