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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - Supp. N° 93,  December 2003, pp. 289-290

Italia

Rev. Mons. Piero GABELLA

Direttore Nazionale UNPReS

Considerata la brevità del tempo a disposizione (5 minuti) sarò costretto a scegliere fra i punti da trattare quello che, a mio avviso, preme con più urgenza perché è anche premessa affinché tutto il resto vada a buon fine.

Il clima generale. In Italia, come penso in tutte le Chiese del mondo, vi sono persone ammirevoli per il loro disinteressato impegno in favore dei popoli “Zingari” i quali sono prototipo di ogni diversità. È convinzione degli operatori pastorali di questo settore che l’azione talvolta eroica dei singoli, se non è supportata dalle comunità ecclesiali e dalla comunità sociale, rimane un bell’esercizio di virtù per vite sante.Ai fini della evangelizzazione e della armonizzazione sociale di gruppi al margine, tutto questo sforzo vale poco o nulla. È il sentire di una società nel suo insieme che permette di far fruttare il lavoro dei singoli. Orbene, da noi in Italia (ma penso sia un po’ così in tutta l’Europa), da parecchi anni si sta realizzando un cammino di degrado culturale e di civiltà espresso con realismo nel linguaggio e spesso anche in scelte amministrative e politiche. Ha colto bene questa situazione uno Zingaro che un giorno mi confidava: “Da un po’ di tempo in qua la gente si permette di dire cose che una volta si sarebbe vergognata solo a pensarle”. Si riferiva ad espressioni di personaggi pubblici che davano il via libera anche al modo di esprimersi di comuni cittadini. Senza remore, si formulano giudizi su Zingari ed extracomunitari tali da ledere gravemente la dignità stessa delle persone appartenenti a queste minoranze. Un fatto questo che è sotto gli occhi di tutti e quindi inconfutabile ma è sentito in modo più vivo e bruciante da chi, avendo da decenni condiviso la vita con queste popolazioni, ha sperimentato il graduale cambiamento e l’insopportabile livello di grossolanità raggiunto in questi ultimi tempi.  

Il silenzio assordante. Tutti, o quasi, gli operatori pastorali sono dei mandati dalla Chiesa. Essi, in forza del loro Battesimo, hanno compiuto un atto di fede riconoscendo a queste minoranze la dignità di veri credenti. Essi sono figli di Dio, redenti da Cristo e, per l’effusione dello Spirito, capaci di ricevere il Vangelo e a loro volta hanno il diritto di riannunciarlo secondo le loro caratteristiche e la loro cultura. Da qui ne scaturisce, oltre il fatto di essere persone umane, che la loro dignità è e resterà inalienabile. Per difenderla, ogni credente in Cristo dovrà lottare fino in fondo pena la perdita della propria identità di fede. Purtroppo dobbiamo registrare, con profonda sofferenza, che molte comunità parrocchiali si sono velocemente adeguate alla società civile nel perdere questa preziosa sensibilità accodandosi a ottuse generalizzazioni. Esse danno sfogo a reconditi sentimenti che spesso denotano, facendolo emergere da un profondo inconscio non purificato, un vero e proprio razzismo. La maggioranza fa silenzio forse per disinteresse o forse anche per lasciare ad altri il compito di portare avanti un lavoro ritenuto sporco ma doveroso. Un silenzio che non solo lascia in solitudine ed isola “le persone di buona volontà” ma vanifica anche la loro testimonianza. Essi stessi, i testimoni della fede, appartengono a quelle comunità che compiono un’ opera di rigetto ben più efficace della loro testimonianza, diffondendo una corrosiva indifferenza. Gli indifesi, i socialmente deboli si aspettano dalla Chiesa parole forti e chiare senza titubanza alcuna, senza “se” e senza “ma” nel difendere i loro sacrosanti diritti. Loro non hanno voce, non hanno strumenti adeguati a portare l’attenzione della società sulle loro sofferenze, sulla loro esclusione. Quando la Chiesa è indecisa o peggio tace, in questi ambienti si sente un silenzio che diviene giorno dopo giorno più assordante perché capace di soffocare ogni speranza per il futuro.

Un futuro più impegnativo. La presenza “Zingara” nell’Europa dell’Ovest, se confrontata con le percentuali dei Paesi dell’Est, attualmente è composta da numeri molto bassi. Le frontiere, grazie a Dio, si vanno via via dissolvendo e migrazioni future (le prime sono già iniziate) cambieranno le percentuali anche da noi. Siamo convinti che il futuro metterà a dura prova la nostra Fede per realizzare con scelte concrete quanto abbiamo costantemente annunciato nei principi. È necessaria una preparazione impegnativa e reale. Arrivare impreparati all’appuntamento della storia sarebbe come porci in una situazione di debolezza che sfocerebbe inevitabilmente nel lasciare che si creino le condizioni per aprire le porte ad un nuovo Olocausto.
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