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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AGLI EX-ALUNNI DEL PONTIFICIO SEMINARIO LOMBARDO DI ROMA

Giovedì, 24 settembre 1970

 

Con sincera e profonda letizia ci troviamo oggi in mezzo a voi, Signori Cardinali, Venerabili Fratelli, Sacerdoti carissimi, ex alunni del Pontificio Seminario Lombardo, che avete voluto, con delicato pensiero, celebrare il Nostro Giubileo Sacerdotale riunendovi insieme per approfondire un tema di viva attualità, qual è quello dei Seminari e dei Seminaristi nel mondo, oggi.
Avete voluto coronare il vostro studio in un incontro con il Papa, ex alunno anch’egli di codesto benemerito Istituto, che da più di un secolo ha il compito delicato di preparare spiritualmente ed intellettualmente i ministri di Dio.
La vostra presenza risveglia in Noi anzitutto un’abbondanza di buoni ricordi. Ci fa ritornare nel tempo, ormai lontano, ma non mai dimenticato, della Nostra giovinezza, quando, nell’attesa gioiosa del sacerdozio e della Nostra donazione a Dio e alla Chiesa, ci preparavamo, nella preghiera e nello studio, ad essere docili strumenti della volontà divina per il bene delle anime.

Furono anni, quelli, di vera grazia e di celesti benedizioni. Sebbene le condizioni di quel tempo (era tempo di guerra) e quelle della Nostra salute (eravamo allora molto insicuri delle Nostre forze) ci abbiano impedito una vita regolare di seminarista, Noi incontrammo allora pii ed esperti educatori e maestri, compagni, che nel comune ideale ci aiutarono con il loro esempio e la loro fraterna amicizia. Furono anni di studio profondo delle sacre discipline presso le Pontificie Facoltà, dove docenti particolarmente specializzati ci abituarono alla serietà della ricerca, ma specialmente all’amore della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa.
Furono gli anni delle speranze giovanili, nei quali guardavamo al futuro col proposito di vivere, testimoniare e realizzare il dono del sacerdozio, affidando docilmente la Nostra fragile adolescenza nelle mani esperte e materne della Chiesa.
Questo cumulo di ricordi ci spinge ad un senso di viva gratitudine e di profondo amore verso l’Istituzione del «Nostro Seminario Lombardo-Romano».

Desideriamo sottolineare questi due aggettivi: Lombardo-Romano. Quando nell’ormai lontano 1863 i vescovi della Lombardia decisero di fondare a Roma codesto Seminario, in momenti particolarmente delicati per la vita della Chiesa, intesero con questo gesto iniziare un Istituto, nel quale i loro futuri sacerdoti nella Città Eterna, accanto al Successore di Pietro, potessero ricevere dai martiri e dai santi del passato esempi di fedeltà assoluta alla Sposa di Cristo.
Dobbiamo guardare con questo spirito e con questa prospettiva la presenza a Roma del Seminario Lombardo.
Ma l’essere ex alunni o alunni di codesto Istituto, non deve rappresentare soltanto quasi un vanto, umanamente comprensibile, ma deve essere uno sprone continuo per vivere e testimoniare gli impegni che ne derivano.
Non dimentichiamo che il Seminario è dedicato ai Santi Ambrogio e Carlo, i due grandi Vescovi della Chiesa milanese che sono fulgide glorie della Chiesa universale.

