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CONFERIMENTO DELLA LAUREA HONRIS CAUSA IN GIURISPRUDENZA

LECTIO MAGISTRALIS DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Università “Magna Grecia” di Catanzaro
Sabato, 21 aprile 2012

 

QUALE FUTURO PER L’EUROPA NEL MEDITERRANEO?
Il cammino dell’Europa tra etica, politica ed economia

  

Introduzione

Sono lieto d’essere qui con voi a riflettere oggi su di un insieme di temi quali l’Europa e il Mediterraneo, così come sui loro percorsi etici, politici ed economici: realtà estremamente complesse, lo sappiamo tutti molto bene, ma anche ambiti di esperienza comune che toccano sempre più da vicino la nostra vita quotidiana, tanto a livello personale, quanto a livello sociale.

Per questo ringrazio i promotori e gli organizzatori dell’iniziativa, mentre rivolgo un deferente saluto a Sua Eccellenza Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro. Ossequio altresì il Magnifico Rettore, il Prof. Aldo Quattrone, le altre Autorità Accademiche e tutto il corpo docente e discente dell’Università degli studi "Magna Grecia", come pure il signor Presidente della Regione Calabria, dott. Giuseppe Scopelliti, il Presidente del Consiglio Regionale, On. Francesco Talarico, e la Presidente della Provincia di Catanzaro, On. Wanda Ferro.

Saluto infine tutti voi qui convenuti, in particolare il signor Commissario prefettizio, le Autorità tutte e gli altri illustri relatori, con i quali condivido l’odierna riflessione sui possibili rapporti tra etica, economia e politica nel contesto socio-culturale dell’Europa unita.

Il tema affidatomi, per le sue implicazioni teoriche e pratiche, come pure per l’ampiezza dei contenuti da affrontare, è oltremodo impegnativo. In tal senso desidero fare da subito una premessa metodologica che ritengo assai utile. Il mio intervento non potrà essere, per ovvie ragioni, esaustivo. Tuttavia, vorrebbe offrire qualche contributo per la focalizzazione di alcuni elementi fondanti, capaci di aprire percorsi di dialogo e di confronto, di riflessione e di studio circa alcune questioni attuali e, direi anche imprescindibili.

Partiamo da un dato di fatto. L’Europa unita, una realtà che fino a ieri poteva sembrare ad alcuni distante o astratta, è divenuta quanto mai prossima e concreta. Il Mediterraneo, lungi dall’essere percepito come una sorta di confine naturale fra mondi profondamente diversi o, addirittura, inconciliabili, va ripresentandosi sempre più come un nodo centrale della terra, un vero e proprio luogo di incontro tra i popoli. Più che un mare che divide, il Mediterraneo è soprattutto un mare che unisce le opposte sponde, mediante le attività commerciali ed economiche. Le rotte, tuttavia, non riguardano soltanto le merci, ma anche le idee, le tradizioni etiche, politiche, culturali e religiose.

Ma ci domandiamo: questo mare è in grado di accettare una nuova sfida della storia, ovvero quella di essere il cuore culturale e spirituale nella costruzione dell’Europa unita? Questo crocevia di civiltà può essere anche oggi il motore trainante al servizio della pace e del dialogo tra i popoli?

Sono domande che bisogna porre soprattutto alle nuove generazioni, e lo faccio rivolgendomi agli studenti di questa Università e, idealmente, a tutti i giovani della Calabria, drammaticamente confrontati con problemi di non facile soluzione, sul piano sociale, economico e morale. Nella ricerca delle soluzioni locali contingenti, è quanto mai necessario coltivare prospettive ampie e universali, proiettate a edificare quel tipo di società in mezzo alla quale vogliamo vivere. In questo senso il “Mare Nostrum” è ancora oggi come un grande cantiere in costruzione per una rete pulsante e globale di idee e di culture in dialogo positivo.

