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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

ASSEMBLEA SPECIALE
PER IL MEDIO ORIENTE
DEL SINODO DEI VESCOVI
10-24 OTTOBRE 2010

La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente:
Comunione e testimonianza.
"La moltitudine di coloro che erano diventati credenti
aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)


Questo Bollettino è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.
Le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

12 - 14.10.2010

SOMMARIO

- SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 14 OTTOBRE 2010 - POMERIDIANO) - CONTINUAZIONE

SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 14 OTTOBRE 2010 - POMERIDIANO) - CONTINUAZIONE

- INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, SIG. MUHAMMAD AL-SAMMAK, CONSIGLIERE POLITICO DEL MUFTI DELLA REPUBBLICA (LIBANO)
- INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, AYATOLLAH SEYED MOSTAFA MOHAGHEGH AHMADABADI, PROFESSORE DELLA FACOLTÀ DI DIRITTO DELL’UNIVERSITÀ “SHAHID BEHESHTI” DI TEHERAN; MEMBRO DELL’ACCADEMIA IRANIANA DELLE SCIENZE (IRAN)

INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, SIG. MUHAMMAD AL-SAMMAK, CONSIGLIERE POLITICODEL MUFTI DELLA REPUBBLICA (LIBANO)

Quando sono stato invitato al Sinodo Speciale per il Medio Oriente, mi sono posto due domande. La prima è: perché questo Sinodo è dedicato ai cristiani d’Oriente? E la seconda: perché invitare un musulmano al Sinodo, che ruolo posso svolgervi ora e nel futuro?
Per quanto riguarda la prima domanda, cercare di rispondere solleva numerosi interrogativi.
Innanzitutto, se la situazione dei cristiani d’Oriente fosse stata positiva, ci sarebbe stato bisogno di convocare questo Sinodo? E poi, questo Sinodo può garantire la loro serenità e confermare il loro radicamento nella terra dei loro padri e dei loro avi, questa terra da cui è scaturita la fede cristiana per abbracciare il mondo intero?
Personalmente, in quanto musulmano, ritengo importante l’attenzione che il Vaticano riserva ai problemi dei cristiani in generale e dei cristiani d’Oriente in particolare, questo Oriente fonte e culla del cristianesimo. Allo stesso tempo, spero che l’iniziativa del re dell’Arabia Saudita, Abdallah Ben Abdel Aziz a favore del dialogo interreligioso e interculturale possa richiamare l’attenzione del mondo arabo e islamico verso questa causa, in tutte le sue dimensioni, nazionali, religiose e umane, affinché queste due iniziative, quella del Vaticano e quella dell’Arabia Saudita, possano completarsi a vicenda, in vista della risoluzione dei problemi dei cristiani d’Oriente, consapevoli del fatto che si tratta di un’unica questione islamo-cristiana.
Per quanto riguarda la seconda domanda, non credo di essere stato invitato al Sinodo per essere edotto sulle difficoltà dei cristiani in alcuni stati dell’Oriente. La nostra sofferenza in quanto orientali è una sola. Noi condividiamo le nostre sofferenze. Le viviamo nel nostro ritardo sociale e politico, nella nostra recessione economica e dello sviluppo, nella nostra tensione religiosa e confessionale. Tuttavia, prendere il cristiano come bersaglio a causa della sua religione, anche se si tratta di un fenomeno nuovo e contingente per le nostre società, può essere molto pericoloso, soprattutto se c’è reciprocità. Si tratta di un fenomeno estraneo all’Oriente, di un fenomeno in contraddizione con le nostre culture religiose e le nostre costituzioni nazionali, poiché questo fa emergere due fatti gravissimi:
innanzitutto, un tentativo di lacerare il tessuto delle nostre società nazionali, di demolirle e di sciogliere i legami del loro complesso tessuto costruito da molti secoli, in secondo luogo un tentativo di mostrare l’Islam sotto una luce diversa rispetto a quella reale, in contrapposizione con ciò che esso professa e in contraddizione con ciò su cui esso si basa essenzialmente, cioè la concezione delle differenze tra i popoli come uno dei segni di Dio nella creazione e come espressione viva della volontà di Dio, nonché l’accettazione della regola del pluralismo e del rispetto della diversità e della fede in tutti i messaggi divini e in ciò che Dio vi ha rivelato. Il Sacro Corano dice: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c'è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna. Credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti” (3, 113, 114).
Due aspetti negativi sono la causa del problema dei cristiani d’Oriente:
