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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI FEDELI UNGHERESI, SULLE VIRTÙ
DI SANTA MARGHERITA D'UNGHERIA
*

 Castel Gandolfo - Sabato, 10 agosto 1957

[Il discorso che segue venne redatto dal Pontefice nell'autunno del 1943, all'indomani della canonizzazione della Beata Margherita d'Ungheria (cfr. Lettera Decretale Maxima inter munera). Era indirizzato ai fedeli ungheresi che in quella circostanza avevano organizzato un pellegrinaggio nazionale a Roma, impedito poi dai tragici avvenimenti di quei mesi. Il Discorso, a distanza di quattordici anni, fu pubblicato dall'Osservatore Romano]

 

Come non esulterebbe, commosso d'intimo e vivissimo gaudio, il Nostro cuore, nel vedervi oggi adunati intorno a Noi, diletti figli e figlie della nobile Nazione Ungherese, la cui presenza nell'animo Nostro ravviva e ripresenta i più dolci e cari ricordi? Ricordi incancellabili di quelle grandi assise eucaristiche, in cui Ci fu dato di rappresentare come Legato il Nostro Predecessore Pio XI di gloriosa memoria. Noi rivediamo l'impeto fervoroso di pietà e di fede, che erompeva dalle anime vostre e dagli immensi cortei del vostro popolo convenuto da tutte le parti del Regno.

Richiamandoci e quasi facendo eco al voto espresso dalla Nazione Ungherese, in quelle indimenticabili giornate, — giornate che sembrano di ieri, nonostante il tragico abisso che da esse ci separa, — Noi manifestammo allora l'augurio che « la Beata Margherita, rampollo di ceppo reale, compagna sorridente e sorella della santa povertà, violetta d'umiltà dimentica di sè stessa, anima eucaristica privilegiata e di una limpida profondità, lampada ardente dinanzi al S. Tabernacolo, la cui dolce fiamma scintilla viva ancor oggi pur dopo il lungo corso di sette secoli, potesse presto annoverarsi e assurgere allo splendore della gloria dei santi, quale fulgida stella nel cielo d'Ungheria ». A penetrare negli ascosi consigli di Dio, reggitore della sua Chiesa, è cieco ogni pensiero: come allora avremmo potuto supporre che la divina Provvidenza si sarebbe valsa del Nostro ministero per corrispondere al vostro desiderio e adempiere quel voto di incastonare questa nuova gemma al diadema già così scintillante e ricco del Regno di Maria?

Mirabile storia è quella della vostra Patria; storia in cui s'intrecciano lotte e prove, che illustrano la sua santa missione a servigio di Dio, della Chiesa e della Cristianità; storia in cui si alternano rinnovamenti e ricominciamenti eroici; storia, i cui fasti splendono di quei fari luminosi che sono i Santi della dinastia degli Árpád, tra i quali sfolgora Stefano, figura gigante di sovrano, di legislatore, di pacificatore, di promotore della fede e della Chiesa, vero homo apostolicus, la cui santa destra è in mezzo a voi, simbolo venerato delle grandi gesta da lui compiute e sicuro palladio di protezione negli estremi pericoli.

A Stefano fanno corona il suo figlio S. Emerico, giglio verginale dischiuso ai piedi della Vergine Immacolata; S. Margherita di Scozia, la cui angelica virtù infuse nel cuore del suo sposo e della sua novella patria la dolce purezza del Vangelo; S. Ladislao, ideale del cavaliere medioevale, intrepido e buono, non meno amato che ammirato dai suoi sudditi; le due nipoti di Béla III, la B. Agnese di Praga, che S. Chiara chiamava « la metà de sè stessa », ed Elisabetta di Turingia, la « cara e dolce santa »; infine le sue pronipoti, le tre sorelle, la B. Cunegonda o Kinga di Polonia, la B. Jolenta di Kalisz in Polonia, e questa Margherita, che contempliamo oggi nella pienezza del suo trionfo. La generazione, che seguì, vide risplendere l'altra S. Elisabetta, rosa di grazia e angelo di pace del Portogallo.

