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L’antropologia cristiana e la teoria del genere

Willem Jacobus Card. Eijk
Arcivescovo di Utrecht

Incontro delle Commissioni dottrinali europee
(Esztergom, 14 gennaio 2015)

  

La distinzione fra i termini ‘sesso’ e ‘genere’ è venuta in voga sin dalla metà del secolo scorso, in lingua inglese. Questi termini non sono definiti sempre in modo identico.

La formulazione più diffusa di questa distinzione si trova nell’Oxford English Dictionary. Il termine ‘sex’ (sesso) concerne ambedue le categorie principali (maschio e femmina), in cui sono divisi gli esseri umani e la maggior parte degli altri esseri viventi in base alle differenze anatomiche e fisiologiche degli organi riproduttivi e alle caratteristiche sessuali secondarie. Con il termine ‘gender’ (genere), usato in inglese sin dal quattordicesimo secolo per indicare il genere di parole (maschile, femminile o neutro), s’intende “lo stato di essere maschio o femmina (tipicamente usato con riferimento alle differenze sociali e culturali più che a quelle biologiche).”[1]

Secondo la definizione di ‘gender’ usata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), questo termine “si riferisce ai ruoli, ai comportamenti, alle attività e agli attributi costrutti socialmente che una certa società considera appropriata per uomini e donne.”[2] Per distinguere le categorie del sesso, l’OMS usa in inglese i termini “male” e “female” e, nel caso del genere, usa le categorie “masculine” e “feminine”. Per illustrare il significato del termine genere nel senso del ruolo imposto dalla società all’uomo e alla donna, l’OMS offre alcuni esempi, come quelli che seguono: negli Stati Uniti (e nella maggioranza degli altri paesi) le donne guadagnano meno soldi degli uomini per lo stesso lavoro; in Arabia Saudita è lecito agli uomini, ma non alle donne, guidare la macchina; nella maggior parte del mondo le donne svolgono più mansioni domestiche degli uomini.

Una successiva distinzione è quella fra l’identità del genere e il ruolo del genere. L’identità del genere (gender identity) implica che la persona si senta uomo o donna. Il ruolo del genere (gender role) è il modo in cui la persona è percepita dagli altri come uomo o donna.

Nell’ambito degli studi sul genere, inteso come ruolo sociale del maschio e della femmina, è sorta la teoria del genere. Questa teoria si è sviluppata per rispondere alla domanda in quale modo il genere, inteso come ruolo imposto alla donna dalla società, sia radicato nel sesso, nelle caratteristiche biologiche e naturali del corpo. Gli aderenti a tale teoria considerano il genere come il ruolo socialmente costruito dall’uomo e dalla donna, determinato, soltanto in modo remoto e debole, dal sesso biologico. Inteso in tal senso si sgancia anche dall’essere stesso della persona umana, che potrebbe quindi identificarsi con un altro ruolo a propria scelta o secondo il proprio orientamento sessuale.

In questo testo affronterò il problema antropologico su cui si basa la discussione attuale sulla relazione fra il sesso biologico e il genere. La prima parte è dedicata ad analizzare le implicazioni di questa relazione secondo il femminismo radicale, e delle conseguenze di ciò in altri campi. Nella seconda parte si cercherà di approfondire la relazione fra il sesso e il genere nella prospettiva dell’antropologia filosofica e teologica.

La teoria del genere

La teoria del genere ha la sua radice in un processo di radicalizzazione del femminismo a partire dagli anni Sessanta.[3] Il femminismo classico, d’ispirazione liberale, sorto circa alla metà dell’800, mirava a raggiungere la parità dei diritti per la donna: il diritto al voto, alla proprietà, al lavoro, al matrimonio e al divorzio. La radicalizzazione del femminismo, circa mezzo secolo fa, ha comportato che esso non si focalizzasse più sul raggiungimento di uguali diritti per la donna, ma sull’essere stesso della donna. Si poneva cioè la domanda su che cosa fosse la donna: un essere determinato dal sesso biologico e soprattutto dalle strutture riproduttive o, invece, un essere determinato da un ruolo imposto dalla società. Questo ruolo era considerato umiliante perché implicava il dominio del maschio, relegando la donna allo scopo primario di servire per la riproduzione e la rendeva prigioniera della famiglia. L’ideale primario del femminismo radicale, nelle sue varie forme, è la liberazione della donna da tutto ciò.

Varie correnti hanno esercitato il loro influsso sulla nascita del femminismo radicale. In primo luogo l’esistenzialismo ateo, attraverso Simone de Beauvoir, considerata la fondatrice del femminismo radicale che nel 1949, nel suo libro Le deuxième sexe, scriveva:

“Non si nasce, ma si diventa una donna. Nessun destino biologico, psicologico o economico determina la figura che la femmina umana presenta nella società; lo è la civilizzazione nel suo intero che elabora questo prodotto intermediario fra il maschio e l’eunuco, qualificata come femmina”.[4]

L’esistenzialismo ateo, non riconoscendo la creazione da parte di Dio, è convinto che non siamo nati come qualcosa di determinato, ma siamo il risultato delle nostre scelte. Tuttavia, Simone de Beauvoir vede dei limiti in questa scelta della donna che lotta con il suo corpo. Il corpo femminile è ambiguo, perché fonte di esperienze positive e negative. Quelle negative sono per lo più una conseguenza del modo in cui la società reagisce all’aspetto fisico della donna. L’atteggiamento della donna rispetto al proprio corpo cambia durante la sua vita sotto l’influsso dello sguardo che la società dirige su di essa. Ciò che è tipicamente femminile, come lo sviluppo di organi sessuali femminili, la mestruazione, la gravidanza e la menopausa, non ha significato in se stesso. Tuttavia, in un ambiente oppressivo e patriarcale, comincia ad avere il significato di essere un peso o uno svantaggio. I ragazzi e le ragazze nella pre-adolescenza non differiscono l’uno dall’altro. Quando la ragazza matura fisicamente, però, la società comincia a essere ostile verso di lei, il che si esprime nelle critiche della madre sulla posizione e sul corpo della figlia e nell’interesse dei maschi per il suo corpo. La ragazza comincia a sentirsi spesso un oggetto, un essere fisico sessuale sotto lo sguardo dell’altro, in procinto di “diventare carne”, secondo l’affermazione della de Beauvoir. La penetrazione nel primo rapporto sessuale è un’esperienza non di rado traumatica per la donna, perché dolorosa e per l’atteggiamento dominante dell’uomo. L’esperienza della gravidanza, pur più positiva, è ancora ambigua, perché considerata come un’invasione ingiusta del suo corpo, potendo d’altronde rivelarsi anche come un’esperienza positiva. Nel processo di diventare anziana la donna perde la sua attrattiva agli occhi della società, il che è di per sé uno svantaggio, ma ha come vantaggio che lei, sessualmente meno attrattiva, cessa di essere un oggetto.[5]

