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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL SUMMIT DELLE NAZIONI UNITE PER L'ADOZIONE DELL'AGENDA PER LO SVILUPPO POST 2015

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO PAUL RICHARD GALLAGHER,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI

New York
Sabato, 26 settembre 2015

 

Distinti Co-presidenti, la Santa Sede desidera congratularsi con la Comunità internazionale per aver adottato l’Agenda per lo Sviluppo Post 2015. In realtà, «l’adozione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile durante il vertice mondiale (...), è un importante segno di speranza» (Papa Francesco, Discorso all’Organizzazione delle Nazioni Unite, New York, 25 settembre 2015).

La Santa Sede apprezza che il punto focale dell’Agenda sia lo sradicamento della povertà e della fame, basato sulla centralità della persona umana e il relativo impegno per assicurarsi che nessuno sia escluso. Ieri, Papa Francesco ci ha ricordato che «l’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente» (ibidem). L’Agenda 2030 dovrebbe sorgere — ha detto il Papa — «su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati (...). La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata» (ibidem).

In tal modo, i pilastri dello sviluppo umano integrale: «abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà di spirito ed educazione (...). Questi pilastri (...) hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana» (ibidem).

L’Agenda 2030 per lo sviluppo potrà essere efficace e pratica se fornirà accesso immediato, da parte di tutti, ai beni materiali essenziali e il rispetto della libertà di ognuno a conseguire i beni spirituali essenziali.

Che la povertà abbia molte forme significa che lo sviluppo sostenibile non può essere concepito né misurato in termini meramente economici e statistici. Vari aspetti dell’Agenda 2030 appartengono all’attività umana come tale, e per questa ragione essi implicano una dimensione etica con attenzione ai valori spirituali, morali e religiosi (cfr. La posizione della Santa Sede, parte III Comitato preparatorio della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, Rio de Janeiro, 13-15 giugno 2012; cfr. Benedetto XVI, enciclica Caritas in veritate, nn. 36 e 37), in particolare quelle «categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano» (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n. 11).

Per il nostro stesso bene e per quello delle future generazioni, abbiamo bisogno di modelli di sviluppo che non compromettano la dignità umana e la salute del nostro ambiente. Nelle parole di Papa Francesco, «dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli» (Papa Francesco, Discorso all’Organizzazione delle Nazioni Unite, New York, 25 settembre 2015).

Il numero e la complessità dei problemi richiedono che possediamo strumenti tecnici per misurare i progressi. Ma vi sono due rischi. Da una parte, potremmo essere semplicemente soddisfatti con «l’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi — mete, obiettivi e indicazioni statistiche» (ibidem). Dall’altra, potremmo deludere noi stessi nel pensare che «un’unica soluzione teorica e aprioristica darà risposta a tutte le sfide» (ibidem). Alla fine, non si deve mai dimenticare che l’azione politica ed economica è un’attività prudenziale, «guidata da un concetto perenne di giustizia e che tiene sempre presente che, prima e al di là di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai governanti, che vivono, lottano e soffrono, e che molte volte si vedono obbligati a vivere miseramente, privati di qualsiasi diritto» (ibidem).

Distinti Co-Presidenti, è ampiamente riconosciuto che raggiungere ciascuno dei diciassette Obiettivi di sviluppo sostenibile, e i relativi traguardi sia una sfida formidabile. Dobbiamo evitare di stornare risorse preziose dal perseguimento degli obiettivi fondamentali. A tale proposito, la Santa Sede ha già chiaramente fatto presente e sono agli atti le proprie riserve riguardo ad alcuni traguardi come pure a certe formulazioni.

Distinti Co-Presidenti, nell’adottare questa Agenda, la comunità internazionale ha scelto la solidarietà al posto dell’egoismo: solidarietà con gli esclusi di oggi, solidarietà con i poveri di domani, solidarietà con le generazioni future.

La famiglia, cellula naturale e fondamentale della società, è l’agente primario di uno sviluppo sostenibile, e pertanto il modello di comunione e solidarietà fra nazioni e istituzioni internazionali. Un’attenzione condivisa per la famiglia e i suoi membri è un sicuro contributore alla riduzione della povertà, a migliori risultati per i figli, all’uguaglianza fra ragazze e ragazzi e fra uomo e donna, come pure a un migliorato equilibrio fra lavoro, famiglia e riposo, un vincolo più forte intra e inter-generazionale. Ci farà bene il non dimenticare l’ampia evidenza che le politiche favorevoli alla famiglia — incluso il rispetto della religione e il diritto dei genitori a educare i figli — contribuiscono in maniera efficace al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo, incluso il coltivare società pacifiche.

La solidarietà e la cooperazione non sono dei meri sentimenti; perché siano genuini, debbono spingerci all’azione. Perciò la nostra scelta deve significare la volontà di mobilitare le risorse necessarie per realizzare il nostro impegno. Deve implicare capacità costruttive nei Paesi più poveri nelle prime fasi per assicurare il successo. Deve significare il condividere con i Paesi poveri le conoscenze tecniche che li possono aiutare a emancipare la loro gente dalla povertà estrema, senza gravare sui Paesi sviluppati. Deve significare, da parte di tutti, la giustizia, lo stato di diritto, un forte impegno a combattere la corruzione e un genuino spirito di servizio a favore del bene comune.

Di conseguenza, mentre ci impegniamo a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, dobbiamo partire dalla convinzione della «nostra comune origine, [della] nostra storia, [del] nostro destino comune» (Ibid). Siamo una sola famiglia umana, che ha bisogno l’uno dell’altro, con responsabilità condivise e un destino comune inseparabilmente legato al nostro pianeta, la nostra casa comune della quale tutti ci dobbiamo prendere cura.

Distinti Co-Presidenti, desidero concludere parafrasando un passaggio della Costituzione Pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, soprattutto dei poveri e di coloro che soffrono in qualsivoglia maniera, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti noi. Indubbiamente, non vi è nulla di genuinamente umano che debba venir meno per destare una voce nei nostri cuori (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 1). Grazie.