il primo riguarda la mancanza di rispetto dei diritti dei cittadini nella piena uguaglianza di fronte alla legge in alcuni paesi. Il secondo riguarda l’incomprensione dello spirito degli insegnamenti islamici specifici relativi ai rapporti con i cristiani che il Sacro Corano ha definito “i più predisposti a amare i credenti” e ha giustificato questo amore affermando “che ci sono tra di loro sacerdoti e monaci e che essi non si riempiono d’orgoglio”.
Questi due aspetti negativi, in tutto ciò che comportano come contenuti intellettuali e politici negativi, e in tutto ciò che implicano come atteggiamenti relativi agli accordi e alla loro applicazione e che provocano come azioni preoccupanti e nocive, fanno del male a tutti - cristiani e musulmani - e ci offendono tutti nella nostra vita e nel nostro destino comuni. Per questo, siamo chiamati, in quanto cristiani e musulmani, a lavorare insieme per trasformare questi due aspetti negativi in aspetti positivi: in primo luogo, attraverso il rispetto dei fondamenti e delle regole della cittadinanza che opera l’uguaglianza prima nei diritti e poi nei doveri. In secondo luogo, ostacolando la cultura dell’esagerazione e dell’estremismo nel suo rifiuto dell’altro e nel suo desiderio di avere il monopolio esclusivo della verità, e rafforzando e diffondendo la cultura della moderazione, dell’amore e del perdono, in quanto rispetto della differenza di religione e di fede, di lingua, di cultura, di colore e di razza e poi, come ci insegna il Sacro Corano ci rimettiamo al giudizio di Dio riguardo alle nostre differenze. Sì, i cristiani d’Oriente sono messi alla prova, ma non sono soli.
Sì, i cristiani d’Oriente hanno effettivamente bisogno di aiuto e di appoggio, ma ciò non deve avvenire favorendone l’emigrazione o il ripiegamento su se stessi e neppure attraverso il venir meno da parte dei loro compagni musulmani, ai propri doveri nazionali e morali nei loro confronti. Facilitare l’emigrazione significa costringerli a emigrare. Ripiegarsi su se stessi significa soffocare lentamente. Rinunciare al dovere di difendere il diritto dell’altro a una vita libera e dignitosa significa ridurre l’umanità dell’altro e abbandonare i pilastri della fede.
La presenza cristiana in oriente, che opera e agisce con i musulmani, è una necessità sia cristiana che islamica. È una necessità non solo per l’Oriente, ma anche per il mondo intero. Il pericolo di un calo di questa presenza a livello quantitativo e qualitativo è una preoccupazione sia cristiana che islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma anche per tutti i musulmani del mondo. Non solo, io posso vivere il mio Islam con qualunque altro musulmano di ogni stato e etnia, ma in quanto arabo orientale, non posso vivere la mia essenza di arabo senza il cristiano arabo orientale. L’emigrazione del cristiano è un impoverimento dell’identità araba, della sua cultura e della sua autenticità. È per questo che sottolineo ancora una volta qui, dalla tribuna del Vaticano, ciò che ho già detto alla venerabile Mecca, ossia che sono preoccupato per il futuro dei musulmani d’Oriente a causa dell’emigrazione dei cristiani d’Oriente. Conservare la presenza cristiana è un comune dovere islamico nonché un comune dovere cristiano.
I cristiani d’oriente non sono una minoranza casuale. Essi sono all’origine della presenza dell’Oriente prima dell’Islam. Sono parte integrante della formazione culturale, letteraria e scientifica della civiltà islamica. Sono anche i pionieri della rinascita araba moderna e hanno salvaguardato la loro lingua, quella del Sacro Corano.
Come sono stati in prima linea nella liberazione e nella ripresa della sovranità, oggi sono in prima linea anche nell’affrontare e nel resistere all’occupazione, nel difendere il diritto nazionale violato, a Gerusalemme in particolare e nella Palestina occupata in generale.
Ogni tentativo di affrontare la loro causa senza considerare questi dati autentici e radicati nella coscienza delle nostre società nazionali, porta a conclusioni errate, fonda giudizi errati e conduce quindi a soluzioni errate.
È quindi importantissimo che questo Sinodo non sia solo un grido di sofferenza cristiana che risuona in questa valle di dolore qual è il nostro Oriente sofferente. La speranza si basa sulle fondamenta pratiche e scientifiche che il Sinodo getta a favore di un’iniziativa di cooperazione islamo-cristiana comune che possa proteggere i cristiani e tutelare i rapporti islamo-cristiani, affinché l’Oriente, luogo di rivelazione divina, sia ancora degno di innalzare lo stendardo della fede, della carità e della pace per se stesso e per il mondo intero.

