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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

07 - 02.10.2001

SOMMARIO

SECONDA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 1 OTTOBRE 2001 - POMERIDIANO)

Pubblichiamo qui di seguito l’intervento di S. B. Nerses Bedros XIX TARMOUNI, Patriarca di Cilicia degli Armeni (Libano), non contenuto nel Bollettino N. 5 del 01.10.2001:

Cristo Gesù nostra unica speranza (1Tm 1, 1). Bisognerebbe dunque portare a Gesù Cristo l’uomo del XXI secolo, secolarizzato, desacralizzato e sottomesso al relativismo religioso per infondere in lui la speranza cristiana. Senza l’evangelizzazione, senza la Croce di Cristo, l’uomo non ha più radici, è distrutto. Il vescovo ha molti compiti, ma il suo primo dovere rimane l’evangelizzazione.

Dato che il Pastore supremo della Chiesa è il Papa, il vescovo sarà attento a non decretare nulla che non sia in sintonia con lui. Ma le Chiese locali non sono dei vicariati della Chiesa di Roma. Un’eccessiva centralizzazione di Roma potrebbe soffocare le ricchezze delle Chiese particolari. Si tratta di trovare la giusta misura. In modo che sia anche assicurata la comunione all’interno della Curia Romana.

La Chiesa di massa non esiste più, vi è la Chiesa dei Testimoni. Il primo testimone, nella Chiesa, è il vescovo. La sua testimonianza personale è più influente della sua autorità ecclesiale.

Uno sguardo sul mondo offre una panorama molto triste. Milioni di bambini sono rimasti senza battesimo nei Paesi d’Europa. Le sette pullulano. Un segno molto pericoloso è l’indifferenza totale verso la persona di Cristo.

Ma uno sguardo al Cristo Risorto è sorgente di speranza e di gioia immense. Migliaia di apostoli non cessano di portare Cristo a chi non lo conosce ancora o non lo conosce bene.

Lo Spirito Santo ha già suscitato risposte concrete alle sfide dei tempi moderni. Il vescovo dovrebbe discernere nelle Nuove Comunità i segni dello Spirito Santo. Spetta al vescovo accogliere ed orientare paternamente questi movimenti e aiutare i cristiani a diventare Testimoni vivi del Vangelo, come avviene, ad esempio, nelle Comunità Neocatecumenali. In questo modo, il vescovo aiuterà concretamente i cristiani a salire sulla barca di Pietro e a "prendere il largo" al soffio dello Spirito Santo.

[00063-01.04] [IN008] [Testo originale: francese]

QUARTA CONGREGAZIONE GENERALE (MARTEDÌ, 2 OTTOBRE 2001 - POMERIDIANO)

Alle ore 17.00 di oggi martedì 2 ottobre 2001, alla presenza del Santo Padre, con la preghiera Pro Felici Synodi Exitu, ha avuto inizio la Quarta Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Presidente Delegato di turno Em.mus D.nus Card. Bernard AGRE, Archiepiscopus Abidianensis (Abidjan).

In apertura di questa Congregazione Generale il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi Em.mus D.nus Card. Jan Pieter SCHOTTE, C.I.C.M., ha reso noto la composizione della Commissio Nuntio Apparando. Riportiamo in questo Bollettino la composizione della Commissione.

In chiusura di questa Congregazione Generale il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ha dato la seguente comunicazione:

Dal nostro calendario risulta che la prima sessione dei circoli si terrà domani mattina.

Nell’articolo cinquantesimo (50) del nostro Vademecum si parla della prima riunione dei circoli minori. Vogliate seguire con me la lettura di questo articolo (si dà lettura dell’articolo).

Domani i circoli si riuniranno alle ore 9, direttamente nella loro sede, dove in ciascun circolo si celebra l’Hora Tertia.

Per quanto riguarda l’elezione dei moderatori dei circoli vogliate considerare, nello stesso Vademecum, l’articolo cinquantunesimo (51) e cinquantaduesimo (52).

Particolarmente degna di nota è la norma riguardante il cumulo delle mansioni, che nello stesso articolo cinquantaduesimo alla lettera "a" (52, a) è esplicitamente respinto (si dà lettura degli articoli).

Poiché l’elezione dei moderatori si terrà domani mattina, alle ore 4 del pomeriggio tutti i moderatori dei circoli sono invitati a riunirsi insieme nell’aula quinta del secondo piano per discutere delle loro funzioni.

L’elenco definitivo dei circoli minori, dopo l’introduzione di tutte le variazioni, lo troverete nelle vostre caselle personali nell’Atrio non appena sarete usciti da quest’aula. Nello stesso elenco potete trovare anche il luogo di riunione designato per ciascun circolo.

[00086-01.04] [nnnnn] [Testo originale: latino]

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 19.05 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 234 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Quindi, sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.Em.R. Card. Norberto RIVERA CARRERA, Arcivescovo di Città del Messico (Messico).

Un fenomeno contemporaneo è il moltiplicarsi delle cosiddette "megalopoli", enormi agglomerati umani che sfidano il compito della Nuova Evangelizzazione, e in cui la forma tradizionale di servizio episcopale appare superata.