Per rendere operativo questo cantiere dobbiamo innanzitutto basarci su dei pilastri ragionevolmente capaci di sostenere l’attuale costruzione europea. Essi possono essere da un lato la riscoperta dei fondamenti ultimi del Diritto (Ciò che è Giusto), dall’altro la rivalutazione della dimensione politica (Ciò che si deve fare). Entrambe, la Giustizia e la Politica, si pongono naturalmente nell’orizzonte del Bene Comune e della sua ragionevolezza ultima.

Il mio compito è quello di evidenziare il contributo fondamentale offerto dal cristianesimo nell’elaborazione del Diritto occidentale. Un importante aiuto alla nostra riflessione ci è dato da alcuni recenti interventi di Benedetto XVI; mi riferisco ai suoi discorsi al mondo politico Britannico, nella Westminster Hall di Londra (il 17 settembre 2010), ed al  Parlamento tedesco (il 22 settembre 2011).

Di fronte al Parlamento tedesco, il Papa ha affermato: “Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato […] Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”[1].

A Londra, invece, Papa Benedetto ha voluto porre l’accento sul ruolo pubblico e costruttivo della religione che aiuta anche la sfera politica ad individuare percorsi condivisi e rispettosi della persona umana.

Cito: “ […] Il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire delle norme, […] ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”. Precisando poi che: “Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un processo che funziona nel doppio senso” [2].

Ecco allora perché, nell’odierna riflessione sull’Europa, vorrei anzitutto riproporre la centralità della persona umana. Dal punto di vista storico si può affermare che è nel XIV secolo, e con maggiore forza e rinnovato vigore nel XV secolo, che un vasto e impetuoso moto culturale europeo riscopre l'uomo riportandolo al centro del mondo, vale a dire al centro di tutti gli interessi morali e spirituali. Si va, in questo modo, aprendo la via all'età moderna: all'umanesimo prima, al rinascimento poi. Si tratta di uno slancio che rappresenta uno dei punti di svolta nella storia della civiltà europea; la maggiore rivoluzione prima di quella industriale, di cui l'Europa sia stata teatro.

La Chiesa si è sempre fatta carico di salvaguardare il carattere trascendente della persona umana[3]. Essa perciò, come affermava il Beato Giovanni Paolo II, «non può abbandonare l’uomo, la cui “sorte”, cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite al Cristo»[4]. Ciò significa guardare all’uomo, in tutta la sua irripetibile realtà (perché è «persona») dell’essere e dell’agire, dell’intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore[5].

La Chiesa nella sua dottrina sociale ha sempre sottolineato fortemente questa centralità dell’uomo, e anche nella recente enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, emerge con toni di assoluta chiarezza l’esigenza dell’uomo alleato dell''altro uomo, della sua sor­te, della sua storia. Alleato con l'uomo e la terra, dentro i suoi medesimi orizzonti, dentro un umanesimo rivolto al futuro. Si veda l’intero Capitolo IV, sullo sviluppo dei popoli, sui diritti e doveri e l’ambiente.

E’ in questa prospettiva che si dovrebbero affrontare le sfide che interessano il nostro continente all’inizio di questo millennio e che sono di grande attualità nell’odierno dibattito che attraversa l’Unione Europea. Appare sempre più evidente che l’Europa moderna non può essere tenuta insieme, in profondità, da fondamentalismi, da moralismi, o da pluralismi retti dall’arbitrio, ma soltanto da un ethos comune, che sia in grado di generare un consenso di base su criteri e atteggiamenti in sintonia con la natura della persona umana.

A ben vedere, è l’Europa dei padri-fondatori, quella basata sulla cultura ed i valori del cristianesimo, quella in cui l’etica non era disgiunta dalla politica e dall’economia, che è in grado, anche oggi, di affascinare, di entusiasmare e di tenere insieme popoli, visioni e culture diverse.

La sfida etica

L’Europa è la patria dei diritti umani, della dignità e dell’inviolabilità della persona. Tuttavia, se poggiano sempre più su se stessi, tali diritti perdono il loro fondamento e perciò, a lungo andare, rischiano di smarrire anche la loro ragion d’essere. Al contrario, il patrimonio culturale dell’Europa ci ricorda che «sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza»[6].

