The Holy See
back up
Search
riga
APERTURA DEL CONVEGNO
"GIUSEPPE SIRI. CHIESA, CULTURA, POLITICA DA GENOVA AL MONDO"

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Roma
Martedì, 12 aprile 2011

 

Sono lieto di ritornare oggi nella prestigiosa sede dell’Istituto Luigi Sturzo per dare avvio ai lavori del convegno dedicato alla figura e all’opera del Card. Giuseppe Siri.

Luigi Sturzo e Giuseppe Siri: due ecclesiastici del secolo scorso che, sia pure con modalità e in responsabilità diverse, hanno dato un contributo di notevole livello alla vita della Chiesa e della società in Italia, sempre a partire dalla limpida consapevolezza delle esigenze della loro vocazione sacerdotale - direbbe il Card. Siri: “dalla predella dell’Altare” -. In quest’anno che ricorda il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ci è data l’opportunità in qualche modo di accomunarli in un unico atto di omaggio al grande numero di quei ministri della Chiesa, illustri o sconosciuti, verso i quali il Paese ha un debito di riconoscenza, perché servendo Dio e le anime hanno dato un contributo importante al bene di tutta la società italiana.

Ringrazio l’Associazione Culturale Cardinal Siri, che, a quasi tre anni di distanza, ha voluto un nuovo e più ampio incontro di studi per approfondire la conoscenza del grande porporato genovese. Si tratta di un’opportuna e benemerita iniziativa, perché, se guardiamo alle investigazioni storiche finora svolte, ai convegni che lo riguardano e alle pubblicazioni a lui dedicate, possiamo dire che la ricerca storica sul Cardinale è iniziata veramente solo da pochi anni e dev’essere ulteriormente sviluppata. Mi piace ricordare che nel 2006, a cent’anni dalla nascita di Giuseppe Siri, quale Arcivescovo Metropolita di Genova e suo terzo successore sulla cattedra di San Siro, io volli un primo convegno dedicato alla sua figura. Desidero quindi esprimere il mio vivo apprezzamento a tutti gli organizzatori, comprendendo quindi anche la Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (Sissco) e il Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia dell’Università degli Studi di Bologna, che hanno voluto condividere la promozione di quest’incontro di studio.

Saluto cordialmente tutti i presenti e, in modo particolare, gli illustri moderatori e relatori delle sette sessioni in cui si articolerà il convegno. Sono certo che con la loro riconosciuta competenza ci aiuteranno a seguire quell’itinerario che il Card. Siri percorse nella sua vita “da Genova al mondo”, spendendosi per la vita della Chiesa e per il bene della società.

“Da Genova al mondo”: il capoluogo ligure fu veramente al centro della vita di questo grande uomo di Chiesa, profondamente legato alla sua città natale e totalmente dedito al bene di quella Chiesa particolare che guidò per oltre quarant’anni, con una dedizione che abbracciava l’intera vita sociale, politica, economica e culturale di Genova. Nell’omelia per i suoi funerali il Card. Giovanni Canestri lo descriveva così: “Figlio innamorato di Genova, come nessuno ne conosceva storia, archeologia, tradizioni, leggende, abitudini, dialetto, toponomastica, topografia, chiese e palazzi, vicoli e viali, darsene e colline, umori e mugugni”[1]. Durante gli anni del mio ministero pastorale a Genova, sono stato testimone diretto di quanto sia stato forte il legame fra il cardinale e la sua città, di quanto profonda sia stata l’impronta che egli ha lasciato nella vita ecclesiale e civile genovese, di quanto vivo e diffuso sia il ricordo, l’ammirazione e l’affetto verso la sua figura anche dopo due decenni dalla sua dipartita.

Emblematico di tutto questo mi sembra quanto egli fece per il porto, realtà fondamentale per la vita sociale ed economica della città ligure. E’ significativo che all’inizio e alla fine del suo episcopato si collochino due grandi e drammatici episodi legati proprio al porto: la trattativa per salvarlo al tempo della ritirata delle truppe tedesche e la mediazione per la vertenza lavorativa degli anni ’80. E nei quarant’anni fra queste due date vi fu l’impegno pastorale costante verso i portuali - così come verso i lavoratori di tutte le categorie, soprattutto attraverso l’opera dei cappellani del lavoro - e, allo stesso tempo e per le stesse motivazioni, il continuo contatto con le autorità responsabili e con tutte le forze sociali affinché non mancasse il lavoro alla sua gente.

Allo stesso tempo, Genova fu per il Card. Siri il punto di partenza per un’azione che è andata ben oltre i confini della Liguria. Infatti, l’episcopato e il cardinalato gli hanno fatto sentire profondamente la sollicitudo omnium Ecclesiarum. Essa si è manifestata principalmente verso la Chiesa e la società in Italia, soprattutto come primo presidente della Conferenza Episcopale italiana e come presidente delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Fu così indiscusso protagonista della storia del Paese per alcuni decenni e, come tale, punto di riferimento e, insieme, segno di contraddizione.

