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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 91-92, April - August 2003, p. 253-256

La Convenzione Internazionale sui Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie*

 

S. E. Mons. Stephen Fumio HAMAO

Presidente del Pontificio Consiglio 

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

Agli inizi del mese di luglio, entrerà in vigore una Convezione internazionale tra le più attese dai nostri fratelli e sorelle migranti e da coloro che, per anni, hanno lavorato generosamente, per arrivare a questo traguardo. La Convenzione, infatti, salvaguarda i diritti dei lavoratori migranti e di chi più condivide la loro vita, cioè le loro famiglie. Adottata dallÂ’Assemblea Generale dellÂ’ONU già nel Dicembre 1990, la Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie è stata ratificata dal 20° Stato soltanto questÂ’anno, cioè quasi dopo 13 anni. Ora, però, essa fa parte del compendio di legislazione internazionale sui diritti della persona. 

LÂ’avvenimento riveste unÂ’importanza particolare, dato che la Convenzione è uno strumento legale per tutelare i diritti dei lavoratori migranti, considerati non semplicemente come un fattore economico, ma come persone umane, con diritti ad essi inerenti, prima ancora di essere lavoratori. La loro dignità, perciò, è indipendente da ciò che essi sanno o possono produrre o dal servizio che sono in grado di rendere. Si tiene in considerazione, inoltre, la loro dimensione sociale, il loro diritto di vivere in famiglia, ritenuta cellula fondamentale e naturale della società. La famiglia infatti merita di essere salvaguardata dallo Stato (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani [DU], art. 16), mentre quella emigrata, molto spesso, non ha nessuno Stato a cui riferirsi. Si trova essa, cioè, fuori della giurisdizione dello Stato di provenienza e non è direttamente soggetta allo Stato di permanenza del migrante. Di qui lÂ’importanza che sia ora la Comunità internazionale a proteggerla, in modo particolare.

Fonte della dignità e dei diritti del lavoratore migrante è comunque la sua stessa appartenenza alla famiglia umana. Il migrante è dunque nato libero e uguale a tutti gli altri esseri umani (cfr. DU, art. 1), con gli stessi doveri e diritti. Per i cristiani, poi, si va oltre. Gesù Cristo, in effetti, ha assunto su di Sé la natura umana, ed è morto e risorto per ogni essere umano, per costituirlo figlio di Dio, nel Figlio Benedetto. Siamo dunque fratelli Suoi e fra di noi. Perciò ogni persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, è ora anche figlio Suo. Per rendere ancora più esplicito il Suo Messaggio, Gesù disse: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli, lÂ’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Perciò, anche il bene o il male che si fa ad ogni migranti, e ad ogni membro della sua famiglia, Gesù lo ritiene fatto a Sé.

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, espressione della sollecitudine papale per la mobilità umana, si rallegra in modo particolare di questa felice occasione, poiché con lÂ’entrata in vigore della Convenzione in parola, si fissano formalmente alcuni principi fondamentali per il trattamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Anche se gran parte dei diritti in essa proclamati sono già inclusi in precedenti Strumenti delle Nazioni Unite, tuttavia, il dichiararli come diritti specificatamente dei migranti costituisce un loro rafforzamento ed elimina ogni dubbio o equivoco. 

Comunque, nonostante si parli della famiglia, in effetti la Convenzione non si riferisce a diritti della famiglia come tale, bensì a quelli di ogni individuo membro della famiglia. Eppure lÂ’esplicito riferimento ad essi costituisce già una prova dellÂ’importanza che la Convenzione attribuisce alla famiglia emigrata poiché si sa che tali famiglie incontrano spesso gravi problemi, proprio perché la migrazione porta in genere il rischio di una loro disgregazione. Particolarmente significativo, dunque, è lÂ’articolo 44, che salvaguarda lÂ’unità della famiglia del lavoratore migrante e sprona gli Stati a facilitarne la riunificazione.