Una riposta quasi spontanea è stata quella di suddividere queste grandi città in varie diocesi. Questa soluzione non appare poi tanto fuori luogo quando si tratta di gruppi umani dei suburbi, o di città-satellite dotate di un’identità propria. Tuttavia, questa soluzione diventa più delicata quando si pretende di suddividere la città stessa, la sua struttura più tradizionale e sensibile. Soprattutto se si tratta di una città che conserva un’unità amministrativa, civile, politica ed economica.

Per favorire la comunione, il decentramento e l’efficienza missionaria, sembra che stia dando risultati migliori l’alternativa della non suddivisione, con un vescovo diocesano aiutato da un insieme di vescovi ausiliari, responsabili dei territori posti sotto la sua cura, e con una distribuzione ben definita di funzioni come Vicari Generali, Vicari Episcopali e membri del Consiglio Episcopale, ma sempre tenendo come centro di comunione il vescovo diocesano.

Questa figura giuridica di un vescovo diocesano con vari vescovi ausiliari sembra assicurare un decentramento dei servizi e al tempo stesso un piano di evangelizzazione d’insieme, fortemente sostenuto dal ministero di unità del vescovo diocesano. Realtà che, in pratica, è quasi impossibile, trattandosi di diocesi indipendenti.

[00051-01.04] [in033] [Testo originale: spagnolo]

S.Em.R. Card. Johannes Adrianus SIMONIS, Arcivescovo di Utrecht, Presidente della Conferenza Episcopale (Paesi Bassi).

Il Direttorio per i Vescovi tratta la formazione permanente dei sacerdoti. Ma anche per i vescovi è necessaria una formazione permanente. Ero giovane ed inesperto quando, trent'anni fa, iniziai come vescovo. Ripensandovi comprendo quanto sia importante la formazione, ma anche quanto sia difficile trovare un posto per essa in un'agenda già piena. Perciò sarebbe auspicabile che ci sia uno stimolo dal di fuori che ad esempio indichi delle linee di orientamento per integrare la formazione permanente nella nostra vita di vescovi.

Il vescovo deve avere uno spirito apostolico: è inviato nel mondo. Come un vero "pontifex", deve gettare un ponte tra il Vangelo e il mondo. Se non ci si riesce, lo si deve in parte imputare anche a noi stessi. Con tutta onestà dobbiamo ammettere che non sempre siamo sufficientemente preparati per il nostro compito missionario. Per la formazione permanente dei vescovi vedo quattro temi:

1 - Lo sviluppo di una spiritualità di attenzione e di meraviglia. Il vescovo deve essere aperto ai segni di speranza nel mondo. Lo Spirito di Dio vi agisce, perfino nelle persone che sono alla ricerca.

2 - L 'acquisizione delle capacità necessarie per essere testimoni in questo tempo. Il vescovo deve essere ben al corrente degli sviluppi nella società. Egli deve anche imparare a trovare le parole giuste e usare il tono adatto, a partire da una fede autentica. In questa maniera il vescovo acquista grande stima quando interviene nella vita pubblica.

3 - Stare al passo con gli sviluppi nelle scienze teologiche. Queste sono in movimento in maniera tale che sarebbe irresponsabile da parte dei vescovi non tenersene al corrente.

4 - Imparare a collaborare. La collaborazione con i suoi preti e diaconi e certamente con i fedeli laici, uomini e donne, è un arricchimento per il vescovo ed allo stesso tempo è un continuo processo di acquisizione ("learning process").

[00050-01.04] [in034] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Julius Riyadi DARMAATMADJA, S.I., Arcivescovo di Jakarta (Indonesia).