Per la de Beauvoir, la valutazione della donna è connessa ancora in una misura abbastanza diretta col corpo. Negli aderenti al femminino radicale questa connessione diventa molto meno intensa. La Firestone osserva, nel 1970, che “finché un certo livello dell’evoluzione fu raggiunto e la tecnologia aveva avuto la sua sofisticazione presente, lo era un’insania di mettere in questione le condizioni biologiche fondamentali.”[6] Lo sviluppo dei mezzi contraccettivi ha liberato le donne dalla “misericordia continua della loro biologia – mestruazione, menopausa e «malattie femminili», delle nascite dolorose costanti, dell’allattare e della cura di bambini, tutte queste cose che le rendevano dipendenti dai maschi […] per la sopravvivenza fisica.”[7] Inoltre Firestone crede che questa liberazione sarà rafforzata dallo sviluppo di nuovi metodi di riproduzione artificiale nel futuro.[8] Essa non spiega, però, in quale modo la riproduzione artificiale libererebbe la donna dal peso della procreazione, pensando forse alla crescita dell’embrione in un utero artificiale di laboratorio.

A parte l’esistenzialismo ateo, vi sono altre correnti che hanno contribuito alla radicalizzazione del femminismo: la dialettica materialista di Marx e Engels, la teoria di Freud riguardante la perversità polimorfica e lo strutturalismo.

Le femministe radicali accolgono favorevolmente l’idea della dialettica materialista di Marx e Engels, secondo cui l’appartenenza a una classe non proviene dalla natura ma dalla struttura economica della società che si sviluppa nella storia. Engels scrive che, nell’ambito dell’origine della famiglia che conosciamo, l’abolizione del diritto biologico successorio e patrimoniale da parte della madre è stata la sconfitta storica del sesso femminile: “L’uomo ha preso il controllo anche nella casa, la donna era degradata, soggiogata, la schiava del suo piacere e il puro strumento della riproduzione.”[9] La conseguenza di detta abolizione era che la libertà sessuale delle donne, mettendo in dubbio se il figlio fosse davvero del marito, era vista come una minaccia per il patrimonio e perciò tenuta a freno. Un’altra conseguenza era la soppressione della sessualità dei bambini, temuta come una minaccia per l’equilibrio interno della famiglia.

Tuttavia, secondo le femministe radicali, l’analisi della dialettica materialista non è stata abbastanza profonda, il che sarebbe uno dei fattori per cui il socialismo non ha raggiunto la realizzazione del suo scopo. La Firestone afferma che il socialismo “non ha scavato in una profondità sufficiente nelle radici psicosessuali delle classi.”[10] Il suo sbaglio sarebbe stato di aver lasciato intatta la famiglia. Una rivoluzione non annienterà mai ogni sfruttamento, a meno di sradicare l’organizzazione sociale basica, la famiglia biologica, in cui la donna rimane sottomessa per la riproduzione.

All’intuizione della dialettica materialista che le classi non provengono dalla natura o da un essere umano, nel senso di una sostanza, le femministe radicali aggiungono che il ruolo della donna non proviene dalla natura. Per questo si fondano sulla teoria di Freud della perversità polimorfica, che implica che l’essere umano giovane non è né eterosessuale, né omosessuale. L’essere umano diventa per lo più eterosessuale tramite un complesso positivo di Edipo nel maschio o un complesso positivo di Elettra nel caso della femmina, per cui s’identifica con il genitore dello stesso sesso. Diventa invece omosessuale tramite un complesso rispettivamente negativo di Edipo o di Elettra, per cui comincia a identificarsi con il genitore del sesso opposto e dirige i suoi interessi sessuali verso il proprio sesso. In questa teoria, la Firestone, osservando che il complesso di Edipo ricorre soprattutto nella società patriarcale, sostituisce la lotta per il pene con quella per il potere. Il figlio, all’età di circa cinque anni, è sollecitato dal padre con il suo potere, così da lasciare lo stato impotente delle donne e dei bambini, e passare allo stato dei potenzialmente potenti. La figlia all’età di cinque anni scopre il mondo potente del padre, che la rifiuta, volendo però entrare in esso. Sottomettendosi, s’identifica con la madre e diventa eterosessuale, o resiste e col rifiuto può diventare lesbica.[11] La conclusione è che la donna è costretta, in genere, ad accettare di appartenere alla classe impotente, soggiogata per la riproduzione in una società patriarcale.

Una terza corrente con notevole influsso sulla radicalizzazione del femminismo è lo strutturalismo, fra l’altro, di Lévi-Strauss, Lacan e Foucault.[12] Una posizione di Lévi-Strauss, fatta propria da alcune femministe, evoca “the position that there is a natural or biological female who is subsequently transformed into a socially subordinate ‘woman’, with the consequence that ‘sex’ is to nature or the ‘raw’ as gender is to culture or the ‘cooked’.”[13] La cultura, imponendosi sulla natura, il sesso biologico, dà “liberamente” un significato, lo rende un oggetto da usare per i propri fini senza limiti. Da questo panorama strutturalista i sostenitori del femminismo osservano che il maschile è identificato con l’attivo, il razionale, la fonte della cultura che dà un significato al corpo e alla natura, considerati come il femminile passivo. Il sesso biologico non è quindi di per sé normativo per il ruolo sociale della donna. Questo è imposto dalla società, in modo particolare dai maschi, mediante la cultura e la legislazione.

