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DISCORSO DI PAOLO VI
DURANTE LA «VIA CRUCIS» DAL PALATINO AL COLOSSEO

Venerdì Santo, 20 aprile 1973

 

Questo doloroso cammino della Croce ci ha portati all’ultima stazione, a quella del sepolcro, a quella della pietà, dove Maria, la Madre del Figlio divino, tiene in grembo il frutto del dolore, dell’odio, della morte: il cadavere di Cristo crocifisso.

Fratelli! viandanti di questo comune pellegrinaggio! sapete voi perché noi tutti ci sentiamo avvinti, quasi a nostro malgrado, da questo tristissimo spettacolo? e perché non possiamo distaccare il cuore da questa terminale e tragica contemplazione? Perché non inorridisce il nostro sguardo alla vista d’uno strazio umano così crudele e così orrendo, inflitto al più bello e al più buono dei figli dell’umanità, al fratello più nostro e più solidale, all’amico, al maestro, al pastore di noi uomini tutti, al Verbo di Dio fatto, come noi, uomo?

Non proviamo ribrezzo e spavento? non sentiamo rimorso? non ci assale uno strano ed istintivo senso di corresponsabilità? Complici di codesta morte, la più umiliante, la più ingiusta fra quante abbiano insanguinata la terra, non ci sentiamo noi tutti? non si riflette forse nel Cristo ucciso, come nella vittima più sensibile e centrale del mondo intero, ogni nostro peccato? Sì, ognuno di noi può accusarsi davanti alla passione e alla morte di Gesù: è anche colpa mia!

Eppure a Lui, al Cristo crocifisso, noi ci sentiamo attratti, in questa ora delle tenebre, ma attraversata dai bagliori d’una coscienza nuova; attratti, diciamo: Egli l’aveva predetto: «Quando Io sarò innalzato da terra (voleva dire: quando sarò esaltato in croce), Io trarrò tutti a me» (Io. 3, 14; 12, 32).

Fratelli, lasciamo che questo fascino misterioso ci domini col suo duplice sentimento, di rimprovero e di speranza.

Di rimprovero: non rispecchiano crudamente le ferite ancora sanguinanti di Cristo tutte le violenze, le torture, le stragi, le barbarie, di cui ancor oggi l’odio, la cattiveria, la prepotenza, l’insensibilità dell’uomo moderno è capace? sì, lui raffinato da ogni progresso della civiltà, ma tuttora miope sul modo di usarne sapientemente? e diciamo allora a noi stessi: abbiano fine gli oltraggi alla vita e alla dignità degli uomini! abbia fine l’impassibile inumanità, che attenta alla vita innocente e inerme, nascente nel seno materno! abbia fine la delinquenza, che oggi va facendosi professionale e organizzata! abbia fine la strategia, che si fonda sulla gara alla potenza micidiale delle armi scientifiche! abbia fine la licenza degradante del piacere vizioso, eretto ad ideale di libertà e di felicità cieca ed egoista! Questa invettiva potrebbe prolungarsi fin dove giungono le degradazioni umane, molto lontano!

Ma ascoltiamo piuttosto le effusioni di speranza irradianti dalla Croce di Cristo. Prima speranza la misericordia, il perdono, la riconciliazione di Dio verso di noi. Come il peccato, ricordiamolo bene, è la prima e più grave nostra sventura, perché tronca il nostro rapporto con la vera Vita, che è Dio, così la liberazione dal peccato è la prima e indispensabile nostra fortuna. E quale fortuna per noi il sapere che Cristo, col Suo Sangue, ha pagato per noi, ha espiato in nostra vece, ha riparato l’irrimediabile nostra maledizione; e ci ha fatto risorgere a nuova esistenza, e sperare eterna felicità.

E ci ha ridato, Lui, con la sua morte per amore, l’amore per i fratelli, ci ha insegnato a perdonare, ad avvertire i bisogni altrui, a servire i più deboli, a sacrificarci per gli altri; cioè a portare l’umanità agli uomini, la bontà e la giustizia al mondo. E perciò la pace. E poi ancora: ci ha insegnato il valore della sofferenza e la fecondità del dolore, la dignità nella sventura. Ed ha concesso, anzi ha voluto che su ogni tomba fosse piantata la sua croce, profezia e garanzia di risurrezione.

Fratelli! non poniamo fine a questo itinerario verso la Croce senza il segreto impegno personale di proseguirlo. Cristiani siamo e dobbiamo essere, e rispondiamo quindi col cuore e col passo all’invito di Cristo: «venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed Io vi consolerò» (Matth. 11, 28).

Conforti ora in ciascuno di noi questi sentimenti e questi propositi la nostra Apostolica Benedizione.

Después de recorrer juntos el Via Crucis, contemplando a Cristo que sufre la Pasión con amor infinito por la humanidad, queremos exhortar a los amadísimos hijos de los Países de lengua española a que inspiren toda su vida en el amor y a que sepan encontrar en el dolor un profundo sentido de redención.

De este modo, a través del sacrificio generoso y del sufrimiento fecundo, podremos lograr que todos nuestros días estén iluminados por la esperanza de la Resurreción y el gozo de la Pascua.

E aos dilectos filhos de língua portuguesa: Cristo padeceu por nós, deixando-nos o exemplo. O caminho do amor passa pela dor.

Amar, como Ele amou, é renunciar, sacrificar-se, para o bem de outrem; é abraçar a Cruz, com a liberdade de filhos de Deus; esta assenta na graça e na paz, iluminadas pela esperança, fixada no Redentor Ressuscitado.

Para a plenitude das alegrias pascais, no amor de Cristo, a todos: graça e paz!

                                    



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