Bisogna riproporre ad ogni generazione questa base etica. Si tratta di una consapevolezza fondamentale dinanzi ai continui mutamenti che sorgono non solo all’interno dell’Unione, bensì anche in relazione ai massicci flussi immigratori, che hanno caratterizzato gli ultimi decenni e che stanno determinando un nuovo volto del Vecchio Continente. Se l’Europa non riscopre il legame fra essere ed agire e conseguentemente il nesso fra etica e politica, così come il contributo positivo della religione alla sua crescita, verranno a mancare gli strumenti  per affrontare gli interrogativi posti dal tempo presente.

La sfida politica

Il nostro incontro s’interroga sull’Europa non soltanto nel senso di espressione geografica, culturale, sociale, istituzionale e politica, ma anche come tratto costante della quotidianità di ciascuna persona umana. Basandomi sempre sulla prospettiva cristiana vorrei qui richiamare un aspetto dell’agire politico in sintonia con quanto ha affermato Paolo VI, e cioè che «la politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri»[7]. Ogni credente, pertanto, deve sentirsi spinto a mettere a disposizione di tutti la sua prospettiva in una forma che sia sostanziata dalla carità, pur nella lacerazione delle scelte difficili, nella fatica delle decisioni non da tutti comprese, nel disturbo provocato talvolta dalle contraddizioni e dalle conflittualità sistematiche.

I cattolici che esercitano la carità nell’agire politico ad ogni livello non possono certo mancare al confronto con tutti i soggetti in campo. Mai rassegnati all’irrilevanza, i laici cattolici sono chiamati a concorrere generosamente al bene comune, rendendo così pubblicamente ragione della fecondità sociale e politica della propria fede vissuta e della propria dottrina creduta. E tutto questo ha delle conseguenze decisive per i contenuti ed il metodo dell’impegno politico.

Purtroppo, si assiste sempre più frequentemente ad un impoverimento della politica, quando essa è guidata da calcoli di convenienza e da logiche utilitariste di mera ricerca del consenso. Tutto ciò potrebbe far sì che la perenne contesa tra utilità e verità trascorra più sul lato dell’utile e del vantaggioso, che su quello del vero. Se si vuole che il bene comune, che richiede anche sacrificio, sia "credibile",  è lo splendore della verità che dovrà illuminare i vantaggi, i profitti e gli utili, ponendoli al servizio della dignità umana, della persona e di quella cellula fondamentale della società che è la famiglia.

Si dice che la politica sia l’arte della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si raggiungano sempre le mediazioni migliori; ma vi sono dei principi primi, che una "mediazione a tutti i costi" finirebbe per distruggere. In quanto arte del buon governo e "amore per la polis", e dunque per la vita sociale, non può semplicemente soddisfare i bisogni meramente individuali, né regolamentare in senso repressivo gli istinti di prevaricazione sociale. Piuttosto, deve promuovere, anche e soprattutto, l’apertura dei singoli verso gli altri, la capacità caritatevole di ciascuno nel dare e nel ricevere, l’attitudine a rispettarsi e a soccorrersi mutuamente e disinteressatamente. Ecco perché il politico non può essere altro che colui che, per amore, si dedica alla giustizia.

Anche i giuristi e i canonisti, fin dal Medio Evo, hanno riflettuto su carità e diritto. “Iuste iudicans misericordiam cum iustitia servat” si legge, ad esempio, nella “Concordia discordantium canonum” di Graziano, l’iniziatore riconosciuto della scienza canonica. Permettetemi a questo riguardo di richiamarmi alla mia esperienza di docente e studioso di morale sociale e di diritto canonico e di menzionare l’ampia discussione che si è aperta dopo il Concilio Vaticano II su una composizione dell’antinomia fra giustizia e carità. Lo stesso Magistero è più volte ritornato su questo tema, soprattutto quando ha affrontato i problemi e le sfide della società umana. Forse, a questo riguardo basterà un semplice dato: la Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Vaticano II si sofferma almeno sette volte sul rapporto fra queste due virtù[8]! Da un lato il Magistero dichiara che non vi può essere vera carità se si nega la giustizia. Così afferma anche Pio XI nell’Enciclica “Divini Redemptoris” : “La carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia” [9]. Dall’altro, esso fa rilevare che la giustizia ha bisogno di aprirsi agli orizzonti più ampi della carità. Né la carità rende inutile la giustizia, né, viceversa, questa determina che vi possa non essere più bisogno della carità.

