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INCONTRO DI STUDI, ACLI – “IL LAVORO SCOMPOSTO”

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Venerdì, 2 settembre 2011

  

Caro Presidente e cari amici delle ACLI,
illustri Relatori,

ho accolto subito volentieri l’invito ad intervenire a questo tradizionale Incontro di studio, facilitato anche dal fatto di trovarmi già qui a Castel Gandolfo. Ringrazio di cuore il Presidente delle ACLI Andrea Olivero e la Presidenza Nazionale, che in questo modo mi ha offerto l’opportunità di portare a tutti voi il mio saluto e soprattutto quello del Santo Padre Benedetto XVI. Sua Santità ha apprezzato la vostra attenzione al 30° anniversario dell’Enciclica Laborem exercens del Beato Giovanni Paolo II, con l’idea di rivisitarla nell’attuale contesto, alla luce della Caritas in veritate. Egli vi augura un buon lavoro e benedice il vostro impegno e la vostra attività.

Da parte mia, non ho intenzione di entrare nel merito della tematica, che viene affrontata nelle sue varie prospettive da esperti Relatori. Piuttosto, sono lieto di questa occasione per sottolineare ancora una volta come il lavoro sia sempre stato e continui ad essere un tema di primo piano della Dottrina sociale della Chiesa, uno dei suoi ambiti costitutivi, come dimostra il Compendio pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel quale il sesto Capitolo è interamente dedicato al lavoro umano (pp. 144-177).

Proprio su questo aspetto è intervenuto ieri S.E. Mons. Merisi. Il tema a lui affidato è stato l’“umanesimo integrale del lavoro nel Magistero sociale della Chiesa”. Questa espressione mi sembra corretta e significativa, poiché è evidente che le dinamiche del mondo del lavoro sono tra quelle che per prime e maggiormente riflettono la globalizzazione e la sua ricaduta sulla vita concreta della persona in ogni sua dimensione. Il Magistero sociale della Chiesa ha offerto la sua concezione del lavoro, che possiamo dire “umanistica”, o “personalistica e comunitaria” – per usare la terminologia di Emmanuel Mounier – veramente a livello planetario: pensiamo ai Vescovi di tutto il mondo che, in comunione con il Papa, trasmettono il “Vangelo del lavoro” alla loro gente, e non solo a parole, ma con una presenza pastorale assicurata da sacerdoti, religiosi e fedeli laici che traducono questo Magistero in azione. Nei cinque continenti l’insegnamento della Chiesa sul lavoro è leggibile soprattutto attraverso i segni di solidarietà e le iniziative di promozione che esso suscita continuamente.

Desidero ora fare qualche riferimento all’Enciclica Caritas in veritate. Anzitutto, mi piace sottolineare che questo Documento riflette nella sua stessa gestazione la complessità della situazione in cui viviamo. Il Santo Padre la progettò in occasione del 40° anniversario della Populorum progressio del Servo di Dio Paolo VI, ma il sopraggiungere della crisi economica mondiale richiese una revisione in corso d’opera, e questo stesso fatto è molto importante: il Papa si è interrogato sul significato di questa crisi, ha voluto darne una lettura in chiave teologica e morale, cioè, appunto, nella prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa. “Gli aspetti della crisi e delle sue soluzioni – si legge all’inizio del secondo capitolo – nonché di un futuro nuovo possibile sviluppo, sono sempre più interconnessi, si implicano a vicenda, richiedono nuovi sforzi di comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica … La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità” (CV, 21). In questa prospettiva si inserisce anche il discorso sul lavoro.

La profonda trasformazione che investe il mondo del lavoro in realtà non tocca solo gli aspetti oggettivi, cioè: organizzazione, occupazione o disoccupazione, retribuzione, flessibilità, precarietà, ecc., ma coinvolge in modo rilevante i suoi contenuti etico-ideali. Per questo vorrei accennare alle positive conseguenze del considerare il lavoro non solo come una relazione di scambio ma anzitutto alla luce della “logica del dono” e della gratuità. In verità, secondo Benedetto XVI devono trovare posto entro la normale attività economica, il principio di gratuità e la logica del dono come espressioni della fraternità (cfr. CV, 36).

