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SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI 

RIFLESSIONE DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Ecumenismo, santità e missione

 

Nella Tertio Millennio adveniente Giovanni Paolo II dice che "l'ecumenismo dei Santi, dei martiri, è forse il più convincente" (Tertio Millennio adveniente, 37). E parlando della necessità di partecipare all'opera ecumenica, egli ricorda che "la ricomposizione della piena unità tra i cristiani li aiuterà a rendere una testimoniaza sempre più efficace e a proclamare, con maggiore credibilità, l'avvento del Regno" (in "Insegnamenti", III/1, 174). Esprimendosi così, il Santo Padre sottolinea l'intimo ed inscindibile legame tra santità, ecumenismo e missione:  una trilogia che va penetrando sempre più nella vita e nella spiritualità del Popolo di Dio. L'argomento, data la sua grande importanza ed attualità, merita alcune riflessioni.

1. L'odierna sfida ecumenica

1) L'ecumenismo è, senza dubbio, una delle maggiori sfide che la Chiesa del terzo millennio è chiamata ad affrontare. Il movimento ecumenico, suscitato e  promosso dal Concilio Vaticano II, è una esigenza intrinseca della sua propria vita.

Quella di Cristo non è, infatti, solo la Chiesa "santa", ma anche la Chiesa "una":  è la Chiesa "una, santa e cattolica", come recita il Simbolo della fede niceno-costantinopolitano. L'ecumenismo non è, dunque, un optional, una questione più o meno importante, ma un dovere stringente di tutti i cristiani.

Prima di lasciare questo mondo, Gesù ha chiesto al Padre "perché tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me ed io in te" (Gv 17, 21). A nessuno sfugge il profondo significato ecclesiale di questa accorata preghiera di Gesù nell'ultima Cena, in quella intensa atmosfera di comunione in cui istituì il "sacramentum amoris", che costituisce il suo più prezioso testamento; in quel pasto di congedo dai suoi, prima di lasciarli per fare ritorno al Padre, dopo aver compiuto la sua missione sulla terra.

L'unità chiesta da Cristo per i suoi discepoli è una partecipazione a quella esistente tra il Padre e il Figlio:  "come tu sei in me ed io in te"; una riproduzione, o, se vogliamo, un riflesso visibile della stessa unità trinitaria. I cristiani devono, pertanto, presentarsi agli uomini che si succedono nel tempo come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (S. Cipriano, De Orat. Dom. 23:  PL, 4, 553).

È per questa unità del suo Corpo mistico che Cristo offre se stesso "in sacrificio" (cfr Gv 13, 1).
Va rilevato che Gesù chiede il dono dell'unità non solo per i discepoli che siedono con Lui a tavola per celebrare la Pasqua, ma "anche per tutti quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola" (Gv 17, 20) e, mediante il battesimo, formeranno, attraverso i secoli, il  suo  Corpo  terrestre che è la Chiesa. Per essi, e per tutti, ha dato la sua vita. Egli è morto, infatti, per "riunire i  figli di Dio dispersi" (Gv 11, 52).

È nell'Eucarestia, sacramento della "koinonia cristiana", che si esprime, e si attua, la piena unità del Popolo di Dio (Lumen gentium 3; cfr1 Cor 10, 17). Mai come intorno all'altare esso appare, ed è, così perfettamente uno. Il nuovo Popolo messianico, convocato dalla Parola, nella celebrazione eucaristica proclama pubblicamente di fronte al mondo, che tutti i suoi membri attingono la loro vita ad una unica fonte, ad un unico e medesimo pane, quello disceso dal cielo (Gv 6, 50), ricevuto in una fede comune e per una speranza comune. La Chiesa è una, perché una è l'Eucarestia. È questa la vera sorgente di quella (cfr Saraiva Martins, J., I Sacramenti dell'iniziazione cristiana, 246-247).

2) La ricerca dell'unità tra i cristiani ha fatto indubbiamente dei progressi. La grande celebrazione giubilare ha registrato, al riguardo, rileva il Papa, "qualche segnale davvero profetico e commovente" (Novo Millennio ineunte, 48). E nel discorso alla Curia Romana il 21 dicembre scorso, in occasione degli auguri di Natale, egli ha parlato dei "passi in avanti che, anche quest'anno, ha fatto il cammino ecumenico", benché, ha rilevato, "occorre riconoscerlo, non sono mancati motivi di amarezza" (in "L'Osservatore Romano", 22 dicembre 2002, p. 5). E nell'omelia del 31 dicembre, in occasione del "Te Deum" e dei primi vespri della solennità di Maria SS.ma Madre di Dio, il Pontefice ringraziava Dio "per alcuni passi significativi nel non facile cammino ecumenico" (L'Osservatore Romano, 2-3 gennaio 2003, p. 7). I cristiani infatti, si mostrano sempre più sensibili alla questione dell'unità. C'è tra di essi una maggiore consapevolezza dell'importanza vitale del dialogo ecumenico per la Chiesa. E di ciò bisogna ringraziare il Signore che, per mezzo del suo Spirito, spinge sempre più i discepoli di Cristo verso la loro piena comunione.

