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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 91-92, April - August 2003, p. 263-267

I migranti e gli itineranti,

 per una visione di pace*

 

S. E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

Introduzione

Il nuovo volto dell'umanità, oggi, ha i colori della globalizzazione, e i problemi che nascono sono ormai tutti planetari. Nessuna Nazione, per quanto potente, è in grado ad esempio, di garantire la pace, di risolvere il problema delle migrazioni e delle minoranze etniche, di salvare l'equilibrio dell'ecosistema compromesso dallo sfruttamento insensato delle risorse naturali, ecc.

Sul tema della pace Giovanni Paolo II ha richiamato l'attenzione nel Messaggio per la Giornata appunto della Pace 2001: "All'inizio del nuovo millennio, più viva si fa la speranza che i rapporti tra gli uomini siano, sempre più, ispirati all'ideale di una fraternità veramente universale. Senza la condivisione di questo ideale la pace non potrà essere assicurata in modo stabile". E proseguiva: ciò "è esigito, come mai prima d'ora, dal processo di globalizzazione che unisce in modo crescente i destini dell'economia, della cultura e della società".

In un mondo sempre più globalizzato il Papa indica poi il fenomeno migratorio come un fattore capace di assicurare la pace nel mondo e l'incontro delle culture: "Non meno pericoloso per il futuro della pace sarebbe l'incapacità di affrontare con saggezza i problemi posti dal nuovo assetto che l'umanità, in molti Paesi, va assumendo a causa dell'accelerazione dei processi migratori e della convivenza inedita che ne scaturisce tra persone di diverse culture e civiltà".

1. Un fenomeno globale

Favorito dal processo di globalizzazione, il movimento migratorio ha assunto, negli ultimi venti anni, dimensioni direi impressionanti. Sono circa duecento milioni le persone che per esso oggi si spostano in tutto il mondo. Lasciano la loro patria, spinte per lo più dalla miseria, dalla fame, dalla violenza, dalle guerre, dalle rivalità etniche, ma anche dal desiderio di una vita migliore, differente. E si dirigono di preferenza verso le aree più ricche del mondo, già densamente popolate. Ciò spiega perché l'emigrazione sia vissuta spesso nei Paesi ospitanti come una "invasione" e perché alcuni vorrebbero perfino che si chiudessero i centri di accoglienza, anteponendosi ad ogni altra considerazione ed esclusivamente la difesa della propria identità nazionale, culturale e religiosa.

Questo clima di chiusura rende ancora più triste e amara la vicenda umana di molti immigrati, spesso giudicati indiscriminatamente come "clandestini" o "socialmente pericolosi".

Ma il fenomeno migratorio, in un mondo globalizzato, è diventato inarrestabile: il problema non si risolve quindi chiudendo le frontiere, ma accogliendo "cum grano salis" le persone che battono alla nostra porta.

2. Il fattore islam

Da qualche tempo un altro fattore caratterizza non solo il movimento migratorio, ma la storia stessa del mondo contemporaneo, destando preoccupazione e paura in molte persone.

Il fatto, cioè, che non pochi immigrati appartengono alla religione islamica e ciò ha fatto temere addirittura una "invasione" dell'islam e della sua cultura.

Le complicazioni della storia recente hanno acuito non poco la percezione per molti di una opposizione radicale o di una frattura insanabile tra "mondo cristiano" e "mondo islamico". Tenuto conto che questo conflitto, in realtà, maschera spesso contenuti di altra natura (soprattutto economica e politica), oggi è più che mai necessario cercare un confronto sereno, lucido e pacato tra i membri delle due religioni, senza però superficialità e con richiesta di reciprocità

Dunque se alcuni Paesi islamici, grazie alle loro risorse, sostengono di fatto movimenti integralisti, che giungono a forme di terrorismo motivato da fanatiche considerazioni, (nelle quali si mescolano citazioni del Corano ed espressioni di vendetta per "secolari soprusi subiti dai colonizzatori e sfruttatori occidentali") non dovremmo commettere l'errore di considerare l'integralismo come espressione univoca dell'islam. Così, infatti, rinforzeremmo gli stessi integralisti che vogliono apparire come coscienza di tutto il mondo musulmano.

3. I "passi" verso la pace

"Le migrazioni - afferma ancora il Papa Giovanni Paolo II - possono costituire una opportunità se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidarietà che deve unire la famiglia umana".

In questa affermazione possiamo vedere le coordinate sulle quali è possibile tracciare un ideale "itinerario" verso la pace, oggi.

a. Il dialogo, anzitutto

Questa parola peraltro è diventata una delle accezioni maggiormente soggette a usura: qualcuno la confonde addirittura con una semplice conversazione. Dialogo è invece soprattutto confronto, interazione, capacità di ascoltare e di entrare nella visione dell'altro, disponibilità ad accoglierlo, senza semplicismi e superficialità. E tutto questo non semplicemente a livello intellettuale, ma soprattutto a livello di vita vissuta. Il vero incontro infatti non avviene tra culture ma tra persone concrete che pure hanno la loro cultura e la loro religione: parte dal vissuto delle persone stesse, dalla loro esperienza quotidiana nella famiglia, nel lavoro, nella scuola. In questo modo è possibile colmare quel deficit di cittadinanza e di coscienza mondiale, di responsabilità collettiva, che è alla base, oggi, di alcuni movimenti di violenza da essi considerata come unica soluzione di inveterati problemi.

"Lo scontro di civiltà - afferma Huntington - avviene perché il confronto e il mescolarsi delle identità si sviluppano all'interno di fasce culturali e di minoranze che confliggono contro le maggioranze ed esigono una maggiore visibilità".