Quale numerosa schiera e quale varietà di anime generose e sante! Non sembra forse che Iddio in questa famiglia, dove così fulgida e molteplice è apparsa la santità, discesa in un medesimo sangue, come in altrettanti raggi di un medesimo arcobaleno, abbia voluto far scintillare, per rivelarle ai nostri occhi, le innumerevoli gradazioni della santità, di cui l'unico sole è la santità di Cristo?

Santità del capo nella costituzione politica e sociale della patria cristiana; santità del guerriero senza debolezza e senza odio; santità della sposa, della madre, della vedova; santità nella vita familiare e nella vita nel chiostro; santità fiorita nelle aiuole del suolo nativo e fruttificante in giardini lontani per la salvezza, la pacificazione e la prosperità di altre nazioni.

Di tutte queste eroiche figure di Santi e Sante, quella di Margherita, la più nascosta e segregata dal mondo, è forse la più sorprendente; ad alcuni non sarebbe lungi dall'apparire la più sconcertante. Negli altri Santi e Sante non è difficile di scorgere modelli che si confanno a tutte le condizioni della vita: Margherita invece, a primo aspetto, sembrerebbe inimitabile da chicchessia.

Margherita ha singolarità di vita e di pietà, che raramente s'incontrano in altri Santi. Ma ogni santo è singolare, scrisse già nella « Pratica di amar Gesù Cristo » (commentando un passo di S. Bernardo — cfr. S. Alf. de Liguori, Opere ascetiche, vol. I, pag. 87, e Appendice n. 51 pag. 453-455) il gran Vescovo e Dottore S. Alfonso de Liguori, il quale della santità conosceva le molteplici vie, per le quali lo Spirito Santo con le sue ineffabili ispirazioni guida le anime all'alta mèta, fuori della vita comune, anche se claustrale, fuori del costume e delle pratiche civili del mondo, conducendole nella solitudine dello spirito per parlare al loro cuore un linguaggio della mortificazione e della povertà così umiliante che pare estraneo ad ogni virtù. In tale solitudine, sotto l'influsso della grazia, le singolarità, le quali stupiscono e stordiscono chi le nota e quasi se ne offende e le disprezza, non escono dall'influsso della carità di Cristo, alla quale s'ispirano e tendono, perchè nella carità di Cristo, che anima i Santi e tutto quanto fanno per la vittoria di sè stessi, consiste la vera santità. La mortificazione e la pietà e devozione dei Santi hanno mille arti e forme, che il mondo non può comprendere, e spesso neanche chi nella propria vita devota e mortificata batte la via comune delle virtù.

Non è forse il disprezzo delle grandezze umane e delle comodità materiali di Margherita, figlia di re, una grande lezione per anime meno elevate della sua? E chi ardirebbe affermare che il mondo non aveva allora bisogno, che non ha anche oggidì bisogno di una tale lezione, che lo faccia arrossire e vergognare del culto immoderato della carne, della brama dei piaceri, della immodestia nell'abbigliamento, della ricerca della stima e delle lodi?

È vero che, anche nella condizione più umile, è un dovere di prendere conveniente cura della propria vita, della sanità, della dignità del proprio corpo, e di un certo decoro che schivi ogni ripugnanza, e che tutto ciò fin dalla prima infanzia, per uno spirito straordinario, questa vergine di sangue reale pospose al suo ardore di mortificazione e di umiltà. Margherita pertanto è piuttosto una lezione che Dio ci presenta da meditare che non un esempio da seguire e imitare.

È fuori di dubbio che la Santa non avrebbe potuto darsi spontaneamente a tali eccessi di mortificazione e di penitenza senza oltrepassare i limiti comuni della prudenza e della temperanza; nè i suoi Superiori avrebbero potuto e ardito di loro spontaneo volere consigliare od approvare un tale metodo così diverso dall'ordinario, di sacrificarsi per Dio nella pietà e devozione; ma dinanzi all'impulso della carità divina, che vuol dare un gran colpo alla delicatezza mondana, la prudenza e saggezza comune non debbono forse inchinarsi?