Tuttavia il cammino è ancora irto di difficoltà sia di ordine teologico che psicologico. "Tristi eredità del passato "ci seguono ancora oltre la soglia del nuovo millenio" (Novo Millennio ineunte, 48). Non tutti gli ostacoli sono scomparsi. Il cammino che rimane da fare è ancora lungo (ibid.).

Proprio per questo all'avvicinarsi del nuovo millennio, il Papa invitava caldamente la Chiesa "a implorare il Signore che cresca l'unità di tutti i cristiani nelle diverse Confessioni, fino al raggiungimento della piena comunione" (Tertio Millennio adveniente, 34). E nella Novo Millennio ineunte egli ritorna sull'argomento per rammentare che la piena unità dei cristiani è "un dono che ha bisogno di essere accolto e sviluppato in maniera sempre più profonda" (Novo Millennio ineunte, 48).

Occorre, a tale scopo, non dimenticare, che l'"Ut unum sint" di Cristo deve essere per noi, "insieme, imperativo che ci obbliga, forza che ci sostiene, salutare rimprovero per le nostre pigrizie e ristrettezze del cuore" (Novo Millennio ineunte, 48); occorre una sempre più chiara coscienza della gravità della divisione tra i cristiani, e, quindi, dell'urgenza di ricomporre quanto prima la piena unità tra di loro:  "ogni giorno che passa, dice il Papa, rende più urgente l'unità" ("Insegnamenti", III/1, 171); occorre reagire, con rinnovato slancio, contro quella che talvolta viene chiamata "crisi dell'ecumenismo"; occorre guardare sempre più alle luci che alle ombre (Discorso alla Curia Romana, 1.c.); occorre, infine, "continuare con fiducia nel cammino, sospirando il momento in cui tutti i discepoli di Cristo, senza eccezione, possano cantare insieme a voce spiegata:  "ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" Sal 133 (132)" (Novo Millennio ineunte, ibid.).

L'impegno ecumenico non può non coinvolgere l'intera Comunità ecclesiale (cfr Ut Unum sint, 82). Esso è un compito irrinunciabile di tutti i battezzati. Ognuno, ovviamente, secondo il proprio ruolo, il proprio carisma e la propria competenza. La sollecitudine di instaurare l'unione voluta da Cristo, si legge nell'Unitatis redintegratio "riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli sia i pastori, ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto nelle ricerche teologiche e storiche" (Unitatis redintegratio, 5).

L'impegno dei fedeli per l'unità richiede una loro adeguata formazione ecumenica. Essa li porterà non solo a capire meglio la vera portata dell'ecumenismo, ma anche ad essere efficaci operatori del medesimo; non solo ad approfondire la propria fede e a riaffermarla senza ambiguità, ma anche a conoscere meglio e ad estimare gli altri cristiani. E ciò "non può che facilitare il comune impegno della ricerca dell'unità nella verità tutta intera" (Catechesi tradendae, 32). Il vero ecumenismo, infatti, non può assolutamente consistere, per i cattolici, nella rinuncia alla propria fede, o a una parte di essa. "L'ecumenismo, dice un autore, non si fa a colpi di irenismo o di minimalismo teologico" (L. Sartori, l'unità dei cristiani, Messaggero, Padova, 1992, p. 61). Anzi, essi segnerebbero la fine del vero ecumenismo.

2. Santità ed ecumenismo

Unità dei cristiani e santità non sono due realtà autonome, indipendenti l'una dall'altra. Al contrario. Esse sono due realtà inscindibilmente unite, assolutamente inseparabili, che si compenetrano ed illuminano a vicenda. Sono, quella e questa, due "note" essenziali della Chiesa di Cristo, come si esprimono i manuali  di  ecclesiologia.  Appartengono entrambe alla stessa identità della Chiesa.