Sia il Concilio Vaticano I che il II forniscono una visione chiara della vocazione dei vescovi (cfr. Decr. "Pastor Aeternus" e Dogm. Const. "Lumen Gentium" e Decr. "Christus Dominus"). Dietro a quei pronunciamenti vi è un mondo fortemente unificato: il mondo cristiano, o almeno un mondo dove alla base di tutte le attività quotidiane, sia personali che pubbliche, vi sono quasi soltanto valori cristiani. Quando prendiamo in considerazione la situazione dell’Asia o dell’Africa, siamo consapevoli che le società in cui vivono sono società molto pluralistiche. L’Asia, ad esempio, è caratterizzata da rapidi mutamenti sociali, da un pluralismo culturale e religioso, e da varie forme d’ingiustizia e povertà diffusa (cfr. Ecclesia in Asia n. 6-7). I vescovi hanno nuove opportunità di fungere da guardiani dell’unità del Regno di Dio. In questa società pluralistica, noi, in quanto vescovi, siamo chiamati ad avere un atteggiamento diverso, caratterizzato da un pensiero creativo e da nuove iniziative strutturali per servire il Signore al servizio del popolo di Dio. Nei filoni religiosi semitici dell’Asia incontriamo il "sincretismo" o l’"interculturazione spontanea". Per essere vescovi in simili circostanze, occorre imparare ad ascoltare la voce dello Spirito, imparare a capire come si possano guidare i fedeli a vivere una sana e aperta vita cristiana. La religione come esperienza di fede appartiene alla sfera privata o personale, mentre come istituzione sociale essa appartiene alla sfera pubblica o civica. Fra gli strati più mobili della società sono sorti movimenti religiosi oltre che una certa indifferenza all’osservanza religiosa formale. È compito del vescovo aiutare il popolo di Dio a trovare nuove vie fra tanto indifferentismo e tanti movimenti religiosi nuovi. Sebbene, nel complesso, nella sfera pubblica vi siano alcune notevoli eccezioni, le religioni mondiali, in Asia, appaiono quasi impermeabili l’una all’altra. Questa è una vera sfida alla missione cristiana. È anche una grande sfida al ruolo di guida dei vescovi. Nella sfera pubblica, la Chiesa Cattolica in Asia si presenta a volte come una potente istituzione sociale e un’organizzazione efficace; ma molto spesso non è vista come un’amica cordiale e una guida spirituale, specie in un continente dove l’elemento religioso e quello spirituale fanno marcatamente parte della vita pubblica. Talvolta la Chiesa è vista addirittura come un ostacolo o una minaccia all’integrazione nazionale e all’identità religiosa o culturale. La Chiesa continua ad essere estranea per il suo stile di vita, la sua struttura istituzionale, il suo culto, per quanti sono alla guida e hanno una formazione occidentale, per la sua teologia. Non di rado i riti cristiani restano formali, né spontanei né particolarmente asiatici. Nella Chiesa vi è un divario fra chi guida e i semplici fedeli, e a priori con i seguaci di altre fedi. La nostra sfida è quella di farci amici tutti gli altri asiatici e di essere considerati amici da tutti, al fine di poter diventare "il sacramento dell’unione fra Dio e gli uomini e fra gli uomini l’uno con l’altro". E’ inoltre compito del Vescovo guidare la sua Chiesa a fare qualcosa insieme con gli uomini di buona volontà per affrontare la sfida dell’ingiustizia e della povertà strutturale esistente nella società. L’intera Chiesa deve far presente e porre in pratica l’amore di Cristo che salva gli uomini e dà loro nuova vita in Lui. Oltre ad offrire speranza e nuova vita in Gesù Cristo, in stretta collaborazione con i seguaci e i fedeli di altre religioni, la Chiesa deve servire direttamente le persone che hanno tanti bisogni diversi e prendere parte al compito di sforzarsi per migliorare la vita umana in presenza di tante strutture ingiuste nel campo dell’economia, della politica, della cultura e del governo, nonché di costruire una nuova cultura della vita caratterizzata dalla fiducia, dall’amore, dalla verità, dall’onestà e dalla giustizia. Questi sono i nostri compiti in quanto vescovi. Pur in questa situazione complessa, vi sono alcuni segni di speranza. Vi sono religiosi, uomini e donne, che vivono vicini alla gente. Vi è un impegno crescente nel dialogo interreligioso. Vi è una comunione e una comunicazione crescente fra Chiese, evidenziata ad esempio dalla condivisione delle risorse e del personale. In settori in cui i regimi politici ostacolano la vita delle religioni, la perseveranza nella fede è diventata la principale testimonianza. La Chiesa è apprezzata per la sua profonda sollecitudine sociale e per le sue opere di carità, come le scuole, gli ospedali, gli orfanotrofi, le opere per i rifugiati ecc. In questi settori, noi vescovi potremmo dare forza e accompagnare i fedeli, per essere il segno dell’amore, dell’amicizia e della speranza fra tutti i credenti, tramite le nostre parole e le nostre azioni, tramite le nostre lettere pastorali e i nostri rapporti personali con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. In breve, i vescovi dovrebbero accertarsi che attraverso i servizi creativi e innovativi prestati dai laici a tutti i fedeli, la buona novella dell’amore di Dio venga proclamata in un mondo pluralistico.

[00049-01.03] [in035] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Card. Cláudio HUMMES, O.F.M., Arcivescovo di São Paulo (Brasile).

Oggi, nel mondo globalizzato e pluralista, il dialogo è indispensabile. Soprattutto in tempi di conflitti e di apprensioni generali, come oggi dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre negli Stati Uniti.

Il dialogo e la negoziazione si presentano importanti per evitare una guerra e costruire la pace mondiale. La guerra costituisce sempre la peggiore via per risolvere i conflitti. Nonostante che l’autodifesa sia legittima e forse necessaria per gli individui, i gruppi e i popoli, tuttavia essa deve evitare in ogni modo di trasformarsi in una guerra, e mai usare la violenza contro innocenti. La guerra ci porta soltanto morte, distruzione, dolore e regresso.

Nello specifico campo religioso, il dialogo si presenta tanto più irrinunciabile in quanto oggi la diversità di religioni nel mondo rende più difficile un lavoro comune, come sarebbe necessario, per la pace mondiale per la promozione dei diritti umani dappertutto.

Tanto il dialogo ecumenico come quello interreligioso, e nel momento storico attuale in particolare con la religione musulmana, deve continuare indefettibilmente.

Però, la Chiesa deve dialogare oggi, più che mai, con la società (pos-)moderna, urbana e pluralista e con tutti i settori che la compongono, come la cultura, la scienza, la tecnica, l’economia, il mercato, il mondo finanziario la politica e i mezzi di comunicazione, specialmente mediante i suoi laici.

Il vescovo deve essere il promotore di questo dialogo nella sua diocesi, a tutti i livelli. Ovviamente lo deve anche coltivare all'interno della Chiesa, soprattutto con i suoi presbiteri e le sue comunità.