« La Santa Chiesa di Dio — ripeteremo con l'Autore della Vita di S. Carlo Borromeo — adorna di mirabile varietà di virtù, in questo rilassatissimo secolo, aveva forse bisogno di un tale esempio di sobrietà e di mortificazione del corpo, e molti di noi avevamo necessità di questo stimolo contro tanta mollezza, che rende incapaci di contemplare le cose celesti » (cfr. Ben. XIV, De Serv. Dei Beatific. et Beat. Canoniz., l. III c. XXIX n. 9).

Ma più che le straordinarie penitenze e macerazioni, l'umiltà e la carità di Margherita nel compimento delle osservanze quotidiane sembra che commovessero profondamente l'animo dei testimoni della sua vita.

Fin da bambina, a nulla tanto aspira quanto a conformarsi esattamente alle pratiche ed ai costumi delle religiose del monastero in ciò che le era permesso, schiva da ogni dispensa, e amica delle umiliazioni; ma sapeva mettere tanta grazia in supplicare la Superiora e le altre religiose, che molte cose le furono concesse. Ora chi non vede che tale costanza fino alla morte e questa fedeltà alla regola mostrano la serietà e santità del suo desiderio di fanciulla? Sempre prima a recarsi alle obbedienze ed agli uffici assegnati dalla Priora, non volendo godere privilegi di esenzione, ella era, al venire della sua settimana di turno, la più pronta e assidua ai lavori materiali, umili e grossolani, al servizio della cucina, alla pulizia della casa, alla lavatura delle stoviglie, che la si vedeva fare con le sue mani spesso screpolate e sanguinanti nel rigor dell'inverno. Con tale lavoro non intendeva soltanto di soddisfare la sua avidità di mortificazione, ma mirava a far sì che nulla valesse a ricordare la sua nascita illustre, pur in quel monastero fondato dal padre suo. Onde soffriva, talvolta fino a piangerne, se mai altri in qualche modo paresse accennare ch'ella era figlia di re. Pensando al Figlio di Dio, che nacque povero, visse povero e volle chiamarsi Figlio dell'uomo, Margherita avrebbe desiderato di esser nata povera figlia del popolo e come tale di venir naturalmente trattata in mezzo alle sue molte nobili consorelle. Tanta umiltà l'aveva appresa da Gesù Cristo umile di cuore, come da Lui aveva imparato quella mitezza, che nell'abbassarsi non mai si scompagnava dalla gentilezza, dalla benignità e dalla carità, che profondeva intorno a sè; quindi avveniva che, se riceveva dai suoi congiunti qualche dono, amante com'era di ogni distacco e della povertà, lo portava subito alla Priora o al Provinciale per l'uso della comunità o per il sollievo dei miseri vergognosi; mentre le ricche stoffe e i gioielli andavano ad adornare le Chiese bisognose. Un così vivo amore per i poveri pareva l'avesse ereditato dalla sua santa zia Elisabetta; la loro vista sempre la moveva a tenera compassione e a correre dalla Priora per chiederle qualche vestito o come che fosse un po' di aiuto per sovvenirli; alle consorelle poi, che nulla possedevano, domandava l'elemosina delle preghiere. Generosa verso i miseri fuori del monastero, la sua carità trionfava ed eccelleva entro le mura claustrali, perché è nell'ordine della carità stessa e di una virtù solida e senza illusioni il prodigare le cure caritatevoli innanzi tutto nell'interno della comunità. Oh quanto sentiva nell'animo suo verso le consorelle! Se sopravveniva qualche contrasto o dissenso fra due religiose, l'avreste veduta sollecita consigliera di pace; se alcuna le mostrava un volto meno sorridente che d'ordinario, si affrettava a implorarne perdono, temendo di averla forse inconsapevolmente offesa; le sventure delle altre l'addoloravano fino alle lacrime, come se fossero state sue proprie. Ma verso le inferme la sua cura e la sua assistenza era più che materna e non conosceva alcun limite: le infermità che più provocavano un naturale disgusto, non che scemare, accrescevano la sua premura e la sua vigile attenzione; comprendendo però la ripugnanza delle altre consorelle, con garbo e delicatezza sapeva farle allontanare, per assumere essa sola tutti i servizi ed ogni cura bisognevole; al che Iddio le dava forze che si potrebbero stimare miracolose, che ad ogni modo sembrano ben superiori a quelle del suo sesso, specialmente quando si consideri lo stato di esaurimento fisico che avrebbero dovuto cagionarle le sue continue macerazioni. L'insopportabile fetore non fu mai che la rattenesse dal portare le malate nel bagno, dal ricondurle e accomodarle nel letto, dal compire per loro tutti gli uffici non soltanto di una assidua infermiera, ma della più umile serva. Se mai avveniva che sentisse di giorno o di notte qualcuna lamentarsi o gemere, subito correva da lei, domandava con tenerezza ciò che desiderasse, e senza indugio eccola a piedi nudi scendere in cucina e preparare e portare quel che poteva procacciare un poco di sollievo o di piacere a colei che ne aveva di bisogno.

