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OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 13 novembre 1966

 

Signori e Figli carissimi!

Eccoci fra voi per celebrare la vostra Giornata! Come la chiameremo? Il vostro programma vorrebbe chiamarla, come ogni anno, la «Giornata del ringraziamento». Il titolo, certamente, è molto bello, pieno di profondo significato spirituale, e per sé tanto appropriato a questo momento dell’annata agricola giunta al suo termine, e pronta a iniziare un suo nuovo ciclo. Ma il ringraziamento suppone benessere e tranquillità, mentre ora noi tutti ci troviamo nell’afflizione, che le alluvioni dei giorni scorsi hanno inflitto non solo negli animi di quanti sono stati colpiti da così immane sciagura, ma negli animi altresì di quanti si sentono fratelli, concittadini, colleghi delle vittime e dei sofferenti per tanta calamità. Non possiamo cancellare dal Nostro spirito le visioni terrificanti e desolate di tante parti di questo Paese. Quali e quanti spettacoli di rovina e di tristezza! e quale oscura prospettiva per l’inverno che viene e per le stagioni successive incombe, per le zone colpite e in non piccola misura, sulla comunità nazionale!

Chiameremo perciò questa Giornata con altri titoli? Giornata della solidarietà e della comprensione? Sì. E profittiamo dell’occasione che ci riunisce nell’affetto e nella preghiera per mandare un pensiero, un pensiero pieno di compassione e di amicizia, a tutte le città, a tutte le borgate, a tutte le case, a tutte le persone, famiglie e comunità colpite da questa disgrazia; ma il ricordo speciale vuol ora fermarsi sulle campagne devastate dalle inondazioni: su i paesi rurali e montani, sulle borgate, le fattorie, le cascine devastate dalle alluvioni; guardiamo con immensa tristezza ai danni portati ai frutti di tante sudate ed oneste fatiche e quasi travolti prima dalla furia e oppresse poi dal dominio delle acque: case, strade, canali, impianti, coltivazioni, piantagioni, orti e giardini, allevamenti, stal!e, pollame, bestiame, macchine, scorte, . . . tutto travolto, tutto sepolto! E le persone? Care famiglie rurali, ottimi coltivatori e contadini, brave massaie, vecchi fedeli e giovani animosi, fanciulli fiorenti nel quadro vivo della natura, voi agricoltori tutti e voi tutte popolazioni delle campagne e delle montagne: oh! non rifiutate il Nostro fraterno saluto! ve lo mandiamo sulle ali dello spirito che ama e che prega!

Perché questa Giornata, proprio per la sventura e per la sofferenza che la qualifica, si chiamerà quest’anno per noi la Giornata della fraternità per tutta la gente rurale! Vediamo con compiacenza che questo sentimento non è nuovo, non è estraneo a voi, agricoltori, coltivatori e lavoratori dei campi qua convenuti. E le circostanze in cui ci troviamo ci offrono l’opportunità per riaffermare il sentimento di fraternità, che deve collegare tutta la varia ed immensa categoria delle popolazioni agricole. Dovrà essere approfondito codesto sentimento, dovrà essere confermato codesto proposito di fraternità; dovrà essere autenticato dalle radici di cui dev’essere alimentato: la radice della patria comune, la radice del lavoro comune, la radice della fede comune!

