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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 91-92, April - August 2003, p. 115-130

L'evoluzione della pastorale migratoria

delle missioni cattoliche italiane

in Germania negli ultimi cinquant'anni

 

Rev. P. Angelo NEGRINI, C.S.

Officiale del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

1. Le missioni cattoliche Italiane

La storia delle Missioni cattoliche italiane in Germania inizia il 1° marzo 1950 con lÂÂ’arrivo, a Francoforte, di don Aldo Casadei, il primo missionario «ufficiale» (inviato cioè con rescritto della Sacra Congregazione Concistoriale), che sarà raggiunto, negli anni immediatamente successivi, da altri missionari destinati a Stoccarda, Hannover, Essen e Colonia.

Le risposte pastorali delle Missioni Cattoliche non furono mai avulse dai problemi dei nostri emigrati, accontentandosi magari di una attività pastorale generica e impersonale, ma risposero sempre a precisi problemi che via via la nostra emigrazione presentava. 

La struttura delle missioni cattoliche italiane aveva ereditato, dopo la seconda guerra mondiale, lo schema dellÂÂ’Opera Bonomelli, che comprendeva unÂÂ’azione religiosa e unÂÂ’azione sociale strettamente legate tra loro, allo scopo di ricreare, tra gli emigrati italiani, un ambiente che evitasse una disgregazione religiosa (passaggio al protestantesimo e alle sette) e una altrettanto pericolosa disgregazione sociopolitica (passaggio ai movimenti antireligiosi di sinistra).

In questo modo le missioni cattoliche, accusate in seguito di paternalismo, hanno portato avanti, spesso da sole, anche una considerevole mole di lavoro assistenziale di emergenza.

Esigenze essenziali e pastorale d'emergenza

Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, lÂÂ’azione del missionario si scontrava con bisogni immediati di emigrati spesso sprovvisti di tutto, in gravi situazioni di emarginazione e sistemati perlopiù in baracche o alloggi collettivi. Si trattava, in genere, di gruppi di uomini soli, disorientati e dispersi su territori molto vasti. Questo ha portato i missionari a sobbarcarsi unÂÂ’opera massiccia soprattutto di assistenza sociale, spesso allÂÂ’insegna dellÂÂ’improvvisazione, ciò che procurerà loro l'accusa di assistenzialismo.

Il lavoro pastorale era necessariamente influenzato dalla situazione contingente: la dispersione delle persone e la forte rotazione e provvisorietà della nostra emigrazione, unite alla forzata carenza di una programmazione pastorale e delle necessarie strutture pastorali, non potevano che portare ad unÂÂ’azione pastorale dÂÂ’urgenza, legata principalmente alla messa domenicale, allÂÂ’amministrazione dei sacramenti e ad azioni di aggregazione dei piccoli gruppi di emigrati. DÂÂ’altra parte, la missione cattolica era considerata dagli stessi immigrati quasi unicamente come una pura stazione di servizio per lÂÂ’utenza religiosa o come punto di riferimento per i soli servizi sociali più immediati.

Con il Concilio Vaticano II emerge lÂÂ’esigenza di un rinnovamento sui due piani in cui hanno sempre lavorato le missioni:

- a livello religioso, viene privilegiata una particolare attenzione alle attività pastorali tradizionali, in particolare alla preparazione e ricezione dei sacramenti. Ma si comincia anche a ripensare la struttura stessa della missione (a cominciare dalla stessa denominazione che, da missione cattolica italiana si trasforma in comunità cristiana), si parla di partecipazione dei laici, di consigli pastorali, ecc.

- b livello sociale, si attutisce lo scontro con le forze di diversa ispirazione e ci si apre gradualmente a tutti i gruppi che ricercano il bene dellÂÂ’emigrato; inizia in questi anni il fenomeno dellÂÂ’associazionismo italiano in Germania, destinato ad esplodere negli anni Settanta e che congloba i gruppi più eterogenei: forze organizzate di diversa ispirazione, comitati consolari, comitati di assistenza scolastica.

Il tutto viene giustificato con lÂÂ’obiettivo di operare a favore dellÂÂ’uomo globale consentendo un passaggio, lento ma graduale, verso forme più partecipative allÂÂ’interno della comunità italiana.

Emergenza sociale e promozione umana

AllÂÂ’inizio degli anni Settanta per una popolazione immigrata, che vede nascere e consolidarsi al suo interno la presenza di numerosi nuclei familiari, emergono gradualmente nuove iniziative pastorali: da una parte, l'organizzazione di gruppi parrocchiali, in particolare del Consiglio pastorale (sull'abbrivo del nascente fenomeno dell'associazionismo, frutto, questo, di una coscienza più matura e di un crescente risveglio dellÂÂ’impegno sociale e politico), dallÂÂ’altra, la cura della famiglia immigrata e l'attenzione alla presenza del nuovo mondo giovanile, soprattutto quello dei ragazzi della seconda generazione.

