PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA
DECRETO SULL’ATTIVITA MISSIONARIA DELLA CHIESA
AD GENTES
PROEMIO
1. Inviata per mandato divino alle genti per essere « sacramento universale
di salvezza » (1) la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della
sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore (2), si
sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli
stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l'esempio del Cristo,
« predicarono la parola della verità e generarono le Chiese» (3). È pertanto compito
dei loro successori perpetuare quest'opera, perché « la parola di Dio corra e
sia glorificata » (2 Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e
stabilito su tutta quanta la terra.
D'altra parte, nella situazione attuale delle cose, in cui va profilandosi
una nuova condizione per l'umanità, la Chiesa, sale della terra e luce del mondo
(4), avverte in maniera più urgente la propria vocazione di
salvare e di rinnovare ogni creatura, affinché tutto sia restaurato in Cristo e
gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.
Pertanto questo santo Sinodo, nel rendere grazie a Dio per il lavoro
meraviglioso svolto da tutta la Chiesa con zelo e generosità, desidera esporre i
principi dell'attività missionaria e raccogliere le forze di tutti i fedeli,
perché il popolo di Dio, attraverso la via stretta della croce possa dovunque
diffondere il regno di Cristo Signore che abbraccia i secoli col suo sguardo
(5), e preparare la strada alla sua venuta.
CAPITOLO IPRINCIPI DOTTRINALI
Il piano divino di salvezza
2. La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura
missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello
Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria
origine (6).
Questo piano scaturisce dall'amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio
Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e
lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e
misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea ed inoltre per grazia ci chiama a
partecipa re alla sua vita e alla sua gloria; egli per pura generosità ha effuso
e continua ad effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il
creatore, così possa essere anche «tutto in tutti» (1 Cor 15,28),
procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità. Ma piacque a Dio chiamare
gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita non tanto in modo
individuale e quasi senza alcun legame gli uni con gli altri, ma di riunirli in
un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero nell'unità (7)
La missione del Figlio
3. Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano non si
attua soltanto in una maniera per così dire segreta nell'animo degli uomini, o
mediante quelle iniziative anche religiose, con cui essi variamente cercano Dio,
nello sforzo di raggiungerlo magari a tastoni e di trovarlo, quantunque egli non
sia lontano da ciascuno di noi (cfr. At 17,27): tali iniziative infatti devono
essere illuminate e raddrizzate, anche se per benigna disposizione della divina
Provvidenza possono costituire in qualche caso un avviamento pedagogicamente
valido verso il vero Dio o una preparazione al Vangelo (8). Ma Dio, al fine di
stabilire la pace, cioè la comunione con sé, e di realizzare tra gli uomini
stessi - che sono peccatori - una unione fraterna, decise di entrare in maniera
nuova e definitiva nella storia umana, inviando il suo Figlio a noi con un corpo
simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre
e del demonio (9) ed in lui riconciliare a sé il mondo (10) . Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche
l'universo (11) Dio lo costituì erede di tutte quante le cose, per restaurare
tutto in lui (12).
Ed in effetti Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra
Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza
della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è
riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo
dell'umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale
incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli
si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà
(13). Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per
dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti (14). I santi
Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu
assunto (15). Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in
noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato (16)
. Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo
(cfr. Gv 10,36), affermò: « Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli
mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai
poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai
prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista » (Lc 4,18); ed
ancora: « Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era
perduto» (Lc 19,10).
Ora tutto quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per
la salvezza del genere umano, deve essere annunziato e diffuso fino
all'estremità della terra (17), a cominciare da Gerusalemme (18). In tal modo quanto una volta è stato operato per la salvezza di tutti,
si realizza compiutamente in tutti nel corso dei secoli.
La missione dello Spirito Santo
4. Per il raggiungimento di questo scopo, Cristo inviò da parte del Padre lo
Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e
stimolasse la Chiesa a estendersi. Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel
mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato (19). Ma fu nel giorno della
Pentecoste che esso si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno (20); la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed
ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo in mezzo ai
pagani; infine fu prefigurata l'unione dei popoli nell'universalità della fede
attraverso la Chiesa della Nuova Alleanza, che in tutte le lingue si esprime e
tutte le lingue nell'amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione
babelica (21). Fu dalla Pentecoste infatti che cominciarono gli « atti degli apostoli
», allo stesso modo che per l'opera dello Spirito Santo nella vergine Maria
Cristo era stato concepito, e per la discesa ancora dello Spirito Santo sul
Cristo che pregava questi era stato spinto a cominciare il suo ministero (22). E lo
stesso Signore Gesù, prima di immolare in assoluta libertà la sua vita per il
mondo, organizzò il ministero apostolico e promise l'invio dello Spirito Santo,
in modo che entrambi collaborassero, sempre e dovunque, nella realizzazione
dell'opera della salvezza (23). Ed è ancora lo Spirito Santo che in tutti i tempi «
unifica la Chiesa tutta intera nella comunione e nel ministero e la fornisce dei
diversi doni gerarchici e carismatici» (24) vivificando - come loro anima - le
istituzioni ecclesiastiche (25) ed infondendo nel cuore dei fedeli quello spirito
missionario da cui era stato spinto Gesù stesso. Talvolta anzi previene
visibilmente l'azione apostolica (26), come incessantemente, sebbene in varia
maniera, l'accompagna e la dirige (27).
La missione della Chiesa
5. Il Signore Gesù, fin dall'inizio « chiamò presso di sé quelli che voleva e
ne costituì dodici che stessero con lui e li mandò a predicare» (Mc 3,13; cfr.
Mt 10,1-42) (28). Gli apostoli furono dunque ad un tempo il seme del
nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia. In seguito, una volta
completati in se stesso con la sua morte e risurrezione i misteri della nostra
salvezza e dell'universale restaurazione, il Signore, a cui competeva ogni
potere in cielo ed in terra (29), prima di salire al cielo (30), fondò la sua
Chiesa come sacramento di salvezza ed inviò i suoi apostoli nel mondo intero,
come egli a sua volta era stato inviato dal Padre (31) e
comandò loro: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad
osservare tutte le cose che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20); «Andate per tutto
il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato,
sarà salvo; chi invece non crederà, sarà condannato » (Mc 16,15). Da qui deriva
alla Chiesa l'impegno di diffondere la fede e la salvezza del Cristo, sia in
forza dell'esplicito mandato che l'ordine episcopale, coadiuvato dai sacerdoti
ed unito al successore di Pietro, supremo pastore della Chiesa, ha ereditato
dagli apostoli, sia in forza di quell'influsso vitale che Cristo comunica alle
sue membra: « Da lui infatti tutto quanto il corpo, connesso e compaginato per
ogni congiuntura e legame, secondo l'attività propria di ciascuno dei suoi
organi cresce e si autocostruisce nella carità» (Ef 4,16).
Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per
cui essa, in adesione all'ordine di Cristo e sotto l'influsso della grazia e
della carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a
tutti gli uomini e popoli, per condurli con l'esempio della vita, con la
predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla
libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di
partecipare pienamente al mistero di Cristo.
Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del
Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è
necessario che la Chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo, segua
la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà,
dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da
cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore. Proprio con questa speranza
procedettero tutti gli apostoli, che con le loro molteplici tribolazioni e
sofferenze completarono quanto mancava ai patimenti di Cristo a vantaggio del
suo corpo, la Chiesa (32). E spesso anche il sangue dei cristiani fu
seme fecondo (33).
L'attività missionaria della Chiesa
6. Questo compito, che l'ordine episcopale, a capo del quale si trova il
successore di Pietro, deve realizzare con la collaborazione e la preghiera di
tutta la Chiesa, è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche
se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le
differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della
Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle
circostanze in cui la missione stessa si esplica.
Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi umani
o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. Difatti la Chiesa, pur
possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né
subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla
realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi; anzi talvolta, dopo
inizi felici, deve registrare dolorosamente un regresso, o almeno si viene a
trovare in uno stadio di inadeguatezza e di insufficienza. Per quanto riguarda
poi gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente essa può raggiungerli e
conquistarli, assumendoli così nella pienezza cattolica. A qualsiasi condizione
o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati.
Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo
intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai
popoli ed ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate
comunemente « missioni »: esse si realizzano appunto con l'attività missionaria
e si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla santa Sede.
Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la
fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è
radicata (34). Così è necessario che dal seme della parola di Dio si sviluppino
Chiese particolari autoctone, fondate dovunque nel mondo in numero sufficiente.
Chiese che, ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite
adeguatamente di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, nonché di mezzi
consoni al loro genio per viver bene la vita cristiana, portino il loro
contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa. Il mezzo principale per questa
fondazione è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo, per il cui annunzio il
Signore inviò nel mondo intero i suoi discepoli, affinché gli uomini, rinati
mediante la parola di Dio (35), siano con il battesimo aggregati alla Chiesa, la
quale, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla
parola di Dio e dal pane eucaristico (36).
In questa attività missionaria della Chiesa si verificano a volte condizioni
diverse e mescolate le une alle altre: prima c'è l'inizio o la fondazione, poi
il nuovo sviluppo o periodo giovanile. Ma, anche terminate queste fasi, non
cessa l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese particolari già
organizzate continuarla, predicando il Vangelo a tutti quelli che sono ancora al
di fuori.
Inoltre i gruppi umani in mezzo ai quali si trova la Chiesa spesso per varie
ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire situazioni del tutto
nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare se esse sono tali da richiedere di
nuovo la sua azione missionaria. Ed ancora, si danno a volte delle circostanze
che, almeno temporaneamente, rendono impossibile l'annunzio diretto ed immediato
del messaggio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con
pazienza e prudenza, e nello stesso tempo con grande fiducia, offrire almeno la
testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del
Signore e rendendolo in qualche modo presente.
È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla
natura stessa della Chiesa essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza
l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera
il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove
la sua santità. Così l'attività missionaria tra i pagani differisce sia dalla
attività pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli, sia dalle iniziative da
prendere per ristabilire l'unità dei cristiani. Tuttavia queste due forme di
attività si ricongiungono saldamente con l'attività missionaria della Chiesa
(37) la
divisione dei cristiani è infatti di grave pregiudizio alla santa causa della
predicazione del Vangelo a tutti gli uomini (38) ed impedisce a molti di abbracciare
la fede. Così la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi
in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro
Signore, di fronte alle nazioni. Essi, se ancora non possono testimoniare
pienamente l'unità di fede, debbono almeno essere animati da reciproca stima e
amore.
Ragioni dell'attività missionaria
7. La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il
quale « vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della
verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini,
Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm
2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario
che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della
Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il
battesimo (39). Cristo stesso infatti, « ribadendo espressamente la necessità della
fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha confermato simultaneamente la
necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano, per così dire,
attraverso la porta del battesimo. Per questo non possono salvarsi quegli uomini
i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo
di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di
rimanere in essa » (40). Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce,
possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede
« senza la quale è impossibile piacergli» (41), è tuttavia compito
imprescindibile della Chiesa (42), ed insieme suo sacrosanto
diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva
in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità.
Grazie ad essa il corpo mistico di Cristo raccoglie e dirige
ininterrottamente le sue forze per promuovere il proprio sviluppo (43). A svolgere questa attività le membra della Chiesa sono sollecitate da
quella carità con cui amano Dio e con cui desiderano condividere con tutti gli
uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura.
Grazie a questa attività missionaria, infine, Dio è pienamente glorificato,
nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera
salvatrice, che egli ha compiuto nel Cristo. Sempre grazie ad essa si realizza
il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò
per la gloria del Padre che l'aveva mandato (44) che tutto il genere umano
costituisca un solo popolo di Dio, si riunisca nell'unico corpo di Cristo, sia
edificato in un solo tempio dello Spirito Santo; tutto ciò, mentre favorisce la
concordia fraterna, risponde all'intimo desiderio di tutti gli uomini. Così
finalmente si compie davvero il disegno del Creatore, che creò l'uomo a sua
immagine e somiglianza, quando tutti quelli che sono partecipi della natura
umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme
la gloria di Dio, potranno dire: « Padre nostro » (45).
L'attività missionaria nella vita e nella storia
8. L'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e
con le sue aspirazioni. Difatti la Chiesa, per il fatto stesso che annuncia loro
il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro
condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il
modello dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di
sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano. Cristo e la
Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza,
superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in
nessun luogo possono apparire estranei (46). Il Cristo è la verità e la via, che la
predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui
stesso pronunciate: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). E
poiché chi non crede è già condannato (47), è evidente che le parole di Cristo
sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. Soltanto
facendo morire ciò che è vecchio possiamo pervenire al rinnovamento della vita:
e questo vale anzitutto per le persone, ma vale anche per i vari beni di questo
mondo, contrassegnati insieme dal peccato dell'uomo e dalla benedizione di Dio:
«tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). Ora
nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad
elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla
sua solitudine o dalla sua schiavitù (48) tutti han bisogno del Cristo come di un
esempio, di un maestro, di un liberatore, di un salvatore, come di colui che
dona la vita. Ed effettivamente nella storia umana, anche dal punto di vista
temporale, il Vangelo ha sempre rappresentato un fermento di libertà e di
progresso, e si presenta sempre come fermento di fraternità, di umiltà e di
pace. Ben a ragione, dunque, Cristo viene esaltato dai fedeli come «l'atteso
delle genti ed il loro salvatore » (49).
Carattere escatologico dell'attività missionaria
9. Pertanto, il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e
la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai
quattro venti nel regno di Dio (50). Prima appunto della venuta del Signore, il
Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni (51).