[00003-01.08] [NNNNN] [Testo originale: arabo]

INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, AYATOLLAH SEYED MOSTAFA MOHAGHEGH AHMADABADI, PROFESSORE DELLA FACOLTÀ DI DIRITTO DELL’UNIVERSITÀ “SHAHID BEHESHTI” DI TEHERAN; MEMBRO DELL’ACCADEMIA IRANIANA DELLE SCIENZE (IRAN)

Nel corso degli ultimi decenni, le religioni si sono trovate di fronte a nuove situazioni. L’aspetto più importante di questo fatto è la diffusa confusione dei loro discepoli nel contesto reale della vita sociale, come pure nelle arene nazionali e internazionali. Prima della Seconda Guerra Mondiale, e nonostante gli sviluppi tecnologici, i seguaci delle diverse religioni vivevano di solito all’interno dei propri confini nazionali. Non esisteva l’enorme problema dell’immigrazione né la vasta espansione della comunicazione che unisce gruppi sociali tanto differenti tra loro. Il mondo inoltre non era diventato quel “villaggio globale” che “lega” insieme tanti destini! Ma oggi siamo testimoni dei grandi cambiamenti occorsi dalla metà del secolo scorso e tale trasformazione prosegue a un ritmo incredibile. Ciò non ha avuto soltanto un effetto qualitativo sui rapporti tra le religioni, ma ha altresì condizionato i rapporti tra i diversi segmenti delle religioni e perfino tra i loro seguaci. È indubbio che nessuna religione può rimanere indifferente di fronte a questa situazione di rapidi cambiamenti.
Al termine del secondo millennio, il multi-culturalismo all’interno delle società è stato ovunque più o meno accettato. Fino ad allora la comprensione di una società multi-culturale era ben diversa da quella che sperimentiamo oggi. Una cultura appena entrata a far parte di una società poteva essere accolta soltanto come “la nuova Cultura” e non sulla base del proprio merito e pregio. Oggi invece sono sempre di meno le società e i gruppi che difendono una società culturale monolitica. L’esperienza dei Balcani ha dimostrato che il dominio culturale ed etnico di un gruppo rispetto agli altri non può essere difeso quando non tiene conto di altri gruppi esistenti all’interno della propria società. Questa è un’importante necessità reale e non un’isolata percezione intellettuale.
Nelle società in cui sono esistiti diversi gruppi etnici con le proprie lingue e religioni, per il bene della stabilità sociale e della sanità etnica, occorre che ognuno rispetti la loro presenza e i loro diritti. La concordanza di interessi e il benessere sociale a livello nazionale e internazionale sono tali che nessun gruppo o paese può essere trascurato. E questa è la realtà del nostro tempo. Come abbiamo detto, il rispetto reciproco tra le religioni rispecchia questo nuovo status raggiunto e in futuro occorrerà necessariamente prendere in considerazione queste nuove condizioni. Tutti condivideranno il destino gli uni degli altri. Oggi questa idea è condivisa da molti opinionisti e gradualmente un numero sempre maggiore di persone prenderà confidenza con questa realtà. Un requisito fondamentale di questo modo di pensare è quello di mettere da parte il nostro punto di vista classico, formale e condizionato su altre religioni e culture per poter avere una visione più obiettiva. Dobbiamo guardare alle altre culture con comprensione, rispetto e simpatia.
Allo stesso tempo è innegabile che esistano ancora punti di vista prevenuti e reazionari, che derivano da modi di pensare pieni di pregiudizi storici, espansionisti e che tendono alla supremazia politica e culturale. Ritengo tuttavia che alla lunga questo modo di pensare discriminatorio e sciovinistico diminuirà fino a scomparire.
Oltre a queste trasformazioni, hanno avuto luogo altri cambiamenti culturali e intellettuali, anche se soprattutto nell’ambito del mondo occidentale e industrializzato. Ciò ha generato una sorta di riserva mentale e di dubbi, perfino su quelle istanze che precedentemente sembravano “inevitabili”. Adesso sembra diffondersi un desiderio e un interesse crescente di scoprire gli “altri”, altre culture e modi di vivere, altre filosofie e religioni. Tale desiderio, lungi dall’essere una curiosità, è piuttosto una necessità interiore e spirituale. Ciò avviene più frequentemente fra i giovani e i pensatori di queste società. Il fatto rilevante è che questo movimento condizionerà certamente la comprensione spirituale delle religioni di ciascuno. Va notato tuttavia che la tendenza più diffusa oggi è l’attenzione riservata alle fedi asiatiche e alle nuove sette religiose generate da società industrializzate con fondamenti soprattutto spirituali. Questi gruppi si arricchiscono quotidianamente di nuovi seguaci.