Essere promotore del dialogo e della pace è un dovere fondamentale del Vescovo. Paolo VI ha detto che il dialogo è il nuovo nome della carità. Forse oggi è anche il nuovo nome della speranza.

[00048-01.04] [in036] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Vincent LOGAN, Vescovo di Dunkeld (Scozia).

La teologia della comunione

Nelle Chiese locali vi sono stati alcuni movimenti sul fronte della collegialità dal Concilio Vaticano II. Ma abbiamo veramente vissuto e sperimentato la concezione che aveva il Concilio Vaticano II delle Conferenze episcopali?

La teoria delle Conferenze episcopali deve essere sostenuta da un processo accettato e ben collaudato. Anche a livello universale, dobbiamo riprendere i concetti ispirati dal Concilio Vaticano II riguardo alla collegialità e alla comunione. In questo contesto, il rapporto tra i singoli vescovi e le Conferenze episcopali e la Santa Sede sono questioni fondamentali.

Spiritualità della comunione

La teologia della comunione esige una spiritualità della comunione. Tale spiritualità si fonda sul discernimento che, per un vescovo, nella sua diocesi, è principalmente una virtù della sfera spirituale piuttosto che di quella amministrativa.

Questioni pratiche

Occorre riflettere anche sulla fratellanza e sulla collaborazione del vescovo con i suoi sacerdoti.

C’è bisogno di strategie innovative per promuovere le vocazioni.

La formazione dei candidati all’episcopato dovrebbe riguardare maggiormente la teologia e la spiritualità della comunione piuttosto che l’amministrazione, gli edifici, ecc.

Perché il vescovo sia profetico nel linguaggio, è necessario che sia profetico anche nel suo stile di vita.

Dobbiamo spostare l’accento dal custodire la comunità al formare la comunità.

Servono più iniziative nel campo dell’ecumenismo.

I vescovi dovrebbero poter scegliere di ritirarsi prima di avere compiuto 75 anni, ... per esempio dopo 25 anni di episcopato.

Noi vescovi ci impegniamo pienamente ad affrontare l’esigenza di una nuova evangelizzazione per un nuovo secolo e un nuovo millennio?

[00047-01.05] [in037] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Raymond John LAHEY, Vescovo di Saint George's (Canada).

Solitamente tradotto come "supervisione", il termine "episcope", nella tradizione biblica, veniva inizialmente inteso in termini di "visitazione", in modo specifico la visitazione di Dio. Nel nuovo testamento, questa visitazione è messianica e salvifica, e si compie in Gesù Cristo.

Questa comprensione approfondita di "episcope" ci permette di gettare uno sguardo nuovo sul ministero del vescovo. Il vescovo quindi non è innanzitutto un "supervisore", ma piuttosto colui che mantiene vivi i misteri salvifici per il suo popolo. Poiché il vescovo serve quale sacramento della visita di Dio in Gesù Cristo, egli è il garante del fatto che la sua Chiesa locale è il luogo in cui il popolo può sperimentare la prima qualità di questa visitazione: la misericordia di Dio (v. Lc 1, 78).

Un senso più completo del termine "episcope" fa comprendere meglio perché il Concilio Vaticano Secondo abbia definito i Vescovi "vicari e legati di Cristo" per il loro popolo. Il vescovo è vicario e legato di Cristo proprio perché viene in mezzo al popolo di Dio come sacramento della divina misericordia che Cristo, Capo e Salvatore, ha guadagnato per lui.

Tale interpretazione di "episcope" getta anche una nuova luce sui tre "munera", spesso associati con l’ufficio episcopale. Il vescovo mantiene viva la memoria della visita salvifica di Dio attraverso la predicazione e l’insegnamento. Nella celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia, egli continua a rendere presente, in ogni epoca, l’incontro pieno di grazia della visita di Dio. Il suo dovere di governare si compie al meglio quando egli fa sì che la misericordia non sia qualcosa di astratto all’interno della Chiesa locale, ma venga praticata come esige la visitazione di Dio.

In un’epoca in cui la speranza è importante, questa proclamazione, celebrazione e modo di vivere la visita misericordiosa di Dio, eviteranno che la Chiesa locale sia percepita come una Chiesa che esclude. Tra le proprie qualità, essa annovererà la compassione, il conforto, il perdono e l’accoglienza. Ciò conformerà la Chiesa piuttosto all’immagine di Cristo, il suo grande "Pastore e Vescovo" (1Pt 2, 25), che è venuto a cercare quelli che si sono perduti e che sono dispersi.

[00045-01.03] [in039] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Desmond CONNELL, Arcivescovo di Dublin (Irlanda).

In Novo millennio ineunte il Papa fa appello allo sviluppo di una "spiritualità di comunione".

Questo per raggiungere lo scopo del Vaticano II di dare la possibilità alla natura sacramentale della Chiesa, vista come segno e strumento di partecipazione alla vita di Dio, di manifestarsi più chiaramente così da attirare le persone verso una profonda comunione di vita.

Occorre superare gli ostacoli che vi si frappongono.

Il primo è il pregiudizio contro le istituzioni.