Importanti riflessioni sulla perenne necessità della carità le troviamo nella nell’Enciclica più volte citata di Benedetto XVI, Deus caritas est, che andrebbe letta e riletta per intero. Ne propongo un brano: “L'amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l'amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L'affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell'uomo: il pregiudizio secondo cui l'uomo vivrebbe «di solo pane» (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) — convinzione che umilia l'uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano”[10].

La sfida economica

Non possiamo dimenticare che l’Europa unita, che oggi conosciamo, prima di concretizzarsi in un progetto politico, si è costituita come comunità economica. Propagandosi all'interno del Continente, il movimento venuto dal Nord ha incontrato quello proveniente dal Sud. Il contatto, come è noto, è avvenuto nella pianura della Champagne, dove avevano luogo le celebri fiere di Troyes, di Lagny, di Provins e di Bar-sur-Aube, che fino alla fine del XIII secolo hanno svolto la moderna funzione di borsa e di clearing house. Lettere di cambio, prestiti, vendite a rate: la finanza era già all'opera. Fu la rivoluzione commerciale lo sfondo che permise all'Europa cristiana di sviluppare quell'umanesimo che pose l'uomo al centro del mondo.

I Padri fondatori dell’Europa intravidero nella possibilità di una sinergia comune in campo economico, nella costituzione di un singolo mercato, la possibilità di evitare in futuro quelle contese, che nel corso della prima metà del XX secolo assunsero connotati atrocemente drammatici.

Sottolinea Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate che «la sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente».[11] Dunque, «l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona»[12]. Ciò significa che l’economia – e qui ritorniamo a quanto detto fin dall’inizio – proponendo la centralità della persona, contribuisce a soddisfare i suoi bisogni più autentici.

Una politica che ponga al centro l’uomo nelle sue dimensioni integrali, piuttosto che i singoli interessi particolari, non solo potrebbe favorire una ripresa economica più stabile e a beneficio di tutti, ma contribuirebbe in modo positivo a superare quella crisi di fiducia che ha coinvolto non solo gli operatori economici, ma, soprattutto in Occidente, anche il mondo delle istituzioni. In questo rinnovato impegno vi deve essere la valorizzazione del lavoratore, del cosiddetto “capitale umano”, che è la più grande ricchezza di cui l’umanità dispone.

La centralità della persona significa anche centralità della famiglia e con ciò apertura alla vita. Ciò che un tempo veniva considerata una benedizione, la nascita di un figlio, ora viene spesso concepita come un’incombenza quasi fastidiosa. E così assai spesso nella vita familiare prevale l’egoismo, anziché il desiderio di generare, che è la più grande espressione della “carità coniugale”. La famiglia ha bisogno di aiuto per sostenersi e per generare e l’Europa ha bisogno della famiglia per crescere e per svilupparsi. Ciò significa che occorre anche investire nell’educazione, affinché i giovani guardino al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Educare non significa però solo dare informazioni tecniche, significa far crescere la persona nella sua totalità. «Per educare – osserva Papa Benedetto XVI – bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura»[13]. E con ciò ritorniamo al bisogno, alla centralità di quell’etica, poc’anzi enunciata, che ci mette al riparo dall’affermarsi di una visione relativistica, la quale pone seri problemi non solo all’educazione[14], ma mina il futuro stesso dell’Europa.

Il futuro dell’Europa nel Mediterraneo: le nuove sfide da raccogliere

Le nuove sfide hanno dimensioni che oltrepassano le frontiere tradizionali e lambiscono tutte le terre mediterranee, al punto che non esiste nazione, né politica nazionale, che possa gestire da sola tematiche come lo sviluppo sostenibile, le tendenze demografiche, la crescita economica, la solidarietà sociale, l’etica e il progresso vertiginoso delle scienze della vita e della salute.

