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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
IN OCCASIONE DEL XXVIII CONGRESSO NAZIONALE DI MUSICA SACRA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Basilica di San Pietro
Domenica, 26 novembre 2006

 

Abbiamo appena ascoltato questo brano dell'Apocalisse:

"Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen".

Gesù, infatti, è venuto per liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato, da quelle potenze del mondo che spaventano l'uomo e lo costringono a ripiegarsi in una difesa di sé egocentrica: si pensi alla paura della morte o alla paura della vita, della violenza, del fallimento. Il progetto di Dio è l'uomo libero ricondotto alla pienezza della verità e dell'amore: vivendo nell'amore e morendo per amore egli ha vinto la paura della vita e della morte.

Che cosa capita quando "regna" l'uomo con la pretesa di una assoluta autonomia, senza riferimento a Dio, se non addirittura contro di lui, lo sappiamo tutti. I telegiornali ce ne offrono una abbondante razione quotidiana. Il regno dell'uomo è il regno della violenza, dell'egoismo, del dominio.

Quando Pio XI istituì, nel 1925, la festa di Cristo Re, intendeva reagire agli eccessi del laicismo moderno che fa a meno di Dio, ma anche all'atteggiamento di coloro che sono tentati di "servirsi" di Dio per i propri fini mondani. Riconoscere la regalità di Cristo significa operare per la promozione della persona umana e animare di spirito evangelico le realtà temporali, per dare così testimonianza concreta che Cristo, l'uomo nuovo, solidale con la comunità umana, eleva e perfeziona, nel suo mistero pasquale, l'attività degli uomini per una migliore convivenza nella collaborazione, nella fraternità, nella pace.

Anche il creato, le cose di questo mondo - i beni patrimoniali dei figli - (Gen 1, 28ss) - sottratte al dominio di Dio perché usate male, sono come in attesa ansiosa del momento in cui i figli, sfruttandole in tutte le loro possibilità e usando bene di esse, ritorneranno a manifestare in loro la totale sottomissione all'autorità-regalità di Dio (Rom 8, 19-20).

La solennità di Cristo Re ci ricorda, che la nostra esistenza e la storia della nostra vita personale e sociale è un progetto di amore eterno di Dio, che si realizza nel tempo, e che tutto l'universo vivente e inanimato è posto sotto la signoria di Cristo "per mezzo del quale Dio ha creato anche il mondo".

"Cristo alfa e omega", così si intitola il paragrafo che conclude la prima parte della Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, nel quale leggiamo: "Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni".

Questa Basilica di San Pietro, oggi, è il segno tangibile di una comunità umana ricca di valori e di talenti (quelli artistici), che esprime la gioia della fede e dell'amicizia con Dio.

Sono particolarmente lieto, pertanto, di accogliere intorno a questo altare un numero così grande di musicisti, e di amanti della musica liturgica, che partecipano al XXVIII Congresso Nazionale di Musica Sacra.

La musica coopera alla liberazione di quelle energie positive che edificano in terra il Regno di Dio. Grandi artisti si sono dedicati principalmente alla musica - come non ricordare il Maestro Lorenzo Perosi, nella cui memoria voi vi riunite e che ci ha dato opere di altissima ispirazione nel campo della fede. Il "bello" si coniuga col "vero", quando attraverso le vie dell'arte gli animi sono rapiti dal sensibile all'eterno.

Mio papà Pietro, Maestro di musica, mi ha insegnato ad amare la musica di Perosi e mi ha detto: "Quando morirò desidero che mi cantiate la Messa da requiem col sublime Hostias et preces... Così fu che 15 Cori cantarono per lui!

La liturgia non è una cosa che fanno i monaci o i fedeli. Essa esiste già prima di essi, ed è un perenne entrare nella liturgia celeste da sempre in atto. La liturgia terrena è tale solo per il fatto che si inserisce in ciò che già c'è, in ciò che è più grande, che dà senso alla vita. "Mens nostra concordet voci nostrae". Non è l'uomo che si inventa qualcosa e poi lo canta, bensì è il canto che gli proviene dagli angeli. Egli deve innalzare il suo cuore affinché stia in armonia con questa tonalità che gli giunge dall'alto.

Nella Liturgia della Chiesa tante volte ripetiamo il versetto del salmo 137: "Ti voglio cantare davanti agli Angeli". San Benedetto commenta così: "Riflettiamo dunque su come si debba essere e stare davanti alla divinità e agli angeli, e stiamo allora nel nostro canto in modo tale che il nostro cuore sia l'unisono con le nostre voci".

Si potrebbe dire con san Paolino di Nola: "La nostra unica arte è la fede e Cristo è il nostro canto". Vi è infatti uno stretto legame fra musica e fede, fra musica e preghiera. La fede che diventa musica è una parte del processo dell'incarnazione della Parola. A questo proposito cito un bellissimo testo, denso di significato, del Cardinale Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI:

"Il divenire musica della Parola è da un lato incarnazione, un trarre a sé forze prerazionali e metarazionali, che vengono anche rese sensibili; il trarre a sé il suono nascosto del creato, lo scoprire il canto che riposa sul fondo delle cose. Ma così questo stesso divenire musica è anche già la svolta nel movimento: non è soltanto incarnazione della Parola, ma nello stesso tempo spiritualizzazione della carne. Il legno e il metallo diventano suono, l'inconscio e l'indistinto diventano sonorità ordinata, piena di significato" (Ratzinger J., Cantate al Signore un canto nuovo, Jaca Book 1996, p. 148).

Quando l'uomo loda Dio, la sola parola è insufficiente. La parola rivolta a Dio trascende i limiti del linguaggio umano. Per questo motivo la parola chiede aiuto alla musica, il cantare si coniuga alla voce del creato nel suono degli strumenti. Innumerevoli volte la Parola biblica si è fatta immagine, musica, poesia, evocando con il linguaggio dell'arte il mistero del "Verbo fatto carne".

È giusto quindi che ogni attestazione di gioia per tale venuta abbia una sua manifestazione esteriore. Essa sta ad indicare che la Chiesa gioisce per la salvezza. Invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni, affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno (cfr Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente).

Tutta la Bibbia - Antico e Nuovo Testamento - e non solo il libro orante dei Salmi, comprende al suo interno inni, suppliche, ringraziamenti, canti di fiducia. Partiamo dai patriarchi, passiamo attraverso l'avventura dell'esodo dall'Egitto, penetriamo nella terra promessa conquistata, vaghiamo con gli Ebrei esuli "lungo i fiumi di Babilonia", per giungere alle soglie del cristianesimo con il canto del Magnificat di Maria.

Vorrei concludere con le parole di Benedetto XVI al "Philharmonia Quartett Berlin", pronunciate dopo una stupenda esecuzione nella Sala Clementina sabato 18 novembre scorso:

"Vediamo come la musica possa condurci alla preghiera: essa ci invita ad elevare la mente verso Dio per trovare in Lui le ragioni della nostra speranza e il sostegno nelle difficoltà della vita. Fedeli ai suoi comandamenti e rispettosi del suo piano salvifico, possiamo insieme costruire un mondo in cui risuoni la melodia consolante di una trascendente sinfonia d'amore. Anzi, sarà lo stesso Spirito divino a renderci strumenti ben armonizzati e collaboratori responsabili di una mirabile esecuzione in cui si esprime lungo i secoli il piano della salvezza universale".

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