L'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e
la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio
conduce chiaramente a termine la storia della salvezza. Con la parola della
predicazione e con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la
santa eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore della salvezza. Purifica
dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e
riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo
restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e
arresta la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente
e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari
dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per
la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo (52). Così
l'attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica (53) grazie ad essa,
infatti, secondo il modo e il tempo che il Padre ha riservato al suo potere (54), si estende il popolo di Dio, in vista del quale è stato detto in
maniera profetica: «Allarga lo spazio della tua tenda, distendi i teli dei tuoi
padiglioni! Non accorciare! » (Is 54,2) (55), grazie ad essa cresce il
corpo mistico fino alla misura dell'età della pienezza di Cristo (56); grazie ad
essa il tempio spirituale, in cui si adora Dio in spirito e verità (57), si amplia e si edifica sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,
mentre ne è pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ef 2,20).
CAPITOLO IIL'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA
Introduzione
10. La Chiesa, che da Cristo è stata inviata a rivelare ed a comunicare la
carità di Dio a tutti gli uomini ed a tutti i popoli, comprende che le resta
ancora da svolgere un'opera missionaria ingente. Ben due miliardi di uomini
infatti - ed il loro numero cresce di giorno in giorno - uniti in grandi
raggruppamenti e determinati da vincoli culturali stabili, da tradizioni
religiose antiche o da salde relazioni sociali, o non hanno ancora o hanno
appena ascoltato il messaggio evangelico. Di essi alcuni seguono una delle
grandi religioni, altri restano ancora estranei all'idea stessa di Dio, altri ne
negano dichiaratamente l'esistenza, anzi talvolta l'avversano. La Chiesa quindi,
per essere in grado di offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita che
Dio ha portato all'uomo, deve cercare di inserirsi in tutti questi
raggruppamenti con lo stesso movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua
incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in
mezzo ai quali visse.
Art. 1 - La testimonianza cristiana
Testimonianza di vita e dialogo
11. È necessario che la Chiesa sia presente in questi raggruppamenti umani
attraverso i suo}figli, che vivono in mezzo ad essi o ad essi sono inviati.
Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare con
l'esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l'uomo nuovo,
di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da
cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone
opere, glorifichino Dio Padre (58) e comprendano più pienamente il
significato genuino della vita umana e l'universale legame di solidarietà degli
uomini tra loro.
Ma perché essi possano dare utilmente questa testimonianza, debbono stringere
rapporti di stima e di amore con questi uomini, riconoscersi come membra di quel
gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prender parte, attraverso il complesso
delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e
sociale. Così debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli
altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si
trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si
verifica in mezzo ai popoli, e sforzarsi perché gli uomini di oggi, troppo presi
da interessi scientifici e tecnologici, non perdano il contatto con le realtà
divine, ma anzi si aprano ed intensamente anelino a quella verità e carità
rivelata da Dio. Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli
attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli,
animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in
mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero
e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua
munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste
ricchezze alla luce del Vangelo, di liberarle e di ricondurle sotto l'autorità
di Dio salvatore.
Presenza della carità
12. La presenza dei cristiani nei gruppi umani deve essere animata da quella
carità con la quale Dio ci ha amato: egli vuole appunto che anche noi
reciprocamente ci amiamo con la stessa carità (59). Ed effettivamente la carità
cristiana si estende a tutti, senza discriminazioni razziali, sociali o
religiose, senza prospettive di guadagno o di gratitudine. Come Dio ci ha amato
con amore disinteressato, così anche i fedeli con la loro carità debbono
preoccuparsi dell'uomo, amandolo con lo stesso moto con cui Dio ha cercato
l'uomo. Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni
malattia ed infermità come segno dell'avvento del regno di Dio (60), così anche la Chiesa attraverso i suoi figli si
unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed
ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro (61). Essa infatti
condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi
della vita, soffre con essi nell'angoscia della morte. A quanti cercano la pace,
essa desidera rispondere con il dialogo fraterno, portando loro la pace e la
luce che vengono dal Vangelo.
I fedeli debbono impegnarsi, collaborando con tutti gli altri, alla giusta
composizione delle questioni economiche e sociali. Si applichino con particolare
cura all'educazione dei fanciulli e dei giovani nei vari ordini di scuole, che
vanno considerate non semplicemente come un mezzo privilegiato per la formazione
e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di primaria
importanza per gli uomini e specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in
ordine all'elevazione della dignità umana ed alla preparazione di condizioni più
umane. Portino ancora i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli
che, lottando contro la fame, l'ignoranza e le malattie, si sforzano per creare
migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo. In questa
attività ambiscano i fedeli di collaborare intelligentemente alle iniziative
promosse dagli istituti privati e pubblici, dai governi, dagli organismi
internazionali, dalle varie comunità cristiane e dalle religioni non cristiane.
La Chiesa tuttavia, non desidera affatto intromettersi nel governo della
città terrena. Essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza, se non
quella di servire gli uomini amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio (62).
I discepoli di Cristo, mantenendosi in stretto contatto con gli uomini nella
vita e nell'attività, si ripromettono così di offrir loro un'autentica
testimonianza cristiana e di lavorare alla loro salvezza, anche là dove non
possono annunciare pienamente il Cristo. Essi infatti non cercano il progresso e
la prosperità puramente materiale degli uomini, ma intendono promuovere la loro
dignità e la loro unione fraterna, insegnando le verità religiose e morali che
Cristo ha illuminato con la sua luce, e così gradualmente aprire una via sempre
più perfetta verso il Signore. In tal modo gli uomini vengono aiutati a
raggiungere la salvezza attraverso la carità verso Dio e verso il prossimo;
comincia allora a risplendere il mistero del Cristo, in cui appare l'uomo nuovo,
creato ad immagine di Dio (63), ed in cui si rivela la carità di Dio.
Art. 2 - La predicazione del Vangelo
e la riunione del popolo di Dio
Evangelizzazione e conversione
13. Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del
Cristo (64), ivi a tutti gli uomini (65), con franchezza (66) e con perseveranza
deve essere annunziato (67) il Dio
vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo (68).
Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo (69),
crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno
a colui che, essendo « la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte
le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.
Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente
perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero
dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale
con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia
un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il
mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo
che in Cristo trova la sua perfezione (70). Questo
passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi,
deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi
progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede
è segno di contraddizione (71), non di rado chi si è
convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio
generosamente concede (72).
La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno
con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui
rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia
distolto dalla fede stessa (73).
Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione
vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.
Catecumenato e iniziazione cristiana
14. Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede
in Cristo (74), siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato.
Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di
norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel
tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con
Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al
mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei
riti sacri, da celebrare successivamente (75), siano introdotti nella vita religiosa,
liturgica e caritativa del popolo di Dio.
In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal
potere delle tenebre (76), morti e sepolti e risorti insieme con il
Cristo (77), ricevono lo Spirito di adozione a
figli (78) e celebrano il memoriale della morte e della
resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio.
È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale,
perché sia in grado di preparare l'anima dei catecumeni alla celebrazione del
mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in
Cristo.
Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere
soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei
fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano
immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa
apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente
all'evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza
della vita e con la professione della fede.
Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato
giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa (79), appartengono
già alla famiglia del Cristo (80), e non è raro che conducano già una vita ispirata
alla fede, alla speranza ed alla carità.
Art. 3 - La formazione della comunità cristiana
La comunità cristiana
15. Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del
Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l'adesione
alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i
credenti in Cristo, li raccoglie nell'unico popolo di Dio, che è « stirpe
eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti » (81).
Perciò i missionari, come cooperatori di Dio (82), devono dar
vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla
quale sono state chiamate (83), siano tali da esercitare quella
triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In
questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo:
nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in
unione con il Cristo (84), zelantemente alimentata con la parola di Dio (85) rende
testimonianza al Cristo (86) e segue la via della carità, ricca com'è di spirito
apostolico (87).
Fin dall'inizio la comunità cristiana deve essere formata in modo che possa
provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal
gruppo di fedeli, in possesso del patrimonio culturale della nazione cui
appartiene, deve mettere profonde radici nel popolo: da esso germoglino famiglie
dotate di spirito evangelico (88) e sostenute da scuole appropriate; si costituiscano
associazioni e organismi, per mezzo dei quali l'apostolato dei laici sia in
grado di permeare di spirito evangelico l'intera società. Risplenda infine la
carità tra cattolici appartenenti a diversi riti (89).
Anche lo spirito ecumenico deve essere favorito tra i neofiti, nella chiara
convinzione che i fratelli che credono in Cristo sono suoi discepoli, rigenerati
nel battesimo e compartecipi di moltissimi tesori del popolo di Dio. Nella
misura in cui lo permette la situazione religiosa, va promossa un'azione
ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo, di
sincretismo e di sconsiderata concorrenza, attraverso una professione di
fede - per quanto possibile comune - in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non
credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello
religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati,
secondo le norme del decreto sull'ecumenismo. Collaborino soprattutto per la
causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li
unisce! Questa collaborazione va stabilita non solo tra persone private, ma
anche, secondo il giudizio dell'ordinario del luogo, a livello delle Chiese o
comunità ecclesiali, e delle loro opere.
I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, «non si
distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per
istituzioni politiche» (90) perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo
le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono
coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e
di nazionalismo esagerato e promuovere l'amore universale tra i popoli.
Grande importanza hanno per il raggiungimento di questi obiettivi, e perciò
vanno particolarmente curati, i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il
battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello
Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole
dall'interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo (91).
Non basta però che il popolo cristiano sia presente ed organizzato
nell'ambito di una nazione; non basta che faccia dell'apostolato con l'esempio:
esso è costituito ed è presente per annunziare il Cristo con la parola e con
l'opera ai propri connazionali non cristiani e per aiutarli ad accoglierlo nella
forma più piena.
Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità
cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che, suscitati nell'ambito
stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbono diligentemente
promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti,
dei diaconi e dei catechisti, e l'Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le
religiose, per stabilire e rafforzare il regno di Cristo nelle anime, come anche
per estenderlo ulteriormente, svolgono un compito indispensabile sia con la
preghiera, sia con l'attività esterna.
Il clero indigeno
16. La Chiesa si rallegra vivamente e ringrazia per il dono inestimabile
della vocazione sacerdotale che Dio ha concesso a tanti giovani in mezzo a
popoli convertiti di recente al cristianesimo. È indubbio che la Chiesa mette
più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di
fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza, che nell'ordine dei
vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi servono ai loro fratelli, sicché le nuove
Chiese acquistano a poco a poco la struttura di diocesi, fornite di clero
proprio.
Quanto dunque questo Concilio ha deciso intorno alla vocazione ed alla
formazione sacerdotale, deve essere religiosamente osservato dove la Chiesa
viene stabilita per la prima volta e nelle giovani Chiese. Soprattutto va tenuto
presente quel che è stato affermato a proposito della formazione spirituale e
della sua stretta coordinazione con quella dottrinale e pastorale, della vita da
condurre secondo l'ideale evangelico senza riguardo all'interesse proprio o
familiare, nonché della necessità di approfondire il senso del mistero della
Chiesa. Da questi principi i sacerdoti impareranno magnificamente a dedicarsi
senza riserve al servizio del corpo di Cristo ed al lavoro evangelico, a restare
uniti come cooperatori fedeli al proprio vescovo, ad offrire la propria
collaborazione ai confratelli (92).
Per il raggiungimento di questo fine generale, l'intero ciclo di formazione
degli alunni deve essere ordinato alla luce del mistero della salvezza come è
presentato nella sacra Scrittura. Essi devono scoprire questo mistero del Cristo
e della salvezza umana presente nella liturgia e viverlo (93).
Tali esigenze comuni della preparazione sacerdotale, anche di ordine
pastorale e pratico, indicate dal Concilio (94), vanno armonizzate con la
preoccupazione di adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire della
propria nazione. Bisogna dunque aprire ed affinare lo spirito degli alunni,
perché conoscano bene e possano valutare la cultura del loro paese; nello studio
delle discipline filosofiche e teologiche essi debbono scoprire quali rapporti
intercorrono tra tradizioni e religione nazionale e la religione cristiana (95).
Analogamente, la preparazione al sacerdozio deve tenere presenti le necessità
pastorali della regione: gli alunni devono apprendere la storia, la finalità e
il metodo dell'azione missionaria della Chiesa, nonché le particolari condizioni
sociali, economiche e culturali del proprio popolo. Vanno anche educati allo
spirito ecumenico e preparati al dialogo fraterno con i non cristiani (96). Tutto
questo suppone che gli studi preparatori al sacerdozio si compiano, per quanto è
possibile, mantenendo ciascuno il più stretto contatto con la propria nazione
(97). E
si abbia anche cura di formare alla esatta amministrazione ecclesiastica, anche
in senso economico.
Si devono scegliere inoltre dei sacerdoti capaci, perché dopo un certo
periodo di pratica pastorale, perfezionino i loro studi superiori nelle
università anche straniere, specie in quelle di Roma, ed in altri istituti
scientifici, di modo che, come elementi del clero locale con dottrina ed
esperienza congrue possano aiutare efficacemente le nuove Chiese
nell'adempimento delle funzioni ecclesiastiche più alte.
Laddove le conferenze episcopali lo riterranno opportuno, si restauri
l'ordine diaconale come stato permanente, secondo le disposizioni della
costituzione sulla Chiesa (98). È bene infatti che gli uomini, i quali di fatto
esercitano il ministero di diacono, o perché come catechisti predicano la parola
di Dio, o perché a nome del parroco e del vescovo sono a capo di comunità
cristiane lontane, o perché esercitano la carità attraverso opere sociali e
caritative, siano fortificati dall'imposizione delle mani, che è trasmessa fin
dagli apostoli, e siano più saldamente congiunti all'altare per poter esplicare
più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del
diaconato.
