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OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Cattedrale di Catanzaro
Domenica, 22 aprile 2012

 

Eccellenza Reverendissima,
Reverendi Presbiteri della Chiesa di Catanzaro-Squillace,
persone di vita consacrata,
seminaristi, fratelli e sorelle carissimi, pace a voi!

Mi rivolgo a voi, convenuti in questa Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta ed ai Santi Pietro e Paolo, con le prime parole rivolte da Gesù risorto alla Chiesa nascente: «Pace a voi!». Agli undici Apostoli, ai due discepoli tornati in fretta da Emmaus e a tutti gli altri, verosimilmente anche a sua Madre, il Risorto rivolge il proprio saluto augurale, che è più di un saluto e più di un augurio, essendo il dono di Sé medesimo. È Gesù Cristo, infatti, la nostra pace (cfr Ef 2,14), giacché Egli è Colui che abbatte ogni muro d’inimicizia e di separazione e crea unità. È a Lui Risorto con il suo corpo glorioso che noi, fatti una sola cosa nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica, possiamo finalmente guardare con fede e speranza per riceverne pace e gioia, per condividere in carità fraterna la mensa eucaristica domenicale.

Il Risorto è Colui che è venuto a realizzare la promessa messianica della pace. Chi ha vinto il duello tra morte e vita, il Re che è vivo, può sigillare definitivamente la comunità ecclesiale con la parola “pace”, che racchiude tutti i comandamenti e riassume ogni bene personale e comunitario. Il dono pasquale della pace fa sì che Apostoli e discepoli diventino davvero i testimoni coraggiosi della risurrezione: al loro annuncio si nutre la fede della Chiesa, di generazione in generazione.

Al loro seguito anche voi, cari fratelli e sorelle, uniti al Pastore della Chiesa particolare e con lui in perfetta unione con la Sede Apostolica, siate chiamati ad essere testimoni coraggiosi, annunciatori e operatori di quella pace che solo Gesù Cristo può dare ai cuori, alle famiglie, alla società, al mondo.

Con gioia, dunque, continuate a portare la vostra testimonianza in questo lembo del Meridione d’Italia, nel più ampio orizzonte mediterraneo ed europeo, in cui – come osservavo ieri parlando nell’Università Magna Graecia – la Chiesa svolge il suo ruolo di annuncio e di promozione umana e sociale.

Ho appreso che già nel giugno 1945, tre anni prima della Lettera collettiva intitolata “I problemi del Mezzogiorno”, i Vescovi della Calabria auspicavano un ordinamento sociale che rispettasse l’essenziale uguaglianza tra gli uomini, un ordinamento economico che facilitasse una più equa ripartizione dei beni, una disciplina del lavoro che tutelasse la dignità del lavoratore. Dopo i tanti processi di modernizzazione, di sviluppo incompiuto e in parte distorto, nonché di profonda trasformazione socioculturale, la fede pasquale sollecita ad una nuova evangelizzazione di queste terre, dei modi di vivere e di pensare, perché Cristo, nostra pace e nostra giustizia, possa sempre più regnare in mezzo a voi e rinnovare ogni cosa secondo il disegno di Dio e il vero bene degli uomini.

Cari amici, di fronte al saluto pasquale di Gesù Risorto, che vuole donarci il primo frutto genuino della nuova vita cristiana, il nostro cuore non può che gioire e ardere. Così ardeva il cuore di quei due discepoli che, lungo la strada verso il villaggio di Emmaus, avevano ascoltato, pur senza riconoscerlo, il Signore, mentre spiegava loro alla luce delle Sacre Scritture tutti i fatti accaduti, che essi non riuscivano a interpretare.

Per questo, di cuore, lo abbiamo invocato con le parole del Canto al Vangelo: «Signore Gesù, facci comprendere le Scritture». Sì, o Signore, facci davvero comprendere le cose scritte su di Te nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi! Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei nostri padri, glorifichi Te, suo Figlio morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza!

La prima Lettura odierna ci presenta Pietro che, perso qualunque residuo di timore e di titubanza, si rivolge con grande franchezza a quanti, in mezzo al popolo, si erano resi responsabili del rinnegamento del “Santo” e del “Giusto” Gesù, fino al punto da chiedere che, al suo posto, fosse graziato Barabba.

San Giovanni, invece, nella seconda Lettura ci dice che se qualcuno ha peccato, ricordi che abbiamo un Paraclito, cioè un Avvocato, presso il Padre. Dio sa trasformare il male in bene, e all’ignoranza colpevole, che ci fa commettere crudeltà e ingiustizie, risponde inviando nel mondo la Vittima di espiazione. La Provvidenza divina, anche nei meandri e nelle oscurità della storia dovuti alla libertà umana, governa ogni cosa affinché si realizzi il disegno imperscrutabile del Padre, che è disegno di conversione e di cambiamento, di profondo rinnovamento, di risurrezione alla vita stessa di Cristo, in Dio. «Convertitevi dunque e cambiate vita», ripete san Pietro a chi lo ascoltava allora, ed oggi a noi che intendiamo raccogliere i migliori frutti della Pasqua del Signore. E, con toni più dolci ed affettuosi, ma non meno perentori, la Prima Lettera di Giovanni insiste: «Vi scrivo queste cose perché non pecchiate».