Judith Butler fa ancora un altro passo, dicendo che l’essere femmina e l’eterosessualità sono imposte nell’ambito di un piano politico. La bipartizione fra le categorie di femmina e maschio, donna e uomo, si fondano su una metafisica sbagliata della sostanza.[14] Dietro il gender, il ruolo che consiste nella ‘performance’ di una serie di atti culturalmente e politicamente imposti, non sta un’identità di essere femmina o maschio. Questo ruolo socioculturale comprende l’orientamento eterosessuale, il compito famigliare come madre, l’obbligo riproduttivo di partorire figli. Tutto questo non proverrebbe dalle caratteristiche naturali del corpo, ma sarebbe una costruzione da parte della società e delle sue istituzioni, fra cui lo Stato, con il suo sistema giuridico, e la Chiesa con la sua dottrina. Il genere non si fonda sulle caratteristiche del corpo, interpretate come attributi essenziali di una sostanza durevole. La Butler, rinviando all’affermazione di Nietzsche che “non c’è un essere dietro l’agire, l’effettuare e il divenire,”[15] dice: “Non c’è un’identità di genere dietro le espressioni del genere, ma l’identità è costituita in modo performativo dalle proprie ‘espressioni’ dette di esserne i risultati.”[16] In fin dei conti, il gender imposto alla donna sarebbe stato costruito quindi dal potere, “parzialmente interpretato in termini di convenzioni eterosessuali e falliche.”[17]

Fra le femministe radicali si riconosce un atteggiamento combattivo. La Firestone evoca l’“ultima rivoluzione” che comprende i passi seguenti:[18]

1. “La liberazione delle donne dalla tirannia della loro biologia riproduttiva mediante ogni mezzo disponibile e la diffusione del ruolo di partorire figli e di educare figli alla società nel suo intero, maschi e femmine.”[19]

2. La liberazione della loro biologia riproduttiva si realizza mediante l’uso di contraccettivi e in un futuro più lontano mediante la riproduzione artificiale. Detta liberazione esige soprattutto di attaccare “l’unità sociale organizzata intorno alla riproduzione e la sottomissione della donna al suo destino biologico, la famiglia.”[20]

3. Questo sarà realizzato anche dalla richiesta della completa determinazione di se stessa, indipendenza economica inclusa, sia delle donne sia dei bambini.

4. L’integrazione totale delle donne e dei bambini in tutti gli aspetti della società in senso largo, il che esige la distruzione di tutti gli istituti che segregano i sessi o che escludono i bambini dalla società adulta, per esempio la scuola elementare.

5. Un ultimo scopo da realizzare nella rivoluzione ultima è “la libertà di tutte le donne e di tutti bambini di fare ciò che vogliono sessualmente.”[21] Dopo la rivoluzione ultima, sorgerebbe una nuova società in cui “l’umanità potrebbe ritornare alla sua sessualità polimorfa naturale – tutte le forme di sessualità sarebbero permesse e indulte.”[22]

L’ultimo passo è molto rilevante. Bisogna ammettere che questo fine della rivoluzione ultima, sostenuta dal femminismo, ha avuto successo. La discussione sul genere non si limita oggi più soltanto al ruolo imposto dalla società alla donna, ma si è estesa a tutti gli esseri umani. C’è nella società occidentale odierna una forte tendenza ad accettare la scelta di una propria identità di genere (gender identity) a proprio piacere o secondo il proprio orientamento sessuale indipendentemente dal sesso biologico e, anche, una tendenza a esortare la gente, particolarmente i giovani, a fare una tale scelta mediante programmi educativi. Questi programmi sono sostenuti e anche imposti politicamente a livello nazionale e internazionale. Si può vivere come maschio eterosessuale, femmina eterosessuale, omosessuale, lesbica, bisessuale, transessuale, transgender o indifferente.

Perciò la discussione sul sesso e sul gender, come iniziata dal femminismo radicale, conduce a idee e opinioni che contrastano seriamente con la dottrina della Chiesa in vari campi.

1. In primo luogo la teoria del genere ha ripercussioni sul modo di vedere la famiglia, il matrimonio e la sessualità. Molti lottano, a livello nazionale e internazionale, per realizzare la “gender equity” (l’equità di genere). Per esempio, durante la United Nations Fourth World Conference on Women a Pechino nel 1995, i rappresentanti della International Gay and Lesbian Human Rights Commission, esigevano il riconoscimento della autonomia sessuale della donna, libera da qualsiasi discriminazione o oppressione, particolarmente per le donne che deviano da codici sessuali e da quelli di genere.[23] La Conferenza ha adottato il termine “genere” nel suo rapporto finale nell’ambito di un punto d’azione, cioè “disegnare, implementare e controllare con la piena collaborazione delle donne politiche e programmi effettivi, efficaci […] e mutuamente sensitivi per il genere.”[24]

La World Health Organization ha lanciato un programma per promuovere e facilitare la “institutional mainstreaming of gender, equity and human rights,” per promuovere cioè una politica a livello istituzionale diretta a rispettare il genere, l’equità e i diritti umani.[25]

È chiaro che si deve rigettare la discriminazione di persone e l’uso della violenza contro di esse per il loro orientamento sessuale. Tuttavia, le politiche proposte per promuovere l’identità di genere, implicando la facilitazione del distaccamento del genere dal sesso biologico, vanno oltre.

2. Vi sono anche ripercussioni sul diritto fondamentale alla vita. Nell’ambito dell’equità di genere s’include, fra i diritti sessuali e riproduttivi, il diritto della donna a un aborto procurato sicuro, che le leggi nazionali dovrebbero garantire.[26] La donna, costretta, tra l’altro, dai cosiddetti fondamentalisti religiosi a essere madre, sarebbe inibita di scegliere l’aborto provocato nel caso in cui rimanesse incinta contro la sua volontà. L’attribuire il diritto alla vita al feto contrasterebbe con i diritti riproduttivi e la salute riproduttiva della donna. La proibizione legale dell’aborto procurato, in base a un diritto prenatale alla vita, costringerebbe infatti la donna incinta, contro la sua volontà, a un aborto clandestino, con tutte le conseguenze per la sua salute e la sua vita.

3. La teoria del genere, rendendo indifferente la distinzione biologica fra l’uomo e la donna, ha ripercussioni gravi anche su elementi fondamentali della fede cristiana. Se detta distinzione fosse indifferente, l’analogia fra il rapporto fra Cristo e la Chiesa e quello fra lo sposo e la sposa (Ef. 5,21-33) perderebbe il suo significato. Ciò avrebbe poi ripercussioni sulla dottrina riguardante il ministero ordinato, che, sulla base di questa analogia, è riservato all’uomo.

Visto che la teoria del genere è, per molti aspetti, una minaccia grave per la diffusione della dottrina della Chiesa e la sua stessa comprensione, è chiaro che la filosofia e la teologia cristiana devono spendere un’attenzione particolare a detta teoria. Faremo questo nella parte seguente dal punto di vista dell’antropologia filosofica e teologica cristiana.

