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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì,13 febbraio 1974

 

Conoscere Gesù, il redentore dell'umanità

Ancora, per terminare, sul Natale.

Noi vorremmo che una tale festa non fosse celebrata senza lasciare tracce di sé negli animi di chi vi ha partecipato cordialmente.

Quali tracce? oh! il culto d’un tale mistero dovrebbe averne lasciate cento, e d’ogni genere nella gamma delle nostre impressioni spirituali, da quelle ben note di umana poesia, ad altre di riflessione storica, o di sentimento religioso. Natale è una fontana inesauribile di temi per la nostra pietà, per la nostra sensibilità umana, per la nostra educazione morale, per la nostra esplorazione teologica, per la nostra contemplazione mistica. Fermiamoci oggi ad una sola conseguenza, che noi vorremmo derivare da quella sempre memorabile festività, e che piuttosto suscita in noi un bisogno insoddisfatto invece di darci alla fine una placata conclusione. Dunque, di che cosa si tratta? Si tratta d’una cosa ovvia e apparentemente semplicissima: si tratta di conoscere Gesù, Colui che è nato, Colui che abbiamo ammirato e venerato nel presepio, Colui in onore del Quale abbiamo offerto tre Messe nel giorno commemorativo della sua natività, Colui che, in qualche modo, ha dato motivo alle varie celebrazioni domestiche, alla corrispondenza augurale, Colui la cui memoria della venuta al mondo ha segnato una data speciale nel calendario. Lui, il centro della festa, lo conosciamo?

Chi è Gesù? Non facciamo torto ad alcuno con questa domanda, perché supponiamo che tutti sappiate dare di Lui la definizione che ci offre il catechismo: è il Figlio di Dio, fatto uomo; e che tutti abbiate su di Lui un’informazione copiosa, nutrita di narrazioni evangeliche e di nozioni teologiche, e fors’anche d’immagini devote o artistiche. Questo va molto bene, e pensiamo che sia normale in chiunque porta il nome cristiano. Ma ecco una prima nota caratteristica e fondamentale circa la nostra conoscenza su Gesù Cristo: se davvero lo conosciamo, noi avvertiamo che non lo conosciamo abbastanza. Ciò che sappiamo di Lui non tranquillizza il nostro bisogno, il nostro dovere di intelligente cognizione, ma stimola, eccita, infiamma tanto questo bisogno, quanto questo dovere; tutti noi ci sentiamo invitati, quasi logicamente e spiritualmente costretti a conoscerlo meglio, a farci di Lui un concetto più chiaro, più concreto, più completo. La nuova curiosità non ci dà più pace, e urge sul nostro spirito con una domanda implacabile, insaziabile: chi è Gesù?

Donde, Fratelli e Figli carissimi, una seconda nota, relativa alla conoscenza circa il Signore Gesù: questa conoscenza è graduale.

Essa non solo non si esaurisce in una semplice immagine sensibile: un quadro, una scena evangelica, un racconto biografico . . . . ma se essa, questa conoscenza, si è davvero, in qualche modo, impressa nel nostro spirito, sveglia il desiderio di meglio identificarla, di approfondirla, di verificarne il significato, il contenuto. Diventa problema: insomma, chi è questo Gesù?

Ciascuno di voi ricorderà come questa indagine sia sorta negli stessi contemporanei di Gesù, nei quali, specialmente dopo qualche suo miracolo, fu ricorrente la domanda: «Chi è mai costui che comanda ai venti e al mare, e gli obbediscono?» (Luc. 8, 25). Voi ricorderete che Lui stesso, Gesù, provocò fra i discepoli una specie d’inchiesta; racconta l’evangelista Matteo: «Gesù, venuto nel territorio di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: - la gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Matth. 16, 13). Le opinioni erano diverse. Segno che la rivelazione che Gesù faceva di se stesso lasciava, sì, trasparire qualche cosa di straordinario, ma non senza ricoprirlo di un velo umano non sempre e non a tutti trasparente. Perfino Maria e Giuseppe « restavano meravigliati delle cose che si dicevano del bambino» Gesù (Luc. 2, 33); e non tutto comprendevano di quel misterioso fanciullo (Luc. 2, 50).

