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DISCORSO DI PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE
DELL'ASSOCIAZIONE RELIGIOSI ISTITUTI SPEDALIERI

Giovedì, 15 novembre 1973

 

Figli carissimi,

È per noi una grande gioia porgere il nostro affettuoso saluto a voi, membri qualificati e distinti dell’Associazione Religiosi Istituti Spedalieri, convenuti a Roma per l’annuale assemblea in occasione del decennale della vostra organizzazione.

La vostra presenza porta davanti al nostro sguardo ciascuna delle vostre benemerite Famiglie Religiose, qui da voi degnamente rappresentate; e facendoci pensare alla magnifica fioritura di Opere sorretta dal loro zelo, richiama alla nostra memoria, più vivo e commovente, il ruolo che voi rappresentate in seno alla Chiesa, quali testimoni privilegiati dell’amore di Cristo verso gli uomini, perché è a lui, il quale ha voluto identificarsi nel sofferente e nell’ammalato, che vanno le sollecitudini rivolte con tanta premura ai vostri cari assistiti.

Potete quindi comprendere con quale animo vi rivolgiamo la parola che stamane voi attendete in questo incontro. Non sarà naturalmente la parola tecnica e specifica, relativa ai vostri problemi di carattere organizzativo e professionale, ma bensì quella che vi confermi nella fedeltà alla vostra vita consacrata a Dio, e vi incoraggi per quanto fate di buono, di grande, di caritatevole con la preghiera e con l’azione, per lo più nel silenzio e nel nascondimento, nel campo dell’assistenza ai malati, ognuno secondo la vocazione speciale del proprio Istituto.

Tanto più volentieri noi ve la rivolgiamo questa parola, perché si diffonde il dubbio se le Opere sanitarie e l’ideale del servizio agli infermi, che costituiscono la caratteristica di molti Istituti religiosi, abbiano ancora una funzione propria nel nostro tempo; se cioé l’azione della Chiesa nel campo assistenziale e sanitario - che trovava piena giustificazione nei tempi in cui l’azione pubblica era del tutto carente - sia ancora valida oggi.

Come vedete, ciò vi obbliga a prendere sempre più chiaramente coscienza delle ragioni profonde che spiegano la presenza della Chiesa in questo settore. Ragioni che non sono di carattere di supplenza a compiti di pertinenza degli organi pubblici, e, quindi, tanto meno di carattere concorrenziale; ma sono ragioni che affondano le loro radici nel comando evangelico «curate infirmos», che la Chiesa ha ricevuto, e che lungo i secoli non ha mai cessato di eseguire, in particolar modo sanzionando con la sua autorità l’impegno delle Famiglie religiose a dedicarsi alla cura degli infermi in nome di Cristo.

È appunto in questa prospettiva specificamente religiosa che l’opera assistenziale sanitaria delle Istituzioni religiose ospedaliere rivela tuttora la sua validità, e avrà in pieno la sua ragione d’essere anche per l’avvenire. Si tratta, infatti, di offrire al degente, oltre ad un servizio ineccepibile sotto il profilo sanitario, anche una testimonianza viva della sollecitudine della Chiesa verso i sofferenti. Si aggiunge a ciò il pericolo di una progressiva disumanizzazione degli ambienti di ricovero e di cura, dove tanto spesso si lamenta la tendenza alla spersonalizzazione pratica del malato e dove per conseguenza più che mai si reclama la testimonianza di quei valori spirituali, che - come abbiamo avuto occasione di sottolineare - sono «capaci non solo di sostenere, ma anche di illuminare e di animare l’edificio della civiltà moderna» (Discorso all’ONU).

Per questi motivi noi abbiamo fiducia che gli Istituti religiosi di assistenza e di cura in Italia, eredi di un nobilissimo costume cristiano e civile, avranno nel quadro della riforma sanitaria ancora in corso, l’onore che è loro dovuto e il riconoscimento di quella autonomia che è condizione indispensabile per il conseguimento delle loro specifiche finalità. Ciò non significa privilegio o ricerca di comode esenzioni, ma rispetto della giusta libertà già garantita a ciascun cittadino dalla Costituzione del Paese. E la stessa assistenza sanitaria pubblica ne riuscirà certamente avvantaggiata, se si offrirà ad essa la possibilità di elevarsi al di sopra di un piano puramente umano, a quello della visione cristiana, che considerando l’uomo nella sua duplice realtà di anima e di corpo, completa di una dimensione necessaria il fatto assistenziale.

Tutto ciò comporta da parte nostra una prima esortazione ai vostri rispettivi Istituti, ed è questa: anche le attività assistenziali religiose devono rinnovarsi. Occorrerà cioè una sempre più perfetta qualificazione sia sul piano delle persone che prestano il servizio, che sul piano delle strutture, affinché le vostre opere siano sempre più rispondenti alle odierne esigenze di funzionalità, di ordine, di efficienza oggi richieste: lo esige il buon nome delle vostre Istituzioni, la validità della loro testimonianza e il rispetto alla persona umana.

Un’altra raccomandazione, che è piuttosto una approvazione di quanto è già entrato nei vostri programmi, riguarda il coordinamento delle vostre forze. La vostra Associazione compie già un decennio di esistenza. Sorta in un momento nel quale si presentava agli Istituti religiosi ospedalieri la necessità di affrontare insieme la vasta e delicata problematica che scaturiva dalle nuove disposizioni di legge nel campo dell’assistenza ospedaliera, nessuno potrà dire che questo periodo fu privo di operosità e di risultati. Pur iniziando timidamente il suo cammino, la vostra Associazione si è andata sempre più irrobustendo lungo la strada. Noi incoraggiamo questa provvida unione di forze, ed esprimiamo plauso e riconoscenza per quanti hanno dato all’Associazione Religiosi Istituti Spedalieri l’adesione, l’aiuto, la guida, l’impronta di un organismo quanto mai utile e saggio. Sostenetelo e sviluppatelo. Vi segue la nostra stima e il nostro affetto. Per voi, per i vostri rispettivi Istituti, per la prosperità dell’attività assistenziale che svolgete in Italia, di cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

                           



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