Emergenza culturale e opera di coscientizzazione

Gli anni Settanta sono segnati, come dicevamo, dal boom dellÂÂ’associazionismo, dalla crescita della seconda generazione, da una forte disoccupazione e dall'incipiente fenomeno dei rientri.

Inizia, contestualmente, anche un graduale processo di stabilizzazione dellÂÂ’emigrazione italiana. Il governo federale elabora una sempre più convinta politica dÂÂ’integrazione, mentre la Chiesa in Germania dimostra un interesse crescente per il problema migratorio.

Emerge la necessità di uno sforzo di giustificazione da parte delle Missioni, accusate di condurre un'azione anti-integrazione e di impedire la promozione culturale degli immigrati italiani.

Sorge così lÂÂ’esigenza di uno studio più approfondito del fenomeno migratorio, nonché della storia e del ruolo delle missioni cattoliche italiane in Germania, che consenta alle medesime una più chiara collocazione nella società civile ed ecclesiale. Nasce, in questo contesto, lÂÂ’Udep (Ufficio documentazione e pastorale) di Francoforte, promosso dalla Delegazione Nazionale dei missionari, la Scuola a due uscite di Stommeln e lÂÂ’Isis (Istituto scolastico italiano Scalabrini) di Colonia, istituzioni, queste ultime, sorrette e finanziate dalla Diocesi. La necessità di ricercare un rapporto dinamico con la Chiesa locale, sposta lÂÂ’interesse e lÂÂ’attenzione dei missionari sulla cultura dellÂÂ’emigrato, di cui si cerca di valorizzare la personalità di base, perché lÂÂ’integrazione sociale e religiosa non diventi in realtà un assorbimento da parte della cultura locale e una perdita, da parte degli immigrati, della propria identità.

Da parte della Chiesa in Germania si assiste al passaggio da un modo di fare pastorale che si limiti alla pura assistenza religiosa dellÂÂ’emigrato, alla necessità di costruire una comunità tra gli emigrati e con gli emigrati: di qui il problema della rappresentanza nei vari organismi ecclesiali, nonché la ricerca di nuove formule, strutture e modelli giuridici di assistenza religiosa.

Per una ristrutturazione della Missione i missionari si prefiggono, da parte loro, un preciso itinerario:

- in primo luogo, il passaggio da un tipo di missione, fondata e incentrata unicamente sulla figura del missionario, ad un altro che sia invece espressione di tutto il popolo di Dio;

- in secondo luogo, il passaggio da un tipo di Missione che trova la sua unica ragion dÂÂ’essere in sé stessa, ad un altro aperto alla Chiesa locale, verso la quale si orienteranno sempre più le nuove generazioni e, presumibilmente,  quanti intendono rimanere in Germania e desiderano inserirsi nella comunità locale;

- il passaggio infine da un tipo di Missione impegnata in attività prevalentemente sociali, a uno che risponda soprattutto alle esigenze fondamentali dellÂÂ’uomo e del cristiano.

Emergenza religiosa e opera di evangelizzazione

Gli anni Ottanta vedono le Missioni impegnate in una azione intesa a rendere gli emigrati sempre più soggetti di pastorale (corsi di teologia per laici, corsi biblici, corsi di catechesi specializzata) e che consenta loro di assumere precise responsabilità nella costruzione di vere comunità di fede. Si completa in questo modo il processo di ristrutturazione della Missione che aveva consentito, nellÂÂ’impostazione pastorale, teorica e pratica, il passaggio graduale: 

  • da un intervento assistenziale ad un'opera di vera e propria coscientizzazione,
  • dalla valorizzazione della struttura in sé alla valorizzazione della persona dell'emigrato,
  • e da unÂÂ’opera di pura sacramentalizzazione a una vera e propria azione di evangelizzazione.

Verso la Chiesa locale i missionari sottolineano una triplice istanza: 

  • la Chiesa è comunione, cioè capacità di dar valore alle diversità e di riferirle allÂÂ’universalità;
  • la Chiesa è missione, cioè capacità di andare verso un «altrove» per comunicare la sua realtà e arricchirsi di nuovi valori;
  • attraverso la comunione e la missione, la Chiesa locale è destinata a diventare sempre più storia di un popolo in cammino.