La relazione fra il sesso e il genere nella prospettiva dell’antropologia cristiana

Come mai è possibile scindere tanto radicalmente il genere dal sesso biologico? Secondo gli scienziati, i biologi e i genetisti, che generalmente negano una separazione radicale fra ‘nature’ (natura) e ‘nurture’ (educazione), c’è un rapporto ovvio fra il genere e il sesso. Essi vedono il genere della femmina (e del maschio) come un fenotipo. Il fenotipo concerne l’insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un organismo vivente, che sorge dal suo genotipo, la costituzione genetica, sotto l’influsso di numerosi fattori ambientali, familiari, socioculturali ed educativi, che implicano fattori epigenetici. Qui ci occupiamo piuttosto del rapporto fra il sesso e il genere dal punto di vista dell’antropologia filosofica e teologica. È ovvio che la separazione fra il sesso e il genere si fonda su un’antropologia dualista, cioè un’antropologia che implica, in termini inglesi, una separazione fra ‘mind’ (la mente) da una parte e ‘body’ (il corpo) dall’altra, riducendo il secondo a una dimensione estrinseca della persona umana. Questa riduzione della dimensione fisica della persona umana implica una riduzione del sesso a puro dato biologico, a qualcosa di estrinseco e quindi non essenziale per la persona umana. Il genere, come ruolo di donna (o di maschio) imposto dalla società, è perciò qualcosa di appreso; l’identità, come ruolo scelto, concernerebbe soprattutto la ‘mind’.

Un’antropologia dualista di origine cartesiana si riscontra nella distinzione fra trascendenza e immanenza negli scritti della de Beauvoir. Secondo tale scrittrice, i maschi hanno imposto che, per essere umani, bisogna far prevalere la mente sul corpo. I maschi hanno così preso la strada verso la Trascendenza nel loro tentativo furioso di conquistare l’Immanenza, cioè il corpo con le sue passioni, che pensano di osservare in loro stessi, proiettandola sulle donne. I maschi sopprimono la donna, caratterizzandola come ‘l’Altro’, un oggetto, e se stessi come lo ‘Stesso’, il soggetto, quindi l’essenziale e il trascendente. La donna è confinata all’immanenza. L’uomo crea e agisce, mentre la donna è passiva e lo attende. Il mondo culturale della mente è associato con la mascolinità e quello del corpo con la femminilità. Questa è l’analisi, brevemente riassunta, della posizione della de Beauvoir, circa il modo in cui i maschi sono arrivati all’oppressione della donna.

La situation de la femme se présente dans cette perspective singulière : étant, comme tout individu humain, une liberté autonome, elle se découvre et se choisit selon un mode où les hommes lui imposent d’assumer le rôle de l’autre ; en d’autres termes, ils prétendent la figer dans une fonction d’objet et la vouer à l’immanence parce que sa transcendance devrait être perpétuellement reçue d’une autre conscience essentielle et souveraine.”[27]

Il rapporto dualista fra la mente e il corpo nell’ambito dello strutturalismo appare nel rapporto fra la cultura e la natura, com’è stato descritto sopra.[28] La visione dualista dell’essere umano è segnalata, in genere, nella teoria del gender presente negli scritti di varie femministe radicali.[29]

Che la teoria del genere in senso ampio, non limitato al mondo femminista ma esteso anche al mondo dell’omosessualità e a quello della transessualità, sia tanto diffusa e accettata nell’opinione pubblica, non stupisce, quando ci rendiamo conto della cultura attuale dominante, caratterizzata da due elementi: una visione dell’essere umano profondamente dualista e la cultura dell’individualismo espressivo.

Nella società occidentale, soprattutto quella anglosassone, molti sono inclini a ridurre la persona umana alla ‘mente’, i cui stati e processi sono identificati con un insieme di processi biochimici e fisiologici nella corteccia cerebrale e nei nuclei superiori del cervello.[30] Quest’antropologia, benché materialista, è di fatto una visione neo-cartesiana dell’uomo, radicalizzando una separazione fra, da una parte, la mente considerata come la persona vera e propria e, dall’altra, il corpo considerato come qualcosa di estrinseco all’essere umano. Il corpo, non partecipando del valore intrinseco della persona umana, ha un valore puramente strumentale. La persona umana ha perciò un diritto ampio di disporre del corpo e di determinare autonomamente il significato e il fine che vuole attribuire alle sue funzioni sessuali. Questa visione, rendendo possibile un distaccamento totale del gender, come ruolo scelto, dal sesso biologico, implica una grande libertà di procreare o no, di vivere da eterosessuale, omosessuale o transessuale. L’unico limite è che si rispetti la libertà del partner e non si arrechi danno a questi.

L’autodeterminazione riguardante il genere viene ancora rafforzata dalla cultura secolare dell’individualismo espressivo e dell’autenticità,[31] che è diventata la cultura di massa nel mondo occidentale. Uno dei fattori più importanti è la crescita della prosperità, che rende l’individuo meno dipendente dal prossimo. Secondo questa cultura l’individuo non ha solo il diritto ma perfino il dovere di distinguersi da altri nella sua apparenza, nelle sue convinzioni religiose e filosofiche e nei suoi valori morali. Dentro questo quadro, l’individuo mette se stesso sul palcoscenico e considera gli altri come spettatori. L’individuo non ha bisogno di un essere che lo trascende, la società o Dio. Questo è uno dei fattori per cui la cultura dell’individualismo espressivo è profondamente secolarizzata. Essa mette l’accento soprattutto sull’autonomia dell’individuo, sulla sua originalità e sulla sua auto-creazione e si caratterizza per un forte orientamento sulle emozioni: il criterio non è ciò che si pensa di un certo fenomeno o di un’idea, ma come l’individuo stesso si sente e si percepisce. Il ‘cocktail’ della cultura dell’individualismo espressivo e della visione dominante dualista dell’essere umano favorisce il distaccamento del genere dalla sessualità fisica, per cui la teoria del genere ha un seguito ampio nella società occidentale contemporanea.

