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MESSAGGIO DI PAOLO VI NEL I CENTENARIO
DELLA MORTE DI ALESSANDRO MANZONI

Sabato, 19 maggio 1973

 

Al Nostro Venerabile Fratello
il Cardinale Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano

Signor Cardinale,

Apprendiamo dalla sua lettera che la Città di Milano sta per celebrare, in maniera degna delle sue tradizioni di spiritualità e di cultura, il 1° Centenario della morte di Alessandro Manzoni. Nel compiacerci di cuore per questo avvenimento, che raccoglierà l’adesione di personalità e di studiosi italiani ed esteri, desideriamo in qualche modo partecipare a quanto è stato predisposto per onorare noi pure l’insigne Uomo, che ha dato alla fede cattolica una così alta testimonianza con la convinzione vissuta del credente e col sommo magistero letterario dell’incomparabile artista.

Il Manzoni si trovò in un momento decisivo della storia: di fronte alla ideologia dell’illuminismo razionalistico. Egli prospettò con «La morale cattolica», una visione teologica della vita umana e affermò l’inscindibilità del fatto morale da quello dottrinale; di fronte al laicismo della rivoluzione sostenne, con accenti squisitamente religiosi negli «Inni sacri» specialmente, i valori del culto cattolico e la commossa partecipazione del popolo alle festività liturgiche; in mezzo al dramma umano delle guerre di allora celebrò il soccorso della fede con le sue composizioni liriche sul risorgimento italiano e sul declino napoleonico. Le sue tragedie portarono sulla scena le vicende dei condottieri e la storia franco-longobarda, penetrandole del respiro di umanissimi sentimenti e inserendole nel quadro più vasto di un’esperienza vitale, dove accanto ai grandi anche ai semplici è assegnato un posto degno di rispetto e di umana pietà. Egli pertanto sentì che la letteratura è strettamente congiunta alla vita e la vita alla verità religiosa, e che non si può dare una risposta al segreto dell’arte se prima non sia intuita la risposta al senso della vita. Per questo volle riproporre, nella visione di un tempo storico quale è il Seicento, i ricorrenti problemi che l’uomo incontra nelle sue diverse età.

I «Promessi Sposi», che sono il naturale sbocco di questa cristiana meditazione sull’esistenza, vivono in uno spazio sociale e spirituale senza confini, non circoscritto alle terre, pur così suggestive, a specchio del lago di Como, e generazioni di uomini, ormai da più decenni, si sono soffermate su quelle pagine, e vi hanno trovato riflesso un aspetto della loro propria vita, o, diciamo meglio, la risposta animata a tanti loro problemi.

Per la città di Milano, che sempre noi ricordiamo con partecipe affetto, quei personaggi sembrano di casa: essi conservano una fisionomia simbolica che ha preso il carattere dei luoghi, e nonostante la metamorfosi indotta dai nuovi tempi, essi posseggono ancora un accento che si adatta mirabilmente al cielo e al lavoro della città e delle campagne lombarde. In questa rappresentazione tutti i personaggi di scena assurgono a figure tipiche di perenne eloquenza; ed Ella può ben comprendere come sia per noi motivo di vera commozione il ricordo del Cardinale Federigo Borromeo, che lasciò nell’Arcidiocesi ambrosiana, tanto legata al veneratissimo San Carlo, fondazioni e memorie giunte vive sino a noi. Un Padre Cristoforo che si pone a contrastare con i potenti e che, a prima vista, sembra l’uomo sconfitto, i protagonisti che devono lasciare il paesello, dopo l’addio ai monti, in cerca di rifugio in un mondo sconosciuto, e tutto l’insieme dei fatti tra la carestia, i disordini e la peste, sono continui richiami a situazioni storiche passate, ma non trascorse, diremmo col Manzoni, e che si ripetono nella storia dei popoli, anche di recente.