Il cammino ecumenico, rileva un illustre Vescovo italiano, "non è un'operazione di "ingegneria ecclesiologica" né consiste nella raccolta di "frammenti":  la "communio" è simultaneamente communio sanctorum, sanctarum rerum e, in maniera fontale, Sancti. Ogni passo innanzi sarà sempre legato alla maturazione di questa dimensione "spirituale" di tutti i membri della Chiesa" (L. Chiarinelli, "Valore ecumenico della santità", 2002, p. 5). È quanto ci ricorda il Papa quando afferma che, per affrettare la gioia della comunione piena con i fratelli ortodossi, "è necessario... intensificare soprattutto l'ecumenismo della preghiera e della santità" (Discorso alla Curia Romana, cfr L'Osservatore Romano, 22 dicembre 2002, pag. 5, n. 7).

I veri protagonisti dell'ecumenismo non sono, dunque, gli uomini, ma lo Spirito Santo e Santificatore, che è anche Spirito di unità. È Lui che fa di molti un solo corpo, un cuore solo ed una anima sola, come avveniva nelle prime comunità cristiane (Ef 4, 4; e Atti 4, 32).

L'ecumenismo, rilevano i Vescovi europei, vive del fatto che noi ascoltiamo insieme la Parola di Dio e lasciamo che lo Spirito Santo operi in noi e attraverso di noi. In forza della grazia in tal modo ricevuta, esistono oggi molteplici sforzi, attraverso preghiere e celebrazioni, tesi ad approfondire la comunione spirituale tra le Chiese e a pregare per l'unità visibile della Chiesa di Cristo" (Consiglio della Conferenza Episcopale d'Europa, Conferenza delle Chiese europee, Charta Oecumenica, n. 5, "Il Regno" 9, 2001, 317).

1) Più in particolare, va sottolineato, innanzittutto, il legame intrinseco tra ecumenismo e conversione, nella quale consiste, in fondo, la santità cristiana. Santo è, infatti, colui che vive in un continuo stato di conversione a Cristo, che è la santità incarnata del Dio "tre volte santo". Conversione che lo porta a identificarsi sempre più perfettamente con Lui, fino a poter dire come l'Apostolo:  "vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me" (Gal. 8, 20).

Il Concilio è quanto mai esplicito e categorico nel sottolineare il profondo legame tra ecumenismo e conversione. "L'ecumenismo vero, si legge nell'Unitatis redintegratio, non c'è senza conversione" (Unitatis redintegratio, 7); ed ancora:  "la conversione del cuore e la santità di vita... devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare "ecumenismo spirituale" (Unitatis redintegratio, 8). Tale rapporto poggia sul fatto che "il desiderio dell'unità... nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità... Si ricordino (perciò) tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo" (Unitatis redintegratio, 7), ossia una vita santa.

Non meno chiaro è, in proposito, Giovanni Paolo II. Egli sottolinea con vigore, a varie riprese, la dimensione spirituale dello ecumenismo, in particolare, il suo legame con la conversione del cuore dei singoli e della stessa Comunità ecclesiale.

Già nell'enciclica "Ut unum sint" sull'impegno ecumenico, il Sommo Pontefice afferma che la "conversione dei singoli cristiani e la continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena, ... sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezione, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa" (Ut Unum sint, 82).

In questo stesso documento il Papa parla, inoltre, di ""dialogo della conversione", nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico", aggiungendo che nella conversione "si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio ecumenico" (ibid.), e che "la preghiera è l'anima del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce "dialogo"" (ibid. 28).

Questi concetti sulla dimensione spirituale dell'ecumenismo ossia sulla santità e il dialogo ecumenico vengono ripresi dal Papa nella Novo Millennio ineunte. Egli ammonisce contro la tentazione di "pensare che i risultati dipendono dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certo, Dio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia... Ma guai a noi a dimenticare che "senza Cristo non possiamo fare nulla" (Gv 15, 5)" (Novo Millennio ineunte, 38). Questo vale anche per l'ecumenismo. L'unità dei cristiani sarà sempre un dono del Signore da accogliere con sentimenti di profonda gratitudine; sarà sempre frutto della santità dei discepoli di Cristo, poiché questa è l'humus in cui nasce, fiorisce e matura l'unità voluta e chiesta da Cristo nel cenacolo. Solo la santità sarà capace di "armonizzare la pluralità della voce in una sinfonia unitaria di verità e di amore", come dice l'attuale Pontefice. Solo una Chiesa santa nei suoi membri sarà, insomma, una Chiesa davvero una.