L’antropologia cristiana è opposta sia a un individualismo esagerato sia a un’antropologia dualista. Sebbene ci sia nell’essere umano una certa dualità fra l’anima e il corpo, l’uomo è un’unità sostanziale. L’unica corrente filosofica che ha dato una spiegazione dell’essere umano come un’unità, nonostante la dualità di anima e corpo, che è anche compatibile con le intuizioni delle scienze naturali odierne, è quella tomista, ispirata dall’ilemorfismo aristotelico, che considera tutti gli esseri materiali come costituiti da materia prima e forma materiale. La forma specifica di un essere vivente deve essere, nell’uomo, un principio spirituale di vita che anima la materia in un corpo umano. Lo stesso principio di vita è la base sia per i processi razionali, sia per l’azione libera, sia per i processi sensitivi e vegetativi nel corpo.[32] L’assumere principi differenti di vita per le varie funzioni spirituali e materiali dell’essere umano condurrebbe a un’antropologia dualista.[33] Il corpo umano, formato da un principio spirituale di vita, è evidentemente una dimensione intrinseca della persona umana.[34]

Anche il Magistero della Chiesa[35] si riferisce alla famosa spiegazione di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, secondo cui l’anima è forma sostanziale della persona umana, che informa la materia, cioè il corpo vivente dell’essere umano. La persona umana non si riduce quindi all’anima, ma è costituita sia dall’anima sia dalla materia. Il corpo è una dimensione intrinseca della persona umana e partecipa perciò del suo valore intrinseco. Il corpo non ha quindi un valore puramente strumentale, da determinare da parte della persona umana stessa, ma costituisce un valore in se stesso. Scrive Giovanni Paolo II nella sua enciclica Veritatis splendor:

“Una libertà che pretende di essere assoluta finisce per trattare il corpo umano come un dato bruto, sprovvisto di significati e di valori morali finché essa non l’abbia investito del suo progetto. Di conseguenza, la natura umana e il corpo appaiono come dei presupposti o preliminari, materialmente necessari alla scelta della libertà, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all’atto umano. I loro dinamismi non potrebbero costituire punti di riferimento per la scelta morale, dal momento che le finalità di queste inclinazioni sarebbero solo beni «fisici», detti da taluni «pre-morali» […] Questa teoria morale non è conforme alla verità sull’uomo e sulla sua libertà. Essa contraddice agli insegnamenti della Chiesa sull’unità dell’essere umano, la cui anima razionale è per se et essentialiter la forma del corpo. L’anima spirituale e immortale è il principio di unità dell’essere umano, è ciò per cui esso esiste come un tutto – «corpore et anima unus»[36] – in quanto persona, che è la persona stessa nell’unità di anima e di corpo, nell’unità delle sue inclinazioni di ordine sia spirituale che biologico e di tutte le altre caratteristiche specifiche necessarie al perseguimento del suo fine” (n. 48).[37]

Le finalità dell’inclinazione a procreare e educare figli non è soltanto un bene fisico cui la persona umana può attribuire un significato a piacere. La capacità di procreare, pur proveniente in senso diretto dagli organi riproduttivi biologici, è ancorata intrinsecamente nella persona umana, perché il corpo è una dimensione intrinseca della persona, essendone un fattore costituente insieme con la sua forma sostanziale, l’anima.

La distinzione fra la mascolinità e la femminilità non è una differenza specifica o formale ma accidentale e materiale, perché altrimenti l’uomo e la donna rappresenterebbero due esseri essenzialmente diversi. Dal punto di vista dell’antropologia tomista questa differenza accidentale materiale è dovuta alle differenze della disposizione della materia a essere formata dalla forma sostanziale, l’anima. Questa differenza non è una semplice distinzione che mette la mascolinità da una parte e la femminilità dall’altra, ma implica di fatti una mutua complementarietà. Sebbene l’inclinazione a procreare e educare figli sia ancorata nell’essere sia dell’uomo sia della donna, nessuno dei due è in grado di realizzarla da solo, ma soltanto insieme: la moglie dona la paternità al marito e il marito la maternità alla moglie.

Tutto questo implica due corollari:

1. Al contrario di quanto pensava San Tommaso d’Aquino,[38] qualificando la donna come un maschio imperfetto, sorto accidentalmente, la differenza accidentale fra l’uomo e la donna non deve essere cercata nel differente grado di perfezione. La differenza fra l’uomo e la donna comprende due partecipazioni diverse e mutualmente complementari alla stessa perfezione della natura umana. Il concetto di complementarietà non implica una differenza di perfezione o di rango, grado o stato e, perciò, non arreca danno al fatto che l’uomo e la donna abbiano diritti uguali.

2. La mutua complementarietà non si limita soltanto al campo della riproduzione. Le differenze biopsichiche fra l’uomo e la donna implicano anche doni dell’uomo e della donna l’uno all’altra, a terze persone e, in senso più largo, alla società in campi distinti da quello della riproduzione. Anche le differenze biopsichiche, parimenti dovute alle differenze della disposizione della materia a essere formata dall’anima, implicano una mutua complementarietà dell’uomo e della donna. L’uomo si concentra soprattutto sulla razionalità, ha un mondo interiore piuttosto astratto, esprime meno facilmente i suoi sentimenti e preferisce l’avventura e l’esperimento, mentre la donna si concentra soprattutto sulle cose concrete, ha un’intuizione più forte, è meglio in grado di esprimere i sentimenti ed è più premurosa. Questo non implica che la donna o l’uomo siano esclusi da qualche campo della vita sociale e professionale o che ambedue non abbiano diritti uguali. Ambedue si completano a vicenda mediante i loro talenti, che hanno in ambedue i sessi un accento diverso. Anche le persone non sposate o le persone sposate senza figli hanno da offrire i loro doni fuori dall’ambito della riproduzione.

Riguardo al contributo specifico della donna, Giovanni Paolo II osserva che per i molti gravi problemi, con cui lottano la società e la politica,

“una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa, perché contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la «civiltà dell’amore».”[39]

Più importante del progresso valutato secondo categorie scientifiche

“appare la dimensione socio-etica, che investe le relazioni umane e valori dello spirito: in tale dimensione, spesso sviluppata senza clamore, a partire dei rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, è proprio al «genio della donna» che la società è in larga parte debitrice.”[40]

Particolarmente nel campo dell’attività educativa le donne “realizzano una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società.”[41]

In quest’ambito Giovanni Paolo II ricorda anche il contributo delle religiose. Inoltre – il che è tipico per lui – enfatizza il ruolo del tutto particolare di Maria, la madre di Gesù, nel quadro della visione teologica della donna: “La Chiesa vede in Maria la massima espressione del «genio femminile»”, che mettendosi a servizio di Dio “si è posta anche a servizio degli uomini: un servizio di amore.”[42]