Ma se la carità di lei tanto generosamente si estendeva al prossimo e abbracciava le sue consorelle, si elevava come fiamma di intenso e fervido amore verso il cielo e verso Gesù, centro di tutte le sue aspirazioni. Alle varie proposte di nobilissime nozze fattele dal padre suo, sempre oppose il più energico rifiuto, deliberata com'era di essere irrevocabilmente tutta di Dio. Quelle veglie e quelle preghiere, che con suppliche commoventi nel nome di Gesù otteneva di prolungare davanti al S. Tabernacolo e nel proprio segreto, quelle lacrime e quel lungo digiuno di tre giorni a ricordo e meditazione della Passione del Redentore, quel vivo desiderio tante volte espresso di partecipare alle sofferenze dei martiri per dare a Dio l'attestato più forte e sincero del suo amore, ecco la vera sorgente di tutte le virtù che noi ammiriamo in lei, virtù non meno delicatamente umane che altamente soprannaturali.

Ed ecco ancora la nascosta origine di quelle austerità straordinarie, le quali, se pure giungono a sorprendere l'animo nostro e fin quasi a sconcertare, a primo aspetto, il nostro pensiero, provengono però dalla pietra di paragone che è l'ispirazione divina, ineffabile nel suo consiglio; è in quella armonia della grazia, di cui la volontà umana non potrebbe mai concepire il mistero, che nasconde i mirabili effetti della santità ed innalza lo spirito con ascensioni sempre più alte e divine. Stupiamo pure innanzi alle grandi macerazioni di Margherita; ma confessiamo anche che agli occhi di Dio, il quale tutto ha creato e sostiene dai vermi della terra al sole e al concerto degli astri del firmamento, nulla è vile, quando diventi mezzo di santificazione dell'anima e di innalzamento a quel mondo dello spirito, che supera tutta la natura e ci congiunge a Dio nel cammino verso la vita della immortalità beata.

Al premio immortale non tardò il Signore a chiamare la religiosissima figlia del Re d'Ungheria, togliendola di mezzo alle tempeste che avevano turbato quel Regno e aggiunto alle pene corporali di lei anche l'afflizione di vedere la discordia e la guerra fra il padre suo e il figlio maggiore per la designazione del successore al trono; conflitto, i cui effetti si risentirono anche nel monastero ove ella viveva e ne interruppero l'intima pace.

Infatti le sue forze e il suo vigore andavano scemando; ella sentiva in sè, nei suoi ventotto anni, che si approssimava il crepuscolo del viver suo. Nel 1269, stando nell'infermeria attorno al cadavere di Suor Beata, presenti due altre Religiose, Margherita aveva detto : « Io sarò la prima che morrò dopo di lei ». Era la voce della chiamata di Dio, che dinanzi alla consorella defunta parlava a Margherita per mezzo del deperimento estremo del suo corpo, deperimento che però non affievoliva in lei quel fervore spirituale, da cui era stata fino allora animata.