La società democratica istituzionalizza il pluralismo. La Chiesa con il suo credo e i suoi dogmi sembra istituzionalizzare la verità. Ma la verità della Chiesa è più che un sistema secolare pronunciato da un qualche autore defunto da molto tempo. Essa è una comunione sacramentale di vita.

Un secondo ostacolo è quella forma di spiritualità che equivale ad una "religione senza regole".

La natura istituzionale della Chiesa e dell’episcopato è essenziale ma non può essere ridotta a ciò che caratterizza puramente le istituzioni umane. Essa preserva la continuità storica con quanto Cristo ha compiuto sulla terra, ma passa anche attraverso la storia perché grazie all’opera dello Spirito Santo dato alla Chiesa nella Pentecoste essa rappresenta e testimonia il Cristo Risorto come fonte perenne della sua vita. L’istituzione deve essere vista come al servizio del dono della vita divina. Questo è il motivo per cui il ministero del Vescovo deve essere visto come un servizio.

[00044-01.04] [in040] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Card. Francis ARINZE, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso (Città del Vaticano).

L’approccio della Chiesa alle persone di altre religioni si fonda sulla sua fede in Gesù Cristo. Tutto il genere umano appartiene a Cristo, generato prima di ogni creatura (cfr. Col 1, 15). Per la Chiesa, il dialogo o la collaborazione interreligiosa è contrassegnato dalla speranza, la speranza che un giorno tutti e tutto si riconcilino in Cristo, Signore della storia e anelito di tutti i cuori.

Nel mondo di oggi il vescovo non ha scelta fra promuovere o non promuovere il dialogo interreligioso. La pluralità delle religioni è un dato di fatto in gran parte delle società. I movimenti di popolazione per motivi economici, culturali, politici o d’altro genere sono stati agevolati dai moderni mezzi di spostamento. Culture, religioni e lingue s’incontrano come mai prima nella storia umana.

L’ortoprassi deve fondarsi sull’ortodossia. Il vescovo è sopra ogni altra cosa il maestro della dottrina della fede. Naturalmente egli deve vegliare sulle idee teologiche in materia di dialogo interreligioso nella sua area di competenza. Ma - cosa ancor più importante - deve alimentare il suo popolo con la ricca dottrina racchiusa in LG, GS, AG, NA, Redemptoris Missio, Dominus Jesus, Dialogue and Mission e Dialogue and Proclamation. Il vescovo deve promuovere, incoraggiare e guidare la riflessione teologica sui temi riguardanti il dialogo.

Vi è un numero crescente di iniziative sul dialogo interreligioso da parte di individui e istituzioni che rivestono vari gradi di credibilità. Il vescovo dovrà usare molta prudenza per decidere in quali coinvolgersi e in quali no. Il sincretismo e il relativismo sono pericoli reali.

La maggioranza dei vescovi troverà utile e a volte persino necessario avere una piccola commissione composta da persone capaci e disponibili che facciano in modo che questa dimensione dell’apostolato diocesano venga svolta in modo opportuno.

Un cristiano che incontra persone di altre religioni è prima di tutto un testimone di Cristo. Tramite quel cristiano, gli altri credenti devono vedere, udire, vivere, toccare, parlare e lavorare con Cristo.

Se il dialogo interreligioso può iniziare dalla dimensione orizzontale - la ricerca congiunta della giustizia, della pace, dell’armonia e dei valori sociali - esso deve soprattutto puntare chiaramente sulla dimensione verticale: la ricerca di Dio, la ricerca della verità religiosa, lo sforzo di una maggiore apertura all’azione divina.

Se il vescovo non insegna e non diffonde queste verità, chi lo farà?

[00065-01.04] [in043] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Amédée GRAB, O.S.B., Vescovo di Chur, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Svizzera).

Ho la speranza - anche come presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) - che questo sinodo ci aiuti ad approfondire quei rapporti che sono costitutivi del ministero episcopale: Vescovo - Chiesa universale - Conferenze Episcopali - Organismi episcopali continentali, per un salto di qualità nel vivere la collegialità e la spiritualità di comunione.

Ecco alcune osservazioni al riguardo.

Si tratta di approfondire ogni compito fino al punto che esso risulti espressione di quell'unica comunione trinitaria che il Figlio ha portato sulla terra e che la Chiesa è chiamata ad esprimere.

Se approfondiamo il ministero del vescovo di una Chiesa particolare, scopriamo che è costitutivo ad esso il servizio dell’universalità della Chiesa. Questo approfondimento che fa riscoprire la "cattolicità" di ogni vescovo e Chiesa particolare, apre grandi prospettive in un’epoca di mondializzazione o globalizzazione.

Se abbiamo uno sguardo profondo nel comprendere il servizio all'unità della Chiesa che è tipico del Romano Pontefice e dei suoi diretti collaboratori, cogliamo che esso non elimina le peculiarità locali, ma anzi le realizza. L'unità infatti non elimina le differenze, ma sorge proprio attraverso esse. Sappiamo che questo è decisivo anche per la questione ecumenica.

