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INIZIO DELLA QUARTA SESSIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

ALLOCUZIONE DI SUA SANTITÀ PAOLO VI

Festività della Santa Croce
Martedì, 14 settembre 1965

              

Venerati Fratelli!

Nel nome del Signore siamo lieti di dichiarare aperta la quarta Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo.
Salgano lodi e ringraziamenti a Dio Padre nostro onnipotente, per Gesù Cristo suo Figlio e Salvatore nostro, nello Spirito Santo Paraclito, che vivifica e guida la santa Chiesa, per essere Noi stati felicemente condotti alla presente conclusiva convocazione di questo sacrosanto Sinodo ecumenico, nel sommo e comune proposito di de
vota e ferma volontà alla Parola divina, nella fraterna e profonda concordia alla fede cattolica, nel libero e fervoroso studio delle molteplici questioni riguardanti la nostra religione e specialmente la natura e la missione della Chiesa di Dio, nell’unanime desiderio di stabilire più perfetti vincoli di comunione con i Fratelli cristiani ancora da noi separati, nel cordiale intento di rivolgere al mondo un messaggio di amicizia e di salvezza, e nell’umile e costante fiducia di ottener dalla divina misericordia quelle grazie, che a noi immeritevoli sono necessarie per compiere con amorosa e generosa dedizione la nostra pastorale missione.

Grande cosa è questo Concilio! Godano gli animi nostri per così solenne e ordinata celebrazione dell’unità della Chiesa visibile, unità che non solo esteriormente, ma ancor più nell’interno dei cuori per la mutua conoscenza delle persone e per l’intensa conversazione orante, pensante, colloquiante e alla fine consenziente, noi abbiamo qui goduta e professata, solleciti e felici di rispecchiare e di promuovere quella mistica unità, che Cristo lasciò ai suoi Apostoli, come il più prezioso ed autentico retaggio, e come suprema esortazione! Godano ancora, perché durante tale singolarissima celebrazione, già tre volte, e la quarta ora si inizia, con regolare ritmo annuale, in questa basilica, sacra alla memoria dell’Apostolo Pietro, fondamento visibile della Chiesa di Cristo, la Gerarchia cattolica ha espresso, convalidato e illustrato i vincoli d’una solidale ed univoca comunione, quale la molteplice diversità delle nostre origini umane e le implacabili divisioni, che separano gli uomini fra loro, farebbero supporre impossibile, ed è invece davanti a noi, e mediante noi, felice realtà, la misteriosa ed effettiva realtà cattolica.

Vengono alla Nostra mente le parole dell’esimio dottore, Nostro antico e santo predecessore, Leone Magno:

«Quando vedo questa veramente splendida moltitudine di miei venerabili confratelli nel sacerdozio, mi pare che noi fra tanti santi ci troviamo in un’assemblea angelica!» (Sermo I - De Anniversario).

E goda con noi l’intera Chiesa, della quale noi siamo qui i Pastori e i rappresentanti, di sapersi e di sentirsi con noi raccolta in consenziente armonia spirituale, che tutta la pervade, e, se vigilante, la inebria.

Grande cosa è questo Concilio! A causa della regolare ripetizione delle sue assise, che attenua l’impressione di novità di questo storico incontro, non sia meno attenta e meno stupita la nostra considerazione dell’avvenimento che stiamo celebrando, ma piuttosto l’abitudine stessa, generata dal susseguirsi di queste riunioni, ci renda tutti più idonei e più pii ad esplorarne il grande, il complesso, il misterioso significato. Non passi quasi inavvertita per noi quest’ora solenne: non si confonda fra le tante e consuete vicende, di cui è intessuta la trama ordinaria della nostra vita, quest’unica esperienza; la simultanea presenza, che qui ci raccoglie, - oh, ricordiamolo! - non è da noi soli partecipata, perché con noi è quel Cristo, nel cui nome siamo adunati (cfr. Matth. 18, 20), e la cui assistenza fiancheggia sempre il nostro cammino nel tempo (cfr. Matth. 28, 20).