Non dobbiamo forse considerare inoltre quale sia la situazione ideale per i credenti e i seguaci? Qual è la migliore condizione raggiunta? Sembra che il mondo ideale sia uno stato in cui i credenti di ogni religione, liberamente e senza preoccupazioni, timori o obblighi, possano vivere secondo i principi fondamentali e le usanze dei propri costumi e tradizioni. Tale diritto universalmente riconosciuto dovrebbe essere messo effettivamente in pratica dagli stati e dalle comunità.
Inoltre i credenti di ogni fede dovrebbero avere il diritto di interpretazione della propria religione, nella misura in cui tale interpretazione sia fondata sullo spirito scientifico e fondamentale di quella religione. La verità è che quei credenti hanno una migliore percezione e diritto di interpretazione della propria fede di chiunque altro. È inutile osservare che naturalmente ogni fede deve avere la propria esegesi aggiornata, senza la quale il compito sarebbe difficile. A nessuno è consentito dare un’interpretazione per conto di altri e decidere per loro conto. Ogni fede ha la propria logica e il proprio metodo fondati sulle sue esigenze e sul proprio tempo. Ogni adattamento e conformità al di fuori di questo contesto che non venga riconosciuto dai fedeli, non ha legittimità, quindi non sarà né efficace né duraturo.
È bene per l’essenza di ogni religione e dei suoi fedeli che i discepoli di ciascuna fede possano esercitare i propri diritti senza vergogna e paura e vivere in conformità al proprio retaggio storico e alla propria cultura. La stabilità del mondo dipende dalla stabilità dell’esistenza di gruppi e società piccoli e grandi. Questa stabilità può essere raggiunta soltanto quando tutti possono vivere senza timore e senza minacce da parte degli altri. È questo l’elemento più importante per raggiungere la stabilità e la pace etica e sociale. È nostro dovere promuovere queste condizioni.
Il rapporto fra l’Islam e il Cristianesimo, basato sulle ispirazioni e le proposizioni del sacro Corano, dacché l’Islam si è stabilito in Arabia Saudita, si è fondato sull’amicizia, il rispetto e la comprensione reciproca. Nel sacro Corano Gesù viene definito come la “Parola di Dio” e credere in lui è stato stabilito come base per i credenti, al punto che ogni dubbio riguardo alla sua guida è stato denunciato. “.. troverai che i più prossimi all'amore per i credenti sono coloro che dicono: « In verità siamo nazareni», perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia.” Mâ ida Sura, cap. 82.
“... Quando gli angeli dissero: " O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente : il suo nome è il Messia , Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo...” Al - ‘Imrân Sura, cap. 45.
È un peccato che in alcuni periodi nei passati 1400 anni, talvolta a motivo di considerazioni politiche, questi rapporti abbiano vissuto momenti bui. Ma non bisogna incolpare né l’Islam né il Cristianesimo di azioni illegittime di alcuni individui o gruppi. Secondo gli insegnamenti del Corano, in molti paesi islamici, soprattutto in Iran, come è stato anche stabilito per legge, i cristiani vivono fianco a fianco in pace con i loro fratelli musulmani. Essi godono di tutti i diritti legali come ogni altro cittadino ed esercitano liberamente le proprie pratiche religiose. Per concludere, vorrei cogliere questa occasione per esprimere la mia gratitudine al Santo Padre, Papa Benedetto XVI per le sue osservazioni provvidenziali e vitali nei suoi discorsi a Gerusalemme e ad Istambul sull’importanza di un rapporto continuo, salutare e amichevole tra cristiani e musulmani. Questo approccio e questi comportamenti sono essenziali per tutti i credenti e certamente importanti per la pace nel mondo.
Grazie e che Dio vi benedica.

[00017-01.06] [NNNNN] [Testo originale: inglese]


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