Mi sembra che sia anche giunto il tempo di un approfondimento dell’esperienza del sinodo stesso. C'è generale consenso nel sostenere che il sinodo in questi decenni è stato una straordinaria esperienza di collegialità tra i vescovi, ma insieme stanno emergendo alcuni interrogativi circa il metodo ed il procedimento attuale del sinodo che possono essere utili per continuare la riflessione:

La prima questione che emerge è quella della mancanza di tempo sufficiente per elaborare in modo sinodale, unitario, veramente guidati dal tema di fondo e da una visione teologica, gli elementi emersi nei contributi in plenaria e nei lavori dei circuli minores.

La seconda questione - legata alla prima - sta nel rapporto tra il compito degli organi competenti del sinodo (persone e commissioni) ed il processo sinodale stesso. Conosciamo la preziosità del lavoro dei relatori e delle commissioni incaricate di redigere i testi finali, ma esso rischia di personalizzare troppo i lavori sinodali.

Da più parti si sente anche l'esigenza di rendere sempre più le Conferenze Episcopali dei luoghi di realizzazione della comunione, prima che strumenti organizzativi.

Infine voglio sottolineare il ruolo degli organismi che riuniscono le Conferenze Episcopali a livello continentale o regionale (IL n. 72). Essi hanno autorevolezza come organismi di collegialità che permettono alle Conferenze Episcopali di affrontare insieme quelle sfide che hanno dimensioni continentali: l'incontro del vangelo con la cultura. il contributo delle Chiese nel dar forma alla società, le problematiche etiche (dalla bioetica alla pace, all'ecologia), il cammino ecumenico...

Concludendo vorrei dire che la comunione è spazio di fiducia e speranza anche per noi vescovi. Si tratta però di comprendere la comunione nella sua profondità: essa è la realtà dove si rende presente lo Spirito del Signore Risorto: è Lui che il mondo attende come speranza.

[00066-01.05] [in044] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Norbert BRUNNER, Vescovo di Sion (Svizzera).

Uno degli insegnamenti centrali del Concilio sui vescovi riguardava l’effettiva collegialità di tutti i vescovi con il Santo Padre nelle tre funzioni dell’insegnamento, della santificazione e del governo nella Chiesa universale e nelle singole Chiese locali, o il rapporto dei vescovi e delle Conferenze episcopali con il Santo Padre e la Curia. A tale proposito, il Concilio stabilì che il Sinodo dei vescovi fosse lo strumento privilegiato di tale collegialità effettiva.

Oggi dobbiamo però constatare che tutte le misure prese non hanno ancora trovato il loro significato e il loro obiettivo. Inoltre, ancora una volta domandiamo, con grande preoccupazione, quale valore abbiano, presso la Curia romana, le urgenze pastorali delle singole Chiese locali.

Pertanto, dobbiamo cercare delle forme efficaci, che consentano di dare, o che siano esse stesse, delle risposte valide per le singole Chiese locali. Il Santo Padre stesso ci invita a farlo. Affinché queste riflessioni portino a soluzioni valide che riconoscano e rispettino la molteplicità nell’unità, è necessario che siano rispettate soprattutto le seguenti condizioni:

41. È necessario, nella Chiesa, un "organo efficiente di collegialità", cioè un Sinodo, nel quale tutte le regioni della Chiesa universale siano rappresentate da delegati scelti liberamente, e che si incontri regolarmente per lavorare insieme al Papa.

42. Sono necessarie, nella Chiesa, delle strutture di sussidiarietà. A livello della Chiesa universale dovrebbe essere risolto centralmente solo ciò che è necessario per l’unità della Chiesa.

43. È necessario, nella Chiesa, conservare le competenze ad ogni livello e occorre fiducia nella responsabilità dei vescovi locali.

44. È necessaria, nella Chiesa, una Curia che riconosca le necessità pastorali delle Chiese locali e sostenga le risposte a tali esigenze.

Solo così essa può adempiere al suo compito autentico, che consiste nell’essere al servizio della guida della Chiesa universale, affidata al Collegio Episcopale e al Papa e sotto l’autorità di quest’ultimo.

[00067-01.04] [in045] [Testo originale: tedesco]

S.E.R. Mons. Stephen Joseph REICHERT, O.F.M. Cap., Vescovo di Mendi, Presidente della Conferenza Episcopale (Papua Nuova Guinea).

I fedeli hanno sempre più un’immagine nuova del vescovo, Pastore tra il suo popolo e più vicino a loro come padre, fratello e amico. In lui vedono una persona più accessibile, che conduce una vita più semplice, più attenta ai bisogni del mondo e, spesso, segno di contraddizione per la difesa della verità (Instrumentum laboris, n. 9.5).

Per poter svolgere con efficacia il ministero affidatogli, il vescovo deve trasformare la sua comunità di sacerdoti (presbyterium) in un’autentica comunione di fratelli e collaboratori. Questo vincolo è fondamentale, poiché è attraverso tale collegio sacerdotale unico che si svolge il triplice ministero di Cristo alla Sua Chiesa.

Il processo di consultazione per scegliere o trasferire i vescovi dovrebbe tener conto in modo particolare delle qualità umane e spirituali, grazie alle quali il vescovo può adempiere al compito di instaurare un rapporto di autentica comunione all’interno del suo presbiterio. La capacità di un candidato all’episcopato di stabilire rapporti autentici con gli altri sacerdoti, la sua abilità nel riunire sacerdoti che hanno opinioni opposte, la sua dote di saper riconoscere e fare emergere le migliori qualità degli altri a beneficio di tutti, la sua capacità di ispirare amore e rispetto nei collaboratori sono tanto importanti quanto la sua reputazione di fedeltà alla Chiesa e la sua sollecitudine per la santità personale. Sarebbe molto importante chiedere l’opinione del maggior numero possibile di sacerdoti della diocesi nel processo di consultazione per la scelta del loro vescovo.