Sul piano delle sfide socio-culturali dobbiamo saper riconoscere l’allargarsi dei flussi migratori: a quelli dall’Est europeo vanno aggiunti quelli dal Sud e da diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia, con tutti i problemi sociali e culturali connessi, che chiedono di essere affrontati con discernimento e responsabilità. Si aggiunga a ciò il generale fenomeno della globalizzazione, a conferma di una società umana sempre più in movimento. Le migrazioni mettono quindi in contatto, e spesso miscelano, diverse identità etniche e culturali, generando così la questione definita nei termini della gestione di una società multiculturale[15]. Al riguardo sottolineo che, nel corso dei secoli, molti Paesi europei hanno saputo sviluppare un concetto di sana laicità degli Stati e delle istituzioni, che presuppone e richiede la distinzione – piuttosto che separazione - fra la dimensione temporale e la dimensione spirituale. Tale concetto rappresenta un importante patrimonio, ma può facilmente ridursi a ideologia se, nel nostro continente, non sa trarre giovamento dal ruolo “ispiratore” della religione cristiana. Non si dovrebbe, infatti, ignorare il contributo particolare che il Cristianesimo può offrire nelle grandi questioni della pace e della convivenza tra diversi popoli e comunità. Le istituzioni religiose e spirituali cristiane possono così collaborare con le istituzioni politiche, in uno spirito di sana laicità, richiamando quei valori etici e spirituali condivisi, sui quali si dovrebbe edificare la società europea. Tale dialogo fra fede e ragione, fra istanze laiche e religiose, può aiutare ad affrontare fruttuosamente e con equilibrio le attuali sfide, dalla crisi economica, ai problemi ambientali, a quelli migratori. Massima attenzione si deve tuttavia porre alla possibilità d’integrare e vicendevolmente arricchire le legittime diversità culturali e religiose presenti in Europa. Ciò comporta l’impegno a realizzare una vera "convivialità delle culture", evitando ogni tentazione di contrapposizione tra civiltà. Lo richiede non solo una fedeltà creativa a quanto il cristianesimo ha già seminato nella cultura europea, ma anche la situazione di accentuata pluralità in questo continente.

Conclusione

Concludo rilevando che l’unione monetaria, finanziaria ed economica ha certamente grande importanza e significato. Ma da sola essa non basta. C’è bisogno di un’unità più profonda, che attiene alla persona umana con la sua dignità, i suoi diritti e doveri inalienabili, la sua onorabilità trascendente.

Riprendo ancora una volta quanto detto da Benedetto XVI nel discorso al Parlamento tedesco: “Lo dico proprio in vista dell’Europa. […] La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivo e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto”[16].

La comunità ecclesiale e la comunità politica sono entrambe al servizio dell’uomo della nuova Europa, affinché si ritorni a dialogare ed operare sinergicamente per il bene comune. I Cristiani debbono perciò sentirsi in prima linea nell’offrire il loro contributo, a partire proprio della speranza che è in loro (Cf 1 Pt 3, 15). Questo è l’augurio che rivolgo ai presenti, a quanti operano in questa Università e a tutti coloro che, in Calabria, sono impegnati, a diverso titolo, al servizio del bene comune.


[1] BENEDETTO XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011.

[2] BENEDETTO XVI, Discorso a Westminster Hall, Londra, 17 settembre 2010.

[3] cfr Gaudium et Spes, 76.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 14.

[5] Cf Ivi, 14.

[6] BENEDETTO XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011.

[7] PAOLO VI, Esortazione apostolica Octogesima adveniens, 46.

[8] cfr Gaudium et spes, 21, 30, 72, 76-78 e 93.

[9] cfr PIO XI, Divini Redemptoris, 49.

[10] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 27 b).

[11] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 36.

[12] Ivi, 45.

[13] Ivi, 61.

[14] Cf ivi.

[15] Cf. Spazio globale. Politica etica e religione, Edizione Diabasis, Reggio Emilia 2005, 93-97.

[16] BENEDETTO XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011.

  

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