Questo obbligo di vivere con pienezza di adesione questa fase terminale del Concilio costituisce per noi una responsabilità, che ciascuno deve misurare nel foro interiore della propria anima, e a cui ciascuno deve far corrispondere particolari atteggiamenti morali e spirituali. Oh! Fratelli, non ci sia molesto anteporre ai molteplici ed assorbenti lavori, che ci attendono, questo momento di riflessione per mettere i nostri spiriti nelle condizioni propizie al compimento, quale qui si richiede, della misteriosa combinazione dell’arcana azione divina con la nostra; combinazione sempre in atto nel regno della grazia, ma in forma e misura eminenti ove si tratti delle sorti della santa Chiesa, come avviene appunto nella celebrazione d’un Concilio: qui infatti possiamo a noi stessi pienamente applicare la sentenza di San Paolo: «Dei enim sumus adiutores» (1 Cor. 3, 9), non già perché noi possiamo presumere di dare efficacia all’opera di Dio, ma perché speriamo che l’umile e volonterosa opera nostra prenda vigore e merito da quella divina. Bene sappiamo che a questa assemblea sarà dato alla fine di pronunciarsi con le sacre e formidabili parole apostoliche: «Visum est . . . Spiritui Sancto et nobis» (Act. 15, 28). Occorre perciò che noi usiamo ogni studio per ottenere che l’azione dello Spirito Santo s’inserisca nella, nostra, e tutta la pervada, la illumini, la corrobori e la santifichi. E quale studio noi pari,mente sappiamo. Sette volte il messaggio apostolico, nel libro dell’Apocalisse (2, 7 - 3, 22), intima ai Pastori - Angeli sono chiamati - delle Chiese primitive: «Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis». Ascoltare; ascoltare la voce arcana del Paraclito dev’essere il primo nostro dovere nei giorni successivi durante le finali assise del Concilio; lasciare che lo Spirito Santo effonda nei nostri cuori quella carità, che si traduce in sapienza, in quella rettitudine cioè di giudizio, secondo le più alte ragioni del sapere, per cui risale a Dio, donde ha ricevuto quell’ineffabile dono, la mente umana, e diventa amore, diventa carità ogni suo pensiero, ogni sua azione. La carità, che da Dio discende, si trasforma in carità, che a Dio ascende, e dall’uomo a Dio tende a tornare.

Questo processo della carità dovrebbe caratterizzare la conclusione del nostro Sinodo ecumenico. Noi dovremmo essere quanto mai capaci di compierlo noi stessi per dare a questo momento di pienezza vitale della Chiesa il suo più alto significato ed il suo più efficiente valore. Dalla carità dobbiamo attingere lo stimolo e la guida verso le verità, che qui intendiamo di mettere in luce, e verso i propositi che qui vogliamo stabilire; verità e propositi che, annunciati da questo Concilio, organo lui stesso della più alta e più amorosa autorità pastorale, non potranno non essere espressioni di carità.

Verso questa nostra ricerca di verità, sia dottrinale che normativa, ci diriga pertanto l’amore, memori della lucida sentenza di Sant’Agostino: «Nessuna cosa buona perfettamente si conosce, che non sia perfettamente amata» (De diversis quaest. 83 - P.L. 40, 24).

Né sembra difficile dare al nostro Concilio ecumenico il carattere d’ un atto d’amore; d’un grande e triplice atto di amore: verso Dio, verso la Chiesa, verso l’umanità.