Emergenza formativa e partecipazione ecclesiale

Sorgevano intanto nuove questioni. Nonostante lÂÂ’importanza data al contatto con le famiglie e alla catechesi sacramentale, si nota la preoccupante mancanza di una formazione cristiana di base, soprattutto degli adulti. Nonostante che i missionari si preoccupassero, spesso appassionatamente, dei problemi del mondo del lavoro, stentava a decollare una vera pastorale operaia; la catechesi dei ragazzi, la cui impostazione veniva spesso contestata dai parroci tedeschi, si dibatte in mille difficoltà strutturali; la pastorale giovanile non riesce a tenere il passo con la anomala evoluzione culturale dei giovani stessi, mentre emergeva una seconda generazione di figli di immigrati, la cui personalità di base era difficile da precisare, e ancor meno da gestire; la partecipazione degli immigrati alla vita e alle attività della missione, infine, rimaneva debole e poco motivata.

Come, dunque, sviluppare una reciproca capacità di apertura al pluralismo delle comunità locali e di quelle immigrate e assicurare contemporaneamente una vera coesione sociale tra queste diverse componenti e, tutto questo, in un periodo di crisi economica e sociale?

Metamorfosi migratoria e rimessa in questione della pastorale specifica

LÂÂ’immigrazione italiana in Germania intanto aveva subìto, negli ultimi venti anni, una notevole trasformazione socioculturale.

Fino alla fine degli anni Sessanta, si trattava di una immigrazione prevalentemente individuale, tendenzialmente provvisoria: gli italiani intendevano lavorare, guadagnare, risparmiare per poi tornare definitivamente in Italia.

Il governo tedesco, da parte sua e per motivi diametralmente opposti, ribadiva lo stesso concetto: "Siete lavoratori ospiti; dopo alcuni anni dÂÂ’esperienza lavorativa in Germania, tornate al vostro paese e lasciate il posto ad altri lavoratori. La Germania infatti non è paese di immigrazione".

Gastarbeiter e Rotation sono state, per molto tempo, le parole dÂÂ’ordine della politica governativa.

La stabilizzazione degli immigrati in Germania - sopraggiunta alla crisi petrolifera e determinata dal notevole incremento del numero delle famiglie - metteva in evidenza il peso crescente della dimensione sociale e culturale delle comunità immigrate, in opposizione a quella puramente economica precedente. Con alcune importanti conseguenze: diminuiva la mobilità della popolazione immigrata (i lavoratori singoli sono molto più mobili); cambiava qualitativamente la domanda di alloggio sociale (in considerazione soprattutto del numero dei componenti della famiglia emigrata); sorgevano, soprattutto da parte dei giovani immigrati, nuove aspirazioni professionali.

Si trattava di calarsi in un contesto completamente nuovo, in cui la popolazione immigrata non era più gestita da istituzioni specifiche (ministero dellÂÂ’Interno, del Lavoro, ecc.) ma dallÂÂ’insieme delle componenti pubbliche e private della società, che riguardavano ad esempio l'alloggio sociale, il tempo libero, la scuola, la sanità, la giustizia. Tutte queste istituzioni dovevano ora rivedere i modelli sui quali avevano «codificato» e normalizzato i rapporti sociali.

 Anche dal punto di vista pastorale, sorgeva un grosso problema: della «missione cattolica italiana», cioè di questa istituzione specifica, che ne sarà in futuro? Come configurarne struttura, composizione, finalità, alla luce di sempre nuovi cambiamenti, davanti ai quali l'evoluzione delle nostre comunità mettevano le missioni cattoliche?

Nuovi problemi e scelte pastorali

Altri mutamenti sociali, negli anni Ottanta e Novanta, intanto cambiavano sensibilmente il volto della nostra immigrazione.

Nella nuova situazione, le missioni privilegiano la cura della famiglia immigrata, considerata come piattaforma, punto di partenza e di riferimento di una ricomposizione pastorale. LÂÂ’obiettivo era di formare dei nuclei comunitari come luogo privilegiato per unÂÂ’esperienza di fede (Parola di Dio) e di comunione (sacramenti), finalizzata alla missione (carità), in vista di una pastorale specifica sempre più integrata in quella della Chiesa locale.

Si trattava di una nuova visione teologico-pastorale che si imponeva sempre più, sotto la spinta del Concilio e sotto lÂÂ’influsso del Sinodo tedesco.

Rimanevano però elementi di incomprensione con la Chiesa locale: la posizione giuridica non sempre chiara allÂÂ’interno delle singole diocesi; la mancanza di rapporti con il vescovo locale; la scarsa partecipazione dei missionari agli incontri con il clero tedesco; i numerosi punti di attrito circa lÂÂ’uso delle chiese, delle sale parrocchiali e delle collette.

Verso un Progetto Pastorale ÂÂ…

Al di là di queste tensioni, tuttavia, i missionari elaborano un Progetto Pastorale allo scopo di formare delle autentiche comunità di lavoro nelle missioni, reimpostare unÂÂ’opera capillare e qualificata di catechesi, curare la formazione dei genitori in vista dell'educazione alla fede dei figli.