Quali sono le conseguenze di tutto ciò per il genere, il ruolo come uomo, donna, padre, madre e l’orientamento sessuale? S’intende che vi sono molti fattori socioculturali, storici, economici e politici che modellano il genere: tra l’altro, l’età in cui ci si sposa, le possibilità finanziarie di fondare una famiglia e l’inserimento della famiglia nella vita sociale. Altri fattori sono le diverse condizioni lavorative: quella del padre come capo e sostegno della famiglia; quella in cui ambedue i genitori sono sostegno della famiglia, o, come nel passato, lavorano tutto il giorno insieme in una fattoria, oppure hanno una propria vita professionale separata l’uno dall’altra. Tutti questi fattori determinano il tenore culturale del matrimonio, della paternità e della maternità. Tuttavia, si può osservare empiricamente che vi sono, in queste varie situazioni, degli elementi e delle caratteristiche costanti nella reciproca complementarietà fra l’uomo e la donna, nel matrimonio, nella paternità e nella maternità e nel valore attribuito alla diversità biofisica fra l’uomo e la donna. Questo fatto proviene dal sesso biologico e perciò dall’essere della persona umana, visto che il corpo ne è una dimensione intrinseca. Un’antropologia, come quella cristiana, che afferma il valore intrinseco del corpo, non ammette un distaccamento del genere dal sesso biologico.

I tentativi da parte delle femministe radicali di garantire la libertà della donna di scegliere una propria identità di genere indipendentemente dal sesso biologico implicano d’altronde una contraddizione. S’intende fare questo, liberando la donna, mediante la contraccezione, dal suo ruolo specifico nella riproduzione, che raffrontato con quello dell’uomo sarebbe un ostacolo per la sua libertà. In un certo senso si tenta di dare alla donna la stessa posizione dell’uomo, ossia si mira a una mascolinizzazione della donna. Questo implica in fin dei conti un disprezzo del ruolo specifico della donna, ancorato nel suo essere, e perciò un disconoscimento della sua dignità specifica.

Giovanni Paolo II ha contributo notevolmente a un approccio al tema del sesso umano e del genere dal punto di vista dell’antropologia teologica nelle sue Catechesi sulla teologia del corpo durante le udienze generali all’inizio del suo pontificato[43] e nella sua lettera apostolica Mulieris dignitatem.[44] Giovanni Paolo II fonda la sua teologia della sessualità soprattutto sui due racconti della creazione nel libro della Genesi.

1. Il primo, che risale alla tradizione sacerdotale ed eloista, associa la sessualità dell’uomo direttamente col suo essere creato a immagine di Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27). Inoltre, l’uomo e la donna sono descritti come cooperatori all’agire creativo di Dio e alla Sua Provvidenza, come risulta dall’essere amministratore della terra, compito affidato da Dio all’uomo, a cui è connesso anche il comandamento di procreare: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra” (Gen. 1,28).

2. Mentre il primo racconto della creazione associa la differenza sessuale fra maschi e femmine con l’essere a immagine di Dio ed enfatizza la procreazione, il secondo racconto della creazione, la versione jahwista, con l’immagine antropomorfa di Dio e il suo approccio psicologico, accentua più il matrimonio come una comunità di due persone e il mutuo aiuto che l’uomo e la donna sono l’uno per l’altro: “Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen. 2,18). Gli animali creati da Dio non risultano essere l’aiuto di cui l’uomo ha bisogno. Sin dal primo inizio, riconoscendo la sua trascendenza, sa che si distingue essenzialmente dagli animali. Giovanni Paolo II parla al riguardo della “solitudine originaria” dell’uomo.[45] L’aiuto che gli conviene non è un animale ma un’altra persona umana. Questa è essenzialmente uguale ed equivalente ad Adamo come persona umana, il che è espresso nella creazione di Eva come tratta da una costola di Adamo (Gen. 2,21) ed egli, dichiarando “questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (Gen. 2,23), riconosce Eva come il suo uguale. Adamo reagisce allegramente ed entusiasticamente perché vede davanti a sé un essere creato, come lui, a immagine di Dio.

L’espressione “un aiuto simile a lui” non implica soltanto che la donna sia un aiuto per l’uomo: “Si tratta di un aiuto da ambedue le parti e di un aiuto reciproco” (Mulieris dignitatem, n. 7). Secondo Giovanni Paolo II l’uomo e la donna sono chiamati non solo a esistere l’uno accanto all’altra nell’unità dei due, ma a farlo in un rapporto specifico: “sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l’uno per l’altro»” (ibid.). Il matrimonio è “la prima e in certo senso la fondamentale dimensione di questa chiamata” (ibid.), ma riguarda pure tutta l’umanità. Nonostante tutti i cambiamenti sopraggiunti nella storia, il principio del reciproco “essere per l’altro” è la base su cui il maschile e il femminile sono integrati nell’umanità.

Siccome Adamo ed Eva, uguali come persone umane ma sessualmente differenziate, sono complementari l’uno all’altra, formano insieme la ‘communio personarum’ più intima che l’uomo possa raggiungere con un’altra persona umana: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2,24). Il concetto di comunione personale è preso dal Concilio Vaticano II:

“Ma Dio non creò l’uomo lasciandolo solo, fin da principio «uomo e donna li creò» (Gen. 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L’uomo, infatti, per la sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti” (Gaudium et spes, n. 12).

Una riflessione teologica su ambedue i racconti della creazione ci fornisce una comprensione teologica dell’essenza del matrimonio e della sessualità. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27): nel primo racconto della creazione, ciò significa che sia l’uomo sia la donna sono stati creati individualmente a immagine di Dio. Il fatto, però, che questo primo racconto della creazione del genere umano dica che l’essere umano, creato come uomo e donna, è immagine di Dio, rivela ancora un altro significato: l’uomo e la donna, creati come “unità dei due” nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione interpersonale d’amore, accentuata nel secondo racconto della creazione, e a rispecchiare in essa la comunione d’amore che è in Dio, “unità nella Trinità” (Mulieris dignitatem, n. 7; cfr. Familiaris consortio, n. 11). La vita divina è una vita di auto-comunicazione e amore fra le tre Persone della Trinità. Gli sposi hanno il compito di riflettere questi rapporti dentro la Trinità per mezzo della loro unità e la loro libera donazione di se stessi.

“L’essere persona significa: tendere alla realizzazione di sé […], che non può compiersi se non «mediante un dono sincero di sé». Modello di una tale interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione di Persone. Dire che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l’uomo è chiamato ad esistere «per» gli altri, a diventare un dono” (Mulieris dignitatem, n. 7).

