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10° ANNIVERSARIO DELLA RIAPERTURA AL CULTO
DELLA BASILICA PAPALE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Assisi
Domenica, 22 novembre 2009

 

Eminenza, Eccellenza,
Reverendi Padri e Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

E’ sempre motivo di gioia venire ad Assisi e, per un sacerdote, celebrare l’Eucaristia in questa Basilica di San Francesco. La circostanza che oggi ci raduna aumenta ancora maggiormente in me la gratitudine, che esprimo di cuore al Reverendo Custode del Sacro Convento, Padre Giuseppe Piemontese, e all’intera comunità dei Frati Minori Conventuali. Sono lieto di salutare il Legato Pontificio Cardinale Attilio Nicora, che ringrazio di essere presente.

Al Vescovo di Assisi Mons. Domenico Sorrentino, rivolgo un cordiale pensiero per l’impegno paziente e generoso con cui sta conducendo il processo di integrazione pastorale tra tutte le componenti della comunità diocesana. Formulo gli auguri più vivi per l’inizio del secondo anno del “Biennio della missione”. Proprio questo pomeriggio, nella Cattedrale di San Rufino, egli darà il mandato ai sacerdoti, ai religiosi e religiose e ai laici, che nel prossimo Avvento porteranno per le case l’annuncio di Gesù Signore e Salvatore.

Saluto i figli e le figlie spirituali del Poverello e tutti voi, che avete voluto unirvi alla solenne azione di grazie per il decimo anniversario della riapertura al culto di questo tempio, che fu gravemente danneggiato dal tragico terremoto del 1997.

La liturgia odierna, nell’ultima domenica dell’Anno Liturgico, ci invita a celebrare Cristo Re dell’universo, Signore della storia e dei nostri cuori. L’evangelista Marco, nell’arco dell’anno trascorso, con il suo itinerario ci ha sollecitati a metterci nuovamente alla sequela di Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, il quale, con il suo mistero di morte e risurrezione, ci ha donato la salvezza mediante la fede. La prospettiva indicataci dal Signore Gesù è quella di seguirlo fino in fondo sulla strada dell’umiltà e della croce, per poter giungere alla liberazione e all’esaltazione della Pasqua, che sarà completa e definitiva nel giorno del suo ritorno glorioso.

Quel Gesù, che più di una volta si era sottratto alla folla che voleva farlo re, davanti a Ponzio Pilato rivendica per sé il titolo regale, precisando però subito in quale senso paradossale Egli eserciti la sua regalità: essa comincia a realizzarsi pienamente proprio nel momento in cui, agli occhi degli uomini, tutto sembra per Lui irrimediabilmente perduto.

Il dialogo serrato con Pilato, raccontato da san Giovanni nel Vangelo odierno, mette in chiaro che Gesù non è re nel senso umano, politico del termine. La drammaticità della scena, in cui questo dialogo è inserito, mostra il Procuratore romano sottoposto ad una tremenda lotta da sostenere tra l’esterno del Pretorio, dove la folla freme di violenza, odio e corruzione per far dichiarare la colpevolezza di Gesù, e l’interno, nel quale si trova Gesù prigioniero, di cui Pilato è costretto dalla ragione a riconoscere l’innocenza.

La tensione interna a questa scena è da inquadrare in tutto il contesto generale. Per Giovanni non solamente Gesù è il Maestro e Signore che lava i piedi ai suoi discepoli (cfr 13,1-7), ma è da essi contestato, tradito, abbandonato e rinnegato (cfr 18,15-27). Egli è un Re arrestato e legato (cfr 18,12), giudicato e condannato dai capi della sua nazione (cfr 18,35) e dal magistrato pagano (cfr 19,10-16), rifiutato dal suo popolo e posposto a Barabba (cfr 18,39-40); onorato come re da burla con un mantello di porpora e una corona di spine postagli sul capo (cfr 19,2), con scherni e schiaffi (cfr 19,3). Da Pilato fatto sedere di fronte al popolo, nel tribunale, al posto del giudice (cfr 19,13); è pubblicamente proclamato “re dei Giudei” (cfr 19,14-15), ma porta su di sé i segni della dura flagellazione; finalmente, viene intronizzato sulla croce (cfr 19,17-22) e trafitto dalla lancia (cfr 19,37).

Il “buon ladrone” e il centurione romano, con la loro adesione di fede, attestano che Egli, morendo, entra nella vita e dona la vita. La sua risurrezione offre la prova del fatto che Gesù Cristo è realmente il Figlio di Dio, costituito Re dell’universo.

Si è così realizzata la profezia di Daniele, risuonata oggi nella prima Lettura: “il Figlio dell’uomo”, salendo sulle nubi del cielo, lascia la terra per raggiungere “l’Antico dei giorni” e ricevere l’investitura regale che gli conferisce “potere, gloria e regno”, un regno che non avrà fine (cfr 7,13-14). Gesù è il Figlio dell’uomo che doveva essere innalzato sulla croce, ad indicare il primo passo che lo solleva dalla terra al cielo, da questo mondo verso il Padre, che lo attendeva per costituirlo Re del nuovo popolo (Ap 1,4-6).

La seconda Lettura, dal Libro dell’Apocalisse, ci ha ricordato che Egli è “il sovrano dei re della terra” (Ap 1,5), che esercita la sua signoria nella storia e sulla storia, stabilendo un rapporto con gli uomini, in base alla loro scelta a favore o contro “la verità”. “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37) – dice Gesù davanti a Pilato.