Cambiare radicalmente prospettiva, trasformare profondamente la propria esistenza, aborrire il peccato commesso e non peccare più: ecco le nuove esigenze del Regno di Dio, che gli Apostoli e i loro successori proclamano al mondo nella luce di Pasqua. L’appello al pentimento lanciato da san Pietro e l’esortazione di san Giovanni a rompere con il peccato sono due modi – tra i tanti possibili dell’annuncio cristiano – di raggiungere il profondo del cuore delle persone e sollecitarle alla conversione. E’ la forza della predicazione cristiana che comunica con coraggio, senza mai stancarsi, la fede pasquale!

Il Risorto vuole donare a tutti la fede e la pace, la conversione e il perdono dei peccati; vuole che il suo dono pasquale giunga ad ogni uomo, incominciando da Gerusalemme fino agli ultimi confini della terra; e ciò deve avvenire mediante i discepoli, ai quali dice: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48).

Cari fratelli e sorelle che cooperate nell’annuncio della Parola di Dio, in particolare voi, presbiteri e diaconi: non abbiate timore di far parlare per vostro tramite lo Spirito di verità alla gente di queste vostre terre. Non stancatevi mai di trasmettere in ogni ambiente – nei modi appropriati, e sempre con mite fermezza – la Parola che genera vita vera, la vita buona del Vangelo. Questa stessa Parola dona la forza della verità, per non subire le intimidazioni della delinquenza organizzata, dell’illegalità, del silenzio omertoso di chi vede e non agisce.

E tuttavia, ci ricorda la Prima Lettera di Giovanni, non è mai sufficiente annunciare la Parola di vita e accoglierla per avere la garanzia di aver “conosciuto” davvero, in profondità, il Cristo, cioè di condividerne ed interiorizzarne profondamente lo stile. La “prova del nove” dell’annuncio cristiano – che sempre suscita per sua stessa natura delle prassi rinnovate – sta nel fare esperienza di Lui, in una conoscenza che si traduce in osservanza della “regola d’oro” morale ed esistenziale di Gesù Cristo. Di conseguenza, soltanto se avremo osservato il suo comandamento d’amore avremo ascoltato ed annunziato davvero il Signore Risorto. Per questo, se qualcuno dicesse: “Lo conosco”, ma non osservasse i suoi comandamenti, sarebbe da ritenere bugiardo e in lui non ci sarebbe la verità. L’annuncio che trasforma l’esistenza, la vita animata dall’agápe, dono di Cristo nello Spirito Santo, è infatti piena realizzazione della Parola che salva, che illumina le menti, riscalda i cuori, infonde la pace e si traduce in azioni di giustizia, di riconciliazione, di trasformazione sociale e culturale – come oggi ci ricorda anche la Giornata per l’Università Cattolica –, in qualunque contesto personale, familiare e sociale.

Secondo il racconto dell’evangelista Luca, è direttamente il Risorto a educare i “suoi”; a dare loro la chiave di interpretazione dei testi sacri; ad aprire dinanzi a loro i confini dell’evangelizzazione ben oltre un popolo solo. Egli li trova ancora sconvolti e pieni di paura, turbati. Perché mai questo turbamento dei discepoli? – si chiedevano già i Padri della Chiesa nei loro commenti ai Vangeli. Come mai neppure quel saluto di pace riesce ancora a rasserenare l’animo di Pietro, che pure aveva già creduto nella risurrezione, e non tranquillizza del tutto gli altri? Certamente, di fronte ad essi c’è il Signore Risorto, c’è veramente Colui che scruta i loro cuori profondamente scossi, forse a motivo delle considerazioni soltanto umane. Mostrando le ferite delle mani e dei piedi, chiedendo ed offrendo da mangiare, sembra quasi che il Risorto voglia proprio rispondere alla legittima esigenza di riconoscere la sua figura umana. Non si tratta di un fantasma: è davvero Lui. Ma anche la singolare evidenza dell’apparizione richiede di essere assimilata da parte dei discepoli: la realtà della risurrezione deve entrare nel profondo, nelle categorie con le quali interpretiamo la vita, nell’ardore con cui annunciamo Gesù Cristo e il suo messaggio, nello stile che qualifica i discepoli del Risorto.

Il cammino dei componenti di quel primo gruppo di cristiani costituisce un itinerario esemplare, tracciato ed avviato dal Risorto stesso, che trasforma quegli uomini impauriti e dubbiosi in validi testimoni. Ecco, in sintesi, il cammino spirituale ed esistenziale di ogni discepolo di Cristo, anche nostro.

Cari fratelli di questa amata Chiesa! Mentre vi ringrazio per la vostra accoglienza, prego perché possiate fare esperienza di questo itinerario dello spirito e della vita dentro il mistero della Risurrezione. Così potrete contribuire, con la vostra testimonianza, a diffondere l’amicizia di Cristo tra le persone che incontrate nelle vostre relazioni umane e nel vostro ministero. Siate sempre ed ovunque segni viventi di Risurrezione. Amen.

 

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