Guardare più in alto per trovare i legami della vita umana con un disegno della Provvidenza è un dovere trasparente dalle pagine semplici e sublimi dell’immortale romanzo, dovere che ciascuno ha verso se stesso e verso il prossimo, proprio in ordine alla legge di Dio e ai precetti della carità. Questo, a noi pare, è il grandissimo merito che ha avuto il Manzoni, riproponendo, con la pacata suggestività dell’arte, il significato più profondo della umana esistenza. Se volessimo rievocare le case innumerevoli che lo scrittore ha voluto dire, non dovremmo passare sotto silenzio le circostanze, quasi marginali, e spesso inosservate, che sono la lezione segreta e persistente del Manzoni più intimo; si pensi, ad esempio, alla predica di Padre Felice al lazzaretto: c’è in quella invocazione alle Beatitudini del Vangelo un cristianesimo puro e semplice, una verità sofferta tra una popolazione di derelitti e di consacrati alla morte; quando la Croce s’inalbera e ha inizio la processione, ci vien fatto di pensare a questo cammino del mondo e dell’età presente, che ha bisogno, per avanzare, che la Croce apra il cammino e sia sempre di guida. Nel Manzoni, a noi sembra, non esistono zone morte, né pagine di ripiego. Ci sembra di scorgere, nel gran teatro del mondo che là si riflette, un richiamo continuo e insistente alle leggi umane, alle leggi divine, a quelle infine della Chiesa, per cui, coerentemente, lo Scrittore stesso confidò al P. Cesari: «Colla Chiesa voglio sentire, esplicitamente dove conosco le sue decisioni, implicitamente dove non le conosco: sono e voglio essere colla Chiesa fin dove lo so, fin dove veggo e oltre».

In tale luce, la conclusione del romanzo è, effettivamente, il succo di tutta la storia: i dolori vengono e vanno; così le sofferenze si succedono negli individui, nelle famiglie e nei popoli, ma la fiducia in Dio raddolcisce tante pene e «le rende utili per una vita migliore». Al termine della «Pentecoste», il più ispirato dei suoi Inni, il Poeta si sofferma a guardare la fede che brilla nello sguardo di chi muore, sperando: così ci par di vedere il Manzoni nelle giornate ultime della sua vita, accanto alla sua cara Chiesa di San Fedele.

Il romanzo è una «consolazione per l’umanità», e così lo giudicò il Verdi, che celebrò degnamente il transito del grande artista con la «Messa da Requiem». Crediamo che di questa consolazione anche la società odierna abbia un sincero bisogno. Si discuteva tanto, nell’età manzoniana, del terzo stato: lo Scrittore lo pose al centro dei «Promessi Sposi», e mostrò un interesse singolarissimo per la vita degli umili, che sembrano destinati a restar fuori dalla storia, mentre per la loro fede e la loro sanità morale ne sono la base e il fermento. In questo Centenario, in cui gli studiosi più qualificati interverranno con nuove esegesi, sembra perciò opportuno che sia stabilito un contatto tra la dottrina dei critici e il popolo, quello per primo pastoralmente affidato alle Sue sollecite cure. Le iniziative prese in tale circostanza, dalle Autorità civiche come dall’arcidiocesi, ne sono un segno consolante.

Il Manzoni tornerà così tra la sua gente ambrosiana, che lo conobbe e lo amò in ogni tempo, e che prosegue a vedere in Lui, con affettuosa stima, l’uomo, lo scrittore, il cristiano. Auspichiamo altresì che l’occasione celebrativa ne richiami e riproponga più universalmente il messaggio consolatore, il quale indica nella fitta e confusa trama degli eventi umani l’azione segreta, di cui dicevamo, della Provvidenza di Dio, la quale tutto guida, alla fine, per il bene dei suoi figli.

Con questi voti a Lei e alle Autorità che promuovono le solenni celebrazioni nella diletta Arcidiocesi, giunga l’augurale saluto della nostra Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 14 aprile 1973.

PAULUS PP. VI

 



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