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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 29 settembre 1971

 

Segno di unità di fede e di amore

A Voi, che venite a questo incontro con Noi per avere una impressione sensibile e insieme spirituale di questo punto centrale della Chiesa, Noi vorremmo osservare come sia legittima, come sia intelligente codesta vostra aspirazione, e vorremmo confortare nei vostri animi l’attitudine a cercare, a scoprire, a godere gli aspetti positivi della Chiesa, mentre oggi, per una deformazione diventata quasi abituale, e ostentata come una superiorità dello spirito moderno, vediamo tanta gente predisposta a rilevare gli aspetti negativi di quella, o almeno reputati tali, in modo che si pronuncia in molti osservatori della Chiesa una tendenza critica, insofferente della realtà ecclesiale, che col pretesto di orientarsi verso una Chiesa ideale essi prendono a noia il contatto positivo con la Chiesa qual è; e non solo per il suo lato sperimentale, umano, giuridico, storico, incarnato in limiti di persone conosciute e di istituzioni concrete, ma altresì per il suo lato soprasensibile, soprannaturale, sacro, misterioso, incomprensibile, mistico e ascetico che sia. Si vorrebbe una Chiesa puramente spirituale e facilmente collocabile nei propri schemi mentali. È diffuso questo stato d’animo critico, contestatore, incontentabile, e, in fondo, decadente, privo d’ammirazione, d’entusiasmo, d’amore, e quindi di gaudio e di sacrificio.

Noi vorremmo che ciascuno di voi, avvicinandosi alla tomba di S. Pietro, presso la quale ci troviamo, potesse far sue le parole del salmo 121: «mi sono rallegrato allorquando mi è stato detto: noi andremo nella casa del Signore D; e riprovasse in se stesso l’ingenua, se volete, ma sapiente compiacenza di scorgere nelle manifestazioni autentiche della Chiesa, ancor che forse difettose ed umili, ovvero trionfaliste e antiquate, quasi in trasparenza qualche cosa della presenza di Cristo e del suo Spirito, qualche cosa di sovranamente bello e ineffabile. E vorremmo che ciascuno di voi avesse perciò a godere e a sentirsi più buono, più attratto al mistero della Chiesa, come a tesoro che è suo, e di ogni fedele.

Non facciamo qui della speculazione teologica. Ci bastano delle elementari osservazioni fenomeniche, di comune esperienza. Per esempio. Ci riferiva, tempo addietro, un distinto e colto signore cattolico della folgorante impressione da lui provata durante un viaggio in Africa, in occasione d’un convegno di Laici cattolici, provenienti da varie nazioni, nel cogliere sul viso e dai gesti e da alcune esclamazioni (tradotte da chi sapeva) d’una povera vecchia donna, seduta per terra e intenta al suo rudimentale lavoro, la gioia e la fierezza di sapersi anche lei cattolica, e perciò associata, senza sostanziale dislivello, al gruppo degli illustri fratelli di fede, che le passavano davanti, tra i quali un alto ed elegante Signore Tedesco: «sono cattolici, mormorava commossa quella poverina, sono i miei amici, sono miei fratelli; anche questo signore (così bello, così maestoso) è dei nostri; anche lui è un fedele della mia Chiesa». In quell’umile cervello splendeva la luce d’un fatto straordinario, la comunione cattolica.

Noi trovavamo motivo di godere, la scorsa settimana, del fatto, per sé ovvio, ma a ben guardare meraviglioso, che si celebrava a Roma un Congresso internazionale sulla catechesi cattolica; non possiamo oggi non gustare in Noi stessi una vibrazione di ammirazione religiosa e di spirituale letizia per un altro fatto ben più grande, ma radicato esso pure nella realtà ecclesiale; vogliamo dire, il Sinodo Episcopale che si aprirà domani, con la S. Messa nella Cappella Sistina. Siamo ormai abituati ai Congressi internazionali, alle Istituzioni di carattere mondiale, ai dialoghi fra le lingue e le civiltà più diverse; il mondo cammina verso l’unità. Sta bene. Ma non ci dice nulla un convegno di Rappresentanti delle Conferenze episcopali di tutta la Chiesa, nel quale esiste già un’unità, così profonda, così amica, che forse sul piano naturale non è pensabile, non è raggiungibile, l’unità di fede, l’unità di amore? Non intravediamo in questo quadro alcune note distintive, che ci fanno esclamare: ecco, questa è la Chiesa di Cristo, una, cattolica e apostolica? E guardando bene, oltre le note caratteristiche esteriori, non vediamo che esse esprimono proprietà interiori, esigenze intrinseche, carismi soprannaturali, che la Chiesa, cioè l’umanità congregata nel nome di Cristo, per la misteriosa virtù dello Spirito Santo, possiede ed infonde ai suoi componenti, anche se questi sono dell’inferma argilla di Adamo? Non è questo un avvenimento canonico, cioè giuridico, che ci svela la Chiesa essere corpo; corpo visibile e mistico di Cristo suo capo animatore mediante l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, che ravviva e rinnova la perpetua vitalità della Chiesa?

Abbiamo davanti «una società di una compagine tanto perfetta, quanto quella d’un corpo, un solo e medesimo corpo. Questo vocabolo di corpo, chi ben lo consideri, non significa propriamente materia, ma un ordine di essa, quel certo che, che la fa percettibile. In questo senso la Chiesa è un corpo davvero, un vivo corpo, di cui il capo è Cristo, e membra siamo i credenti, e spirito è lo Spirito che procede da Dio» (FORNARI, Vita di G. C. III, 15; cfr. Eph. 1 e 5; 1 Cor. 12; ecc.).

Questa visione ci porterebbe lontano; l’Enciclica di Papa Pio XII intitolata Mystici Corporis e la Costituzione conciliare Lumen gentium aspettano forse ancora da noi una meditazione nuova, che può avere il carattere d’una scoperta, quella che ci svela essere la Chiesa il segno di Cristo e lo strumento per essere davvero cristiani (Cfr. Lumen gentium, 1), e che ci avverte che la nostra personale riforma spirituale e morale, piuttosto che qualche arbitrario cambiamento di funzioni e di strutture della Chiesa, la condizione della nostra autenticità cristiana e della nostra attitudine a promuovere l’unione con i Fratelli separati e l’annuncio vivo e perenne della salvezza al mondo (Cfr. Unitatis redintegratio, 7; ecc.).

Dicevamo questo per offrire a voi motivo di gaudio e di speranza, e per invitare tutti voi a guardare e a vedere gli aspetti positivi della Chiesa di oggi, senza abbandonarci a critiche inconsulte e a sterili opposizioni. Sarà questo, per di più, il metodo migliore per favorire l’«aggiornamento» famoso della Chiesa. Ricordiamo due parole di Gesù: vi sono occhi che guardano e non vedono (Cfr. Matth. 13, 13); e vi sono occhi che guardando vedono, e sono beati (Ibid. 16).

Questa beatitudine sia anche la vostra, con la Nostra Benedizione Apostolica.

                                



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