Tale progetto si articolava su alcuni capisaldi: una maggiore attenzione ai principali problemi degli immigrati, in particolare, a livello sociale, a quelli del mondo del lavoro, della famiglia, della scuola; il primato dell'evangelizzazione, a livello pastorale; e, a livello ecclesiale, una sempre più convinta pastorale di comunione con la Chiesa locale.

La costruzione di vere comunità di fede verrà costantemente perseguita dai missionari con una lunga serie di iniziative:

a. essi riscoprono anzitutto la religiosità popolare e riprendono  alcune tipiche tradizioni meridionali legate soprattutto alla Passione, alla Natività e alla devozione mariana (pellegrinaggi, rosario);

b. le celebrazioni liturgiche diventano più vive e partecipate;

c. la formazione catechistica si adegua sempre più ai programmi in uso nelle scuole tedesche;

d. si ricerca una sempre più appropriata catechesi sacramentale per i ragazzi della seconda e terza generazione;

e. viene incentivato il coinvolgimento nelle strutture di partecipazione (consigli pastorali, gruppi giovanili e associazioni laicali);

f. si organizzano particolari corsi e incontri di formazione religiosa (biblica in particolare) per rispondere al proselitismo delle Sette.

In questo processo di rinnovamento spirituale, le missioni diventano luoghi in cui lÂÂ’appartenenza alla Chiesa è sempre più profondamente sperimentata e vissuta, e in cui i cristiani sono gradualmente portati a una fede personale e allÂÂ’assunzione di responsabilità comunitarie.

La cosiddetta fase della "identificazione culturale", nella quale le missioni avevano pure giocato un loro specifico ruolo storico, cedeva via via il passo alla nuova fase di comunione delle nostre comunità nella Chiesa locale, superando l'antico concetto di integrazione, intesa come semplice assimilazione o germanizzazione. Si era presa coscienza che le odierne società sono, di fatto, diventate pluralistiche e che la presenza di minoranze etniche costituisce la grande occasione per la costruzione di comunità plurietniche e interculturali.

Con questo progetto le Missioni raggiungevano un importante obiettivo nel processo di formazione di un solido tessuto comunitario, in vista della creazione, con e nella Chiesa locale, di quel dinamismo unitario, sorto dalla Pentecoste, nella varietà dei linguaggi e delle espressioni culturali.

ÂÂ… in una rinnovata visione ecclesiale

Il progetto di una piena comunione con la Chiesa locale peraltro non sarà mai un processo pienamente realizzato: esso passerà anzi attraverso fasi, a volte amare, dei vicendevoli rapporti. La Chiesa tedesca, a più riprese, aveva avanzato non poche perplessità nei confronti delle Missioni: il loro salto «qualitativo» infatti - secondo alcuni pastoralisti tedeschi - aveva portato a unÂÂ’organizzazione pastorale molto simile ("quasi parallela", era l'accusa) a quella delle parrocchie tedesche, quasi fossero una chiesa nella Chiesa.

Altri interrogativi intanto erano sorti, come ad esempio: quali formule giuridiche dovevano essere messe in atto, in vista di una vera unità tra cattolici tedeschi e cattolici di altre nazionalità? Con il diradarsi degli immigrati cattolici, soprattutto nelle zone periferiche, quale futuro si poteva prevedere per le missioni linguistiche nella prospettiva di una simile diaspora? Il servizio sociale, che tendeva a diventare sempre più globale e inclusivo, come poteva e doveva organizzarsi in funzione di unÂÂ’immigrazione che ora aveva certamente meno problemi immediati di assistenza spicciola, ma che presentava a volte gravi disfunzioni a livello psicologico e culturale? E come ripensare lÂÂ’azione pastorale nei confronti di molti immigrati, soprattutto della seconda e terza generazione, che intendevano stabilirsi definitivamente in Germania?

Ben diversi interrogativi e preoccupazioni provenivano invece dagli operatori pastorali tedeschi, a partire dalla concezione che stava alla base della politica migratoria del Governo federale. LÂÂ’immigrazione era considerata un "incidente di percorso": tanto valeva dunque assimilare coloro che intendevano rimanere. Le missioni linguistiche avevano fatto il loro tempo e dunque erano destinate unicamente agli immigrati della prima generazione, provvisori e psicologicamente indecisi.

Anche i missionari d'altronde erano convinti, che le missioni linguistiche svolgevano sì, un servizio specializzato della e nella Chiesa particolare, ma anche che le stesse non esaurivano lÂÂ’azione della Chiesa locale nei confronti degli immigrati.

Una società pluriculturaleÂÂ… 

Gli anni Novanta intanto si aprivano con un fatto nuovo e imprevisto, la caduta del Muro. Contestualmente si aprivano anche le frontiere verso lÂÂ’Europa orientale, da dove incominciavano ad affluire nuove ondate migratorie.