I suoi stessi concittadini, di Nazareth, lo circondano di stupore e di diffidenza, non riuscendo a rendersi esattamente conto di chi Egli fosse (Cfr. Marc. 6, 2-4). Gesù, si direbbe, ama l’incognito. Tutto il Vangelo di Giovanni è pieno di questo assillante problema circa l’identità essenziale della personalità del Maestro («Si tu es Christus, die nobis palam») (Cfr. Io. 10, 24); ed intorno a tale problema si stringe il dramma della sua passione, nel duplice processo, religioso e civile, che porta il primo alla sua confessione di Messia, Figlio di Dio, il secondo alla sua ammissione di Re dei Giudei. Poi l’inconcepibile epilogo della sua risurrezione, che supera la comprensibilità stessa dei testimoni immediati, fino a meritare il rimprovero dello stesso Risorto: «O stolti e tardi di cuore a credere ciò ch’era pur preannunciato dai Profeti!» (Luc. 24, 25).

Gesù è mistero. Non lo avremo mai esplorato abbastanza, non mai compreso del tutto. La conoscenza di Lui ha dovuto finalmente risolversi nella fede, cioè in una conoscenza superrazionale; certissima, ma fondata su testimonianze che eccedono in parte un nostro sperimentale controllo; le quali testimonianze hanno però in se stesse la forza di convinzione, perché in fondo sono divine, e esigono da noi quella dilatante maniera di conoscere, con la mente e col cuore, senza tutto capire, perché troppo v’è da capire, che appunto chiamiamo fede.

Gesù dev’essere studiato con tutta la tensione della nostra capacità comprensiva (e la capacità comprensiva dell’amore supera quella della pura intelligenza). E così fu per la Chiesa: ripensò, studiò, discusse, ebbe per Sé la luce dello Spirito Santo; e con un cautissimo e fedelissimo travaglio di secoli riuscì a formulare la dottrina esatta, ma sempre sconfinante ed aperta sul mistero circa nostro Signore Gesù Cristo: chi Egli fu, che cosa fece per noi, e poi come Egli a noi si concede e si concederà. Chiamiamo questo centrale capitolo della nostra religione « Cristologia », e lasciamo pure che altri capitoli quali quelli della «Ecclesiologia» (tanto studiato dal Concilio), e quello della «Pneumatologia», cioè relativo alla dottrina sullo Spirito Santo, ora impegnino il nostro studio e la nostra vita spirituale, Ma non chiudiamo il volume della nostra dottrina su Cristo Signore, come se ormai fosse da ciascuno di noi già ben conosciuto. Bisogna riaprirlo questo volume; bisogna tenerlo sempre per noi aperto, e posto davanti alla nostra attenta riflessione, alla nostra appassionata contemplazione. «Per me vivere è Cristo» dice S. Paolo (Phil. 1, 21).

E poi bisogna esserne gelosi custodi e non lasciarsi sorprendere da opinioni erudite, spesso preconcette nel metodo o nel contenuto, che, fuori dalla scuola della Chiesa, pretendono dare un’interpretazione nuova (una ermeneutica) e alla fine vanificante dell’autentica teologia sul Cristo del nostro Natale.

Saremmo tentati di discutere con voi questa moderna e sottile contestazione sul nostro Cristo vivo e vero, e avremmo voluto suggerirvi la lettura di qualche buon libro. Ma vediamo che non è questo il luogo né il tempo; e poi questo lo potete facilmente fare da voi; cercatelo un po’ qualche libro su Cristo, cominciando da una nuova, ordinata e pia lettura del santo Vangelo. Con la nostra Benedizione Apostolica.

La Scuola Pontificia «Pio IX»

Rivolgiamo ora il nostro saluto alla Scuola Pontificia «Pio IX», di Roma, il cui incontro ci procura sempre vivo piacere.
Come ci avete fatto conoscere, questa Udienza vuol segnare per voi l’inizio delle celebrazioni dell’Anno Santo: e pertanto, al consueto motivo di soddisfazione, aggiungiamo un vivo incoraggiamento a far tesoro dell’opportunità che vi si offre di entrare nella grande corrente di riconciliazione, di conversione, di rinnovamento spirituale, che permea le Chiese locali in questo tempo privilegiato, che Dio ci offre per l’accrescimento della nostra fede e della nostra carità, perché la nostra vita sia più autenticamente cristiana.

