Index

  Back Top Print

INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL'INCONTRO SUL TEMA «IL PLURALISMO RELIGIOSO E CULTURALE
E LA COESISTENZA PACIFICA IN MEDIO ORIENTE»
[ATENE, 18-20 OTTOBRE 2015]

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO PAUL RICHARD GALLAGHER,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI

Atene
Lunedì, 19 ottobre 2015

 

Eccellenze,
Illustri delegati,

Prima di dedicare alcune brevi osservazioni al tema del nostro incontro, vorrei approfittare dell’occasione per esprimere la mia gratitudine al Governo greco per aver organizzato questa Conferenza. È una chiara asserzione che la Grecia, nonostante la crisi economica vissuta negli ultimi anni e le relative sfide che deve affrontare, è consapevole delle sue nobili tradizioni quale culla della democrazia e dei valori essenziali dell’identità europea, nonché di essere la porta e il ponte tra l’Europa e il Medio oriente. Specialmente adesso che la Grecia si trova in prima linea nella crisi umanitaria e di profughi più grande che l’Europa deve affrontare dalla seconda guerra mondiale. Pertanto, questa Conferenza è un’iniziativa importante per fare fronte alla crisi in corso in Medio oriente e dare risposte.

Come sapete, in questi giorni a Roma si sta riunendo il Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica per riflettere sul tema della famiglia nella vita della Chiesa e del mondo. Esso riporta alla memoria l’incontro dell’Assemblea speciale per il Medio oriente del Sinodo dei vescovi, che si è svolta a Roma nell’ottobre 2010. Uno dei frutti più importanti di quell’incontro è stato il documento pontificio, l’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente di Papa Benedetto XVI, da lui firmata durante la sua visita apostolica in Libano nel settembre 2012.

Tra queste due date, in diversi Paesi del Nord Africa e della regione mediorientale abbiamo assistito alle rivolte della cosiddetta “primavera araba”, che aspirava a una nuova era di libertà, democrazia, cittadinanza, giustizia e stato di diritto in tali Paesi. Sotto molti aspetti, quei temi erano già stati anticipati dai vescovi durante il loro incontro a Roma nell’ottobre 2010 e sviluppati da Papa Benedetto in Ecclesia in Medio Oriente. Non ha dunque sorpreso il fatto che il documento pontificio sia stato consegnato in Libano, poiché questo Paese occupa un posto speciale nel cuore dei Papi che si sono succeduti e della Chiesa cattolica. In Libano il cristianesimo è prosperato sin dai primordi: il Libano fa parte del cristianesimo tanto quanto il cristianesimo fa parte del Libano. Nel 1997 Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che «Le Liban est plus qu’un pays, c’est un message», e malgrado le difficoltà, specialmente l’attuale crisi costituzionale, il Libano tuttora continua a dare testimonianza del messaggio che il bene comune di tutti esige la partecipazione e la cooperazione di tutti; che l’armonia e la pacifica coesistenza sono fondate sul rispetto per l’intrinseca dignità di ogni essere umano.

Il messaggio del Libano continua a essere valido per il futuro del Medio oriente e, pertanto, la risoluzione della crisi costituzionale è urgente non soltanto per il Paese, ma per l’intera regione mediorientale.

In questo contesto, dunque, desidero condividere con voi alcune riflessioni che considero essenziali per promuovere la coesistenza pacifica tra i vari popoli e le culture che costituiscono il ricco mosaico del Medio Oriente.

1. Rispetto dei diritti umani e in particolare della libertà di religione e di coscienza

Il rispetto dei diritti umani, e in particolare della libertà di religione e di coscienza, è la strategia più efficace per conseguire il bene comune che è alla base dell’armonia sociale e per rispettare il tessuto stratificato della società in Medio oriente. Un elemento fondamentale del tessuto sociale è la religione con i suoi valori. La libertà religiosa è un diritto umano intrinseco e non è affatto incompatibile con la costruzione di società sulla base della cittadinanza comune, anzi è inaccettabile che persone credenti, a prescindere dalla loro fede, debbano reprimere una parte di sé — la loro fede — per essere cittadini attivi. Nel mondo arabo, i cristiani sono pronti a fare la loro parte di cittadini, al fianco dei loro concittadini musulmani, nel costruire società che rispettino i diritti umani di tutti i cittadini, riconoscendo al contempo che «una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace» (Discorso di Papa Benedetto XVI all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, aprile 2008).