E allora la Giornata può assumere anche un altro nome: la Giornata della promessa! Una nuova promessa deve saldare i vincoli della vostra unione spirituale e professionale: quella di ridare all’agricoltura quanto le spetta nel concerto dell’intera società. Se la sua funzione è primordiale ed insostituibile, se la sua attività incontra nella vita umana tanta naturale rispondenza, se i suoi quadri sono suscettibili di ogni moderno rinnovamento: il prestigio, il profitto, il livello sociale, la formazione culturale, l’influsso sulla vita pubblica devono essere riconquistati all’agricoltura! Anche su questo punto vediamo con soddisfazione quanto è stato fatto, e quanto si vuol fare; e non possiamo tacere anche il Nostro personale riconoscimento ed il Nostro incoraggiamento per gli sforzi che da ogni parte sono rivolti per lo sviluppo moderno dell’agricoltura; ma sappiamo che per conseguire gli scopi di tali sforzi è necessario il concorso della gente stessa dei campi! È necessaria la loro fedeltà e la loro stima per scelta professionale qualificante; è necessaria la loro unione; è necessaria la loro rispondenza ai programmi di elevazione culturale indispensabili per fare uscire l’agricoltura dalla sua atavica ed empirica immobilità e per innestarvi le nuove forme di lavoro, di strumentazione e di amministrazione; è necessaria, in una parola la vostra coraggiosa perseveranza in quanto già state facendo con le vostre associazioni. La vostra promessa dovrà diventare più cosciente e più operante, proprio per apportare all’agricoltura devastata dalle presenti rovine una nuova e sollecita rinascita. La natura, che oggi s’è mostrata nemica e crudele, ritornerà presto tranquilla e feconda; la terra ancora una volta attende il vostro aratro e la vostra fatica; la primavera non sarà lontana e la messe non mancherà. Abbiate fiducia!

Ed ecco, a questo punto, risorgere un pensiero, che vi è abituale, e che proprio doveva avere in questa Giornata il posto d’onore; il pensiero della fede. La coltivazione dei campi ha questo di caratteristico e di nobile; vorremmo quasi dire di filosofico e di misterioso: essa obbliga all’impiego di tutte le forze e di tutte le abilità dell’uomo, del coltivatore; ma essa gli ricorda ad ogni istante che un altro lavoro deve fondersi col suo, il lavoro della natura. Uomo e natura sono i due fattori della produzione agraria. E la natura, che cos’è? questo mondo a noi esteriore e con noi compenetrato, questa vita che cos’è? La domanda, che sempre insiste nell’opera e nell’animo del bravo ed intelligente agricoltore, si risolve nell’osservazione dell’insufficienza dell’opera umana e nell’osservazione d’una causalità, meravigliosa, che deve venire in collaborazione con l’opera umana: e queste due osservazioni, che sono alla base della saggezza rurale, stimolano facilmente l’animo dell’uomo ad uno sforzo di salita, pure connaturale allo spirito umano; di salita a Dio; ad un atto religioso. Qui la nostra educazione cristiana ci viene in aiuto, e subito dà a tale atto religioso la sua espressione; la sua fede e la sua preghiera. Non è veto che voi sapete tutto questo?

E allora: se vogliamo dare nuovo impulso all’attività agricola, non è forse logico e bello che vi sia una «giornata» in cui ci ricordiamo di questa concezione del nostro mondo, della nostra fatica, e della nostra vita, in cui cioè alziamo la fronte sudata dalla terra e la volgiamo al cielo? e non è forse questa la giornata per tale atto, così semplice, così grave, così umano, così cristiano? non potremo dunque chiamare questa giornata la «Giornata dell’invocazione»? la giornata della preghiera? la giornata di Dio e della fede? e se siamo capaci di fare questo, non possiede già la nostra vita una grande fortuna? Quella di sapere scoprire nelle cose della natura una Mano creatrice e dispositrice. Quella di saper vedere nella nostra vita un dramma a due: noi e Dio. Quella di saper trovare in ogni contingenza del nostro cammino terreno uno stimolo al bene, un invito alla virtù, una possibilità di diventare migliori, un’occasione di servire e di amare. Quella, e voi la conoscete, di saper trarre dalle prove di questa vita, lezioni di bontà e di sapienza.

Se così è, se cioè noi possediamo questa fortuna, non è forse questo il momento, proprio perché tanto penoso e pensoso, di ringraziare Iddio che ci ha dato la fortuna anche nella sventura di credere e di amare? non dovremo ringraziarlo che fra tante prove Egli ci risparmia quella della disperazione; che anzi sempre con la speranza ci consola e ci sorregge?

Chiameremo perciò ancora questa la «Giornata del ringraziamento» e faremo ancora di essa la felice conclusione del vostro annuale lavoro, l’inizio del vostro annuale lavoro: reso oggi più unito, più forte, più fiducioso; con la Nostra Benedizione Apostolica.

                                                             



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