Guardare al lavoro da questa prospettiva significa vedere in esso ben più che una occupazione o una carriera ma anche e soprattutto una “vocazione”, qualcosa connesso e non distinto con lo stesso intimo e ultimo senso della vita umana. La dottrina sociale della Chiesa coglie questa dimensione teologica del lavoro là dove indica la sua realtà collettiva e sociale e là dove afferma che il lavoro umano contribuisce, certo in modo misterioso ma reale, alla nuova creazione, ai cieli nuovi e alle terre nuove (cfr. Gaudium et Spes, 34).

Possiamo dire di più. Il lavoro vissuto come vocazione, è mezzo ordinario di santificazione, perchè vissuto come attuazione laica e concreta della volontà di Dio. Non solo, viene allora in evidenza una dimensione comunitaria della santità, vissuta non più solo nei monasteri e nei conventi, ma anche nelle comunità delle donne e degli uomini del lavoro. Contemplazione e azione nel mondo, nel cuore stesso delle strutture produttive per la presenza di Gesù stesso secondo la sua promessa (“Dove due o più sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”, Mt 18,20) fra i lavoratori.

Questa visione soggettiva del lavoro richiama e mette in evidenza ancor più la necessità di salvaguardare gli aspetti oggettivi.

In effetti, di fronte alla riduzione delle reti di sicurezza sociale, Benedetto XVI afferma che l’invito della dottrina sociale della Chiesa, a partire dalla Rerum novarum, a dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti “va onorato oggi ancor più di ieri” (n. 25). Infatti, nel contesto della crisi, l’incertezza del lavoro e delle sue condizioni porta a difficoltà personali e sociali gravi. Pertanto, la dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono, con rinnovata urgenza – cito – “che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti” (n. 32). Come? Il Papa e la Chiesa non offrono soluzioni tecniche, ma non per questo rinunciano ad indicare delle prospettive. La prima è quella che il Papa chiama appunto, come già accennato, “principio di gratuità”, posto evidentemente in funzione dialettica rispetto alla logica mercantile.

Il bene comune, la fraternità, la condivisione appartengono tutti a questa dimensione profonda dell’essere e dell’uomo, che dà senso anche al lavoro, come a tutta la società. Si tratta infatti di valori etici che inducono a farsi carico dell'altro visto in tutte le sue dimensioni: come persona nella giustizia, come concittadino nella partecipazione, come diverso nel dialogo, come povero nella solidarietà e come fratello nella comunione.

Qui tocchiamo il nucleo ispiratore dell’Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II, che è una vera antropologia teologica: in essa, infatti, il lavoro è concepito sempre in riferimento alla persona e alla sua dignità.

Da ciò scaturisce la necessità “di una forma concreta e profonda di democrazia economica. La solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti, quindi non può essere delegata solo allo Stato. Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia” (CV, 38).

Su questo fondamento si basa l’impegno del Magistero e di tutta la Chiesa per una “civilizzazione dell’economia” (cfr CV, 38), in contrapposizione alla forte tendenza speculativa. Un’economia civile non può trascurare la valenza sociale dell’impresa e la corrispettiva responsabilità nei confronti delle famiglie dei lavoratori, della società e dell’ambiente. I diritti sociali, infatti, sono parte integrante della democrazia sostanziale e l’impegno a rispettarli non può dipendere meramente dall’andamento delle borse e del mercato. Ma questo impegno richiede una forte rettitudine morale, fondata a sua volta su un costante e robusto rapporto con Dio. Perciò faccio mia, in conclusione, un’espressione che troviamo nell’ultimo numero della Caritas in veritate: “Lo sviluppo – scrive il Pontefice – implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace” (CV, 79).

   

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