Altra importante caratteristica della presente Convenzione è la tutela dei diritti del lavoratore migrante e dei membri della sua famiglia, anche quando egli non possiede adeguati documenti. LÂ’articolo 49.2, ad esempio, prevede che chi perde il posto prima della scadenza del suo permesso di lavoro non sarà considerato in una situazione irregolare. Sebbene lÂ’articolo 68, poi, tratti di misure per prevenire lÂ’illegalità, lÂ’articolo 69 esorta gli Stati a fare il possibile per regolarizzare la situazione di coloro che si trovano in tali situazioni.

Indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dalla lingua, religione, appartenenza politica e origine sociale o da qualsiasi stato, infatti, ogni persona umana è soggetto di libertà e diritti (cfr. DU art. 2; Convenzione, artt. 8-35), che non gli vengono tolti nemmeno quando egli si trova in una situazione di migrazione irregolare. Occorre riconoscere che il lavoro dellÂ’immigrato rappresenta, poi, una risorsa economica per i Paesi di destinazione, offrendo egli, ad esempio, servizi che i lavoratori autoctoni non sono facilmente disposti a svolgere, perché di più bassa qualificazione e con retribuzioni più povere, o per il fatto che tale lavoro richiede maggiore flessibilità e dà minori garanzie di continuità. Ci sono anche imprese le cui attività cesserebbero se non vi fossero impegnati lavoratori immigrati, con o senza documenti. Non bisogna dimenticare, inoltre, che le rimesse, frutto del sudore dei lavoratori migranti, sono fonte di guadagno, in valuta estera, dei Paesi da cui essi provengono e costituiscono unÂ’aggiunta importante al loro Bilancio. Considerando, dunque, la cosa anche semplicemente dal punto di vista economico, il lavoratore migrante è un “tesoro”, sia per il Paese di provenienza che per quello di arrivo. Perciò proteggerlo e garantire che i suoi diritti siano rispettati, al pari dei diritti dei lavoratori autoctoni, è un dovere di ambedue le Nazioni, quelle di provenienza e di arrivo. 

EÂ’ giusto inoltre dare pure ai figli del lavoratore migrante, sebbene in situazione irregolare, la possibilità di essere registrati nel Paese in cui i genitori svolgono il loro lavoro (art. 29), di aver accesso alla scolarizzazione formale (art. 30) e allÂ’assistenza sociale e medica (artt. 27, 28 e 43). 

La Santa Sede – vale ricordarlo - diede il suo contributo allÂ’elaborazione della presente Convenzione Internazionale, fin dal momento della sua nascita, ancora in sede del dibattito iniziale presso lÂ’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il nostro Pontificio Consiglio ha pure seguito il suo procedere con grande interesse e non ha mancato, né manca, di incoraggiare gli Stati a porre la loro ratifica o accessione alla suddetta Convenzione. Tale raccomandazione fa parte, per esempio, delle Conclusioni del IV Congresso Mondiale sulla Pastorale per i Migranti ed i Rifugiati, svoltosi in Vaticano, dal 5 al 10 ottobre 1998.[1] La raccomandazione appare di nuovo nel Documento Finale dellÂ’Incontro Regionale dei Direttore Nazionali per la Pastorale delle Migrazioni in Asia e nel Pacifico, tenutosi lÂ’anno seguente a Kaohsiung, Taiwan, dal 22 al 24 Settembre 1999.[2] Vogliamo far notare, però, che il nostro appoggio suppone, naturalmente, unÂ’interpretazione delle parole famiglia e famiglie che concorda con lÂ’insegnamento cattolico.

Con un certo rammarico, però, osservo che, tra gli Stati firmatari della Convenzione in parola[3], non ci sia nemmeno uno dei Paesi detti “sviluppati”, che ospitano la maggioranza dei lavoratori immigrati e che usufruiscono del loro servizio. Comunque si ritiene qui opportuno ricordare di nuovo che la tutela dei diritti dei lavoratori immigrati e dei membri delle loro famiglie è, in realtà, un passo importante per combattere lÂ’illegalità. Infatti, se i diritti di tutti i lavoratori sono protetti, i grandi profitti economici ora ottenuti sulle loro spalle da trafficanti di essere umani, o da chi si serve dellÂ’attività di questi ultimi, è da supporre che almeno diminuiranno. 