Catechisti
17. Degna di lode è anche quella schiera, tanto benemerita dell'opera
missionaria tra i pagani, che è costituita dai catechisti, sia uomini che donne.
Essi, animati da spirito apostolico e facendo grandi sacrifici, danno un
contributo singolare ed insostituibile alla propagazione della fede e della
Chiesa.
Nel nostro tempo poi, in cui il clero è insufficiente per l'evangelizzazione
di tante moltitudini e per l'esercizio del ministero pastorale, il compito del
catechista è della massima importanza. Pertanto è necessario che la loro
formazione sia perfezionata e adeguata al progresso culturale, in modo che, come
validi cooperatori dell'ordine sacerdotale, possano svolgere nella maniera
migliore il loro compito, che si va facendo sempre più vasto e impegnativo. Si
devono quindi moltiplicare le scuole diocesane e regionali nelle quali i futuri
catechisti apprendano sia la dottrina cattolica - specialmente quella che ha per
oggetto la Bibbia e la liturgia -, sia anche il metodo catechetico e la tecnica
pastorale, e ricevano un'autentica formazione morale cristiana (99) in uno sforzo
costante per coltivare la pietà e la santità della vita . Si tengano inoltre dei
convegni o corsi periodici per aggiornare i catechisti nelle discipline e
tecniche utili al loro ministero e per alimentare e rinvigorire la loro vita
spirituale. Inoltre, a quelli che si dedicano completamente a quest'opera
bisogna garantire un decoroso tenore di vita e la sicurezza sociale,
corrispondendo loro un giusto compenso (100).
È desiderabile che alla formazione ed al sostentamento dei catechisti si
provveda convenientemente con sussidi speciali della sacra Congregazione di
Propaganda Fide. Se apparirà necessario ed opportuno, si fondi un'opera per i
catechisti.
Le Chiese inoltre devono sentire e dimostrare gratitudine per l'opera
generosa dei catechisti ausiliari, il cui aiuto sarà loro indispensabile. Sono
essi che nelle loro comunità presiedono alla preghiera ed impartiscono
l'insegnamento. Ci si deve debitamente preoccupare anche della loro formazione
dottrinale e spirituale. È altresì auspicabile che ai catechisti
convenientemente formati sia conferita, riconoscendosene l'opportunità, la
missione canonica nella pubblica celebrazione della liturgia, perché siano al
servizio della fede con maggiore autorità agli occhi del popolo.
Promozione della vita religiosa
18. La vita religiosa deve essere curata e promossa fin dal periodo iniziale
della fondazione della Chiesa, perché essa non solo è fonte di aiuti preziosi e
indispensabili per l'attività missionaria, ma attraverso una più intima
consacrazione a Dio fatta nella Chiesa manifesta anche chiaramente e fa
comprendere l'intima natura della vocazione cristiana (101).
Gli istituti religiosi che lavorano alla fondazione della Chiesa, impregnati
dei mistici tesori di cui è ricca la tradizione religiosa ecclesiale, devono
sforzarsi di metterli in luce e di trasmetterli secondo il genio e il carattere
di ciascuna nazione. E devono anche considerare attentamente in che modo le
tradizioni di vita ascetica e contemplativa, i cui germi talvolta Dio ha immesso
nelle antiche culture prima della predicazione del Vangelo, possano essere
utilizzate per la vita religiosa cristiana.
Nelle giovani Chiese bisogna promuovere la vita religiosa nelle sue varie
forme, perché essa mostri i diversi aspetti della missione di Cristo e della
vita ecclesiale, si consacri alle varie attività pastorali e prepari i propri
membri ad esplicarle come si conviene. I vescovi tuttavia in sede di conferenza
episcopale facciano attenzione perché non si moltiplichino, danneggiando la vita
religiosa e l'apostolato, le congregazioni aventi identica finalità apostolica.
Meritano speciale considerazione le varie iniziative destinate a stabilire la
vita contemplativa. Certi istituti, mantenendo gli elementi essenziali della
istituzione monastica, tendono a impiantare la ricchissima tradizione del
proprio ordine; altri cercano di ritornare alla semplicità delle forme del
monachesimo primitivo. Tutti comunque devono cercare un reale adattamento alle
condizioni locali. Poiché la vita contemplativa interessa la presenza ecclesiale
nella sua forma più piena, è necessario che essa sia costituita dappertutto
nelle giovani Chiese.
CAPITOLO IIILE CHIESE PARTICOLARI
Il progresso delle giovani Chiese
19. L'opera di costituzione della Chiesa in un determinato raggruppamento
umano raggiunge in certa misura il suo termine, allorché la comunità dei fedeli,
inserita ormai profondamente nella vita sociale e in qualche modo modellata
sulla cultura locale, gode di una salda stabilità: fornita cioè di una sua
schiera, anche se insufficiente, di clero locale, di religiosi e di laici, essa
viene arricchendosi di quelle funzioni ed istituzioni che sono necessarie perché
il popolo di Dio, sotto la guida di un proprio vescovo, conduca e sviluppi la
sua vita.
In queste giovani Chiese appunto la vita del popolo di Dio deve giungere a
maturità in tutti i campi della vita cristiana, che deve essere rinnovata
secondo le norme di questo Concilio: ed ecco i gruppi di fedeli con crescente
consapevolezza si fanno comunità viventi della fede, della liturgia e della
carità; i laici, con la loro attività, che è a un tempo civica ed apostolica, si
sforzano di instaurare nella città terrena un ordine di giustizia e di carità;
l'uso dei mezzi di comunicazione sociale è ispirato a criteri di opportunità e
prudenza; le famiglie, praticando la vera vita cristiana, diventano fonte
dell'apostolato dei laici e vivaio di vocazioni sacerdotali e religiose. La fede
infine è oggetto di insegnamento catechistico appropriato, trova la sua
espressione in una liturgia rispondente all'indole del popolo, e viene
introdotta, grazie ad un'adeguata legislazione canonica, nelle sane istituzioni
umane e nelle consuetudini locali.
I vescovi poi, ciascuno con il proprio presbiterio, approfondendo sempre
meglio in se stessi il senso di Cristo e della Chiesa, devono essere in unità di
pensieri e di vita con la Chiesa universale. Ed intima resti la comunione delle
giovani Chiese con tutta quanta la Chiesa, la cui tradizione esse devono saper
collegare in tutti i suoi elementi con la propria cultura, sicché ne risulti,
come per uno scambio reciproco di energie, una crescita nella vita del corpo
mistico (102). Siano pertanto curati quegli elementi teologici, psicologici ed umani
che si rivelano atti ed efficaci per lo sviluppo di questo senso di comunione
con la Chiesa universale.
Queste stesse Chiese, che si trovano quasi sempre nelle regioni
economicamente depresse del mondo, soffrono per lo più per grave scarsezza di
sacerdoti e per mancanza di mezzi materiali. È quindi assolutamente
indispensabile che l'azione missionaria continua di tutta la Chiesa fornisca
loro quegli aiuti che servano soprattutto allo sviluppo della Chiesa locale e
alla maturità della vita cristiana. Questa azione missionaria deve estendere il
soccorso anche a quelle Chiese che, pur esistendo da antica data, si trovano,
per così dire, in fase di regresso o in uno stato di debolezza.
Tuttavia queste Chiese devono organizzare il lavoro pastorale comune creando
opere adatte perché le vocazioni che interessano il clero diocesano o gli
istituti religiosi crescano di numero, vengano vagliate con maggiore sicurezza e
coltivate con migliore riuscita (103) così, a poco a poco, saranno in grado di
provvedere a se stesse e di portare aiuto alle altre.
L'attività missionaria delle Chiese particolari
20. La Chiesa particolare, dovendo riprodurre il più perfettamente possibile
la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro
che non credono in Cristo e vivono nel suo stesso territorio, al fine di
costituire, con la testimonianza di vita dei singoli fedeli e della comunità
tutta, il segno che addita loro il Cristo (104).
È inoltre necessario il ministero della parola, perché il messaggio
evangelico giunga a tutti. Il vescovo deve essere essenzialmente il messaggero
di fede che porta nuovi discepoli a Cristo. Per rispondere bene a questo
nobilissimo compito deve conoscere a fondo sia le condizioni del suo gregge, sia
la concezione che di Dio hanno i suoi concittadini, tenendo conto esattamente
anche dei mutamenti introdotti dalla cosiddetta urbanizzazione, dal fenomeno
della emigrazione e dall'indifferentismo religioso.
I sacerdoti locali attendano con molto zelo all'opera di evangelizzazione
nelle giovani Chiese, collaborando attivamente con i missionari di origine
straniera, con i quali costituiscono un unico corpo sacerdotale riunito sotto
l'autorità del vescovo: ciò non solo per pascere i propri fedeli e per celebrare
il culto divino, ma anche per predicare il Vangelo a coloro che stanno fuori.
Perciò dimostrino prontezza e, all'occasione, si offrano generosamente al
proprio vescovo per iniziare l'attività missionaria nelle zone più lontane ed
abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi.
Dello stesso zelo siano animati i religiosi e le religiose, ed anche i laici
verso i propri concittadini, specie quelli più poveri.
Le conferenze episcopali procurino che periodicamente si tengano corsi di
aggiornamento biblico, teologico, spirituale e pastorale, allo scopo di
consentire al clero, di fronte al variare incessante delle situazioni, di
approfondire la conoscenza della teologia e dei metodi pastorali.
Quanto al resto, si osservino religiosamente tutte le disposizioni che questo
Concilio ha emanato, specialmente quelle del decreto relativo al ministero ed
alla vita sacerdotale.
Una Chiesa particolare, per poter realizzare la propria opera missionaria, ha
bisogno di ministri adatti, che vanno preparati tempestivamente in maniera
rispondente alle condizioni di ciascuna di esse. E poiché gli uomini tendono
sempre più a riunirsi in gruppi, è sommamente conveniente che le conferenze
episcopali concordino una comune linea di azione, in ordine al dialogo da
stabilire con tali gruppi. Se però in certe regioni esistono dei gruppi di
uomini, che sono distolti dall'abbracciare la fede cattolica dall'incapacità di
adattarsi a quella forma particolare che la Chiesa ha assunto in mezzo a loro, è
senz'altro desiderabile che si provveda ad una tale situazione con misure
particolari (105) finché non si arrivi a riunire tutti i cristiani in un'unica
comunità. Se poi la santa Sede dispone di missionari preparati a questo scopo,
pensino i singoli vescovi a chiamarli nelle proprie diocesi o li accolgano ben
volentieri, favorendo efficacemente le loro iniziative.
Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è
altresì conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima
effettivamente alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei
missionari a predicare il Vangelo dappertutto nel mondo, anche se soffrono di
scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un
certo senso la sua perfezione solo quando anch'esse prenderanno parte attiva
allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni.
L'apostolato dei laici
21. La Chiesa non si può considerare realmente fondata, non vive in maniera
piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla
gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico. Non può infatti il
Vangelo penetrare ben addentro nella mentalità, nel costume, nell'attività di un
popolo, se manca la presenza dinamica dei laici. Perciò, fin dal periodo di
fondazione di una Chiesa, bisogna dedicare ogni cura alla formazione di un
maturo laicato cristiano.
La ragione è che i fedeli laici appartengono insieme al popolo di Dio e alla
società civile. Appartengono anzitutto alla propria nazione, perché vi son nati,
perché con la educazione han cominciato a partecipare al suo patrimonio
culturale, perché alla sua vita si rannodano nella trama multiforme delle
relazioni sociali, perché al suo sviluppo cooperano e danno un personale
contributo con la loro professione, perché i suoi problemi essi sentono come
loro problemi e come tali si sforzano di risolverli. Ma essi appartengono anche
a Cristo, in quanto nella Chiesa sono stati rigenerati attraverso la fede e il
battesimo, affinché, rinnovati nella vita e nell'opera, siano di Cristo (106), ed in Cristo tutto a Dio sia sottoposto, e finalmente Dio sia tutto
in tutti (107).
Principale loro compito, siano essi uomini o donne, è la testimonianza a
Cristo, che devono rendere, con la vita e con la parola, nella famiglia, nel
gruppo sociale cui appartengono e nell'ambito della professione che esercitano.
In essi deve realmente apparire l'uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio in
giustizia e santità della verità (108). Questa vita nuova debbono
esprimerla nell'ambito della società e della cultura della propria patria, e nel
rispetto delle tradizioni nazionali. Debbono perciò conoscere questa cultura,
purificarla, conservarla e svilupparla in armonia con le nuove condizioni, e
infine perfezionarla in Cristo, affinché la fede di Cristo e la vita della
Chiesa non siano già elementi estranei alla società in cui vivono, ma comincino
a penetrarla ed a trasformarla. I laici si sentano uniti ai loro concittadini da
sincero amore, rivelando con il loro comportamento quel vincolo assolutamente
nuovo di unità e di solidarietà universale, che attingono dal mistero del
Cristo. Diffondano anche la fede di Cristo tra coloro a cui li legano vincoli
sociali e professionali: questo obbligo è reso più urgente dal fatto che
moltissimi uomini non possono né ascoltare il Vangelo né conoscere Cristo se non
per mezzo di laici che siano loro vicini. Anzi, laddove è possibile, i laici
siano pronti a cooperare ancora più direttamente con la gerarchia, svolgendo
missioni speciali per annunziare il Vangelo e divulgare l'insegnamento
cristiano: daranno così vigore alla Chiesa che nasce.