Il dì dell'Epifania nel seguente anno fu colta da febbre così forte che, nella visione della morte vicina, espresse il desiderio di venir sepolta ai piedi dell'altare della S. Croce, avidissima com'era stata di conformarsi a Gesù Crocifisso fino alla morte, ovvero in quel luogo della chiesa, dove faceva le sue lunghe orazioni private; aggiungendo, quasi a stimolo affinchè fosse appagata la sua brama: « Non temete di male odore; male odore non uscirà dal mio corpo ». Languiva nel suo letticciuolo, assorta nell'amore di Dio, come rosa, la cui corolla si appassisce ai caldi raggi del sole divino. Non la conturbava la morte : come poteva temerla, se tante volte l'aveva sfidata coi suoi lunghi digiuni e con le sue straordinarie veglie, non meno che coi suoi cilici e flagelli, dei quali, ormai inutili a lei, avanti di morire, consegnava la chiave della cassetta, ove erano racchiusi, alla Priora? Il morire era per lei quel dissolversi per essere con Cristo suo sposo; perciò, a meglio purificarsi, due volte si confessò al Priore Provinciale dei Domenicani, e chiese e ricevette il santo Viatico e l'Estrema Unzione coi sentimenti della più viva pietà e devozione, vicina com'era al gran viaggio verso il cielo, deponendo ogni reliquia dell'umana polvere contratta quaggiù.

Spirava la sera del 18 gennaio con quella pace e serenità, che fa preziosa la morte dei Santi al cospetto del Signore. Ascendi in alto, o vergine regale, fin dalla puerizia aspirante alla corte del cielo. Discenda ad incontrarti il santo Patriarca Domenico con una schiera di angeli, e ti accompagni al trono del Re di gloria per ricevere quella corona di gigli e di rose, cinta della quale col coro delle vergini seguirai i trionfi della Regina del cielo.

Intanto quaggiù Iddio faceva ricomparire la bellezza dei tratti sul volto di Margherita. Tale fatto non fu dapprima notato dalle Suore: se ne accorsero tre giorni dopo, quando l'Arcivescovo di Strigonia, ammirando lo splendore del viso della defunta, disse loro che non dovevano piangere la morte di lei, bensì rallegrarsene, perché sembrava già dimostrare l'inizio della sua risurrezione.

Quanti ne avvicinarono il corpo esanime, non avvertirono alcun odore sgradevole, ma parecchi percepirono un soave profumo come di rose; e questo profumo sentirono uscire dal suo sepolcro anche coloro che dopo alcuni mesi vennero a ricoprirlo con una lapide marmorea.

Quel profumo di rose, non poste da nessuna mano devota sul corpo e sulla tomba di Margherita, altro non era se non il profumo della santità di lei; profumo di santità che attraverso il corso di quasi sette secoli, arriva a noi, movendo da quel gran secolo medioevale che diede la culla al vostro inclito Ordine, diletti figli e figlie del glorioso Patriarca Domenico, e fu famoso per i vostri Santi e sommi Dottori e Maestri, mentre doveva poi darvi l'eroica vergine, Caterina da Siena. Margherita, senza esser tolta alla nobile sua patria, l'Ungheria, è dunque anche vostra e del vostro Istituto religioso, le cui aspirazioni apostoliche si rivolsero, tra i paesi di tutta Europa, con ardente fervore di zelo, anche alla terra, che bagnano il Danubio ed il Tibisco.

È vostra, perché appartenne al vostro Ordine, nel cui seno si svolse tutta la sua vita dall'infanzia fino alla sua beata morte; è vostra per la sua devozione teneramente filiale verso Maria; vostra per la sua professione religiosa, alla quale manifestava, anche nelle congiunture più delicate, un incrollabile attaccamento; vostra in particolar modo per il suo spirito è questa vergine che, dal ritiro del suo chiostro, fu nel corso della sua breve vita una continua predicazione. E quale predicazione più eloquente, opportuna e necessaria da fare intendere al mondo frivolo, avido di piaceri, orgoglioso, ostile ad ogni mortificazione, che l'esempio di questa vita crocifissa ed orante, vita di umiltà e di povertà, di abnegazione e di carità? Che dall'alto del cielo, nella sua gloria immortale, ella non cessi di porgere a Dio la sua preghiera ardente e potente, sicchè attiri le grazie più preziose sulla sua amata patria, sul suo e vostro santo Ordine, su tutto il mondo, il quale ha più che mai bisogno di levare lo sguardo al di sopra di ciò che passa e ne turba la concordia e la pace, per trovare ed ottenere da Dio il rimedio ai suoi mali.

Con tale augurio vi impartiamo a tutti con effusione di cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX,
 Diciannovesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1957-1° marzo 1958, pp. 333-341
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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