2) Questo significa che la santità ha, in se stessa, uno straordinario valore ecumenico. Essa va, pertanto, perseguita e vissuta anche sotto questa dimensione. È proprio ciò che hanno fatto i Santi e i Testimoni della fede. Riflettendo, in modo speciale, sul loro volto il volto di Cristo, vivendo, in tutta la sua radicalità, il Vangelo dell'amore e della riconciliazione, essi danno una forte testimonianza di comunione a tutti i loro fratelli nella fede, a tutti gli uomini. I Santi sono, dunque, i più efficaci operatori dell'auspicata unità tra i cristiani.

È lo stesso Giovanni Paolo II a mettere in rilievo il valore ecumenico della santità, quando, nella Tertio Millennio adveniente, dice che l'ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente. "La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione" (Tertio Millennio adveniente, 37). Non c'è dubbio che il linguaggio della santità e del martirio è, in campo ecumenico, il più intelligibile ed il più efficace.

Il ruolo ecumenico dei santi è stato recentemente ribadito dal Presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. "I santi, osserva il Card. W. Kasper, possono dare un nuovo impulso anche all'ecumenismo. Una delle radici del movimento ecumenico è nell'esperienza comune delle persecuzioni subite dai  cristiani  delle  diverse  confessioni (cfr A. Riccardi, "Il secolo del martirio. I cristiani nel novecento", Milano, 2000). Il ravvivato ricordo della testimonianza di tanti cristiani non può rimanere infecondo dal punto di vista ecumenico. Se il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani (Tertulliano), possiamo confidare che il sangue comune versato da tanti testimoni di chiese separate diventerà seme di unità per quelle stesse chiese. La legge del chicco di grano vale anche per il movimento ecumenico. Cadendo in terra e morendo, produce molto frutto (Gv 12, 24). Papa Giovanni Paolo II ha il merito di avere richiamato l'attenzione sulla dimensione martirologica dell'ecumenismo in occasione della commemorazione ecumenica dei testimoni del XX secolo" (W. Kasper, Il significato ecumenico della venerazione dei Santi, 9).

Parlando del valore ecumenico della santità, va ricordata, per la sua importanza e significato, la beata Maria Gabriella Sagheddu, elevata agli onori degli altari dall'attuale Pontefice, il 25 gennaio 1983. Questa umile suora trappista ha vissuto con particolare intensità la dimensione ecumenica della santità. L'Enciclica Ut Unum sint rileva che lei "ha consacrato tutta la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera incentrate sul capitolo 17 di san Giovanni e l'ha offerta per l'unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni preghiera:  l'offerta totale e senza riserve della propria vita al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo" (Ut Unum sint, 27). Perciò il Papa ha voluto proporla come modello. Il suo esempio, infatti, "ci istruisce, ci fa comprendere come non vi siano tempi, situazioni o luoghi particolari per pregare per l'unità. La preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni luogo" (ibid.).

Che Dio mandi alla sua Chiesa molti santi che, come la beata Sagheddu, vivano in pienezza l'ottica ecumenica della santità, dando così un prezioso contributo all'unità dei cristiani.

3. Ecumenismo e missione

Quanto detto in precedenza ci porta a riflettere su un terzo aspetto dell'ecumenismo:  il suo rapporto con la missione evangelizzatrice della Chiesa. Il Concilio Vaticano è quanto mai chiaro nel ribadirlo. L'Unitatis redintegratio è, nel pensiero dei Padri conciliari, un testo intimamente collegato con l'Ad gentes sull'attività missionaria della Chiesa. Si tratta di due momenti di un unico discorso sull'annuncio della Buona Novella agli uomini del nostro tempo. Considerarli come due documenti autonomi, indipendenti l'uno dall'altro, sarebbe rinunciare a capire il vero contenuto e la vera portata sia del primo che del secondo.

1) Il legame tra ecumenismo e missione è, innanzittutto, di ordine "genetico", nel senso che il movimento ecumenico è nato e si è sviluppato in stretto rapporto con i problemi dell'evangelizzazione, e che l'idea ecumenica ha preso corpo e si è estesa in seno alla Chiesa contemporaneamente ad una progressiva e sempre più viva coscienza della sua vocazione essenzialmente missionaria. È quanto mai significativo, in proposito, che sia proprio il Papa Benedetto XV a considerare l'opera ecumenica come "un dono di Dio al mondo" e a promulgare la prima grande enciclica missionaria dei tempi moderni: la "Divinum illud" (30 novembre 1919:  AAS, XI, 1919, 440-455); come lo è anche il fatto che sia proprio Giovanni XXIII a introdurre ufficialmente secondo il p. Ch. Boyer, l'ecumenismo nella Chiesa (cfr. Ch. Boyer, "L'ecumenismo nella Chiesa cattolica", "Via Verità e Vita", 6, 1966, 27), e ad offrire ad essa un' altra grande enciclica missionaria:  la "Princeps Pastorum" (AAS, 51, 1959, 833-864).