I ministri della Chiesa da parte loro abbiano grande stima dell'attività
apostolica dei laici: li educhino a quel senso di responsabilità che li impegna,
in quanto membra di Cristo, dinanzi a tutti gli uomini; diano loro una
conoscenza approfondita del mistero del Cristo, insegnino loro i metodi di
azione pastorale e li aiutino nelle difficoltà, secondo lo spirito della
costituzione Lumen gentium e del decreto Apostolicam actuositatem.
Nel pieno rispetto dunque delle funzioni e responsabilità specifiche dei
pastori e dei laici, la giovane Chiesa tutta intera renda a Cristo una
testimonianza unanime, viva e ferma, divenendo così segno luminoso di quella
salvezza che a noi è venuta nel Cristo.
Tradizioni particolari nell'unità ecclesiale
22. Il seme, cioè la parola di Dio, germogliando nel buon terreno irrigato
dalla rugiada divina, assorbe la linfa vitale, la trasforma e l'assimila per
produrre finalmente un frutto abbondante. Indubbiamente, come si verifica
nell'economia dell'incarnazione, le giovani Chiese, che han messo radici in
Cristo e son costruite sopra il fondamento degli apostoli, hanno la capacità
meravigliosa di assorbire tutte le ricchezze delle nazioni, che appunto a Cristo
sono state assegnate in eredità (109). Esse traggono dalle consuetudini
e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei
loro popoli tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a
mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana
(110).
Per raggiungere questo scopo è necessario che, nell'ambito di ogni vasto
territorio socio-culturale, come comunemente si dice, venga promossa una ricerca
teologica di tal natura per cui, alla luce della tradizione della Chiesa
universale, siano riesaminati fatti e parole oggetto della Rivelazione divina,
consegnati nella sacra Scrittura e spiegati dai Padri e dal magistero
ecclesiatico. Si comprenderà meglio allora secondo quali criteri la fede,
tenendo conto della filosofia e del sapere, può incontrarsi con la ragione, ed
in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale
possono essere conciliati con il costume espresso nella Rivelazione divina. Ne
risulteranno quindi chiari i criteri da seguire per un più accurato adattamento
della vita cristiana nel suo complesso. Così facendo sarà esclusa ogni forma di
sincretismo e di particolarismo fittizio, la vita cristiana sarà commisurata al
genio e al carattere di ciascuna cultura (111), e le tradizioni particolari insieme
con le qualità specifiche di ciascuna comunità nazionale, illuminate dalla luce
del Vangelo, saranno assorbite nell'unità cattolica. Infine le nuove Chiese
particolari, conservando tutta la bellezza delle loro tradizioni, avranno il
proprio posto nella comunione ecclesiale, lasciando intatto il primato della
cattedra di Pietro, che presiede all'assemblea universale della carità (112).
È dunque desiderabile, per non dire sommamente conveniente, che le
conferenze episcopali si riuniscano insieme nell'ambito di ogni vasto territorio
socio-culturale, per poter realizzare, in piena armonia tra loro ed in
uniformità di decisioni, questo piano di adattamento.
CAPITOLO IVI MISSIONARI
La vocazione missionaria
23. Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di
Cristo in proporzione alle sue possibilità (113) Cristo Signore chiama sempre dalla
moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e per
inviarli a predicare alle genti (114). Perciò egli, per mezzo dello
Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle
anime (115), accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria
e nello stesso tempo suscita in seno alla Chiesa quelle istituzioni (116) che si
assumono come dovere specifico il compito della evangelizzazione che appartiene
a tutta quanta la Chiesa.
Difatti sono insigniti di una vocazione speciale coloro che, forniti di
naturale attitudine e capaci per qualità ed ingegno, si sentono pronti a
intraprendere l'attività missionaria (117), siano essi autoctoni o stranieri:
sacerdoti, religiosi e laici. Essi, inviati dalla legittima autorità, si portano
per spirito di fede e di obbedienza presso coloro che sono lontani da Cristo,
riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come ministri del
Vangelo, sono stati scelti (118), « affinché l'offerta dei pagani sia
ben accolta e santificata per lo Spirito Santo » (Rm 15,16) .
Spiritualità missionaria
24. Orbene, alla chiamata di Dio l'uomo deve rispondere in maniera tale da
vincolarsi del tutto all'opera evangelica, « senza prender consiglio dalla carne
e dal sangue » (119). Ed è impossibile dare una risposta a questa chiamata
senza l'ispirazione e la forza dello Spirito Santo. Il missionario diventa
infatti partecipe della vita e della missione di colui che «annientò se stesso,
prendendo la natura di schiavo » (Fil 2,7); deve quindi esser pronto a
mantenersi fedele per tutta la vita alla sua vocazione, a rinunciare a se stesso
e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio, ed a « farsi tutto a
tutti» (120).
Annunziando il Vangelo ai pagani, deve far conoscere con fiducia il mistero
del Cristo, del quale è ambasciatore: è in suo nome che deve avere il coraggio
di parlare come è necessario (121), senza arrossire dello
scandalo della croce. Seguendo l'esempio del suo Maestro, mite e umile di cuore,
deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero (122). Vivendo
autenticamente il Vangelo (123), con la pazienza, con la longanimità, con la
benignità, con la carità sincera (124), egli deve rendere
testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per
lui. Virtù e fortezza egli chiederà a Dio, per riconoscere che nella lunga prova
della tribolazione e della povertà profonda risiede l'abbondanza della gioia
(125). E sia ben persuaso che è l'obbedienza la virtù distintiva del
ministro di Cristo, il quale appunto con la sua obbedienza riscattò il genere
umano.
I messaggeri del Vangelo, per non trascurare la grazia che è in loro, devono
rinnovarsi di giorno in giorno interamente nel loro spirito (126). Gli ordinari ed i superiori da parte loro procurino di
riunire in determinati periodi i missionari per rinvigorirli nella speranza
della loro vocazione e per aggiornare il ministero apostolico, fondando anche
delle case a questo scopo.
Formazione spirituale e morale
25. Il futuro missionario deve ricevere una formazione spirituale e morale
particolare per prepararsi a questo nobilissimo compito (127). Egli deve essere pronto
a prendere iniziative, costante nel portarle a compimento, perseverante nelle
difficoltà, paziente e forte nel sopportare la solitudine, la stanchezza, la
sterilità nella propria fatica. Andrà incontro agli uomini francamente e con
cuore aperto; accoglierà volentieri gli incarichi che gli vengono affidati;
saprà adattarsi generosamente alla diversità di costume dei popoli ed al mutare
delle situazioni; in piena armonia e con reciproca carità offrirà la sua
collaborazione ai confratelli ed a tutti coloro che svolgono il suo stesso
lavoro, in modo che tutti, compresi i fedeli, sull'esempio della prima comunità
apostolica formino un cuore solo ed un'anima sola (128).
Tali disposizioni interne devono essere diligente mente promosse e coltivate
già fin dal tempo della formazione, nonché elevate e nutrite attraverso la vita
spirituale.
Il missionario, animato da viva fede e da incrollabile speranza, sia uomo di
preghiera; sia ardente per spirito di virtù, di amore e di sobrietà (129); impari ad essere contento delle condizioni in cui si trova (130); porti sempre la morte di Gesù nel suo cuore con spirito di sacrificio,
affinché sia la vita di Gesù ad agire nel cuore di coloro a cui viene mandato
(131); nel suo zelo per le anime spenda volentieri del suo e
spenda anche tutto se stesso per la loro salvezza (132), sicché
« nell'esercizio quotidiano del suo dovere cresca nell'amore di Dio e del
prossimo » (133). Solo così, unito al Cristo nell'obbedienza alla volontà del Padre,
potrà continuare la missione sotto l'autorità gerarchica della Chiesa e
collaborare al mistero della salvezza.
Formazione dottrinale e apostolica
26. Coloro che saranno inviati ai vari popoli pagani, se vogliono riuscire
buoni ministri del Cristo, «siano nutriti dalle parole della fede e della buona
dottrina» (1 Tm 4,6): essi le attingeranno soprattutto dalla sacra Scrittura,
approfondendo quel mistero del Cristo di cui saranno poi messaggeri e testimoni.
Perciò tutti i missionari - sacerdoti, religiosi, suore e laici - debbono
essere singolarmente preparati e formati, secondo la loro condizione, perché
siano all'altezza del compito che dovranno svolgere (134). Fin dall'inizio la loro
formazione dottrinale deve essere impostata in modo da non perdere di vista
l'universalità della Chiesa e la diversità dei popoli. Ciò vale, sia per le
discipline che servono a prepararli direttamente al ministero, sia per le altre
scienze che possono loro riuscire utili per una conoscenza generale dei popoli,
delle culture e delle religioni, orientata non soltanto verso il passato, ma
soprattutto verso il presente. Chiunque infatti sta per recarsi presso un altro
popolo, deve stimare molto il patrimonio, le lingue ed i costumi. È dunque
indispensabile al futuro missionario attendere agli studi di missionologia,
conoscere cioè la dottrina e le norme della Chiesa relative all'attività
missionaria, sapere quali strade abbiano seguito nel corso dei secoli i
messaggeri del Vangelo, essere al corrente della situazione missionaria attuale
e dei metodi che si ritengono al giorno d'oggi più efficaci (135).
Benché questo ciclo integrale di insegnamento debba essere arricchito ed
animato da zelo pastorale, bisogna dare tuttavia anche una speciale ed ordinata
formazione apostolica, sia con la teoria che con le esercitazioni pratiche (136).
Il maggior numero possibile di religiosi e di suore siano ben istruiti e
preparati nell'arte catechistica, onde collaborino sempre più all'apostolato. È
necessario che anche coloro, i quali si impegnano solo temporaneamente
nell'attività missionaria, acquistino una formazione adeguata alla loro
condizione.
Tutti questi tipi di formazione poi vanno completati nei paesi nei quali sono
inviati, in maniera che i missionari conoscano a fondo la storia, le strutture
sociali e le consuetudini dei vari popoli, approfondiscano l'ordine morale, le
norme religiose e le idee più profonde che quelli, in base alle loro tradizioni,
hanno già intorno a Dio, al mondo e all'uomo (137). Apprendano le lingue tanto bene da
poterle usare con speditezza e proprietà: sarà questo il modo per arrivare più
facilmente alla mente ed al cuore di quegli uomini (138). Siano inoltre debitamente
preparati di fronte a necessità pastorali di carattere particolare.
Alcuni di essi poi devono ricevere una più accurata preparazione presso gli
istituti di missionologia o presso altre facoltà o università, per poter
svolgere con maggiore efficacia dei compiti speciali (139) ed aiutare con la loro
cultura gli altri missionari nell'esercizio del lavoro missionario, che
specialmente ai nostri tempi presenta tante difficoltà ed insieme tante
occasioni favorevoli. È inoltre auspicabile che le conferenze episcopali
regionali abbiano a disposizione un buon numero di questi esperti, ed utilizzino
la loro scienza ed esperienza nelle necessità del loro ministero. Non devono poi
mancare gli esperti nell'uso degli strumenti tecnici e della comunicazione
sociale, la cui importanza tutti devono apprezzare.
Gli istituti missionari
27. Tutto questo, benché sia indispensabile a chiunque viene inviato alle
genti, in realtà molto difficilmente può essere realizzato dai singoli. Appunto
perché l'opera missionaria stessa, come conferma l'esperienza, non può essere
compiuta dai singoli individui, una vocazione comune li ha riuniti in istituti
dove, mettendo insieme le loro forze, possono ricevere una formazione adeguata,
per eseguire quell'opera a nome della Chiesa e dietro comando dell'autorità
gerarchica. Per molti secoli tali istituti han portato il peso del giorno e del
calore, sia che al lavoro missionario si dedicassero totalmente, sia che vi si
dedicassero soltanto in parte. Spesso la santa Sede affidò loro dei territori
immensi da evangelizzare, nei quali seppero riunire, per il Signore, un nuovo
popolo, cioè una Chiesa locale gerarchicamente unita ai propri pastori. A queste
Chiese appunto, che han fondato con il loro sudore o piuttosto con il loro
sangue, essi presteranno servizio con il proprio zelo e la propria esperienza in
una collaborazione fraterna, sia che esercitino la cura delle anime, sia che
svolgano funzioni speciali in vista del bene comune.
Talvolta si assumeranno dei compiti più urgenti in tutto l'ambito di una
determinata regione: ad esempio, l'evangelizzazione di certe categorie o di
popoli che, per ragioni particolari, non hanno forse ricevuto ancora il
messaggio evangelico, o ad esso han fatto finora resistenza (140). In caso di
necessità, essi devono esser pronti a formare e ad aiutare con la loro
esperienza coloro che si consacrano all'attività missionaria solo
temporaneamente. Per tutte queste ragioni, ed anche perché molti sono ancora i
popoli da condurre a Cristo, questi istituti restano assolutamente necessari.
CAPITOLO VL'ORGANIZZAZIONE DELL'ATTIVITÀ MISSIONARIA
Introduzione
28. I cristiani, avendo carismi differenti (141), devono collaborare
alla causa del Vangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il
suo carisma e il suo ministero (142). Tutti dunque, coloro che
seminano e coloro che mietono (143), coloro che piantano e coloro che
irrigano, devono formare una cosa sola (144), affinché « tendendo
tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo» indirizzino in piena
unanimità le loro forze all'edificazione della Chiesa. Per tale ragione il
lavoro dei messaggeri del Vangelo e l'aiuto degli altri cristiani vanno regolati
e collegati in modo che « tutto avvenga in perfetto ordine » (145)
in tutti i settori dell'attività e della cooperazione missionaria.