1. Guardiamo dapprima a noi stessi, venerati Fratelli. Come si può altrimenti definire la condizione, nella quale, ci ha posti la convocazione del Concilio, se non uno stato di tensione, di sforzo spirituale? Tale convocazione ci ha distolti dal torpore della vita ordinaria, ha risvegliato in noi la coscienza piena della nostra vocazione e della nostra missione, ha scosso in noi poteri latenti, e ha acceso nelle nostre anime lo spirito di profezia, proprio della Chiesa di Dio; ha eccitato in noi il bisogno, il dovere di proclamare la nostra fede, di inneggiare a Dio, di stringerci a Cristo, di proclamare nel mondo il mistero della rivelazione e della redenzione. Non è forse amore questo? Chiamati a questa tribuna, donde si contempla il mondo contemporaneo, coperto dalle nebbie del dubbio e dalle tenebre dell’irreligiosità, ci è sembrato di salire nella sfera della luce di Dio; soci e fratelli noi stessi degli uomini, tra cui viviamo, venendo a questa altezza spirituale, ci è sembrato di emergere dalla terra, dalle sue complicazioni e dalle sue rovine. e di vedere limpido e caldo il sole della vita - et vita erat lux hominum (Io. 1, 4) -; anzi di parlare, umilmente, filialmente, gaudiosamente, in spirito e verità, al Dio Padre nostro; e di dire a Lui, cantando e piangendo, la nostra lode alla grandezza della sua gloria, oggi a noi più palese per la progredita conoscenza del cosmo; la nostra fortuna per averci rivelato il suo nome, il suo regno, la sua volontà; e poi di lenire il dolore che è nel mondo, il travaglio, l’immanità delle nostre miserie e degli errori dilaganti; ma qui più che mai ci sentiamo forti della certezza, che è nostra e qui vibra in noi con singolare potenza, e che ci ricorda essere noi i difensori dello spirito, noi i tutori del destino umano, noi gli interpreti delle vere speranze. E questo non è forse amore, che ha nella Sacra Scrittura la formula magnifica e scultorea: «Abbiamo creduto all’amore, che Dio porta a noi»? (Io. 4, 16).

Il Concilio infatti si iscrive nella storia del mondo contemporaneo come la più alta, la più chiara, la più umana affermazione d’una religione sublime, non inventata dagli uomini, ma rivelata da Dio, e consistente nel rapporto sopraelevante di amore, che Egli, il Padre ineffabile, mediante Cristo suo Figlio e nostro Fratello, ha stabilito, nello Spirito Santo vivificante, con l’umanità.

2. Ed ecco il secondo momento della nostra carità conciliare. Perché, questo dicendo, noi sentiamo di non essere soli. Noi siamo un Popolo, il Popolo di Dio. Noi siamo la Chiesa cattolica. Siamo una società singolare, visibile e spirituale insieme. Il Concilio ci fa più chiaramente avvertire che la nostra Chiesa è società fondata sull’unità della fede e sull’universalità dell’amore. La ricerca di una perfetta e superiore socialità, che forma il problema capitale della storia e che sembra insolubile, se pensiamo all’eterna vicenda di Babilonia, tragicamente documentata all’età nostra, è invece per noi nei suoi principii compiuta, anche se di fatto è solo virtualmente soddisfatta; e sappiamo che non può essere smentita la soluzione, da noi posseduta, la comunione cioè che ci unisce e che andiamo predicando, perché non è fondata sopra criteri d’idolatria individuale o d’idolatria sociale, ma sopra un incontrovertibile principio religioso: l’amore, l’amore agli uomini, non per motivo dei loro meriti o dei nostri interessi, ma per motivo dell’amore di Dio. E non mai prima d’ora, dal giorno in cui la Chiesa nascente «era un cuor solo e un’anima sola» (Act. 4, 32), la Chiesa ha affermato, ha vissuto e goduto, ha pregato e desiderato che fosse pienamente integrata la effettiva e mistica unità, che Cristo le concede, quanto nella celebrazione di questo presente Concilio. Nel tumulto degli avvenimenti contemporanei, nella previsione di altri futuri rivolgimenti, nella deludente esperienza delle sempre rinascenti discordie umane, e nell’irresistibile cammino dei popoli verso la loro unificazione, avevamo bisogno di verificare, quasi sperimentalmente, l’unità, che ci fa tutti famiglia e tempio di Dio, corpo mistico di Cristo; avevamo bisogno di incontrarci e di sentirci davvero fratelli, di scambiarci il bacio di pace, di amarci, in una parola, come Cristo ci ha amati.