2. Promuovere una cultura di democrazia

Anche se è quasi un luogo comune dire che la democrazia è più che tenere elezioni, ciò è comunque vero. È importante che l’esercizio della democrazia non sia limitato allo svolgimento di elezioni, ma significhi anche sviluppare e promuovere una “cultura di democrazia” che includa lo sviluppo dello stato di diritto, dove tutti sono uguali davanti alla legge, e realizzare istituzioni statali che siano al servizio di tutti i cittadini. Sotto questo aspetto, lo svolgimento di elezioni democratiche è un primo passo importante per stabilire la legittimità degli interlocutori da parte del popolo. C’è tuttavia il pericolo che la democrazia possa legittimare ideologie estremiste e fondamentaliste che rappresentano una minaccia sostanziale non soltanto per le minoranze religiose della regione, come i cristiani, ma anche per la maggioranza dei musulmani nel mondo arabo che cercano istituzioni democratiche basate sulla cittadinanza e sulla partecipazione piuttosto che sull’affiliazione religiosa. Sviluppare una “cultura di democrazia” richiederà tempo, fatica, pazienza ed educazione civica. Richiede anche l’impegno dei leader civili e religiosi al fine di ottenere il rispetto per le libertà fondamentali, come la libertà di religione, la libertà di espressione e così via, quale garanzia delle libertà umane fondamentali, in particolare per le minoranze religiose. Oltre alla necessità di sviluppare una “cultura di democrazia”, occorre affrontare i problemi reali e concreti della disoccupazione e dello svantaggio economico delle masse.

Nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente tale processo è stato definito come “sana laicità”: «La sana laicità [...] significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo — dunque su una sana antropologia — e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe. La sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata» (n. 29).

Uno strumento importante per sviluppare una “sana laicità”, specialmente in Medio oriente, è il dialogo interreligioso. La promozione del dialogo interreligioso, poiché pertinente alla sfera religiosa, è una particolare responsabilità dei leader religiosi. Tuttavia, la società civile e i leader politici possono fare molto per creare gli spazi necessari perché il dialogo interreligioso abbia luogo. Il nostro incontro qui ad Atene è un esempio importante di tale ruolo. Nel promuovere il dialogo interreligioso, i leader religiosi devono fare tutto quanto è in loro potere per favorire l’educazione e la comprensione reciproca, poiché il fondamentalismo religioso prospera su una comprensione difettosa della religione e sulla prontezza di alcuni nel manipolare altri e la religione per ottenere potere, spesso con mezzi violenti. A tale proposito ritengo opportuno evidenziare la Dichiarazione di Atene («Uniti contro la violenza in nome della religione: a sostegno dei diritti di cittadinanza dei cristiani in Medio Oriente», 3 settembre 2015) dello scorso 3 settembre, frutto di un incontro tra leader cristiani e musulmani organizzato dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e dal Centro per il dialogo interreligioso KAICIID a Vienna, al quale ha partecipato anche il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso della Santa Sede. Denunciando la violenza in nome della religione, la Dichiarazione ha invitato tutti i leader e quanti hanno responsabilità politiche a preservare la diversità religiosa e culturale in Medio oriente e a sostenere le iniziative tese a rafforzare il tessuto sociale delle società mediorientali basato sul principio della cittadinanza comune.

Nel condividere con voi alcuni elementi fondamentali della visione della Chiesa cattolica per il Medio oriente, rinnovo il costante appello di Sua Santità Papa Francesco al cuore di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, credenti e non, a lavorare incessantemente per la pace, a rimanere saldi dinanzi agli ostacoli in apparenza insormontabili alla pace in Medio oriente. La pace è sempre possibile perché in Dio tutto è possibile e Dio è la nostra Pace.