Inoltre la famiglia è di grande sostegno al lavoratore migrante, che potrà così svolgere meglio il proprio compito. Al contrario, se la sua famiglia è lontana e si trova in difficoltà, anche il lavoro del migrante ne soffrirà le conseguenze. EÂ’ dunque pure interesse dello stesso Paese ospite la salvaguardia del benessere della famiglia del lavoratore immigrato.

Vorrei infine fare un appello a tutti i migranti. Essendoci ora uno strumento legale per difendere i loro diritti, essi non debbono dimenticare che diritti e doveri vanno insieme, ed essi hanno quindi doveri verso i Paesi di accoglienza, di transito e di provenienza. “Siate cittadini responsabili dunque, cari immigrati, e date dimostrazione della vostra capacità di contribuire al benessere, non solo economico, dei Paesi in cui vi trovate! Ricordate inoltre che dobbiamo e vogliamo essere tutti costruttori di una società dove regna la legalità.”. 

LÂ’importanza che il Santo Padre attribuisce alla famiglia del migrante è posta in evidenza altresì nei Suoi Messaggi per l'annuale Giornata del Migrante e del Rifugiato. Varie volte Egli ha trattato infatti questo tema. Per esempio, nel 1994, “Anno Internazionale della Famiglia” per le Nazioni Unite, il Papa formulò il seguente appello:

“…Desidero invitare quanti a diverso titolo si preoccupano di promuovere lÂ’autentico bene della famiglia a considerare attentamente le problematiche della famiglia emigrataÂ… Compito dello Stato è di non far mancare alle famiglie degli immigrati Â… quanto ordinariamente esso assicura a quelle dei propri cittadini. In particolare è compito dello Stato difenderle da ogni tentativo di emarginazione e razzismo, promuovendo una cultura di convinta e operosa generositàÂ… I credenti sono chiamati, ad un titolo particolare, a collaborare a tale opera di alto valore civile e spirituale. Impegno particolarmente esigente e delicato che, prima ancora di lungimiranti provvedimenti sociali ed economici, suppone la creazione di un clima alimentato da spirito di solidarietà e di servizioÂ… Le Comunità ecclesiale, poi, debbono trovare nella comune professione di fede una ragione in più per accogliere le famiglie cristiane dei migrantiÂ… (le quali) devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria…”.

La Famiglia di Nazareth, che ha conosciuto la dura esperienza dellÂ’emigrazione, ci assista e ci accompagni in questo cammino verso una più efficace salvaguardia dei diritti dei più vulnerabili degli esseri umani. Maria, Regina della Famiglia, protegga con il Suo amore materno anche le famiglie dei lavoratori migranti.
 

[1] NellaSezione II.B.2. delle Conclusioni del Congresso si legge: “Demander la ratification de la Convention sur la protection des droits des travailleurs migrants et des membres de leur famille. Bien que le migrant soit le centre de la préoccupation des législateurs et des politiques, on ne devra pas laisser leurs familles en dehors du problème. Le droit dÂ’émigrer nÂ’est pas seulement le droit dÂ’une personne unique, mais de la famille entière…”

 [2] La raccomandazione è al Punto 4. Nel Documento Finale si legge: “Convinced that pastoral care is integral attention for everyone and for the whole human person, the churches foster the promotion and protection of the rights of migrants. In this regard, the churches value the dialogue with civil society and participate in soliciting the ratification of the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families.”

 [3] Gli Stati firmatari della Convenzione, in ordine cronologico di ratifica o accessione sono: Egitto, Marocco, Seychelles, Colombia, Filippine, Uganda, Sri Lanka, Bosnia-Herzegovina, Capo Verde, Azerbaigian, Messico, Senegal, Ghana, Guinea, Bolivia, Uruguay, Belize, Tagikistan, Ecuador, Guatemala, El Salvador e, recentemente, Mali.

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