E l’amore nostro, qui, ha già avuto ed avrà espressioni che caratterizzano questo Concilio davanti alla storia presente e futura. Tali espressioni risponderanno un giorno all’uomo studioso di definire la Chiesa in questo momento culminante e critico della sua esistenza: che cosa faceva, egli domanderà, in quel momento la Chiesa cattolica? Amava! sarà la risposta. Amava con cuore pastorale, tutti lo sanno, anche se è ben difficile penetrare la profondità e la ricchezza di questo amore, fatto tre volte scaturire da Cristo nel cuore pentito e ardente di Simone Pietro (voi ricordate? «Gesù dice a Simone Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più degli altri? -Risponde lui: Sì, o Signore; Tu sai che io Ti amo. Dice a lui [Gesù]: pasci il mio gregge» (Io. 21, 15)! E il mandato, derivato dall’amore a Cristo? di pascere il suo gregge, oh! sì, dura ancora e dà ragion d’essere a questa cattedra, come si estende e dura ancora e dà ragion d’essere alle vostre singole cattedre, venerabili Fratelli; ed oggi si afferma con coscienza e con vigore nuovi; questo Concilio lo dice: la Chiesa è una società fondata sull’amore e dall’amore governata! Amava, la Chiesa del nostro Concilio, ancora si dirà, amava con con cuore missionario. Tutti sanno come questo sacrosanto Sinodo ha intimato ad ogni buon cattolico d’essere apostolo, e come ha spinto i. traguardi dello zelo apostolico a tutti gli uomini, a tutte le razze, a tutte le nazioni, a tutte le classi: l’universalità dell’amore, anche quando essa vince le forze di chi la persegue o esige da lui dedizione totale ed eroica, qui ha avuto, e l’abbia per sempre, la sua voce solenne.

Amava, sì, ancora, la Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, con cuore ecumenico, vale a dire con ampiezza aperta, umilmente, affettuosamente, tutti i Fratelli cristiani ancora estranei alla perfetta comunione con questa nostra Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica. Se nota ricorrente e patetica è stata nelle trattazioni di questo Concilio, essa è certo quella rivolta al grande problema della reintegrazione di tutti i Cristiani nell’unità voluta da Cristo, alle sue difficoltà, alle sue speranze: non è questa, venerabili Fratelli, e voi, reverendi e diletti Osservatori, una nota di carità?

3. Né questa riunione conciliare, tutta concentrata sul nome di Cristo e della sua Chiesa, avente perciò caratteri e confini ben definiti, potrà dirsi paga di se stessa, chiusa, ignara, insensibile verso gli interessi degli altri, delle folle sterminate di uomini, che non hanno la nostra fortuna d’essere accolti, come noi senza nostro merito siamo, in questo beato regno di Dio, che è la Chiesa.

Non così, non così. L’amore che anima la nostra comunione non ci sequestra dagli uomini, non ci rende esclusivisti, non egoisti. Anzi, perché amore che viene da Dio, ci educa al senso della universalità; la nostra verità ci spinge alla carità - ricordate il monito dell’Apostolo: «Veritatem autem facientes in caritate», noi andiamo operando nella verità verso la carità (Eph. 4, 15). E qui, in questa assemblea, l’espressione di tale legge della carità ha un nome sacro e grave: si qualifica responsabilità; San Paolo direbbe urgenza: «Caritas Christi urget nos», la carità di Cristo ci spinge (2 Cor. 5, 14). Noi, ci sentiamo responsabili verso tutta l’umanità. Verso tutti siamo debitori (cfr. Rom. 1, 14). La Chiesa, in questo mondo, non è fine a se stessa; essa è al servizio di tutti gli uomini; essa deve rendere Cristo presente a tutti, individui e popoli, quanto più largamente, quanto più generosamente possibile; questa è la sua missione. Essa è portatrice dell’amore,- è fautrice di vera pace, e ripete con Cristo: «Ignem veni mittere in terram», sono venuta a portare fuoco sulla terra (Luc. 12, 49). E anche di questa consapevolezza, di questa dichiarazione aveva bisogno la Chiesa; e il Concilio gliene ha offerta occasione.

Possiamo infatti noi dimenticare che qui sfocia il fiume della storia secolare della salvezza, storia terrena dell’amore celeste? Trascureremo noi di avvertire che questo Concilio è rivelatore alla Chiesa stessa di una più piena e approfondita coscienza delle ragioni della sua esistenza, che son le misteriose ragioni di Dio «che amò il mondo» (Io. 3, 16); e di .quelle della sua missione, sempre ricca e feconda di fermenti rinnovatori e vivificanti per l’umanità? 