Ma l’interesse ecclesiale del Card. Siri superò i confini della nostra Penisola e abbracciò l’intera cattolicità. Il suo ministero episcopale si svolse negli anni della “guerra fredda” e poi dei blocchi contrapposti, e il nostro Cardinale ebbe un’attenzione particolare per la Chiesa e per i pastori nei Paesi dell’Est Europeo. Basti pensare ai rapporti che egli ebbe con i cardinali Wyszynski e Tomasek e la sua ammirazione per i cardinali Mindszenty e Stepinac. Certamente pensava ad essi, quando espresse la seguente considerazione: “Ho sempre notato che in genere gli errori teologici derivano da inquinamenti marxisti. È una storia lunga. Ma finora non ho trovato sulla mia strada uomini così puri nella fede come quelli che hanno esperimentato nella vita quella teoria. Sono stati vaccinati”[2]. Si era nel 1970, e otto anni dopo verrà eletto Giovanni Paolo II, il cui pontificato vedrà appunto il crollo del blocco sovietico, pochi mesi dopo la morte di Siri.

Dal programma del convegno si evince come questi aspetti cui ho fatto cenno troveranno ampia trattazione.

Da parte mia vorrei far rilevare uno dei punti di riferimento che mi sembrano essenziali per comprendere tanta parte del pensiero e dell’azione del Card. Siri. Infatti, in questa città di Roma, sede del Successore di Pietro, non si può non ricordare il suo legame con il Papa.

Esso fu legame personale e profondo con i Pontefici da Pio XII a Giovanni Paolo II, che lo ebbero vicino come apprezzato collaboratore ed interlocutore. E’ un tema che io stesso ho trattato durante il convegno genovese del 2006[3]. A titolo solo esemplificativo vorrei citare due brevi testi, che testimoniano quanto lo stimassero quei Pontefici. Ricevendo in udienza il clero genovese, Paolo VI così parlava del cardinale: “Vorremmo in questo momento lasciare libero corso ai ricordi, prima di tutto a quelli che riguardano il Cardinale Siri che conosciamo da 40 anni. Da quando alunno del Seminario Lombardo avemmo la fortuna di conoscerLo; e poi ricordiamo un incontro a Camaldoli in cui avemmo, non so se il merito per Noi, e la colpa per Lui, di stimolarLo a scrivere quei libri che poi vennero e diedero a tanti lettori così sicura e così apprezzata materia di studio sulla Teologia della Chiesa. E poi, e poi, Lo ricordiamo in tanti altri incontri: per la Conferenza Episcopale Italiana, per le settimane Sociali e cosi via. E siamo lieti di dire quale stima, quale devozione Noi nutriamo per il Vostro Cardinale Arcivescovo, specialmente per l’alta scienza teologica in cui è distinta la Sua personalità che, spesso, lascia trasparire qualche cosa anche per quanti possono avere la fortuna di ascoltarlo o di leggerlo”[4]. E Giovanni Paolo II così gli si rivolgeva nel corso dell’udienza ai pellegrini genovesi, venuti a Roma col loro Arcivescovo per ringraziare il Papa della visita a Genova: “Desidero rinnovare al Cardinale Giuseppe Siri l’espressione della mia stima per la sua opera pastorale, per lo zelo che egli ha sempre manifestato di fronte ai problemi teologici e sociali del nostro tempo affermando con rigore e chiarezza il primato della verità e facendo conoscere che la strada del vero bene sociale passa per Cristo”[5].

Ma va ricordato che il rapporto del Card. Siri con i Pontefici fu soprattutto un vincolo di fede con l’ufficio petrino stesso, di cui egli ha saputo cogliere e ha voluto sempre difendere il ruolo all’interno della comunione ecclesiale. In un’omelia per la festa dei Santi Pietro e Paolo il nostro cardinale diceva: “Matteo ha dato tutti i momenti fondamentali della struttura gerarchica lasciata da Cristo per sempre fino alla fine dei secoli… Chi ci presenta? Pietro. Soltanto uomo? No, ufficio, perché durerà fino alla fine dei tempi: le potenze dell’inferno non prevarranno mai... Questo ufficio detiene le chiavi del Regno... Ha questo ufficio da ricostituire in terra con tale efficacia che sarà ricostituito in Cielo, disciogliere con tale efficacia che sarà disciolto in Cielo. E allora concludiamo: vuol dire che Gesù Cristo tra Sé, Dio e noi ci ha messo questa figura... Cioè Cristo ha costituito un elemento medio necessario, perché può sciogliere o legare, perché tiene in mano le chiavi del Regno”[6]. Per questo, quando Giovanni Paolo II si apprestava a visitare la città ligure nel settembre 1985, il Card. Siri così si rivolse ai suoi diocesani: “Egli è il Vicario di Cristo. Come a Pietro, anche a Giovanni Paolo II sono state rivolte, nel momento della elezione, le grandi parole del Vangelo: «Tu sei Pietro e su questa pietra io edifico la mia Chiesa…» (Matteo 16, 18). La dignità del Papa riflette qualcosa della Maestà di Dio e noi, anche vedendolo semplice ed affabile con tutti, non dovremo mai dimenticare che Egli è il Vicario di Cristo. La Sua benedizione, in ragione dell’Ufficio, vale più di tutte le altre benedizioni; la Sua preghiera ed ogni Sua azione, per lo stesso motivo, hanno un primato tra le preghiere e le azioni di tutti gli uomini. Pensare a questo significa ricevere il Papa non solo come un sovrano la cui influenza morale non ha pari al mondo, ma riceverlo come ce la ha dato Gesù Cristo”[7]. Alla luce di queste riflessioni di Siri, si comprende l’affermazione che leggiamo nel testamento del porporato genovese: “Sono felice di aver sofferto e di avere sempre difesa la Chiesa e il Sommo Pontefice”[8].