Noi siamo certi che, nella fedeltà alla tradizione educativa della vostra scuola e nella rispondenza fattiva alle consegne dell’Anno Santo, voi saprete vivere con particolare intensità i vostri impegni specifici: gli Educatori, per essere sempre all’altezza della loro responsabilità nell’esercizio di quella che è «l’arte delle arti e la scienza delle scienze» (S. GREGORII NAZ. Orat. II: PG 35, 426); i genitori, per affiancare con la sollecitudine, con la vigilanza, e soprattutto con l’esempio, l’opera formativa della scuola; e voi alunni, specialmente, per accogliere come fertile terreno i germi della sapienza, per farli fruttificare con l’entusiasmo e la serietà a voi propri, e per trafficare così in modo degno i vostri talenti.

Vi accompagni sempre la grazia del Signore, nel cui nome vi diamo la nostra Benedizione.

L’Associazione Educatrice Italiana

Con paterno compiacimento accogliamo in questa Udienza i partecipanti al Convegno sui problemi della scuola, che si celebra in questi giorni a Roma, organizzato dall’Associazione Educatrice Italiana.

Siate i benvenuti, cari figli! Ci congratuliamo vivamente con voi, perché di fronte ai nuovi ed immensi problemi che suscita oggi il rinnovamento delle strutture scolastiche in Italia, la vostra Associazione non è rimasta inerte, ma intende entrare nel vivo dei dibattiti ed offrire il positivo contributo della esperienza e dei talenti dei suoi iscritti. In un momento così delicato, quale sta attraversando la scuola italiana, è necessaria da parte degli insegnanti una forte presa di coscienza delle proprie responsabilità.

Essere educatori nella scuola, oggi più che mai significa considerare questa missione come un servizio dei più impegnativi e dei più importanti per la società. Vi diciamo, pertanto, la nostra sincera riconoscenza e il nostro apprezzamento, e facciamo voti che le risoluzioni che saranno da voi prese - ispirate, come ne fa fede la vostra presenza, al pensiero educativo della Chiesa - trovino efficace applicazione in ordine allo sviluppo di una scuola realmente formatrice, come è nelle aspettative di tutti.

Comunicate questi sentimenti e queste nostre speranze alla schiera numerosa e valorosa degli altri vostri colleghi che, come voi, sono pensosi dell’avvenire della scuola, e consacrano le loro energie alla incomparabile missione dell’insegnamento.
Noi vi siamo vicini con l’affetto e con la preghiera; e di cuore vi benediciamo per ottenere su di voi qui presenti, e sulla vostra Associazione la continua abbondanza delle divine grazie.

Le Pie Discepole del Divino Maestro

Siamo ben lieti di accogliere e di salutare il Consiglio generalizio e il gruppo delle Pie Discepole del Divin Maestro, venute in occasione del 50° di fondazione del loro Istituto recentemente celebrato.

La felice ricorrenza ci ravviva la cara immagine paterna di Don Giacomo Alberione, che, tra le varie generose iniziative in favore della Chiesa, ha voluto istituire la vostra Congregazione, con il duplice scopo di attendere alla contemplazione e all’apostolato.
Sappiamo, carissime figlie, con quale fervida adesione a tale vostro ideale e con quanto impegno vi adoperate affinché siano realizzati i nobili intenti della vostra responsabile scelta.

Profittiamo volentieri dell’odierna circostanza per incoraggiarvi a vivere sempre più gli esempi del Divino Maestro e della Madonna, con spirito di orazione e di abnegazione per essere maggiormente attive ovunque sia richiesto il vostro intervento: contribuendo, cioè, nei modi più opportuni, ad alimentare la pietà dei fedeli e ad agevolare la loro partecipazione ai riti liturgici, e impegnandovi nelle vostre benefiche opere a favore dell’infanzia, degli aspiranti al sacerdozio, dei missionari, degli infermi, degli anziani per dare una gioiosa testimonianza dell’amore che vi lega a Cristo Signore.

Vi accompagni e vi sostenga nel vostro lavoro la nostra propiziatrice Benedizione.

       



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