Organizzazione generale
29. Poiché il compito di annunciare dappertutto nel mondo il Vangelo riguarda
primariamente il collegio episcopale (146) il sinodo dei vescovi, cioè «la commissione
permanente dei vescovi per la Chiesa universale» (147), tra gli affari di importanza
generale (148) deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che
è il dovere più alto e più sacro della Chiesa (149).
Per tutte le missioni e per tutta l'attività missionaria uno soltanto deve
essere il dicastero competente, ossia quello di « Propaganda Fide », cui spetta
di regolare e di coordinare in tutto quanto il mondo, sia l'opera missionaria in
se stessa, sia la cooperazione missionaria, nel rispetto tuttavia del diritto
delle Chiese orientali (150).
Benché lo Spirito Santo susciti in diverse maniere lo spirito missionario
nella Chiesa di Dio, prevenendo sovente l'azione stessa di coloro cui tocca
governare la vita della Chiesa, tuttavia questo dicastero da parte sua deve
promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria, lo zelo e la preghiera
per le missioni, e fornire a loro riguardo informazioni autentiche e valide. È
suo compito suscitare e distribuire i missionari, secondo i bisogni più urgenti
delle regioni. È suo compito elaborare un piano organico di azione, emanare
norme direttive e principi adeguati in ordine all'evangelizzazione e dare
l'impulso iniziale. È suo compito promuovere e coordinare efficacemente la
raccolta dei sussidi, che vanno poi distribuiti tenendo conto della necessità o
della utilità, nonché dell'estensione del territorio, del numero dei fedeli e
degli infedeli, delle opere e delle istituzioni, dei ministri e dei missionari.
Esso, in collegamento con il segretariato per l'unità dei cristiani, deve
ricercare i modi ed i mezzi con cui procurare ed organizzare la collaborazione
fraterna e la buona intesa con le iniziative missionarie delle altre comunità
cristiane, onde eliminare, per quanto è possibile, lo scandalo della divisione.
È necessario pertanto che questo dicastero costituisca insieme uno strumento
di amministrazione ed un organo di direzione dinamica, che faccia uso dei metodi
scientifici e dei mezzi adatti alle condizioni del nostro tempo, tenga conto
cioè delle ricerche attuali di teologia, di metodologia e di pastorale
missionaria.
Nella direzione di questo dicastero devono avere parte attiva, con voto
deliberativo, dei rappresentanti scelti tra tutti coloro che collaborano
all'attività missionaria: vescovi di tutto il mondo, su parere delle conferenze
episcopali, e direttori degli istituti e delle opere pontificie, secondo le
modalità ed i criteri che saranno stabiliti dal romano Pontefice. Tutti questi
delegati verranno convocati periodicamente e reggeranno, sotto l'autorità del
sommo Pontefice, la organizzazione suprema di tutta l'attività missionaria.
Lo stesso dicastero avrà a disposizione una commissione permanente di
esperti consultori, veramente insigni per dottrina ed esperienza; tra le altre
funzioni, essi avranno quella di raccogliere tutte le notizie utili, sia intorno
alle situazioni locali delle varie regioni e alla mentalità propria dei diversi
gruppi umani, sia intorno ai metodi di evangelizzazione da adottare, proponendo
poi delle conclusioni scientificamente fondate per l'opera e la cooperazione
missionaria.
Gli istituti di suore, le opere regionali per le missioni, le organizzazioni
dei laici, in specie quelle a carattere internazionale, devono essere
debitamente rappresentate.
Organizzazione locale nelle missioni
30. Perché nell'esercizio dell'attività missionaria si raggiungano quei
risultati che ne costituiscono la finalità, tutti coloro che lavorano nelle
missioni devono avere «un cuore solo ed un'anima sola» (At 4,32).
È compito del vescovo, come capo e centro unitario dell'apostolato diocesano,
promuovere, dirigere e coordinare l'attività missionaria, in modo tale tuttavia
che sia salvaguardata ed incoraggiata nella sua spontaneità l'iniziativa di
coloro che all'opera stessa partecipano. Tutti i missionari, anche religiosi
esenti, dipendono da lui nelle varie opere che riguardano l'esercizio
dell'apostolato sacro (151). Al fine di meglio coordinare le iniziative, il vescovo
costituisca, per quanto è possibile, un consiglio pastorale, di cui devono fare
parte chierici, religiosi e laici attraverso delegati scelti. Provveda anche a
che l'attività apostolica non resti limitata ai soli convertiti, ma che una
giusta parte di operai e di sussidi sia destinata all'evangelizzazione dei non
cristiani.
Cooperazione stabilita dalle conferenze episcopali
31. Le conferenze episcopali devono trattare in pieno accordo le questioni
più gravi e i problemi più urgenti, senza trascurare però le differenze tra
luogo e luogo (152) Perché poi non si utilizzino male persone e mezzi, già di per sé
insufficienti, perché non si moltiplichino senza vera necessità le iniziative,
si raccomanda di fondare, mettendo insieme le forze, delle opere che servano per
il bene di tutti, quali ad esempio i seminari, le scuole superiori e tecniche, i
centri pastorali, catechistici e liturgici, e quelli per i mezzi di
comunicazione sociale. Una tale cooperazione va eventualmente instaurata anche
tra diverse conferenze episcopali.
Coordinazione locale degli istituti
32. Conviene anche coordinare le attività svolte dagli istituti o dalle
associazioni ecclesiatiche. Esse, di qualsiasi tipo siano, devono dipendere, per
tutto quanto riguarda l'attività missionaria, dall'ordinario del luogo. A tal
fine sarà utilissimo fissare delle convenzioni particolari, atte a regolare i
rapporti tra l'ordinario del luogo e il superiore dell'istituto.
Allorché ad un istituto viene affidato un territorio, sarà pensiero del
superiore ecclesiatico e dell'istituto stesso di indirizzare tutto a questo
fine: che la nuova comunità cristiana cresca e diventi una Chiesa locale, che
poi, al momento opportuno, sarà retta da un proprio pastore con clero proprio.
Cessando il mandato su un territorio, si determina una nuova situazione.
Allora le conferenze episcopali e gli istituti devono emanare di comune accordo
le norme che regolino i rapporti tra gli ordinari dei luoghi e gli istituti
(153).
Tocca però alla santa Sede fissare i principi generali, in base ai quali devono
essere concluse le convenzioni in sede regionale o anche quelle di carattere
particolare.
Anche se gli istituti sono pronti a continuare l'opera iniziata, collaborando
nel ministero ordinario della cura d'anime, bisognerà tuttavia provvedere, man
mano che cresce il clero locale, a che gli istituti, compatibilmente con il loro
scopo, rimangano fedeli alla diocesi stessa, impegnandosi generosamente in opere
di carattere speciale o in una qualche regione.
Coordinazione tra gli istituti
33. È poi necessario che gli istituti che attendono all'attività missionaria
in uno stesso territorio trovino la giusta maniera per coordinare le loro opere.
A questo proposito sono di grande utilità le conferenze di religiosi e le unioni
di suore, di cui devono far parte tutti gli istituti della stessa nazione o
regione. Queste conferenze devono ricercare quanto si può fare in comune,
mettendo cioè insieme le forze, e mantenersi in stretto contatto con le
conferenze episcopali.
Tutto questo è bene sia esteso in forma analoga anche alla collaborazione tra
istituti missionari nei paesi in cui hanno avuto origine, al fine di risolvere
più facilmente e con minori spese tutte le questioni ed iniziative comuni: si
pensi ad esempio alla formazione dottrinale dei futuri missionari, ai corsi per
missionari, alle relazioni da inviare alle pubbliche autorità o agli organismi
internazionali e soprannazionali.
Coordinazione tra gli istituti scientifici
34. Poiché il retto ed ordinato esercizio della attività missionaria esige
che gli operai evangelici siano scientificamente preparati ai loro doveri, in
specie al dialogo con le religioni e le civiltà non cristiane, e che nella fase
di esecuzione siano efficacemente aiutati, si desidera che a favore delle
missioni collaborino fraternamente e generosamente tra loro tutti gli istituti
scientifici che coltivano la missionologia e le altre discipline o arti utili
alle missioni, come l'etnologia e la linguistica, la storia e la scienza delle
religioni, la sociologia, le tecniche pastorali e simili.
CAPITOLO VlLA COOPERAZIONE
Introduzione
35. Essendo la Chiesa tutta missionaria, ed essendo l'opera evangelizzatrice
dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro Concilio invita tutti i fedeli
ad un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della
propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, prendano la loro
parte nell'opera missionaria presso i pagani.
Tutti i fedeli devono cooperare all'apostolato missionario
36. Tutti i fedeli, quali membra del Cristo vivente, a cui sono stati
incorporati ed assimilati mediante il battesimo, la cresima e l'eucaristia,
hanno lo stretto obbligo di cooperare all'espansione e alla dilatazione del suo
corpo, sì da portarlo il più presto possibile alla sua pienezza (154).
Pertanto tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della
loro responsabilità di fronte al mondo, devono coltivare in se stessi uno
spirito veramente cattolico e devono spendere le loro forze nell'opera di
evangelizzazione. Ma tutti sappiano che il primo e principale loro dovere in
ordine alla diffusione della fede è quello di vivere una vita profondamente
cristiana. Sarà appunto il loro fervore nel servizio di Dio, il loro amore verso
il prossimo ad immettere come un soffio nuovo di spiritualità in tutta quanta la
Chiesa, che apparirà allora come « un segno levato sulle nazioni » (155),
come « la luce del mondo» (Mt 5,14) e «il sale della terra» (Mt 5,13). Una tale
testimonianza di vita raggiungerà più facilmente il suo effetto se verrà data
insieme con gli altri gruppi cristiani, secondo le norme contenute nel decreto
relativo all'ecumenismo (156).
Sarà questo rinnovamento spirituale a far salire spontaneamente preghiere ed
opere di penitenza a Dio, perché fecondi con la sua grazia il lavoro dei
missionari; da esso avranno origine le vocazioni missionarie; da esso
deriveranno quegli aiuti di cui le missioni han bisogno.
E perché tutti e singoli i fedeli conoscano adeguatamente la condizione
attuale della Chiesa nel mondo e giunga loro la voce delle moltitudini che
gridano: «Aiutateci» (157), bisogna offrir loro dei ragguagli di carattere
missionario con l'ausilio anche dei mezzi di comunicazione sociale: sentiranno
così come cosa propria l'attività missionaria, apriranno il cuore di fronte alle
necessità tanto vaste e profonde degli uomini e potranno venir loro in aiuto. È
necessario altresì coordinare queste notizie e cooperare con gli organismi
nazionali e internazionali.
La cooperazione delle comunità cristiane
37. Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle
diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile,
tocca anche a queste comunità render testimonianza a Cristo di fronte alle
nazioni.
La grazia del rinnovamento non può avere sviluppo alcuno nelle comunità, se
ciascuna di esse non allarga la vasta trama della sua carità sino ai confini
della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che
ha per coloro che sono i suoi propri membri.
È così che l'intera comunità prega, coopera, esercita una attività tra i
popoli pagani attraverso quei suoi figli che Dio sceglie per questo nobilissimo
compito.
Sarà quindi utilissimo mantenere i contatti, senza tuttavia trascurare
l'opera missionaria generale, con i missionari che in questa stessa comunità
hanno avuto origine, o con una parrocchia o con una diocesi di missione, perché
divenga visibile l'unione intima tra le comunità, con il vantaggio di una
reciproca edificazione.
Dovere missionario dei vescovi
38. Tutti i vescovi, in quanto membri del corpo episcopale che succede al
collegio apostolico, sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per
la salvezza di tutto il mondo. Il comando di Cristo di predicare il Vangelo ad
ogni creatura (158) riguarda innanzitutto e immediatamente proprio
loro, insieme con Pietro e sotto la guida di Pietro. Da qui deriva quella
comunione e cooperazione a livello delle Chiese, che oggi è così necessaria per
svolgere l'opera di evangelizzazione. In forza di questa comunione, le singole
Chiese sentono la preoccupazione per tutte le altre, si informano reciprocamente
dei propri bisogni, si scambiano l'una con l'altra i propri beni, essendo
l'estensione del corpo di Cristo dovere dell'intero collegio episcopale (159).
Il vescovo, suscitando, promuovendo e dirigendo l'opera missionaria nella
sua diocesi, con la quale forma un tutto uno, rende presente e, per così dire
visibile lo spirito e l'ardore missionario del popolo di Dio, sicché la diocesi
tutta si fa missionaria.
È pure compito del vescovo suscitare nel suo popolo, specialmente in mezzo ai
malati e ai sofferenti, delle anime che con cuore generoso sanno offrire a Dio
le loro preghiere e penitenze per l'evangelizzazione del mondo; incoraggiare
volentieri le vocazioni dei giovani e dei chierici per gli istituti missionari,
accettando con riconoscenza che Dio ne scelga alcuni per inserirli nell'attività
missionaria della Chiesa; spronare e sostenere le congregazioni diocesane perché
si assumano la loro parte nelle missioni; promuovere le opere degli istituti
missionari in seno ai suoi fedeli, specialmente le pontificie opere missionarie.
A queste opere infatti deve essere giustamente riservato il primo posto, perché
costituiscono altrettanti mezzi sia per infondere nei cattolici, fin dalla più
tenera età, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire una
adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le
necessità di ciascuna (160).