Durante il presente convegno, saranno gli storici ad indagare i vari aspetti della personalità e dell’azione del Cardinale e del contesto in cui visse e operò, e lo faranno sulla base di studi e ricerche scientificamente rigorosi.

Da parte mia, vorrei ricordare che la comprensione delle persone e dei fatti del passato non può però ignorare le convinzioni, soprattutto quelle religiose, che muovono tanti uomini e tante le loro azioni. Ciò vale anche e forse soprattutto quando si prende in esame una figura come quella del Card. Siri, uomo dalla fede granitica, che di tale fede fece il principio delle sue scelte. Non si tratta di rinunciare alla serietà del metodo storico, ma, allo stesso tempo, anche di non escludere dall’orizzonte della ricerca il ruolo che la fede gioca nelle vicende umane. Ignorarlo espone al pericolo di condannarsi ad una comprensione solo parziale degli avvenimenti.

Anzi vorrei ricordare che, compiendo un passo ulteriore rispetto alla ricerca storica, per il Card. Siri la fede ci permette una visione superiore della storia stessa, che ne coglie il cammino, il senso e il fine. E fu proprio una delle sue caratteristiche l’amore per la storia e l’impegno a leggervi il mirabile disegno della Provvidenza. Egli esprimeva così la sua visione: “La Storia ha bisogno della Teologia per decifrarsi. Dal momento in cui una Rivelazione Divina ha indicato alcune divine linee nel condurre la stessa Storia, un criterio dominante ed una finalità, mettendovi al centro il Redentore e l’Opera sua, chi volesse prescindere da quelle linee, da quel criterio e da quella finalità, ad onta della più grande penetrazione e forse intuizione dei fatti, si esporrebbe a sbagliare molto e forse tutto. La storia ha camminato, cammina e camminerà sempre in funzione del Regno di Dio”[9].

Il Santo Padre Benedetto XVI, che ho informato di questo convegno, il 17 e 18 maggio 2008 visitò Savona e Genova: durante la permanenza nel capoluogo ligure, ricordò il Card. Siri, citandolo due volte nel discorso rivolto nella cattedrale di S. Lorenzo ai Canonici del Capitolo e ai Religiosi e Religiose, e soffermandosi in preghiera sulla tomba del porporato, da lui definito “zelante Pastore”[10]. Recandovi la Sua benedizione, sono ora lieto di dare l’avvio ai lavori del convegno dedicato al Card. Giuseppe Siri, augurando un proficuo approfondimento della sua personalità e della sua opera, così come del contesto storico, ecclesiale e civile, nel quale esse s’inseriscono. 


[1] Omelia del 5 maggio 1989.

[2] La dittatura dell’opinione, in Renovatio, VI (1970), p. 490.

[3] Cfr. Il Cardinale Siri e i Papi del suo tempo (Convegno per il centenario di nascita del Card. Siri - Genova, Palazzo Ducale, 4 maggio 2006).

[4] Udienza al clero di Genova, 8 giugno 1967.

[5] Udienza ai pellegrini genovesi, 16 maggio 1987.

[6] Omelia del 29 giugno 1971.

[7] Il Papa viene a Genova! LETTERA PASTORALE PER LA QUARESIMA 1985.

[8] Testamento spirituale, 4 febbraio 1982.

[9] Discorso ufficiale tenuto l’11 marzo 1956 nell’Accademia celebrata a Roma, nel palazzo Pio, per iniziativa dell’Azione Cattolica Italiana, in onore del Santo Padre Pio XlI nell’occasione degli anniversari della Sua Persona e del Suo Pontificato.

[10] Discorso per l'incontro con il Capitolo della Cattedrale e con la vita consacrata nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova, 18 maggio 2008.

 

top