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RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AL CLERO E AI FEDELI DELLA DIOCESI DI NOVARA*

Martedì, 3 giugno 1952

 

Salutiamo con voi, diletti figli e figlie, del Cusio, dell'Ossola, del Verbano, — nuovamente in piedi e radioso, sulla cima del vostro Mottarone — il vessillo trionfatore della umanità redenta: la Croce di Gesù Cristo. O Crux, ave spes unica!

Abbattuta, or fa un anno, dalla furia degli elementi e delle forze atmosferiche, questa Croce, che fu eretta all'alba del secolo ad affermare sullo stabile sasso, dal monte gigante, la ferma pietra della vostra fede, ritorna oggi al suo posto, con luminoso volto, dominatrice dell'aria e dello spazio, rasserenatrice dei cuori, e invita a salire, nei silenzi dell'infinito, a Colui che « ha in mano le profondità della terra, e le sommità dei monti sono anche sue » (Ps. 95, 4).

Quest'albero della nostra redenzione, che torna a protendere la sua ombra sui pacifici campi del lavoro e sulle turbinose vicende del tempo, riprende oggi la sua muta voce per dire ai piccoli mortali che la terra è di Dio e gli uomini sono di Lui; che se questi tessono liberamente, bene o male, la storia del mondo, Egli è di questa arcana storia la lontana meta, a fini di bontà, di misericordia, di amore, in grazia di quella Croce per la quale fummo redenti e con Lui pacificati.

Contaminata dalla colpa e percorsa in tutti i sensi dal male, questa terra è pur santificata dal trofeo glorioso e dal sangue di Gesù Cristo, ed è l'altare da cui s'innalza a Dio, per Cristo redentore, vivo nella sua Chiesa, la lode, la benedizione, il ringraziamento, il gemito supplichevole dei figli del peccato, imploranti pietà, salvezza e pace.

Che se il male è travolgente e nella sua lotta col bene è così spesso vittorioso, onde il clima del peccato ammorba il mondo e il vizio trionfa negli odi fraterni, nella sensualità, nell'egoismo, nella menzogna, nella sete delle ricchezze, nei peggiori istinti della natura corrotta, la combattuta famiglia cristiana è pur sempre desta all'anelito della virtù deposto nel suo cuore dal suo divino Liberatore, col messaggio del suo Vangelo e della sua vita. Di tale anelito alla virtù, del laborioso e sempre rinascente sforzo di purificazione e di svincolamento dal male, vuol essere ammonimento eloquente, solenne affermazione, questo simbolo, che tutto compendia della religione del Vangelo e, innalzato sul monte, mentre proclama di questa le mistiche altezze, gl'ideali non conseguibili se non per la grazia di Dio, esprime altresì il vostro desiderio, il proposito da voi oggi pubblicamente confermato di quel rinnovamento cristiano, che fa dell'uomo la creatura nuova, spirituale, alta, perchè poggia in alto, sul monte che è Cristo.

A questi rinnovati propositi sia a voi, Novaresi, invito perenne il segno di vittoria, che, saldamente piantato sul Mottarone, a prova dei venti e delle tempeste, avete voluto luminoso e visibile pur nelle tenebre della notte.

Se di questa inaugurazione voi penetrate l'intimo significato, non può non apparirvi ugualmente luminoso l'impegno che voi, ancora una volta, assumete nei riguardi della vostra professione cristiana. È un impegno che la vostra pietà rende particolarmente solenne per il fatto di aver voluto il Vicario di Cristo presente alla vostra manifestazione e interprete dei vostri sentimenti col gesto dell'accensione e con la parola che lo commenta.

Se questa Croce sul monte, se questo faro che la illumina ai vicini e ai lontani, se questo suggestivo rito sotto il cielo stellato, se la benedizione impartita dal venerato Pastore della diocesi, se le migliaia di cuori esultanti sulla vetta, sulla china, ai piedi del Mottarone, se tutta la grande famiglia diocesana che in questo momento è in ascolto, se tutto ciò non ha da essere un mero sfoggio formalistico da affascinare la vista e l'udito, da colpire la fantasia, da suscitare le labili vuote impressioni di un sogno, voi dovete pensare che una così solenne inaugurazione, dopo la grande Missione rinnovatrice, che ha commosso la vostra Città, pone il suggello pubblico e permanente alle vostre promesse, ai vostri propositi di una fede vissuta in perfetta coerenza con la fede professata.

Come della vostra fede è palese il monumento da voi innalzato negli aperti domini dell'aria, così essa sia in tutti manifesta, professata alla luce del sole, schietta e coraggiosa nella svetta aderenza ai valori del Vangelo, radicalmente opposti alle massime del mondo.

Ricordate : « Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch'io lo confesserò davanti al Padre mio ch'è nei cieli » (Matth. 10, 32). Confessando Cristo, noi siamo giusti e felici. Confessati da Cristo, siamo salvi nel tempo e nell'eternità.

Come, per l'invincibile impulso cristiano comunemente sentito, voi avete voluto la Croce sulla più elevata delle circostanti alture, solitaria, dominatrice; così la vostra fede, di cui la Croce è la comprensiva eloquente espressione, sia della vostra vita la norma suprema, alla quale tutto deve cedere, in omaggio alla eterna Verità, cui la umana ragione non può adeguarsi, riconoscendo sapientemente i propri limiti.