Nella Mulieris dignitatem Giovanni Paolo II indica anche un’analogia fra l’eterno generare di Dio Figlio da parte di Dio Padre, che appartiene alla vita intima di Dio, e il generare umano. Il generare in Dio, pur completamente divino e spirituale e perciò totalmente diverso dal generare umano, è per l’uomo il modello assoluto. Tuttavia, il generare umano è “proprio dell’«unità dei due»: ambedue sono «genitori», sia l’uomo sia la donna” (Mulieris dignitatem, n. 8).

Al contrario di Simone de Beauvoir e delle femministe radicali, Giovanni Paolo II cerca la radice ultima del disprezzo della donna non nel ruolo impostole di madre, necessario per la riproduzione e l’educazione da un punto di vista funzionale, o peggio come un oggetto di piacere e di oppressione, ma nel peccato originale. A causa del peccato delle origini la somiglianza di Dio nell’essere umano è stata offuscata e in certo senso diminuita (Mulieris dignitatem, n. 9). Ciò ha le sue ripercussioni anche sul modo in cui l’uomo vive il disegno creativo di Dio riguardante il matrimonio e la sessualità. “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen. 3,16). L’offuscamento della somiglianza di Dio si mostra sia nell’uomo sia nella donna, ma ha delle conseguenze più gravi per essa. “Infatti, all’essere un dono sincero, e perciò al vivere «per» l’altro subentra il dominio dell’uomo sulla donna” (Mulieris dignitatem, n. 10). Questo interferisce seriamente nei loro rapporti reciproci e nella comunione personale che costituisce il matrimonio. Gli effetti negativi di tutto questo non si limitano d’altronde soltanto al matrimonio, ma si estendono pure al ruolo e alla posizione della donna in diversi campi della società.

Epilogo

Indicando la fonte della discriminazione e del disprezzo della donna, che si vede in varie epoche della storia e anche oggi in molte parti del mondo, Giovanni Paolo II ne indica anche il rimedio: la conversione a un riconoscimento che l’uomo e la donna sono in primo luogo persone umane, ambedue creati a immagine di Dio, e con uguale dignità. Inoltre, è necessaria una conversione al riconoscimento che la reciproca complementarietà in merito alla differenza sessuale biologica, che è una fonte essenziale per il loro ruolo o genere come uomo e donna, è pure radicata nel loro essere. A questo si aggiunge il riconoscimento che l’uomo e la donna, nel vivere questa reciproca complementarietà in amore, in modo più intenso nel matrimonio ma pure in senso più largo nei rapporti interpersonali in genere, rispecchiano anche qualcosa del Dio Uno e Trino. Questa conversione è urgente, perché la teoria del genere, che è abbastanza diffusa già in Occidente e che si sta diffondendo rapidamente ovunque nel mondo, è una minaccia grave per il matrimonio, il diritto alla vita e l’annunzio stesso della fede cattolica.


[1] Oxford English Dictionary online version, August 1, 2014), s.v. “Sex,” Noun 2. (http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/sex) e s.v. “Genere,” Noun 1. (http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/gender#gender__12).

[2] Cf. http://www.who.int/gender/whatisgender/en/.

[3]Sommers Chr. Hoff, Who stole feminism. How women have betrayed women, New York/London: Simon & Schuster, 1994, particularly chapter 1 “Women under siege.”

[4]Beauvoir S. de, Le deuxième sexe II: L’expérience vécue, Parigi: Gallimard, 1949, Parte I, Capitolo I: “Enfance”, p. 13.

[5] Questo è il file rosso del libro della de Beauvoir citato nella nota a piè di pagina precedente.

[6] Firestone S., The dialectic of sex. The case for feminist revolution, New York: Bantam Books, 1970, p. 1.

[7] Ibid., p. 8.

[8] Ibid., p. 208; Firestone segnala pure che l’uso dei mezzi di riproduzione artificiale per liberare la donna, pur forse sospetto nella società attuale, potrà aver luogo per intenzioni buone nei “sistemi postrivoluzionari.”

[9] Engels Fr., Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staats, Stuttgart: J.H.W. Dietz, 1886 (2a ed.), p. 32.

[10] Firestone S., The dialectic of sex…, op. cit, p. 11.

[11] Ibid., Capitolo 3: “Freudianism; the misguided feminism.”

[12]Butler J., Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, New York/London: Routledge, 1990, pp. 35-57.

[13] Ibid., p. 37. Ho citato qui la Butler in lingua originale inglese per evitare che andasse persa la sua formulazione pregnante.

[14] Ibid., p. 23.

[15]Nietzsche Fr.W., On the genealogy of Morals, New York: MacMillan, 1897, First Essay “Good and Evil, “Good and Bad,” nr. 13, p. 47

[16]Butler J., Gender Trouble…, op. cit., pp. 24-25.

[17] Ibid., p. 30.

[18]Firestone S., The dialectic of sex…, op. cit., pp. 205-242.

[19] Ibid., p. 206.

[20] Ibid., pp. 206-207.

[21] Ibid., p. 209.

[22] Ibid.

[23]Wilson A., “Lesbian visibility and sexual rights at Bejing,” Signs 22 (1996), Autumn, pp. 214-218; Statement di P. Beverley per la United Nations Fourth World Conference on Women a Pechino il 13 settembre 1995, veda: http://www.un.org/esa/gopher-data/conf/fwcw/conf/ngo/13123944.txt.

[24] Annex I, “Beijing Declaration,” n. 19; cf. nn. 24, 38; “Mission Statement,” n. 3, veda: http://www.un.org/esa/gopher-data/conf/fwcw/off/a--20.en.

[25] World Health Organization, “Gender, equity and human rights at the core of the health response (1 maggio 2012),” veda: http://www.who.int/gender/about/ger/en/.

[26] Su questo vi è stato uno scontro durante la International Conference on Population and Development a Cairo nel 1994 fra la delegazione della Santa Sede, che proponeva di includere fra i principi per il programma d’azione il diritto alla vita, e alcune ONG di donne contrarie a ciò perché temevano che il riconoscimento di diritti fetali alla vita fosse un ostacolo per la legalizzazione dell’aborto procurato. Lo scontro è stato risolto, prendendo come prima frase dei principi per il programma d’azione l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che parla dei diritti a partire dalla nascita, incluso quello alla vita. Si veda: Copelon R., Chr. Zampas, E. Brusie, J. DeVore, “Human rights begin at birth: international law and the claim of fetal rights,” Reproductive Health Matters 13 (2005), pp. 120-129. Cf. Sen G., P. Östlin, Unequal, Unfair, Ineffective and Inefficient Gender Inequity in Health: Why it exists and how we can change it. Final Report to the WHO Commission on Social Determinants of Health, 2007, p. 17, veda: http://www.who.int/social_determinants/resources/csdh_media/wgekn_final_report_07.pdf.