La Germania si trasformava gradualmente in una società plurietnica, pluriculturale e plurireligiosa.

La Chiesa tedesca si apre progressivamente al mondo multietnico degli immigrati, si confronta con la pluralità delle culture, lingue, razze e religioni, ne riconosce le diversità e si sente chiamata a ricomporle in una comunità cristiana sempre più integrata.

Anche le missioni etniche e le comunità degli immigrati, in quanto «porzione del popolo di Dio», sentono la necessità di vivere in modo nuovo la propria fede e la memoria della propria tradizione cristiana nella nuova situazione socioculturale e di non isolarsi, col rischio di creare una Chiesa marginale nella Chiesa locale. La pastorale delle Missioni viene orientata non più sulla diversità culturale degli emigrati, ma sempre più sulla coscienza del loro valore perché diventino corresponsabili, nella Chiesa locale, con gesti e iniziative (festività religiose, feste popolari ecc.) che coinvolgano la popolazione del luogo.

I missionari sentono sempre più urgente la necessità di educare gli emigrati ad essere Chiesa dappertutto e a creare luoghi di unità allÂÂ’interno della stessa Chiesa locale.

 ÂÂ…nell'unica comunità ecclesiale

Il cammino e lÂÂ’evoluzione sociale ed ecclesiale dellÂÂ’immigrazione italiana in questi ultimi cinquant'anni ha condotto le Missioni alla fine dell'ultimo decennio ad una nuova visione ecclesiale e a una decisiva svolta pastorale. Chiesa locale e missioni linguistiche sono chiamate a formare un'unica comunità, o meglio una «comunità di comunità».

Il numero degli italiani in Germania, circa settecentomila, è rimasto grosso modo quello di ventÂÂ’anni anni fa, ma i 104 missionari (di cui 39 hanno più di sessantÂÂ’anni) sono calati di un terzo; nei prossimi dieci anni si prevede un'ulteriore riduzione del 35%, fin quasi a dimezzarsi. Diverse Missioni sono, ormai da tempo, vacanti e altre sono state definitivamente chiuse.

I più recenti convegni nazionali hanno preso atto dei mutamenti avvenuti: per il prossimo futuro, si ipotizza, da una parte, una certa continuità delle missioni etniche, quanto meno nei grossi agglomerati urbani e, dall'altra, si sollecita la parrocchia locale perché si faccia gradualmente carico dei gruppi cattolici di diversa lingua nel loro territorio. La situazione attuale, accentuata da una sempre più preoccupante carenza di sacerdoti e di operatori pastorali, impone ormai una nuova visione della pastorale, intesa come responsabilità di tutti i membri delle comunità cristiane, in una dimensione interculturale.

Nuove acquisizioni pastorali

Anche lÂÂ’attività pastorale è approdata, gradualmente e in modo speculare, a nuove forme di lavoro, che potremmo così sintetizzare.

Dal punto di vista sociale,  

si è passati da un approccio assistenziale a una vera e propria promozione umana, personale e comunitaria, con alcune importanti istanze:

- a livello delle strutture, la necessità, da parte della missione-istituzione, di diventare, sempre più, vera maestra di vita, centro di animazione sociale oltre che religiosa, struttura di partecipazione, promotrice dÂÂ’azione e proposta di significato;

- b livello delle persone, la necessità, da parte del missionario, di favorire una profonda rivitalizzazione delle strutture stesse della Missione, che favorisca una più ampia partecipazione degli emigrati, i quali, da parte loro,  non intendono più essere cooptati a rincalzo delle strutture ecclesiali, ma desiderano porsi soprattutto a servizio delle persone;

Dal punto di vista culturale, 

i missionari hanno preso atto dell'evoluzione della comunità italiana con tutta una serie di trasformazioni:

- dai bisogni immediati, individuali e familiari (lavoro, abitazione), a esigenze di carattere soprattutto culturale, come il problema della salvaguardia della propria identità, di una più adeguata organizzazione dei programmi scolastici, l'esigenza di una partecipazione più attiva e responsabile alla vita comunitaria;

- da una integrazione puramente funzionale allÂÂ’economia, alla esigenza di una più attiva partecipazione nelle strutture sociopolitiche ed ecclesiali. Anche la crescita delle organizzazioni degli emigrati e del loro ruolo di partner sociali con spazi autonomi di intervento è un dato ormai ampiamente acquisito.

- Nella prospettiva di una permanenza stabile di buona parte degli emigrati italiani è importante approfondire la natura sempre più multietnica e multinazionale della società tedesca ed elaborare riflessioni aggiornate su nozioni come cultura, tradizione, identità, comunicazione, che permettano di precisare i meccanismi in atto nellÂÂ’incontro tra culture e nazioni.