In assenza del vescovo, la comunità dei sacerdoti può facilmente sentirsi priva di un punto di riferimento e perdersi d’animo. Pertanto, la diocesi non dovrebbe mai essere lasciata a lungo vacante dopo la rinuncia, il trasferimento o la morte del vescovo.

L’età canonica perché il vescovo presenti la rinuncia deve essere esaminata attentamente, al fine di abbassarla, soprattutto nei paesi dove la durata media della vita è molto più breve rispetto a quella dei paesi industrializzati. Si dovrebbe mostrare maggiore compassione e flessibilità per quanto riguarda la possibilità di presentare la rinuncia ai vescovi che non si sentono più in grado di guidare con competenza la loro comunità di sacerdoti a causa dell’età e per il venir meno delle energie.

[00068-01.04] [in046] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Card. Jorge Mario BERGOGLIO, S.I., Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina).

Il vescovo è colui che veglia; cura la speranza vegliando per il suo popolo. Un atteggiamento spirituale è quello che pone l’accento sul sorvegliare il gregge con uno "sguardo d’insieme"; è il vescovo che cura tutto ciò che mantiene la coesione del gregge. Un altro atteggiamento spirituale pone l’accento sul vigilare stando attenti ai pericoli. Entrambi gli atteggiamenti hanno a che fare con l’essenza della missione episcopale e acquisiscono tutta la loro forza dall’atteggiamento che considero più essenziale, e che consiste nel vegliare. Una delle immagini più forti di questo atteggiamento è quella dell’Esodo, in cui ci si dice che Yahvè vegliò sul suo popolo nella notte di Pasqua, chiamata per questo "notte di veglia". Quel che desidero sottolineare è questa peculiare profondità che ha il vegliare rispetto a un sorvegliare in modo più generale o a una vigilanza più puntuale. Sorvegliare fa riferimento più alla cura della dottrina e dei costumi, mentre vegliare allude piuttosto al curare che vi sia sole e luce nei cuori. Vigilare parla dello stare all’erta dinanzi al pericolo imminente, vegliare invece parla di sostenere con pazienza i processi attraverso i quali il Signore porta avanti la salvezza del suo popolo. Per vigilare è sufficiente essere svegli, astuti, rapidi. Per vegliare occorre avere in più la mansuetudine, la pazienza e la costanza della carità comprovata. Sorvegliare e vigilare ci parlano di un certo controllo necessario. Invece vegliare ci parla di speranza, la speranza del Padre misericordioso che veglia sul processo dei cuori dei suoi figli. Il vegliare manifesta e consolida la parresia del vescovo, che manifesta la Speranza "senza snaturare la Croce di Cristo".

Insieme all’immagine di Yahvè che veglia sul grande esodo del Popolo dell’alleanza, vi è un’altra immagine, più familiare ma ugualmente forte: quella di San Giuseppe. È lui che veglia fino in sogno sul Bambino e sua Madre. Da questo vegliare profondo di Giuseppe nasce quel silenzioso sguardo d’insieme capace di curare il suo piccolo gregge con poveri mezzi; e germoglia anche lo sguardo vigile e astuto che riuscì a evitare tutti i pericoli che minacciavano il Bambino.

[00069-01.04] [in047] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Luis MORALES REYES, Arcivescovo di San Luis Potosí, Presidente della Conferenza Episcopale (Messico).

Il mio intervento è un rispettoso invito a fare un esame di coscienza sulla "collegialità e il ministero di Pietro", a partire dalla contemplazione del Signore come Maestro del Collegio Apostolico.

Il particolare rapporto di Gesù con Pietro compare in vari passi biblici. In tre Vangeli si narra la singolare missione che Gesù affida a Pietro, vale a dire, essere fondamento visibile della Chiesa, con il potere di legare e sciogliere (Mt 16, 18). Tuttavia la funzione di Pastore non è soltanto di Pietro, ma anche degli altri Apostoli (Mt 10, 6). Gesù appare come Maestro del Collegio dei Dodici. Egli va formandoli in una specie di lezione itinerante di catechesi (Mc 10, 32).

Il primato di Pietro è un dono di Dio al suo Popolo. La fedeltà a questo primato è parte integrante e irrinunciabile della fede cristiana. La collegialità episcopale dev’essere compresa alla luce delle fonti della rivelazione e non di modelli umani o sociali con cui potrebbe avere qualche apparente somiglianza.

I dati biblici e l’insegnamento della Chiesa richiedono che quest’Assemblea Sinodale approfondisca il tema della spiritualità della collegialità, in linea con la Novo Millennio Ineunte, per renderla più dinamica e vitale.

Infine, esprimo un desiderio: che si continui ad approfondire la natura teologica e giuridica delle Conferenze dei vescovi, particolarmente per quanto riguarda il loro magistero collegiale e i loro rapporti con la Curia Romana, e che la "spiritualità della collegialità" li permei e trasformi per fare di ciascuna Conferenza "la casa e la scuola della comunione" (cfr. NMI 43).