Il senso cristiano ha voluto da voi che questa Croce, fulgida il giorno sotto i raggi del sole, sia essa stessa focolare di luce, che rompa le tenebre della notte, come il faro ai naviganti. E questa è pura realtà nei riguardi della vostra fede vissuta, se sia vissuta a dovere, e cioè a norma della giustizia evangelica, parola e vita di Gesù Cristo. Ancora una volta, ricordate l'esortazione del Redentore: « Voi siete la luce del mondo. Non può una città che sia posta sopra un monte, restare nascosta; nè si accende una lucerna per riporla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, e così essa fa lume a quanti sono in casa. Risplenda allo stesso modo la vostra luce agli occhi degli uomini, affinchè, vedendo le vostre buone opere, diano gloria al Padre vostro che è nei cieli » (Matth. 5, 14-16). Non è chi non veda, non è chi non senta le dense tenebre del circostante mondo — pensiero e vita, filosofia e costume — e non è altresì chi non debba confessare come nulla le ha mai dissipate, nulla le dissiperà mai, se non la luce di Cristo, riverberata dal cristiano, quando sia consapevole della sua vocazione nella vita, della sua missione nel tempo.

Da ultimo, pensate, diletti figli, che se a testimoniare la nostra fede, noi tutti, e sempre, rievochiamo la Croce, questo non facciamo soltanto perchè il santo Legno, imporporato dal sangue di Gesù Cristo, è divenuto per noi, anzi per tutti gli uomini, senza distinzione, la più fulgida gloria: la Croce, gloriosa nei secoli ed oltre, resta, quale fu sempre, il simbolo per eccellenza di tutto ciò che nella nostra vita ha nome di sofferenza, di umiliazione, di dolore. Gloria tutto questo, poichè Gesù ha fatto suo il calice di ogni amarezza; ma gloria che non toglie ai mali il loro pungente aculeo. E noi cristiani professiamo di voler far nostro il calice dove Gesù ha bevuto: noi, delibando quello che Egli ha assaporato per amor nostro sino alla feccia.

Se dunque è sincera la nostra esaltazione di quel che fu un giorno vergognoso patibolo, segno d'infamia e di maledizione, ed è oggi vessillo trionfante, ecco, in conclusione, diletti figli, a che cosa v'impegnano gli onori che a questo vessillo tributate : v'impegnano a considerare i dolori della vita come dell'essenza stessa della vostra professione cristiana. « Non vi è salute per l'anima, — scrive il pio autore della Imitazione di Cristo (l. 2 c. 12) — nè speranza di vita eterna se non nella Croce ». Se così è, se fattori essenziali della religione del Vangelo sono i sacrifici e le sofferenze; se la via unica per salire a vera nobiltà ed elevazione spirituale è nella legge del dolore, vuol dire che a nessuno è dato di elevarsi spiritualmente in Gesù Cristo, e godere a pieno i frutti del suo messaggio, se si ribelli ai propri dolori, che del Cristianesimo vissuto sono il necessario elemento, ma in pari tempo la linfa e l'aroma, l'anima e la vita.

Pertanto, venerata da voi sul monte o nel piano, con tutte le dimostrazioni di cui è degna, sia la Croce di Cristo, diletti figli, la vostra gloria al cospetto degli uomini. Ma pensate che, se il monumento del Mottarone è ricordo e figura, ciò che esso naturalmente richiama è la vostra passione di ogni giorno, quella cioè che fiorisce a ogni passo sul vostro cammino e viene a voi dalle cose, dagli uomini, da voi stessi, così volendo, così permettendo Iddio. Onde voi potete esclamare con l'Apostolo in tutta verità: « Quanto a me non sia mai che io mi glori se non nella Croce del Signor nostro Gesù Cristo, per il quale il mondo è crocifisso per me ed io per il mondo » (Gal. 6, 14).

Con questo forte proposito, degno di una nobile vita terrena e auspicio sicuro dell'eterna, voi respirerete l'aria purissima dell'alto, della giustizia, della santità cristiana. Con Gesù Cristo, crocifisso e glorioso, avrete pace e gaudio. Più luminosa che la Croce del Mottarone apparirà un giorno ai vostri occhi morenti, nel quadro della vita che si spegne, quella che avrete portato quaggiù in pazienza, con la forza di Colui che in voi l'ha sorretta; e con la fiducia fisserete il giorno finale in cui apparirà nel cielo il segno del Figliuolo dell'uomo, ed egli verrà sopra le nubi, con potenza e maestà grande (cfr. Matth. 24, 30).

Con questi sensi invochiamo su voi tutti, auspice il vostro celeste Patrono San Gaudenzio, la piena effusione di quelle grazie che da Gesù Cristo sul cruento patibolo della Croce ci furono meritate. E al degnissimo Pastore della diocesi, al Clero secolare e regolare, alle Religiose d'ogni nome che lo affiancano con l'azione e con la preghiera, ai fedeli tutti della grande Chiesa novarese, impartiamo di cuore, pegno della Nostra benevolenza, l'Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIV,
 Quattordicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1952 - 1° marzo 1953, pp. 179 - 183
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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