Il Concilio offre alla Chiesa, a noi specialmente, la visione panoramica del mondo: potrà la Chiesa, potremo noi fare altrimenti che guardarlo e amarlo? (cfr. Marc. 10, 21). Sarà questa contemplazione uno degli atti principali dell’incipiente Sessione del nostro Concilio: ancora, e soprattutto, amore; amore agli uomini d’oggi, quali sono, dove sono, a tutti. Mentre altre correnti di pensiero e di azione proclamano ben diversi principii per costruire la civiltà degli uomini, la potenza, la ricchezza, la scienza, la lotta, l’interesse, o altro, la Chiesa proclama l’amore. Il Concilio è un atto solenne d’amore per l’umanità. Cristo ci assista, affinché davvero sia così.

E a questo punto Ci assale un pensiero, che sembra contrastare a questa soave e forte irradiazione della nostra cristiana e umana simpatia verso ogni persona e ogni popolo di questa terra. Sappiamo infatti per amara e sempre attuale esperienza che anche l’amore, e forse specialmente l’amore incontra e provoca indifferenza, opposizione, disprezzo, ostilità. Nessun dramma, nessuna tragedia fu pari al sacrificio di Cristo, che appunto per l’amore suo e per l’altrui inimicizia sofferse la croce. L’arte di amare si tramuta spesso in arte di soffrire. Così la Chiesa: desisterà essa dal suo impegno di amore per i rischi e le difficoltà, che ad esso si oppongono?

Ascoltate ancora S. Paolo: «Chi dunque mai ci separerà dalla carità di Cristo?» (Rom. 8, 35); e ripensate all’elenco di avversità, che l’Apostolo, quasi sfidandole, va presentando, per ricordare che dalla carità nulla ci può, nulla ci deve separare. Ebbene questo Concilio chiede umilmente al Signore la grazia d’essere fatto degno di trarre gaudio, come i primi apostoli (cfr. Act. 4, 41), dal soffrire offesa per il nome di Gesù. Perché tuttora l’offesa è grave e dolorosa verso questo pacifico Concilio: non pochi di coloro che dovrebbero qui sedere con voi, venerabili Fratelli, mancano al nostro invito, perché ingiustamente impediti di venire; indice questo che è tuttora grave e dolorosa l’oppressione, con cui in non pochi Paesi si comprime la Chiesa cattolica e con calcolo premeditato si tende a soffocarla e a sopprimerla. L’animo Nostro si riempie di amarezza a questa considerazione, che avverte quanto ancora il mondo sia lontano dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore, cioè dalla pace, per usare parole del Nostro venerato predecessore Giovanni XXIII (cfr. Enciclica «Pacem in terris»).

Ma fedeli allo spirito di questo Concilio noi reagiremo con un duplice atto di amore: verso i nostri Fratelli nell’afflizione: oh! portino ad essi gli Angeli di Dio il saluto nostro, il nostro ricordo, il nostro affetto; e sia loro conforto sapere che il loro dolore, il loro esempio sono onore per la Chiesa di Dio, e invece di spegnere nel pianto, ravvivano nella speranza la comunione di carità che ad essi la unisce. E l’altra reazione, verso coloro che oppugnano Cristo e la sua Chiesa, intimidiscono e paralizzano i credenti in Dio sarà ancora la nostra una reazione di umile e superiore bontà, quella a noi insegnata dal divin Maestro: «Amate i vostri nemici . . . e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano . . .» (Matth. 5, 44). Questo Concilio certamente dovrà essere fermo e chiaro circa la rettitudine delle dottrine; tuttavia verso coloro che per cieco pregiudizio antireligioso o per ingiustificato proposito antiecclesiastico ancora tanto fanno soffrire la Chiesa, piuttosto che condannare qualcuno, avrà sentimenti di bontà e di pace, e pregherà, sì, pregheremo tutti con amore perché sia loro concessa da Dio quella misericordia che per noi stessi imploriamo. L’amore solo sia per tutti vincitore!