Dal punto di vista religioso, 

si sottolinea la necessità di passare da una pastorale "tradizionale" (aspettare cioè le richieste degli emigrati e soddisfarle alla meno peggio) ad una pastorale maggiormente centrata sullÂÂ’offerta e proposta di valori, sui quali fondare una vita cristiana autentica.

La riflessione e lÂÂ’azione dei cristiani devono privilegiare in modo particolare il terreno della vita quotidiana (scuola, abitazione, quartiere, luogo di lavoro, rapporti con lÂÂ’amministrazione, tempo libero), là dove cioè i gruppi di emigrati vivono fianco a fianco con la popolazione locale. La precarizzazione, la discriminazione e la xenofobia si manifestano infatti soprattutto là dove si svolge la vita di ogni giorno .

Le comunità cristiane locali, infine, sono chiamate a individuare, a contatto con gli emigrati, le convergenze e le solidarietà profonde tra gli uomini, riscoprendo una stessa vocazione nata da una comune appartenenza allÂÂ’umanità, al popolo di Dio e al suo Regno, che la Chiesa non può circoscrivere né tanto meno monopolizzare.

Problemi aperti

Alcuni problemi rimangono tuttora insoluti. Ne accenniamo i più importanti.

Dal punto di vista sociale, 

la persistente fragilità giuridico-sociale dellÂÂ’emigrato, che rimane sostanzialmente confinato in un ruolo prevalentemente economico e produttivo: parcheggiato in unÂÂ’area di neutralità sociale e politica, senza diritto di partecipazione effettiva alla vita amministrativa, rischia di far saltare e compromettere tutti i processi avviati per la sua formazione e maturazione umana e sociale. Il problema dei diritti fondamentali dellÂÂ’uomo immigrato (diritto alla sicurezza, alla famiglia, alla casa, al posto di lavoro, alla scuola per i figli, alla libertà di espressione, alla partecipazione sociale e politica) costituirà un capitolo mai sufficientemente approfondito e una istanza mai compiutamente realizzata nell'azione pastorale dei missionari.

Dal punto di vista culturale, 

la tipica situazione dellÂÂ’emigrato - quella cioè di «corpo estraneo» nel tessuto sociale in quanto minoranza culturale, senza un preciso ruolo nella società di accoglienza - diventa la spia del problema più generale, che riguarda tutte le persone, nella società tedesca, oggetto di emarginazione e soggette a profonde disuguaglianze.

E' necessario inoltre individuare il raccordo tra famiglia, seconda generazione e società ospitante: come curare la seconda generazione senza trascurare la prima? Quali gli strumenti di approccio specifici? È davvero proficuo il discorso sulla seconda generazione, senza la preoccupazione di creare quegli spazi comunitari che diano spessore, dignità e capacità culturale alla famiglia? Il ritenere ormai incurabile la prima generazione, come vogliono le politiche dÂÂ’integrazione, non potrebbe togliere il terreno sotto i piedi alla stessa seconda generazione?

Dal punto di vista religioso-ecclesiale

nella ricerca di una nuova configurazione della missione, è necessario affrontare alcuni problemi: come può la missione cattolica rinnovarsi non tanto mutando le sue strutture, ma scoprendosi soprattutto come figura di base della Chiesa, in cui si sviluppi una effettiva partecipazione dei fedeli? Come articolare concretamente lÂÂ’istanza di una proposta evangelica, che miri a far sperimentare allÂÂ’emigrato, nel suo contesto culturale, la fraternità, la solidarietà, la corresponsabilità in una Chiesa che egli riconosca come sua? Più semplicemente, come promuovere nellÂÂ’emigrato un autentico spirito di appartenenza ecclesiale ovunque egli si trovi?

3. I capisaldi della pastorale migratoria

Nei confronti degli emigrati

 I convegni delle Missioni hanno privilegiato alcune scelte che riguardano, in particolare, il mondo operaio, la famiglia, e il mondo giovanile.

Pastorale operaia

Accanto alla formazione di una chiara coerenza cristiana, è necessario aggiungere una coerenza che rifiuta la separazione dei cristiani dallÂÂ’impegno del movimento operaio per una trasformazione della società, e faccia propri i valori di libertà, uguaglianza, solidarietà.

Unificare questa scelta cristiana con la scelta del mondo operaio in una sintesi e testimonianza vitale, è un compito esigito da una autentica testimonianza

Pastorale familiare

Nel passato le Missioni hanno privilegiato soprattutto la pastorale infantile. LÂÂ’attenzione alla famiglia, nel suo insieme, è destinata però a diventare uno degli impegni dominanti della pastorale migratoria, perché la famiglia si rivela, sempre più, di una necessità vitale, in un contesto sociale in cui, soprattutto oggi, la sua funzione educativa è profondamente minacciata.