[27] Beauvoir S. de, La deuxième sexe, op. cit., I: “Les faits et les mythes”, Introduction, p. 31 (cf. J. Butler, Gender Trouble…, op. cit., p. 12). Ho citato qui la de Beauvoir in lingua francese originale per mantenere le sue formulazioni pregnanti.

[28] Ibid., p. 129.

[29] Spelman E.V., “Woman as body: ancient and contemporary views,” Feminist Studies 8 (1982), n. 1, pp. 109-131.

[30] Teoricamente questa visione dell’essere umano è qualificata come l’identity theory of mind, veda D.M. Armstrong, A materialist theory of the mind, London/New York: Routledge & Kegan Paul/Humanities Press, 1968 (una 2a edizione è stata pubblicata nel 1993); Lewis S.K., “An argument for the identity theory,” The Journal of Philosophy 63 (1966), pp. pp. 17-25.

[31] Taylor Ch., Varieties of Religion Today: William James Revisited, Cambridge/London: Harvard University Press, 2002, pp. 79-107.

[32] Tommaso d’Aquino, Quaestio disputata De Anima, a. 10-11; idem, Summa Theologiae I, 76, 1, 3, 4 and 8; Aristotele, De Anima, II, 1, 412 b 4-6.

[33] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, 76, 3; cfr. Summa Contra Gentiles II, 58.

[34] Eijk W.J, L.M. Hendriks, J.A. Raymakers, J.I. Flemming (red), Manual of Catholic medical ethics, Responsible healthcare from a Catholic perspective, Ballarat: Connor Court Publishing, 2014, pp. 61-77.

[35] Concilio di Vienne (1311-1312), DH n. 902; Concilio Lateranense V (1512-1517), DH n. 1440; Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993), AAS 85 (1993), pp. 1133-1228, n. 48.

[36] Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (7 dicembre 1965), n. 14: AAS 58 (1966), p. 1035.

[37] Tutte le citazioni dei testi del Magistero Romano sono state prese in questo articolo dal website ufficiale della Santa Sede: www.vatican.va.

[38] Tommaso d’Aquino, seguendo Aristotele e le sue idee biologiche sbagliate, descrive la donna dal punto di vista della natura particolare come “qualcosa di deficiente e sorta accidentalmente” (“aliquid deficiens et occasionatum”). La virtù attiva che è nel seme dell’uomo intende produrre qualcosa di perfetto che gli è simile, cioè un maschio. Una femmina sorge perché la virtù attiva del seme è debole, c’è qualche indisposizione della materia o qualche mutazione sotto l’influsso di un fattore estrinseco (riguardo alla natura universale la donna, perché intesa nel piano della creazione, non sorge accidentalmente). Veda Summa Theologiae I, 92, 1, ad 1. Sebbene le idee di Tommaso riguardanti la donna fossero sbagliate, perché la sua riflessione filosofica e teologica sulla differenza fra l’uomo e la donna erano fondate sulle idee biologiche errate di Aristotele, i suoi principi filosofici in sé mantengono il loro valore. Tuttavia, resta la domanda come spiegare la differenza fra l’uomo e la donna, ancorata nel loro essere, rendendoci conto dei dati delle scienze biologiche odierne. Tommaso avrebbe risposto che questa differenza è dovuta alla disposizione della materia a essere formata dalla forma sostanziale, l’anima. Vi sono anche altre risposte. Cavalcoli, seguendo Maritain (Approches sans entraves, Parigi: Fayard, 1973, pp. 194), assume che c’è una certa differenza fra l’anima dell’uomo e quella della donna, come una differenza fra due sottospecie: non può trattarsi di due specie; altrimenti l’unità dell’umanità sarebbe interrotta. L’anima dell’essere umano non è una semplice forma sostanziale ma è anche sussistente, perché può esistere separata dalla materia dopo la morte. L’anima umana ha perciò una certa posizione intermedia fra le forme sostanziali che spariscono dopo essere separate dalla materia e gli spiriti puri, gli angeli, che sono soltanto forma sostanziale e, perciò, ognuno di loro una specie. Questa posizione intermedia dell’anima umana non ammetterebbe anche la possibilità di una posizione intermedia fra la differenza materiale propria dell’ambito dell’animalità e la differenza specifica, propria del mondo dei puri spiriti? La differenza fra l’anima dell’uomo e quella della donna non sarebbe quindi materiale o specifica ma semispecifica o nelle parole di Maritain “sottospecifica”? Se questo fosse così, ci sarebbe anche una diversità e mutua complementarietà spirituale tra la personalità maschile e quella femminile. Si veda G. Cavalcoli, “Sulla differenza tra l’anima dell’uomo e quella della donna,” in: L’anima nell’antropologia di S. Tommaso d’Aquino, A. Lobato (ed.), Milano: Massimo, 1987, pp. 227-234.

[39]Giovanni Paolo II, Lettera del papa Giovanni Paolo II alle donne (29 giugno 1995), n. 4: AAS 87 (1995), p. 806.

[40] Ibid., n. 9: AAS 87 (1995), p. 809 (sottolineatura mia).

[41] Ibid.

[42] Ibid., n. 10: AAS 87 (1995), p. 810 (sottolineatura mia).

[43] Questa catechesi si trova in: Giovanni Paolo II, Uomo e donna li creò: catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice, 1985. È citato qui la traduzione olandese: Johannes Paulus II, Naar Gods beeld, Man en Vrouw, Antwerpen: Nieuwe Stad, pp. 25-37.

[44] Giovanni Paolo II, “Lettera Apostolica Mulieris dignitatem (15 agosto 1988),” AAS 80 (1988), pp. 1653-1729. Cfr. Melina L., “‘Dio affida l’essere umano in modo speciale alla donna’: una grande intuizione di Giovanni Paolo II,” in: Pontifium Consilium pro laicis, Dio affida l’essere umano alla donna, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp. 19-28.

[45] Johannes Paulus II, Naar Gods beeld, Man en Vrouw, op.cit., pp. 25-37.