Passando da questo mondo al Padre, Cristo, come nuovo Mosè, trascina in un nuovo esodo tutti quelli che si mettono al suo seguito. Egli quindi esercita il suo potere regale per strappare gli uomini alla morte e per introdurli nel regno del Padre, ponendo fine al dominio di Satana, che soggiogava l’umanità con le catene del male e della morte. In questo modo il Figlio di Dio diventa sovrano del nuovo mondo escatologico (cfr Ap 1,6; 5,9-10), attirando gli uomini, con la mediazione dello Spirito Santo, nel suo Regno: “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

A questa sua regalità, Cristo associa la comunità dei credenti, la Chiesa, che, guidata dallo Spirito Santo, è costituita con dignità regale e sacerdotale. Pertanto, la regalità di Cristo, trasmessa a noi attraverso la Croce, continua a manifestarsi al mondo di oggi mediante la Comunità dei redenti, ma sempre nel segno del martirio, della “testimonianza alla verità” (Gv 18,37), in cui si prolunga nei secoli quella del Signore Gesù.

Il Concilio Vaticano II ci ha aiutati a riscoprire l’autentico significato della regalità di Cristo. In Lui il Padre ha realizzato il suo disegno di formarsi un popolo libero dalla schiavitù del peccato, per favorire e raccogliere tutte le risorse e i valori dei popoli, purificandoli, consolidandoli, elevandoli (cfr Cost. Lumen gentium, 13).

In particolare i laici, partecipi della regalità di Cristo in forza del Battesimo, sono chiamati ad operare per la promozione della persona umana, per animare di spirito evangelico le realtà temporali, e dare così testimonianza concreta che Cristo Re è liberatore e salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (cfr Decr. Apostolicam actuositatem, 2).

Cristo, l’Uomo nuovo, solidale con tutti i suoi fratelli, eleva e perfeziona, nel Mistero pasquale, l’attività umana per una migliore, più degna convivenza nella collaborazione, nella condivisione, nella fraternità, nella pace (cfr Cost. Gaudium et spes, 22; 32; 33-39; 77-78; 92-93).

Carissimi fratelli e sorelle, san Francesco d’Assisi aveva ben compreso il mistero della regalità di Cristo, anzi, si era talmente identificato con Lui da ottenere una speciale partecipazione alla sua vita ed alla sua Passione, attraverso i segni che ha portato nel proprio corpo, sino alla fine.

Il Serafico Padre ancora oggi parla agli uomini del nostro tempo, attraverso la luminosa testimonianza di fedeltà radicale al Signore della vita, che gli concesse una singolare capacità di entrare in comunione con tutta la realtà, con i confratelli, con i poveri, con la stessa natura. Francesco si sentiva in intima sintonia con i più poveri, con i quali facilmente si confondeva, perché nel loro volto, nella loro vita e soprattutto nella loro piccolezza e sofferenza, egli vedeva brillare in modo perfetto il volto del Cristo, l’uomo dei dolori che ben capisce il patire di ogni umana creatura.

Oggi, carissimi Frati del Sacro Convento, e cari fedeli devoti del Poverello di Assisi, ricordiamo il decimo anniversario della riapertura di questa splendida Basilica Papale, dopo i poderosi restauri resi necessari in seguito al terremoto. Quando si tratta di “riparare la casa” di Dio, non si può non pensare a Francesco e alla missione che ricevette ai piedi del Crocifisso di san Damiano. Le recenti ricorrenze della grande Famiglia francescana ci invitano a rileggere l’opera compiuta in questo Tempio alla luce di quella chiamata di Dio, che non perde mai la sua validità.

Tutti però sappiamo quale ne fosse il significato più autentico e profondo. Infatti, la preoccupazione prima del Poverello – e poi dei suoi figli spirituali – resta sempre il restauro della Chiesa viva formata dai credenti, perché la magnifica opera di Cristo risplenda sempre senza macchia e senza ruga, quale immagine autentica del suo Fondatore, il Re e Signore del mondo e della storia.

Ammirando la ritrovata bellezza di queste immortali opere d’arte e di fede, eleviamo lo sguardo a Cristo Re, contempliamolo elevato da terra, lasciamoci attirare dal suo amore senza confini e adorando, nel suo corpo glorioso, i chiari segni della Passione, resi luminosi dalla luce della Risurrezione, accogliamo, come fece un tempo Francesco d’Assisi, il suo perenne invito ad andare dietro di Lui portando ogni giorno la nostra croce.

Servire è regnare, recita un’antica e sintetica formula usata per l’insegnamento catechistico. Cristo Re ha regnato sul legno della croce, dopo aver dato l’esempio ai discepoli con il gesto della lavanda dei piedi; san Francesco ha regnato amando sorella povertà, rivestito del solo saio ed animato da un sincero amore per il suo Signore e per i poveri; tutti i Santi, che abbiamo celebrato all’inizio di questo mese, hanno regnato rinnegando se stessi per identificarsi ogni giorno a Cristo, Maestro e Signore.

Anche noi, cari fratelli e sorelle, convenuti in questa Casa di Dio, mentre contempliamo il Re dei re, il Signore dei signori, nel suo nome continuiamo il nostro cammino di fede per condividere, al di là della morte, la stessa corona di gloria.

 

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