[00070-01.03] [in048] [Testo originale: spagnolo]

S.E.R. Mons. Gilles CAZABON, O.M.I., Vescovo di Saint-Jérôme (Canadà).

La vita di un vescovo è animata da due passioni: vivere con Cristo ed essere solidale con gli uomini e le donne del suo tempo. Sono due passioni che gli danno respiro e slancio e forgiano la sua spiritualità. Queste due realtà sono al centro del suo ministero, al punto tale che egli può affermare: "per me vivere è Cristo", oppure: "ci siamo fatti tutto a tutti".

In effetti, Gesù Cristo diviene il riferimento centrale di tutta la sua vita, cosicché, senza questa presenza, la sua vita non avrebbe più senso ed egli non potrebbe adempiere al suo ministero. Nel ministero episcopale, Gesù viene ricevuto e dato. Ricevuto nei sacramenti che il vescovo presiede, unito alla sua Chiesa; nella meditazione del Vangelo, che egli deve accogliere prima ancora di annunciarlo; nel suo ministero, contemplando ciò che lo Spirito opera nella vita del mondo e dei suoi diocesani. Cristo viene dato nella predicazione del Vangelo per la vita del mondo, nella celebrazione dei sacramenti, atti di Cristo che annunciano un nuovo mondo, e nella guida quotidiana della diocesi, che esprime incessantemente la vicinanza di Dio in mezzo a noi.

Questa scoperta di Cristo, sempre rinnovata, si realizza in mezzo a un popolo particolare, poiché l’ordinazione episcopale ci pone al servizio di una Chiesa, per essere, come Cristo, buon Pastore e servo. Oggi, in Canada, il nostro pellegrinaggio con gli uomini e le donne del nostro tempo, ci porta ad approfondire nuovamente il mistero di Cristo e il suo mistero pasquale. Questi giovani, questi uomini e queste donne, formati in una cultura diversa, devono affrontare delle sfide nuove e ci pongono delle domande nuove. Quando siamo perplessi o disarmati di fronte alle loro domande nuove e ai loro modi di vivere, anch’essi nuovi, dobbiamo, assieme a loro, interrogare di nuovo il Vangelo, sempre giovane, che apre spazi inediti di libertà e ci restituisce la speranza.

[00064-01.04] [in049] [Testo originale: francese]

COMPOSIZIONE DELLA COMMISSIO NUNTIO APPARANDO

Diamo qui di seguito la composizione completa della Commissione per il Messaggio:

Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Estanislao Esteban KARLIC, Arcivescovo di Paraná Argentina), Presidente della Conferenza Episcopale, Presidente della Commissione per il Messaggio del Sinodo dei Vescovi.

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Olivier de BERRANGER, Vescovo di Saint-Denis (Francia), Vice-Presidente della Commissione per il Messaggio del Sinodo dei Vescovi.

  • Sua Em.za Rev.ma Card. Geraldo MAJELLA AGNELO, Arcivescovo di São Salvador de Bahia (Brasile).

  • Sua Em.za Rev.ma Card. Francis Eugene GEORGE, O.M.I., Arcivescovo di Chicago (Stati Uniti d'America).

  • Sua Beatitudine Rev.ma Michel SABBAH, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Presidente della Conferenza Episcopale (C.E.L.R.A., Gerusalemme).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Henry Sebastian D'SOUZA, Arcivescovo di Calcutta, Presidente della Conferenza Episcopale (India).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Amédée GRAB, O.S.B., Vescovo di Chur, Presidente del Consilium Conferentiarum Episcopalium Europae (C.C.E.E., Svizzera).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kinsangani, Presidente del "Symposium des Conferences Episcopales d'Afrique et de Madagascar" (S.C.E.A.M., Repubblica Democratica del Congo).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. George PELL, Arcivescovo di Sydney (Australia).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Cosmo Francesco RUPPI, Arcivescovo di Lecce (Italia).

  • Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Joseph KHOURY, Vescovo di Saint-Maron de Montréal dei Maroniti, (Canada).

  • Rev.do P. Peter-Hans KOLVENBACH, S.I., Preposito Generale della Compagnia di Gesù.

AVVISI

 

LAVORI SINODALI

Avranno inizio domani mattina i lavori dei Circoli Minori, per l’elezione dei Moderatori e l’inizio del dibattito sul tema della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

L’Ottava Congregazione Generale avrà luogo domani pomeriggio 3 ottobre 2001, per la continuazione degli interventi in Aula sul tema sinodale.

BRIEFING PER I GRUPPI LINGUISTICI

Il secondo briefing per i gruppi linguistici avrà luogo domani mercoledì 3 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

POOL PER L’AULA DEL SINODO

Il terzo "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Sesta Congregazione Generale di giovedì mattina 4 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 8, riguardante i lavori della Quinta Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di domani pomeriggio mercoledì 3 ottobre 2001, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati, giovedì mattina 4 ottobre 2001, all’apertura della Sala Stampa della Santa Sede.

 
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- Indice Bollettino Synodus Episcoporum - X Assemblea Generale Ordinaria - 2001
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- Indice Sala Stampa della Santa Sede
 
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

 

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