E poiché si fa ogni giorno più urgente la necessità di operai nella vigna del
Signore ed i sacerdoti diocesani desiderano avere anch'essi un ruolo sempre più
importante nell'evangelizzazione del mondo, il santo Concilio auspica che i
vescovi, considerando la grandissima scarsezza di sacerdoti che impedisce la
evangelizzazione di molte regioni, mandino alle diocesi mancanti di clero,
debitamente preparati, alcuni dei loro migliori sacerdoti, perché si consacrino
all'opera missionaria: sarà qui che essi, almeno per un certo periodo,
eserciteranno con spirito di servizio il ministero missionario (161).
Ma perché l'attività missionaria dei vescovi si risolva realmente a vantaggio
di tutta la Chiesa, è bene che le conferenze episcopali regolino esse tutte le
questioni che si riferiscono alla ordinata cooperazione nella propria regione.
In sede di conferenza i vescovi devono trattare: dei sacerdoti del clero
diocesano da consacrare alla evangelizzazione delle nazioni; del contributo
finanziario che ciascuna diocesi, in proporzione del proprio reddito, deve
versare annualmente per l'opera missionaria; della direzione e
dell'organizzazione dei modi e dei mezzi ordinati al soccorso diretto delle
missioni (162); dell'aiuto da offrire agli istituti missionari ed ai seminari di clero
diocesano per le missioni e, se è necessario, della loro fondazione; della
maniera di favorire rapporti sempre più stretti tra questi istituti e le
diocesi.
Parimenti spetta alle conferenze episcopali fondare e promuovere delle opere
che consentano di accogliere fraternamente e di seguire ed assistere
pastoralmente coloro che, per ragioni di lavoro e di studio, emigrano dalle
terre di missione. Grazie a questi immigrati infatti i popoli lontani diventano
in qualche modo vicini, mentre alle comunità che sono cristiane da antica data
si offre la magnifica occasione di aprire un dialogo con le nazioni che non
hanno ancora ascoltato il Vangelo e di mostrare loro, nel servizio di amore e di
aiuto che prestano, il volto genuino del Cristo (163).
Dovere missionario dei sacerdoti
39. I sacerdoti rappresentano il Cristo e sono i collaboratori dell'ordine
episcopale nell'assolvimento di quella triplice funzione sacra che, per sua
natura, si riferisce alla missione della Chiesa (164). Siano dunque profondamente
convinti che la loro vita è stata consacrata anche per il servizio delle
missioni. E poiché mediante il loro ministero - incentrato essenzialmente
nell'eucaristia, la quale dà alla Chiesa la sua perfezione - essi entrano in
comunione con Cristo capo ed a questa comunione conducono le anime, non possono
non avvertire quanto ancora manchi alla pienezza del suo corpo e quanto quindi
Sl debba compiere perché esso cresca sempre più. Essi pertanto organizzeranno la
cura pastorale in modo tale che giovi alla espansione del Vangelo presso i non
cristiani.
Nella loro cura pastorale i sacerdoti desteranno e conserveranno in mezzo ai
fedeli lo zelo per l'evangelizzazione del mondo, istruendoli con la catechesi e
la predicazione intorno al dovere che la Chiesa ha di annunziare il Cristo ai
pagani; inculcando alle famiglie cristiane la necessità e l'onore di coltivare
le vocazioni missionarie in mezzo ai loro figli e figlie; alimentando tra i
giovani delle scuole e delle associazioni cattoliche il fervore missionario,
sicché sorgano da essi dei futuri predicatori del Vangelo. Insegnino anche ai
fedeli a pregare per le missioni e non arrossiscano di chieder loro elemosine,
facendosi quasi mendicanti per il Cristo e la salvezza delle anime (165).
I professori dei seminari e delle università esporranno ai giovani la
situazione reale del mondo e della Chiesa, perché sia chiara al loro spirito la
necessità di una più intensa evangelizzazione dei non cristiani e ne tragga
alimento il loro zelo. Nell'insegnamento poi delle discipline dogmatiche,
bibliche, morali e storiche mettano bene in luce quegli aspetti missionari che
vi sono contenuti, al fine di formare in questo modo una coscienza missionaria
nei futuri sacerdoti.
Dovere missionario degli istituti religiosi
40. Gli istituti religiosi, di vita contemplativa ed attiva, hanno avuto fin
qui ed hanno tuttora una parte importantissima nell'evangelizzazione del mondo.
Il sacro Concilio ne riconosce di buon grado i meriti, rende grazie a Dio per i
tanti sacrifici da loro affrontati per la gloria di Dio e il servizio delle
anime, e li esorta a perseverare indefessamente nel lavoro intrapreso,
consapevoli come sono che la virtù della carità, che devono coltivare in maniera
più perfetta in forza della loro vocazione, li spinge e li obbliga ad uno
spirito e ad un lavoro veramente cattolici (166).
Gli istituti di vita contemplativa con le loro preghiere, penitenze e
tribolazioni, hanno la più grande importanza ai fini della conversione delle
anime; perché è Dio che, in risposta alla preghiera, invia operai nella sua
messe (167), apre lo spirito dei non cristiani perché ascoltino il
Vangelo (168), e rende feconda nei loro cuori la parola della salvezza
(169). Si invitano anzi gli istituti di questo tipo a fondare le loro
case nelle terre di missione, come del resto non pochi han già fatto, affinché,
vivendovi ed adattandosi alle tradizioni autenticamente religiose dei popoli,
rendano tra i non cristiani una magnifica testimonianza alla maestà ed alla
carità di Dio, come anche all'unione in Cristo.
Gli istituti di vita attiva, perseguano o no un fine strettamente
missionario, devono in tutta sincerità domandarsi dinanzi a Dio se sono in grado
di estendere la propria azione al fine di espandere il regno di Dio tra le
nazioni; se possono lasciare ad altri alcune opere del loro ministero, per
dedicare le loro forze alle missioni; se possono iniziare un'attività nelle
missioni, adattando, se necessario, le loro costituzioni, secondo lo spirito del
fondatore; se i loro membri prendono parte secondo le proprie forze all'attività
missionaria; se il loro sistema di vita costituisce una testimonianza al
Vangelo, ben rispondente al carattere ed alla condizione del popolo.
Poiché infine, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, si sviluppano sempre
più nella Chiesa gli istituti secolari, la loro opera, guidata dall'autorità del
vescovo, può riuscire sotto diversi aspetti utilissima nelle missioni, come
segno di dedizione totale all'evangelizzazione del mondo.
Dovere missionario dei laici
41. I laici cooperano all'opera evangelizzatrice della Chiesa partecipando
insieme come testimoni e come vivi strumenti alla sua missione salvifica
soprattutto quando, chiamati da Dio (170), vengono destinati dai vescovi a
quest'opera.
Nelle terre già cristiane i laici cooperano all'opera evangelizzatrice
sviluppando in se stessi e negli altri la conoscenza e l'amore per le missioni,
suscitando delle vocazioni nella propria famiglia, nelle associazioni cattoliche
e nelle scuole, offrendo sussidi di qualsiasi specie, affinché il dono della
fede, che han ricevuto gratuitamente, possa essere comunicato anche ad altri.
Nelle terre di missione invece, i laici, sia forestieri che autoctoni, devono
insegnare nelle scuole, avere la gestione delle faccende temporali, collaborare
alla attività parrocchiale e diocesana, stabilire e promuovere l'apostolato
laicale nelle sue varie forme, affinché i fedeli delle giovani Chiese possano
svolgere quanto prima la propria parte nella vita della Chiesa (171).
I laici infine devono offrire volentieri la loro collaborazione in campo
economico-sociale ai popoli in via di sviluppo. Tale collaborazione è tanto più
degna di lode quanto più direttamente riguarda la fondazione di istituti
connessi con le strutture fondamentali della vita sociale, o destinati alla
formazione di coloro che hanno responsabilità politiche.
Meritano una lode speciale quei laici che nelle università o negli istituti
scientifici promuovono con le loro ricerche di carattere storico o scientifico
religioso la conoscenza dei popoli e delle religioni, aiutando così i messaggeri
del Vangelo e preparando i1 dialogo con i non cristiani.
Collaborino poi fraternamente con gli altri cristiani, con i non cristiani,
specialmente con i membri delle associazioni internazionali, proponendosi
costantemente come obiettivo che « la costruzione della città terrena sia
fondata sul Signore ed a lui sia sempre diretta » (172).
Naturalmente per assolvere tutti questi compiti i laici han bisogno di
un'indispensabile preparazione tecnica e spirituale, da impartire in istituti
specializzati, affinché la loro vita costituisca tra i non cristiani una
testimonianza a Cristo, secondo l'espressione dell'Apostolo: « Non date scandalo
né ai Giudei né ai Gentili, né alla Chiesa di Dio, così come anch'io mi sforzo
di piacere a tutti in ogni cosa, non cercando il mio vantaggio, ma quello del
più gran numero, perché siano salvi» (1 Cor 10,32-33).
CONCLUSIONE
42. I Padri conciliari, in unione con il romano Pontefice, sentendo
profondamente il dovere di diffondere dappertutto il regno di Dio, rivolgono un
saluto affettuosissimo a tutti i messaggeri del Vangelo, a coloro specialmente
che soffrono persecuzioni per il nome di Cristo, e si associano alle loro
sofferenze (173).
Sono anch'essi infiammati da quello stesso amore, di cui ardeva Cristo per
gli uomini. Consapevoli che è Dio a far sì che venga il suo regno sulla terra,
insieme con tutti i fedeli essi pregano perché, mediante l'intercessione della
vergine Maria, degli apostoli, le nazioni siano quanto prima condotte alla
conoscenza della verità (174) e la gloria di Dio, che rifulge sul
volto di Cristo Gesù, cominci a brillare in tutti gli uomini per l'azione dello
Spirito Santo (175).
Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri
del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da
Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le
decretiamo e le stabiliamo; e quanto è stato così sinodalmente deciso,
comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.
Roma, presso San Pietro 7 dicembre 1965.
Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica
Seguono le firme dei Padri.
Firme dei Padri
Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica
† Ego FRANCISCUS titulo Ss. Ioannis et Pauli Presbyter Cardinalis SPELLMAN,
Archiepiscopus Neo-Eboracensis.
† Ego IACOBUS titulo Ss. Bonifacii et Alexii Presbyter Cardinalis DE BARROS
CÂMARA, Archiepiscopus S. Sebastiani Fluminis Ianuarii.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis ante Portam Latinam Presbyter Cardinalis
FRINGS, Archiepiscopus Coloniensis.
† Ego ERNESTUS titulo S. Sabinae Presbyter Cardinalis RUFFINI, Archiepiscopus
Panormitanus.
† Ego ANTONIUS titulo S. Laurentii in Panisperna Presbyter Cardinalis
CAGGIANO, Archiepiscopus Bonaërensis.
Ego PETRUS titulo S. Praxedis Presbyter Cardinalis CIRIACI.
† Ego MAURITIUS titulo S. Mariae de Pace Presbyter Cardinalis FELTIN,
Archiepiscopus Parisiensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Mariae de Victoria Presbyter Cardinalis SIRI,
Archiepiscopus Ianuensis.
† Ego STEPHANUS titulo S. Mariae Trans Tiberim Presbyter Cardinalis
WYSZYNSKI, Archiepiscopus Gnesnensis et Varsaviensis, Primas Poloniae.
† Ego BENIAMINUS titulo S. Vitalis Presbyter Cardinalis DE ARRIBA Y CASTRO,
Archiepiscopus Tarraconensis.
† Ego FERDINANDUS titulo S. Augustini Presbyter Cardinalis QUIROGA Y
PALACIOS, Archiepiscopus Compostellanus.
† Ego PAULUS AEMILIUS titulo S. Mariae Angelorum in Thermis Presbyter
Cardinalis LEGER, Archiepiscopus Marianopolitanus.
† Ego IOSEPHUS HUMBERTUS titulo Ss. Andreae et Gregorii ad Clivum Scauri
Presbyter Cardinalis QUINTERO, Archiepiscopus Caracensis.
† Ego ALOISIUS titulo S. Mariae Novae Presbyter Cardinalis CONCHA,
Archiepiscopus Bogotensis.
Ego IOSEPHUS titulo S. Priscae Presbyter Cardinalis DA COSTA NUNES.
Ego HILDEBRANDUS titulo S. Sebastiani ad Catacumbas Presbyter Cardinalis
ANTONIUTTI.
Ego EPHRAEM titulo S. Crucis in Hierusalem Presbyter Cardinalis FORNI.
† Ego IOANNES titulo S. Mariae de Aracoeli Presbyter Cardinalis LANDAZURI
RICKETTS, Archiepiscopus Limanus, Primas Peruviae.
† Ego RADULFUS titulo S. Bernardi ad Thermas Presbyter Cardinalis SILVA
HENRIQUEZ, Archiepiscopus S. Iacobi in Chile.
† Ego LEO IOSEPHUS titulo S. Petri ad Vincula Presbyter Cardinalis SUENENS,
Archiepiscopus Mechliniensis-Bruxellensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Athanasii Presbyter Cardinalis SLIPYI,
Archiepiscopus Maior Ucrainorum.
† Ego LAURENTIUS titulo S. Leonis I Presbyter Cardinalis JAEGER,
Archiepiscopus Paderbornensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Crucis in via Flaminia Presbyter Cardinalis BERAN,
Archiepiscopus Pragensis.
† Ego MAURITIUS titulo D.nae N.ae de SS. Sacramento et Martyrum Canadensium
Presbyter Cardinalis ROY, Archiepiscopus Quebecensis, Primas Canadiae.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Teresiae Presbyter Cardinalis MARTIN, Archiepiscopus
Rothomagensis.