Fedeltà quindi, possiamo dire, alla radice autentica, all’insegnamento e agli esempi di questi due atleti di Cristo, i quali, pur a distanza di secoli l’uno dall’altro, hanno lasciato mirabili esempi di eroica fedeltà a Cristo, di amore alla Chiesa, a Maria Santissima, al sacerdozio, alle anime.
Sant’Ambrogio, in quel periodo immediatamente successivo alla concessione della libertà al Cristianesimo, in mezzo alle ricorrenti tentazioni ereticali, che germinavano purtroppo tra i fedeli, rinnovava la sua fede nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo, indissolubilmente unita a Pietro. Ci piace ricordare le note parole del grande Vescovo: «Ipse est Petrus cui dixit: “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam”. Ubi ergo Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi nulla mors, sed vita aeterna» (Enarrationes in XII Psalmos davidicos; PL 14, 1082). Sant’Agostino farà eco: «Petrus Petra, Petra Ecclesia» (En. in Ps. 103; PL 37, 1359), mentre affermava il suo amore a Gesù, Verbo Incarnato, centro e scopo della sua vita di cristiano e di Vescovo: «Cum in via sum, Christi sum; cum pervenero, Patris sum; sed ubique per Christum, et ubique sub Christo» (De fide, ad Gratianum; PL 16, 678).

Ed il suo lontano successore San Carlo Borromeo, grande protagonista delle fasi finali del Concilio di Trento, consumava la sua breve esistenza in un lavoro apostolico, che ancor oggi ci lascia sorpresi e ammirati, per l’attuazione e la realizzazione, nella Lombardia e nella sconfinata diocesi ambrosiana, dei sapienti dettati di quel Concilio, espressione della rinnovata vitalità della Chiesa.
Una visione della Chiesa, potremmo dire, «canonica» quella di San Carlo, che però ne integrava armoniosamente l’aspetto mistico e spirituale. Il santo Vescovo, nei vari Sinodi, raccomandava vivamente la conoscenza e la pratica delle « leggi » della Chiesa, emanate a Trento: «Nam ut scientia debet esse cum virtute copulata; sic decretorum constitutio cum executione in primis coniuncta; alioquin parvam affert utilitatem, vel certe nullam» (Sancti Caroli Borromaei Orationes XII, Romae, MDCCCCLXIII, p. 30).
Un altro impegno, che deriva dall’essere ex alunni del Pontificio Seminario Lombardo, è la testimonianza nei nostri rispettivi uffici, che ci sono stati affidati dalla Divina Provvidenza. Testimonianza di Fede, di Speranza, di Carità; di una vita sacerdotale vissuta nella sua interezza, con vivida gioia e con incondizionata dedizione.

Infine, riferendoci al tema del vostro studio di questi giorni, desideriamo ardentemente raccomandare la promozione della formazione ecclesiastica, secondo le nuove linee pedagogiche e spirituali della Chiesa, contenute nei vari documenti conciliari, ma specialmente nei Decreti Optatam totius e Presbyterorum ordinis, con le ulteriori direttive recentemente emanate dai competenti Dicasteri.
È necessario far meditare profondamente ai giovani che si avviano al sacerdozio, ed ai sacerdoti, l’altissimo dono della vocazione ecclesiastica. Vogliamo riferire in questa lieta occasione le parole fervide ed illuminate, che San Carlo rivolgeva ai Ministri di Dio, riuniti in Sinodo: «O qualis, et quantus est ecclesiastici hominis status, quam insignis dignitas: animas praetiosissimas, Sacramenta, Christi Corpus ipsum tractare; esse instrumentum divinarum in animabus operationum; posse peccata dimittere» (Sancti Caroli Borromaei Orationes XII, o.c., p. 145).
Bisogna conoscere, capire ed attuare, come si deve, le direttive conciliari, evitando il pericolo di troppo personali ed affrettate interpretazioni. Ed in ciò ci sono ancora di significativo esempio i Santi Ambrogio e Carlo Borromeo. Dinanzi alle riemergenti concezioni eterodosse, Sant’Ambrogio riaffermava la sua fede ed il suo attaccamento al Concilio di Nicea, «a quo me nec mors – scriveva - nec gladius poterit separare» (Epistolae; PL 16, 1005).
Ancora una volta desideriamo esprimere a tutti il Nostro ringraziamento per questo incontro, pieno di ricordi e di santi propositi, mentre di vero cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

                      



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