Quando si parla di scontro di civiltà si rischia però di partire da una immagine non messa a fuoco, che vede il musulmano come appartenente ad una civiltà arretrata e irriducibile ai valori democratici. Ebbene questo fatto, afferma Magdi Allam, sta logorando in profondità i rapporti all'interno delle società e tende a creare quelle che egli chiama "frontiere simboliche", cioè dei muri che separano il mondo musulmano dall'Occidente.

Anche Piero Ostellino (Corriere della Sera del 29-11-02) osserva che per raggiungere la pace è necessario "il dialogo interreligioso e una maggiore conoscenza tra le due culture. Nell'era della multimedialità e dell'informazione in tempo reale -egli afferma - viaggiano più veloci di prima non solo i pregiudizi e le paure, ma anche le possibilità di capirsi meglio".

b. La tolleranza

Anche tolleranza è un'altra parola un poÂ’ erosa dall'uso, ma molto importante, ancora.

Si sta diffondendo oggi, infatti, l'immagine dell'islam come "monolito intollerante", una religione di conquista, mentre la maggioranza dei musulmani si sente e si proclama tollerante. E' questa contrapposizione che rischia di compromettere gli sforzi di dialogo e provoca una reazione che può diventare esplosiva. Da una parte si lascia spazio al razzismo, dall'altra si spinge al ripiegamento su se stessi. Entrambe le religioni, quella cristiana e quella musulmana, hanno invece alla loro base una tradizione di ospitalità e di accoglienza, "mutatis mutandis".

A proposito del dialogo e della tolleranza, considerati come i fattori principali della pace nel mondo, il nostro Papa afferma ancora: "Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla complessa problematica delle migrazioni. L'esodo di grandi masse da una regione all'altra del pianeta, che costituisce sovente una drammatica odissea umana per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei vari Paesi di origine e in quelli di arrivo. L'accoglienza riservata ai migranti e la loro capacità di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti metri di valutazione della qualità del dialogo tra differenti culture".

c. Accoglienza e ospitalità

Dove lo straniero diventa ospite e viene accolto, si smonta gradualmente la possibilità di vedere l'altro come un nemico. L'ospitalità come fratellanza, invece, è un concetto purtroppo trascurato dal lessico politico contemporaneo, che tende a privilegiare l'uguaglianza e la libertà, le quali possono poggiare su un fondamento individualista.

Accogliere lo straniero, per il cristianesimo, significa accogliere Dio stesso. Insistendo con la categoria della ospitalità, i testi biblici, in effetti, dell'Antico e del Nuovo Testamento, pongono le basi per la costruzione di una fratellanza proprio universale.

Anche il mondo islamico ha una tradizione di ospitalità che si ritrova nel Corano: in particolare nel mondo della medina, la città "illuminata", che nasce pluralista e porta agli altri. La tradizione alla apertura è quindi alla base pure della religione islamica, che però conosce oggi frange, anche assai consistenti, purtroppo, estremiste e violente, che rigettano quanto viene dall'esterno. Il compito dei musulmani, a nostro parere, è quello di individuare nuovi processi educativi, capaci di arginare questi estremismi, di isolarli e far prevalere il dialogo vero, autentico, rispettoso della reciprocità.

4. La stessa chiave di lettura

La tradizione cristiana e quella musulmana hanno quindi una matrice culturale e religiosa universalista, che costituisce una chiave di lettura - e anche una fonte di contrasto - con cui leggere le nuove sfide e che contribuisce a creare una maggiore serenità nelle relazioni internazionali.

L'11 Settembre è stato però sicuramente uno spartiacque, una "rivelazione" che ha evidenziato grandi contraddizioni nel ruolo delle religioni nella costruzione della pace. Questa "rivelazione" comporta la necessità di un salto di qualità nell'incontro interreligioso: siamo tutti invitati ad ascoltare e a metterci in gioco per l'altro.

Ma oggi sembra purtroppo prevalere la tendenza allo scontro, a una imprecisata "resa dei conti": è la scelta di chi privilegia l'uso della forza alla lenta arte della comprensione, del dialogo, della solidarietà, se pur in un contesto di fermezza giusta contro i violenti e nella legittima difesa.

Se è vero che il tema dello scontro passa all'interno di ogni singola comunità, è altrettanto vero che vi sono molte persone che questo scontro non vogliono, che praticano la convivenza, che si riconoscono nei valori della persona, della pace, dei diritti umani, della coesistenza, del pluralismo. Chi dunque vi si riconosce è chiamato a lavorare insieme e a testimoniare concretamente la sua opposizione legittima a ogni forma di violenza, fatte le debite distinzioni.

Conclusione

Siamo in presenza oggi ad una martellante campagna del sospetto, dell'invettiva, della paura. Occorre invece un'azione politica che ponga come simbolo e luogo di confronto la capacità e possibilità di convivenza, che è occasione di crescita e di miglioramento della nostra società.

Qualcuno ha chiamato questa disponibilità la "riscoperta della piazza". Piazza intesa come punto d'incontro, di scambio di idee, come luogo di composizione di una vera democrazia, in cui tutti godano piena cittadinanza e in cui tutti possano far sentire la propria voce. Papa Giovanni parlava poi della fontana della piazza del villaggio, che per noi è la Rivelazione di Dio.

Hamza Picardo, Segretario dell'Unione delle comunità islamiche in Italia, ci ha ricordato, di recente, che ben 140 "realtà islamiche" hanno aderito alla Giornata del dialogo tra cristiani e musulmani, il 29 novembre scorso. E' un segno che conferma, nel nostro Paese, lÂ’esistenza di una volontà di dialogo islamo-cristiano, da cui partire per costruire una società di pace e fratellanza.


* Intervento a Roma, 5 dicembre 2002, presso lÂ’Associazione Civita
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