† Ego AUDOËNUS titulo S. Praxedis Presbyter Cardinalis MCCANN, Archiepiscopus
Civitatis Capitis.
† Ego LEO STEPHANUS titulo S. Balbinae Presbyter Cardinalis DUVAL,
Archiepiscopus Algeriensis.
† Ego ERMENEGILDUS titulo Reginae Apostolorum Presbyter Cardinalis FLORIT,
Archiepiscopus Florentinus.
† Ego FRANCISCUS titulo Ss. Petri et Pauli in via Ostiensi Presbyter
Cardinalis ŠEPER, Archiepiscopus Zagrabiensis.
Ego CAROLUS S. Mariae in Porticu Diaconus Cardinalis JOURNET.
† Ego ALBERTUS GORI, Patriarcha Hierosolymitanus Latinorum.
† Ego PAULUS II CHEIKHO, Patriarcha Babylonensis Chaldaeorum.
† Ego IGNATIUS PETRUS XVI BATANIAN, Patriarcha Ciliciae Armenorum.
† Ego IOSEPHUS VIEIRA ALVERNAZ, Patriarcha Indiarum Orientalium.
† Ego IOANNES CAROLUS MCQUAID, Archiepiscopus Dublinensis, Primas Hiberniae.
† Ego ANDREAS ROHRACHER, Archiepiscopus Salisburgensis, Primas Germaniae.
† Ego DEMETRIUS MOSCATO, Archiepiscopus Primas Salernitanus et Administrator
Perpetuus Acernensis.
† Ego HUGO CAMOZZO, Archiepiscopus Pisanus et Primas Sardiniae et Corsicae.
† Ego ALEXANDER TOKI , Archiepiscopus Antibarensis et Primas Serbiae.
† Ego MICHAEL DARIUS MIRANDA, Archiepiscopus Mexicanus, Primas Mexici.
† Ego FRANCISCUS MARIA DA SILVA, Archiepiscopus Bracharensis, Primas
Hispaniarum.
† Ego PAULUS GOUYON, Archiepiscopus Rhedonensis, Primas Britanniae.
† Ego ERNESTUS SENA DE OLIVEIRA, Archiepiscopus Conimbricensis.
Sequuntur ceterae subsignationes.
Ita est.
† Ego PERICLES FELICI
Archiepiscopus tit. Samosatensis
Ss. Concilii Secretarius Generalis
† Ego IOSEPHUS ROSSI
Episcopus tit. Palmyrenus
Ss. Concilii Notarius
† Ego FRANCISCUS HANNIBAL FERRETTI
Ss. Concilii Notarius
NOTE
(1) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].
(2) Cf. Mc 16,15.
(3) S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 44, 23: PL 36, 508;
CChr 38,150.
(4) Cf. Mt 5,13-14.
(5) Cf. Sir 36,19Vlg.
(6) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 2: AAS 57 (1965), pp. 5-6 [pag. 115ss].
(7) Cf. Gv 11,52.
(8) Cf. S. IRENEO, Adv.
Haer. III, 18, 1: "Il Verbo, esistente presso Dio, per mezzo del quale sono
state fatte tutte le cose, e che era sempre vicino al genere umano...": PG 7,
932; id. IV, 6, 7: "Infatti il Figlio, vicino fin dall’inizio alla sua creatura,
rivela il Padre a tutti quelli che il Padre vuole, e quando vuole e come vuole":
ib. 990; cf. IV, 20, 6 e 7: ib. 1037; Dimostrazione n. 34: Patr. Or. XII,
773; Sources Chrét. 62, Paris 1958, p. 87; CLEMENTE D’ALESS.,
Protrept., 112, 1: GCS Clemens I, 79; Strom. VI, 6, 44, 1: GCS
Clemens II, 453; 13, 106, 3 e 4: ibid. 485. Per la stessa dottrina cf. PIO XII,
Messaggio radiofon., 31 dic. 1952; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla
Chiesa Lumen Gentium, n. 16:
AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].
(9) Cf. Col 1,13; At
10,38.
(10) Cf. 2 Cor 5,19.
(11) Cf. Col 1,13; At
10,38.
(12) Cf. Eb 1,2; Gv
1,3 e 10; 1 Cor 8,6; Col 1,16.
(13) Cf. Ef 1,10.
(14) Cf. Mc 10,45.
(15)
Cf. S. ATANASIO, Ep. ad Epictetum,
7: PG 26, 1060; S. CIRILLO DI GERUS., Catech. 4,9: PG 33, 465; MARIO
VITTORINO, Adv. Arium, 3, 3,: PL 8, 1101; S. BASILIO, Epist. 261,
2: PG 32, 969; S. GREGORIO DI NAZ., Epist. 101: PG 37, 181; S. GREG. DI
NISSA, Anthirreticus, Adv. Apollin., 17: PG 45, 1156; S. AMBROGIO,
Epist. 48, 5: PL 16, 1153; S. AGOSTINO, In Ioan. Ev. tr. XXIII, 6: PL
35, 1585; C.Chr. 36, 236; inoltre in questo modo dimostra che lo Spirito Santo
non ci ha redenti, perché non si incarnato: De Agone Christ. 22,24: PL
40, 302; S. CIRILLO DI ALESS., Adv. Nestor. I, 1: PG 76, 20; S.
FULGENZIO, Epist. 17, 3, 5: PL 65, 454; Ad Trasimundum, III, 21:
PL 65, 284: sulla tristezza e il timore.
(16) Cf. Eb 4,15; 9,28.
(17) Cf. At 1,8.
(18) Cf. Lc 24,47.
(19) E lo Spirito che ha parlato
per mezzo dei profeti: Symb. Constantinopol.: Dz 150 (86) [Collantes 0.509]; S.
LEONE MAGNO, Sermo 76: PL 54, 405-406: “Quando il giorno di
Pentecoste lo Spirito Santo riempì i discepoli del Signore, non fu l’inizio
della missione, ma un aumento di liberalità: perché i patriarchi, i profeti, i
sacerdoti e tutti i santi, che erano vissuti nei tempi precedenti, erano stati
animati dalla santificazione dello stesso Spirito..., benché la misura dei doni
non fosse la stessa”. Anche Sermo 77, 1: PL 54, 412; LEONE XIII, Encicl.
Divinum illud, 9 maggio 1897: ASS 29 (1897), pp. 650-651 [Dz 3329]. Anche S.
GIOVANNI CRISOSTOMO, sebbene insista sull’originalità della discesa dello
Spirito Santo nel giorno di Pentecoste: In Ef. c. 4, Om 10,1: PG 62, 75.
(20) Cf. Gv 14,16.
(21)
I Ss. Padri parlano spesso della Babele e
della Pentecoste: ORIGENE, In Genesim, c. 1: PG 12, 112; S. GREGORIO DI
NAZ., Oratio 41, 16: PG 36, 449; S. GIOVANNI CRISOST., Hom. 2 in
Pentec., 2: PG 50, 467; In Act. Apost.: PG 60,44; S. AGOSTINO, En.
in Ps. 54, 11: PL 36, 636; CChr 39, 664s; Sermo 271: PL 38, 1245; S.
CIRILLO DI ALESS., Glaphyra in Genesim II: PG 69, 79; S. GREGORIO MAGNO,
Hom. in Evang., Lib. II, Om. 30, 4: PL 76, 1222; S. BEDA, In Hexaem.,
lib. III: PL 91, 125. Vedi anche il mosaico nell’atrio della Basilica di S.
Marco a Venezia. La Chiesa parla tutte le lingue, e cos raccoglie tutti nella
cattolicit della Fede: S. AGOSTINO, Sermones 266, 267, 268, 269: PL 38,
1225-1237; Sermo 175, 3: PL 38, 946; S. GIOVANNI CRISOST., In Ep. I ad
Cor., Om. 35: PG 61, 296; S. CIRILLO DI ALESS. Fragm. in Act.: PG 74,
758; S. FULGENZIO, Sermo 8, 2-3: PL 65, 745-744. Sulla Pentecoste come
consacrazione degli Apostoli alla missione cf. J.A. CRAMER, Catena in Acta
SS. Apostolorum, Oxford 1838, p. 24s.
(22) Cf. Lc 3,22; 4,1; At
10,38.
(23) Cf. Gv 14-17; PAOLO VI,
Discorso tenuto in Concilio il 14 sett. 1964: AAS 56 (1964), p. 807 [pag.
1215ss].
(24) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 4: AAS 57 (1965), p. 7
[pag. 119ss].
(25) S. AGOSTINO, Sermo 267,
4: PL 38, 1231: “Lo Spirito Santo adempie in tutta la Chiesa quello che adempie
l’anima in tutte le membra di un solo corpo”. Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 7 (con la nota 8): AAS 57 (1965), p. 11 [pag.
125ss].
(26) Cf. At 10,44-47; 11,15;
15,8.
(27) Cf. At 4,8; 5,32;
8,26.29.39; 9,31; 10; 11,24-28; 13,2.4.9; 16,6-7; 20,22-23; 21,11 ecc.
(28) Cf. anche Mt 10,1-42.
(29) Cf. Mt 28,18.
(30) Cf. At 1,4-8.
(31) Cf. Gv 20,21.
(32) Cf. Col 1,24.
(33) TERTULLIANO, Apologeticum,
50,13: PL 1, 534; CChr I, 171.
(34) Già S. TOMMASO D’AQ. parla
della missione apostolica di impiantare la Chiesa: cf. Sent. Lib. I, dist. 16,
q. 1, a. 2 ad 2 e ad 4; a. 3 sol.; Summa Theol., I, q. 43, a. 7 ad 6; I-II, q.
106, a. 4 ad 4. Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11
(1919), pp. 445 e 453; PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p.
74; PIO XII, 30 apr. 1939, ai Direttori delle PP. OO. MM.; ID., 24 giug. 1944,
ai Direttori delle PP. OO. MM: AAS 36 (1944), p. 210; di nuovo in AAS 42 (1950),
p. 727, e 43 (1951), p. 508; ID., 29 giu. 1948 al clero indigeno: AAS 40 (1948),
p. 374; ID., Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507;
ID., Fidei Donum, 15 genn. 1957: AAS 49 (1957), p. 236; GIOVANNI XXIII, Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 835; PAOLO VI, Om., 18 ott. 1964: AAS
55 (1964), p. 911. Sia i Sommi Pontefici che i Padri e gli Scolastici parlano
della dilatazione della Chiesa: S. TOMMASO D’AQ., Comm. in Matt., 16, 28; LEONE
XIII, Enc. Sancta Dei Civitas, 3 dic. 1880: ASS 13 (1880), p. 241; BENEDETTO XV,
Enc. Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 442; PIO XI, Enc.
Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 65.
(35) Cf. 1 Pt 1,23.
(36) Cf. At 2,42.
(37) Com’è evidente, in questa
nozione di attività missionaria sono ovviamente incluse anche quelle parti
dell’America Latina nelle quali non ci sono né una propria Gerarchia, né una
maturità di vita cristiana, né una sufficiente predicazione del Vangelo. Che poi
tali terre siano di fatto riconosciute come di missione dalla Santa Sede non
dipende dal Concilio. Per questo, quanto alla connessione tra la nozione di
attività missionaria e determinati territori è detto di proposito che questa
attività viene svolta “per lo più” in certi territori riconosciuti dalla Santa
Sede.
(38) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sull’Ecumenismo
Unitatis redintegratio, n. 1: AAS 57 (1965), p. 90 [pag. 305ss].
(39) Cf. Mc 16,16; Gv 3,5.
(40) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 147ss].
(41) Cf. Eb 11,6.
(42) Cf. 1 Cor 9,16.
(43) Cf. Ef 4,11-16.
(44) Cf. Gv 7,18; 8,30 e 44;
8,50; 17,1.
(45) Su questa idea sintetica vedi
la dottrina di sant’IRENEO sulla Ricapitolazione. Cf. anche IPPOLITO, De
Antichristo, 3: “Volendo tutti e desiderando salvare tutti, volendo essere a
capo di tutti i figli di Dio e chiamando tutti i santi in un solo uomo
perfetto...”: PG 10, 732; GCS Ippolito I, 2, p. 6; Benedictiones Iacob, 7: T.U.,
38-1, p. 18, lin. 4ss; ORIGENE, In Ioann., Tom. I, n. 16: “Unico sarà allora
l’atto di conoscere Dio di coloro che sono giunti a Dio, guidati da quel Verbo
che è presso Dio, perché così tutti i figli siano pienamente formati nella
conoscenza del Padre, come ora il solo Figlio conosce il Padre”: PG 14, 49; GCS
Orig. IV, 20; S. AGOSTINO, De sermone Domini in monte, I, 41: “Amiamo quello che
con noi può condurre a quei regni, dove nessuno dice: Padre mio, ma tutti
all’unico Dio: Padre nostro”: PL 34, 1250; S. CIRILLO D’ALESS., In Ioann. I:
“Siamo tutti in Cristo e il carattere comune dell’umanità rivive in lui. Perciò
viene detto anche nuovo Adamo... Abitò infatti in noi colui che per natura è
Figlio e Dio, per questo gridiamo nel suo Spirito: Abbà, Padre! Il Verbo abita
in tutti come in un solo tempio, cioè quello che ha assunto per noi e da noi,
perché, avendo tutti in se stesso, ci riconciliasse tutti in un solo corpo, come
dice Paolo”: PG 73, 161-164.