Secondo i missionari è urgente suscitare lÂÂ’iniziativa dei genitori, coinvolgendoli anzitutto nel rapporto catechesi-famiglia. Negli incontri di preparazione sacramentale dei figli, prevale ancora una preoccupazione puramente esortativa e pedagogica. È necessario accelerare la revisione di alcune strutture - prime fra tutte quelle riguardanti la preparazione al battesimo, allÂÂ’eucarestia, alla cresima e al matrimonio - perché i tempi di catechesi e preparazione a questi sacramenti possano trasformarsi in veri itinerari di fede dei genitori.

Ma affermare lÂÂ’urgenza del rapporto con i genitori non è ancora sufficiente se non si prospetta ai genitori stessi la necessità di riprendere lÂÂ’iniziativa della educazione alla fede dei loro figli. Essi infatti non saranno mai in grado di inculcare nei propri figli il senso cristiano come significato fondamentale dellÂÂ’esistenza, se non faranno essi stessi lÂÂ’esperienza del suo valore.

Pastorale giovanile

Fare pastorale giovanile non significa cercare di catturare i giovani con espedienti, sia pure validissimi, a livello umano. Significa soprattutto purificare una fede, in cui le immagini religiose, legate alla cultura dei genitori, vivono spesso senza forza di convinzione e senza tradursi in pratica religiosa, e andare loro incontro con proposte che rispondano ai loro bisogni, in riferimento soprattutto ai grandi temi della libertà, della solidarietà, della pace, della vita, dellÂÂ’amicizia.

L'aggancio con la Chiesa locale, in proposito, potrebbe essere facilitato dai molteplici valori che, sul piano sociale, i giovani italiani condividono con i giovani tedeschi , coi quali condividono pure numerosi i problemi nello stesso ambiente di vita e di lavoro. I giovani sono disponibili per esperienze di base concrete: devono però essere provocati. Due, secondo i missionari, sono le istanze, particolarmente importanti, per una efficace pastorale giovanile: preparare e disporre di personale qualificato e puntare alla formazione di animatori tra i giovani stessi.

Nei confronti dell'attività missionaria  

La riflessione sul modo e i risultati della pastorale dei sacramenti ha condotto i 

missionari alla necessità di ripensare in modo particolare tutta lÂÂ’impostazione anzitutto della catechesi, evidenziando alcuni elementi:

  • il «ministero della parola» non si configura primariamente come semplice «trasmissione di una dottrina», ma è piuttosto «buona novella», kerigma, annuncio profetico;
  • lÂÂ’atto di fede va inteso soprattutto come conversione;
  • la vita stessa della comunità di fede deve porsi come elemento che annuncia ed evangelizza.

Nei confronti della figura del missionario

Occorre coraggio. Costruire una Chiesa più partecipata non sarà mai un problema tecnico. Ciò che è messo in discussione infatti è la vita del missionario, il suo ruolo, il suo tempo, le sue energie. È quindi, fondamentalmente, un problema di conversione.

Nella prospettiva che abbiamo delineato emerge chiaramente una nuova figura del missionario. Grazie a una riflessione biblica appropriata e ad alcuni impulsi emersi dal Concilio, si è imposta una nuova specificità del prete: la sua funzione di pastore guida della comunità, che sottolinea, come valore primario, il rapporto diretto con le persone. Il concetto e la funzione di guida richiamano, a loro volta, altre istanze e compiti quali il servizio, lÂÂ’ascolto, la partecipazione, che mettono a nudo la necessità di una continua conversione della vita sacerdotale e pastorale del missionario.

Nei confronti della struttura della Missione

 Tale disegno comporterà necessariamente, anche una ristrutturazione della Missione, seguendo alcuni criteri orientativi che potrebbero fondarsi su alcuni presupposti:

il superamento della mentalità sacramentalizzatrice, allÂÂ’eccesso, che presuppone una continua ricerca teologica e una costante revisione di metodi e di contenuti dellÂÂ’evangelizzazione stessa, in modo da renderli più intelligibili e significativi nel contesto migratorio;

lÂÂ’acquisizione di un concetto di evangelizzazione, che garantisca allÂÂ’emigrato la capacità di percepire la parola di fede come realtà legata allÂÂ’appartenenza ecclesiale, la quale si concretizza, a sua volta, nella formazione di piccole comunità di fede veramente fraterne. In questo modo, lÂÂ’annuncio del Vangelo e la costruzione della Chiesa cessa di essere compito esclusivo del missionario per diventare un impegno non solo del singolo ma di tutta la comunità, dove la fede è vissuta e testimoniata in un dialogo aperto e fraterno e dove il ruolo del sacerdote si trasforma gradualmente da "dirigente" ad animatore della comunità stessa;

il recupero infine di un aggancio più vitale con la gente emigrata, soprattutto nei momenti in cui le persone percepiscono maggiormente la dimensione di popolo, come nelle manifestazioni di religiosità popolare. Il fatto di un risveglio di tali manifestazioni, oggi, ci conferma che nellÂÂ’azione pastorale bisogna partire da dove la gente si trova, non da schemi precostituiti o da modelli prefabbricati. È la gente che, una volta messa in movimento e a confronto con la Parola di Dio, costruirà la Chiesa come sacramento dellÂÂ’amore salvifico di Dio.