Non deve stupirci che l'ecumenismo abbia avuto origine e si sia sviluppato nell'ambito della missione. E infatti, mentre proclama il Vangelo dell'amore e della riconciliazione, che la Chiesa è portata a porsi, con particolare urgenza ed acuità, la domanda, quanto mai impegnativa, se la sua situazione reale risponda o meno a quell'imperativo di unità che, per espresso volere di Cristo, fa parte della sua stessa natura come Comunità di salvezza. È, inoltre, nel campo concreto della missione che essa si rende pienamente conto dell'assurdo della divisione dei cristiani e del doloroso scandalo che esso provoca in un mondo, come quello di oggi, che, nonostante tutto, sembra camminare, anche se non senza fatica, verso una sempre maggiore unità nei vari settori della vita:  sociale, culturale ed economico.

È, dunque, normale che sia proprio nel campo della missione, dove la Chiesa sente più vivo, forte ed impellente, l'anelito di raggiungere quanto prima l'agognata unità dei cristiani.

2) Il rapporto tra ecumenismo e missione si fonda, in secondo luogo, nel fatto che la divisione dei cristiani, "danneggia... la causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (Unitatis redintegratio, 1). Pensiero che viene ripreso e sottolineato nel Decreto sull'attività missionaria della Chiesa, secondo il quale "la divisione dei cristiani è... di grave pregiudizio alla santa causa del lieto annuncio a tutti gli uomini e impedisce a molti di abbracciare la fede" (Ad Gentes, 6 cfr 77).
E questo perché ogni divisione tra i discepoli di Cristo toglie forza, incisività, e, quindi, efficacia e credibilità alla loro parola missionaria. L'ha detto lo stesso Gesù quando, nella sua preghiera "pro unitate", ha chiesto al Padre che i credenti in Lui "siano perfetti nell'unità, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me" (Gv 17, 21).

Alla luce della preghiera di Gesù, e raccogliendo il pensiero conciliare, Paolo VI così si esprime in merito: "La forza dell'evangelizzazione risulterà molto diminuita, se coloro che annunciano il Vangelo, sono divisi tra di loro da tante specie di rottura. Non sarebbe forse qui uno dei grandi malesseri dell'evangelizzazione? Infatti, se il Vangelo che proclamiamo appare lacerato da discussioni dottrinali, da polarizzazioni ideologiche o da condanne reciproche tra i cristiani in balia delle loro diverse teorie sul Cristo e sulla Chiesa... come potrebbero quelli a cui è rivolta la nostra predicazione non sentirsene turbati, disorientati, se non addirittura scandalizzati? Sì, la sorte dell'evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità unterna della Chiesa" (Evangelii nuntiandi, 77).

Le parole di Papa Montini valgono, ovviamente, non solo per l'unità interna della Chiesa Cattolica, ma altresì per quella tra tutti i credenti in Cristo e Lui inseriti nel battesimo. Solo se uniti, essi diventeranno pienamente credibili agli occhi dell'uomo contemporaneo. In particolare, la Chiesa sarà pienamente credibile nel suo annuncio di Cristo morto e risorto, nella misura in cui essa sarà "un solo corpo e un solo spirito" (Ef. 4, 4), avrà "un cuore solo ed una anima sola" (Atti 4, 32), come le prime comunità cristiane. L'ecumenismo ha, quindi, una dimensione profondamente missionaria, come la missione ha una dimensione profondamente ecumenica.

Questo non fa che sottolineare l'urgenza di una sempre più intensa e coraggiosa azione ecumenica. Il dialogo ecumenico deve, quindi, costituire una delle priorità pastorali della Chiesa del terzo millennio. È in gioco la stessa causa del Vangelo, l'efficacia dell'annuncio del Regno di Dio all'uomo di oggi. La ricomposizione della piena unità tra i cristiani, infatti "li abiliterà... a proclamare con maggiore credibilità l'avvento del Regno", (Giovanni Paolo II in "Insegnamenti", III/1, 1980, 174).

Ecco gli argomenti sui quali la settimana di preghiere per l'unità ci invita ogni anno a riflettere.

Riflessione che richiede di essere accompagnata e animata da una sempre più intensa preghiera al Signore, perché, superate tutte le divergenze, i discepoli di Gesù possano finalmente, con un cuore solo ed una anima sola, celebrare e partecipare insieme all'unica Eucarestia, sorgente ed espressione visibile della perfetta unità del Popolo di Dio.

 

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