E trionfi fra gli uomini la pace! La pace, che proprio in questi giorni è ferita e insanguinata da aspri conflitti fra popoli, che di pace tanto hanno bisogno. Non possiamo tacere, neppure in questo momento, il Nostro voto vivissimo, affinché cessi la guerra, ritorni fra le genti il mutuo rispetto e la concordia; e, si, presto e sempre trionfi la pace!

E qui finisce questo Nostro discorso, che non ad altro mira se non a chiarire il senso e a ravvivare lo spirito di questa ultima Sessione del Concilio Ecumenico. Come vedete, Venerabili Fratelli, Noi non abbiamo toccato alcuno dei temi, che saranno proposti all’esame e alle deliberazioni di questa assemblea: il Nostro silenzio però non tace, anzi dimostra il Nostro studiato proposito di non prevenire con la Nostra parola la libera orientazione delle vostre opinioni circa le materie proposte.

Non possiamo tuttavia omettere alcune cose.

La prima è la Nostra riconoscenza per tutti coloro che hanno lavorato, e Noi sappiamo con quanta cura, nelle Commissioni e Sotto-Commissioni per la migliore redazione degli Schemi, che saranno prossimamente discussi. Qualunque sia il giudizio che voi riserverete su tali Schemi, quanti vi hanno dedicato studi, tempo, fatiche, meritano plauso e gratitudine.

La seconda cosa è il preannuncio, che Noi stessi siamo lieti di darvi, della istituzione, auspicata da questo Concilio, d’un Sinodo di Vescovi, che, composto di Presuli, nominati per la maggior parte dalle Conferenze Episcopali, con la Nostra approvazione, sarà convocato, secondo i bisogni della Chiesa, dal Romano Pontefice, per Sua consultazione e collaborazione, quando, per il bene generale della Chiesa ciò sembrerà a Lui opportuno. Riteniamo superfluo aggiungere che questa collaborazione dell’Episcopato deve tornare di grandissimo giovamento alla Santa Sede e a tutta la Chiesa, e in particolare modo potrà essere utile al quotidiano lavoro della Curia Romana, a cui dobbiamo tanta riconoscenza per il suo validissimo aiuto, e di cui, come i Vescovi nelle loro diocesi, così anche Noi abbiamo permanentemente bisogno per le Nostre sollecitudini apostoliche. Notizie e norme saranno quanto prima portate a conoscenza di questa assemblea. Noi non abbiamo voluto privarci dell’onore e del piacere di farvi questa succinta comunicazione per attestarvi ancora una volta personalmente la Nostra fiducia, la Nostra stima e la Nostra fraternità. Mettiamo sotto la protezione di Maria santissima questa bella e promettente novità. 

La terza, già a voi nota, è la deliberazione di accogliere l’invito a Noi fatto di visitare nella sua sede, a New York, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di questa istituzione mondiale; e ciò faremo, a Dio piacendo, durante questa Sessione conciliare, con una brevissima assenza, per recare ai Rappresentanti delle Nazioni, colà riuniti, un messaggio di onore e di pace. Noi vogliamo sperare al Nostro messaggio si unirà il suffragio della vostra unanime adesione, non avendo Noi altra intenzione che di assumere nella Nostra voce il coro delle vostre, che sempre, in ossequio e in virtù dell’apostolica, missione a voi, come a Noi, affidata da Cristo, annunciano ed auspicano la concordia, la giustizia, la fratellanza, la pace fra gli uomini amati da Dio e di buona volontà.

E non dimentichiamo il saluto riverente e cordiale in Cristo per tutti e ciascuno di voi, Fratelli Nostri adunati in questo Concilio, sia dell’Oriente che dell’Occidente. Desideriamo anche rivolgere un’espressione particolare di ossequi e di compiacenza ai Membri del Corpo Diplomatico. Estendiamo poi il Nostro saluto con riconoscenza a tutti e ai singoli Osservatori, lieti ed onorati di averli con Noi, assicurandoli del Nostro cordiale rispetto. Poi salutiamo i cari Nostri Uditori e Uditrici, i Periti, e quanti assistono e prestano servizio allo svolgimento del Concilio; alla Stampa specialmente e alla Radio e Televisione. A tutti la Nostra Apostolica Benedizione.

    



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