(46) BENEDETTO XV, Maximum illud,
30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 445: “Come la Chiesa di Dio è cattolica e non è
estranea a nessun popolo o nazione...”. Cf. GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra:
“La Chiesa è universale per diritto divino... Inserendosi nella vita dei popoli,
non è né si sente mai una istituzione che venga imposta dal di fuori... E quanto
in lui rappresenta un valore, qualunque ne sia la natura, viene riaffermato e
nobilitato” (cioè, coloro che sono rinati in Cristo): 25 maggio 1961: AAS 53
(1961), p. 444.
(47) Cf. Gv 3,18.
(48) Cf. IRENEO, Adv. Haer., III,
15 n. 3: PG 7, 919: “Furono predicatori della verità e apostoli della libertà”.
(49) Breviario romano, Ant. O [al
Magnificat] ai vespri del 23 dicembre.
(50) Cf. Mt 24,31; Didachè, 10,5:
FUNK I, p. 32.
(51) Cf. Mc 13,10.
(52) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss]; S.
AGOSTINO, De Civitate Dei, 19, 17: PL 41, 646; Istr. della S. C. di P. F.:
Collectanea I, n. 135, p. 42.
(53) Secondo Origene, il Vangelo
dev’essere predicato prima della consumazione di questo mondo: Hom. in Luc. XXI:
GCS Orig. IX, 136, 21s; In Matth. comm. ser., 39: XI, 75, 25s; Hom. in Ierem.,
III, 2: VIII, 308, 29s; S. TOMMASO, Summ. Theol., I-II, q. 106, a. 4, ad 4.
(54) Cf. At 1,7.
(55) ILARIO DI POIT., In Ps. 14: PL
9, 301; EUSEBIO DI CESAREA, In Isaiam 54, 2-3: PG 24, 462-463; CIRILLO D’ALESS.,
In Isaiam V, cap. 54, 1-3: PG 70, 1193.
(56) Cf. Ef 4,13.
(57) Cf. Gv 4,23.
(58) Cf. Mt 5,16.
(59) Cf. 1 Gv 4,11.
(60) Cf. Mt 9,35ss; At 10,38.
(61) Cf. 2 Cor 12,15.
(62) Cf. Mt 20,26; 23,11; Disc. di
PAOLO VI
pronunciato in Concilio il 21 nov. 1964: AAS 56 (1964), p. 1013 [pag.
1255s].
(63) Cf. Ef 4,24.
(64) Cf. Col 4,3.
(65) Cf. Mc 16,15.
(66) Cf. At 4,13.29.31; 9,27-28;
13,46; 14,3; 19,8; 26,26; 28,31; 1 Ts 2,2; 2 Cor 3,12; 7,4; Fil 1,20;
Ef 3,12;
6,19-20.
(67) Cf. 1 Cor 9,15; Rm 10,14.
(68) Cf. 1 Ts 1,9-10; 1 Cor 1,18-21;
Gal 3,1; At 14,15-17; 17,22-31.
(69) Cf. At 16,14.
(70) Cf. Col 3,5-10; Ef 4,20-24.
(71) Cf. Lc 2,34; Mt 10,34-39.
(72) Cf. 1 Ts 1,6.
(73) Cf. CONC. VAT. II, Dich. sulla
Libertà Religiosa
Dignitatis humanae, nn. 2, 4, 10 [pag. 627ss, 633, 641ss];
Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, n. 21 [pag.
847].
(74) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium,, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss].
(75) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla
Sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, nn. 64-65: AAS 56 (1964), p. 117 [pag.
55].
(76) Cf. Col 1,13. Su questa
libertà dalla schiavitù del demonio e delle tenebre nel Vangelo cf. Mt 12,28; Gv
8,44; 12,31 (cf. 1 Gv 3,8; Ef 2,1-2). Nella Liturgia del Battesimo cf.
Rit. Rom.
(77) Cf. Rm 6,4-11; Col 2,12-13;
1 Pt 3,21-22; Mc 16,16.
(78) Cf. 1 Ts 3,5-7; At 8,14-17.
(79) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 19 [pag. 147ss].
(80) Cf. S. AGOSTINO, Tract. in
Ioann. 11,4: PL 35, 1476.
(81) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 9: AAS 57 (1965), p. 13 [pag. 133ss].
(82) Cf. 1 Cor 3,9.
(83) Cf. Ef 4,1.
(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 10, 11, 34: AAS 57 (1965), pp. 10-17, 39-40
[pag. 137ss, 199ss].
(85) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Divina Rivelazione
Dei Verbum, n. 21: AAS 58 (1966), p. 827 [pag. 543ss].
(86) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 12, 35: AAS 57 (1965), pp. 16, 40-41 [pag.
141ss, 201ss].
(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium nn. 23, 36: AAS 57 (1965), pp. 28, 41-42 [pag.
169ss, 203ss].
(88) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 11, 35, 41: AAS 57 (1965), pp. 15-16, 40-41, 47
[pag. 139ss, 201ss, 213ss].
(89) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulle
Chiese Cattoliche Orientali,
Orientalium Ecclesiarum, n. 4: AAS 57 (1965), pp.
77-78 [pag. 283ss].
(90) Epist. ad Diognetum, 5:
PG 2,
1173; cf. Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 38: AAS 57
(1965), p. 43 [pag. 209].
(91) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium n. 32: AAS 57 (1965), p. 38 [pag. 195ss]; Decr.
sull’Apostolato dei Laici
Apostolicam Actuositatem, nn. 5-7 [pag. 571ss].
(92) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla
Formazione Sacerdotale
Optatam totius, nn. 4, 8, 9 [pag. 447ss].
(93) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla
Sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium, n. 17: AAS 56 (1964), p. 105 [pag. 29].
(94) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla
Formazione Sacerdotale
Optatam totius, n. 1 [pag. 441].
(95) Cf. GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 843-844.
(96) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sull’Ecumenismo
Unitatis redintegratio, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 94-96 [pag.
315].
(97) Cf. GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 842.
(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 29: AAS 57 (1965), p. 36 [pag. 191ss].
(99) Cf. GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 855.
(100) Si tratta dei cosiddetti
“catechisti a tempo pieno”.
(101) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 31, 44: AAS 57 (1965), pp. 37, 50-51 [pag.
193ss, 227ss].
(102) Cf. GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 838.
(103) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul
Ministero e la Vita dei Presbiteri
Presbyterorum Ordinis, n. 11 [pag. 803ss];
Decr. sulla Formazione Sacerdotale
Optatam totius, n. 2 [pag. 441ss].
(104) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 25: AAS 57 (1965), p. 29 [pag. 191ss].
(105) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul
Ministero e la Vita dei Presbiteri
Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove per
rendere più facili le opere pastorali particolari per le diverse classi sociali
si prevede la costituzione di Prelature personali, in quanto il corretto
esercizio dell’apostolato lo avrà richiesto [pag. 801ss].
(106) Cf. 1 Cor 15,23.
(107) Cf. 1 Cor 15,28.
(108) Cf. Ef 4,24.
(109) Cf. Sal 2,8.
(110) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), pp. 17-18 [pag. 143ss].
(111) Cf. Disc. di PAOLO VI nella
Canon. dei Ss. Mart. dell’Uganda, 18 ott. 1964: AAS 56 (1964), p. 908.
(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 143ss].
(113) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), p. 21 [pag. 153ss].
(114) Cf. Mc 3,13s.
(115) Cf. 1 Cor 12,11.
(116) Con il termine “Istituti” si
intendono gli Ordini, le Congregazioni, gli Istituti e le Associazioni che
lavorano nelle Missioni.
(117) Cf. PIO XI,
Rerum Ecclesiae,
28 feb. 1926: AAS 18 (1926), pp. 69-71; PIO XII,
Saeculo exeunte, 13 giu. 1940:
AAS 32 (1940), p. 256;
Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 506.
(118) Cf. At 13,2.
(119) Cf. Gal 1,16 Vlg.
(120) Cf. 1 Cor 9,22.
(121) Cf. Ef 6,19s; At 4,31.
(122) Cf. Mt 11,29s.
(123) Cf. BENEDETTO XV, Maximum
illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 449-450.
(124) Cf. 2 Cor 6,4s.
(125) Cf. 2 Cor 8,2.
(126) Cf. 1 Tm 4,14; Ef 4,23;
2 Cor
4,16.
(127) Cf. BENEDETTO XV, Maximum
illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 448-449; PIO XII,
Evangelii Praecones, 2
giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507. Nella formazione dei missionari sacerdoti
occorre tener conto anche di quanto è stabilito dal CONC. VAT. II, Decr. sulla
Formazione Sacerdotale
Optatam totius.
(128) Cf. At 2,42; 4,32.
(129) Cf. 2 Tm 1,7.
(130) Cf. Fil 4,11.
(131) Cf. 2 Cor 4,10ss.
(132) Cf. 2 Cor 12,15s.
(133) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 41: AAS 57 (1965), p. 46 [pag. 213ss].
(134) Cf. BENEDETTO XV, Maximum
illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 440; PIO XII, Evangelii Praecones, 2 giu.
1951: AAS 43 (1951), p. 507.
(135) BENEDETTO XV, Maximum illud,
30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 448; Decr. della S. C. DI P. F., 20 maggio 1923:
AAS 15 (1923), pp. 369-370; PIO XII,
Saeculo exeunte, 2 giu. 1940: AAS 32
(1940), p. 256;
Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507;
GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 843-844.
(136) CONC. VAT. II, Decr. sulla
Formazione Sacerdotale
Optatam totius, nn. 19-21[pag. 469ss]. Cf. anche la Cost.
Apost. Sedes Sapientiae con gli Statuti Generali, 31 maggio 1956: AAS 48 (1956),
pp. 354-365.
(137) PIO XII,
Evangelii Praecones,
2 giu. 1951: AAS 43 (1951), pp. 523-524.
(138) BENEDETTO XV, Maximum illud,
30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 448; PIO XII,
Evangelii Praecones, 2 giu. 1951:
AAS 43 (1951), p. 507.
(139) Cf. PIO XII, Fidei donum, 15
giu. 1957: AAS 49 (1957), p. 234.
(140) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul
Ministero e la Vita dei Presbiteri,
Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove si tratta
delle Diocesi e delle Prelature personali e di altri argomenti analoghi [pag.
801ss].
(141) Cf. Rm 12,6.
(142) Cf. 1 Cor 3,10.
(143) Cf. Gv 4,37.
(144) Cf. 1 Cor 3,8.
(145) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 18: AAS 57 (1965), p. 22 [pag. 155ss].
(146) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 23: AAS 57 (1965), p. 28 [pag. 169ss].
(147) Cf. PAOLO VI,
Motu proprio
Apostolica Sollicitudo, 15 sett. 1965: AAS 57 (1965), p. 776.
(148) Cf. PAOLO VI, Disc. tenuto in
Concilio il 21 nov. 1964: AAS 56 (1964), p. 1011 [pag. 1249ss].
(149) Cf. BENEDETTO XV, Maximum
illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 440-445.
(150) Se per ragioni particolari
alcune Missioni sono ancora temporaneamente soggette ad altri Dicasteri, è bene
che quei Dicasteri siano in relazione con la Sacra Congregazione per la
Propagazione della Fede, perché nell’organizzazione e nella direzione di tutte
le Missioni si possano avere un’indirizzo e una norma perfettamente costanti e
uniformi.
(151) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa
Christus Dominus, n. 35 [pag.
389ss].
(152) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa
Christus Dominus, nn.
36-38[pag. 395ss].
(153) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa
Christus Dominus, nn. 35,5-6
[pag. 393].
(154) Cf. Ef 4,13
(155) Cf. Is 11,12.
(156).Cf. Conc. Vat. II, Decr.
sull’Ecumenismo
Unitatis Redintegratio, n. 12: AAS 57 (1965), p. 99 [pag.
327ss].
(157) Cf. At 16,9.
(158) Cf. Mc 16,15.
(159) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 23-24: AAS 57 (1965), pp. 27-29 [pag.
169ss].
(160) Cf. BENEDETTO XV, Maximum
illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 453-454; PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28
feb. 1926: AAS 18 (1926), pp. 71-73; PIO XII,
Evangelii Praecones, 2 giu. 1951:
AAS 43 (1951), pp. 525-526; ID., Fidei Donum, 15 gen. 1957: AAS 49 (1957), p.
241.
(161) Cf. PIO XII, Fidei Donum, 15
gen. 1957: AAS 49 (1957), p. 245-246.
(162) Cf. CONC. VAT. II, Decr.
sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa
Christus Dominus, n. 6 [pag.
353].
(163) Cf. PIO XII, Fidei Donum, 15
gen. 1957: AAS 49 (1957), p. 245.
(164) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 28: AAS 57 (1965), p. 34 [pag. 185ss].
(165) Cf. PIO XI,
Rerum Ecclesiae,
28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 72.
(166) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 44: AAS 57 (1965), p. 50 [pag. 227ss].
(167) Cf. Mt 9,38.
(168) Cf. At 16,14.
(169) Cf. 1 Cor 3,7.
(170) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, nn. 33, 35: AAS 57 (1965), pp. 39, 40-41 [pag.
197ss, 201ss].
(171) Cf. PIO XII,
Evangelii
Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), pp. 510-514; GIOVANNI XXIII, Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 851-852.
(172) Cf. CONC. VAT. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa
Lumen Gentium, n. 46: AAS 57 (1965), p. 52 [pag. 231ss].
(173) Cf. PIO XII,
Evangelii
Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 527; GIOVANNI XXIII,
Princeps
Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 864.
(174) Cf. 1 Tm 2,4.
(175) Cf. 2 Cor 4,6. |