Nei confronti della Chiesa particolare

Dalla storia delle Missioni, i missionari hanno preso coscienza del ruolo di mediazione che essi sono chiamati a svolgere nei confronti della Chiesa particolare. E' necessario, da una parte, configurare sempre meglio la concezione di una pastorale specifica per i migranti e, dallÂÂ’altra, lavorare perché questa diversità e questa specificità siano riconosciute dalla Chiesa particolare.

E' importante, in proposito, trovare, a livello parrocchiale, diocesano e sovradiocesano, strumenti e canali per una informazione puntuale e sistematica, che non si limiti a una semplice segnalazione delle iniziative che si prendono o allÂÂ’invio di resoconti annuali, ma ne evidenzi anche le motivazioni, i metodi di lavoro, il supporto teologico.

Solo a queste condizioni i missionari saranno in grado di sensibilizzare e coinvolgere la Chiesa particolare nei problemi degli emigrati. Questo settore coinvolge ovviamente anche la Chiesa dÂÂ’origine, che deve sentire la necessità di provvedere personale preparato. Un gruppo di emigrati e di missionari come quello in Germania, superiore per numero di fedeli e di operatori pastorali a molte diocesi italiane, non può essere abbandonato allÂÂ’insegna dellÂÂ’emergenza.

Anche il problema della comunione con la Chiesa particolare esige di essere estrapolato dalle affermazioni di principio e di essere calato in iniziative concrete ed esemplari. Ci preme qui sottolineare, nella prospettiva pastorale che abbiamo tracciato, che unÂÂ’autentica esperienza comunitaria di fede e di appartenenza ecclesiale non può non liberare energie nuove per costruire legami e iniziative di comunione con la Chiesa particolare di accoglienza. La fine di una marcata centralizzazione della Missione deve indurre il missionario a non considerarsi come lÂÂ’unico ed esclusivo animatore di una trama di contatti e iniziative con le parrocchie tedesche.

Conclusione

Abbiamo voluto appositamente circoscrivere, nel presente contributo, l'esame delle scelte pastorali delle Missioni Cattoliche Italiane, rapportate alle situazioni e a passaggi socioeconomici e culturali, che hanno caratterizzato via via la nostra emigrazione in Germania.

Tale esame ha evidenziato come, partendo dalle esigenze fondamentali dell'uomo emigrato, l'itinerario pastorale delle missioni cattoliche italiane in Germania è gradualmente approdato all'esigenza di formare con la Chiesa locale un'unica comunità. Questa ci sembra l'istanza più importante che le Missioni sono chiamate a realizzare nella e con la Chiesa che è in Germania.

Missioni etniche e parrocchie tedesche sono chiamate a scoprire i segni particolari offerti oggi dal fenomeno migratorio, che emergono, giorno dopo giorno, non senza reazioni e contrasti.

Si tratta di un comune impegno, che va molto al di là di una pura "alleanza strategica" o di una semplice integrazione della pluralità nellÂÂ’unità della Chiesa. LÂÂ’unità tra missione (per gli stranieri) e parrocchia territoriale (per i residenti) non è solo il riconoscimento del rispettivo lavoro che si compie per il regno di Dio, ma è soprattutto comunione di atteggiamento, di messaggio, di progetto e di soggetti. Si tratta di evangelizzare una società nuova, che emerge con fatica dallÂÂ’emigrazione, inculturando in essa lÂÂ’unico annuncio del regno di Dio.

La visione religiosa del mondo e della vita, tipica di emigrati che vengono prevalentemente dal Sud, una volta purificata e personalizzata dalla fede, è forse il dono più prezioso che essi possono offrire ai tedeschi che li accolgono, i quali, a loro volta, potrebbero ricambiarlo valorizzando le loro peculiari caratteristiche, come il convinto senso di responsabilità, il coraggio delle scelte personali e l'eccellente organizzazione sociale.

 Tra cinquantÂÂ’anni, - si dice - la società, in Germania, sarà formata da cinquanta milioni di cittadini dÂÂ’origine tedesca e da una trentina di milioni di cittadini dÂÂ’origine non tedesca.

Anche la Chiesa che è in Germania avrà – si pensa - una composizione analoga. Se ne dovrebbe già tener conto, per mettere in luce i valori che ogni nazionalità dovrebbe sviluppare, per porre le basi, oggi, della Chiesa di domani.
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